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Autore: miseichan    03/01/2011    15 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
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Bugie bianche

 

 

“E’ un pervertito!”
L’urlo colse tutti alla sprovvista. 
Dall’uscio, prorompente, si infiltrò coraggioso nell’edificio. Niente lo avrebbe fermato.
Superò il piccolo cancelletto, il corridoio stretto e affollato, il rumorio di sottofondo.
E zittì tutti.
“E ancora…” sospirò esasperato “Non è vero!”
“E’ un pervertito!”
Nuovo urlo, diverso dal precedente: più rabbioso, deciso e controllato. Traboccante condanna.
Gli occhi di tutti erano ora puntati sulla coppia che si stagliava all’entrata. 
Risaltavano, catturando invariabilmente ed ineluttabilmente l’interesse. 
Lei, che si stringeva in un piccolo accappatoio bianco con un sorriso isterico sulle labbra livide, mosse i primi esagitati passi all’interno del corridoio per dirigersi verso la scrivania più vicina. Non degnò di uno sguardo nessuno, gli occhi puntati solo sull’uomo in divisa.
“E’ un pervertito, agente.” dichiarò “Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
Il poliziotto, agente Silvano Ricciardi, venticinque anni di carriera alle spalle e un paio di baffi bianchi come unici peli sul volto severo, aspirò con calma dal sigaro che gli pendeva dalle labbra.
“Chi?” chiese, gli occhi neri puntati in quelli chiarissimi della ragazza “Chi è un pervertito, signorina?”
“Lui!” rispose subito lei, voltandosi lo stretto indispensabile per afferrare con due dita il colletto della camicia del ragazzo e tirarlo in avanti.
“Lui è il pervertito.”
L’agente Ricciardi annuì impercettibilmente e socchiuse le labbra sottili per soffiare un po’ di fumo. La squadrò ancora una volta, partendo dai capelli biondi e bagnati fino a giungere alle infradito grondanti acqua. 
Qualcosa nell’esame che aveva appena compiuto lo fece sorridere.
“Sei un pervertito, giovane?” domandò placidamente al ragazzo accomodatosi sul bordo della sua scrivania.
“No, agente.” scosse il capo questi, dondolando le gambe con un sorriso impertinente sulle labbra.
“Il giovane afferma il contrario.” sospirò l’agente, stringendosi nelle spalle e lasciandosi andare con fare rilassato contro lo schienale della sedia.
“Cosa?” squittì la biondina, il tono di voce che saliva lentamente  “Voi… voi…”
Si guardò attorno, scorrendo con disappunto i volti che si godevano la scena. 
“Tu.” ringhiò, puntando oltraggiata gli occhi in quelli del ragazzo “Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
L’espressione di lui era l’immagine dell’innocenza più pura.
“Io?” chiese con una luce maliziosa negli occhi “Proprio per niente.”
Smise di far dondolare le gambe e sogghignò, solo per lei.
“Posso fumare, agente?” 
Senza neanche attendere un cenno di assenso, tirò fuori un pacchetto rosso e si rigirò fra le dita una sigaretta.
“Perché non torniamo a casa, ragazzina?”
Lei scosse la testa guardandolo con odio, sorda al mormorio che si stava diffondendo nella stanza.
“La devi pagare.” 
E il sorriso di lui, finalmente, scomparve.
L’agente Ricciardi spense il sigaro contro il bordo del tavolo. 
Quindi intrecciò le dita sotto il mento e, sospirando, si decise a parlare:
“Possiamo fingere che non sia successo alcunché?”
“Mi ha spiata mentre facevo la doccia!”
“Io non spiavo proprio niente!”
“E’ un pervertito!”
“La vuoi smettere di dirlo?!” ringhiò lui afferrandole le spalle.
“Non sono un pervertito.” sillabò e le parole rimbombarono nel silenzio.
L’agente Ricciardi prese un bel respiro e contemplò l’idea di accendersi un nuovo sigaro.
“Giovane,” mormorò, i baffi che vibravano “come ti chiami?”
“Matteo Fiori.” rispose lui, arrotolandosi con gesti nervosi le maniche della camicia bianca.
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
L’agente Ricciardi annuì appena, scrutandoli entrambi con circospezione. 
“Signorina, perché afferma che il giovane qui presente l’abbia spiata mentre faceva la doccia?”
“Perché è successo!” strillò lei, accalorandosi “Meno di venti minuti fa! Perché crede che sia venuta qui, altrimenti?”
“Signorina, si calmi, per cortesia.”
“No! No, che non mi calmo. Le sembra normale che pervertiti del genere siano ancora a piede libero? Perché diavolo non si decide a sbatterlo dietro le sbarre?!”
“Signorina, per favore.” gemette il poliziotto, girandosi con fare stanco verso il ragazzo “Tu confermi quello che ha appena detto?”
“No.”
L’agente Ricciardi si passò una mano sugli occhi.
“Siamo in fase di stallo, eh?”
Corrucciò le sopracciglia e aprì il primo cassetto della scrivania.
“Giovane, neghi che venti minuti fa la signorina fosse sotto la doccia?”
A quelle parole lui abbassò lo sguardo, puntandolo incerto sul pavimento grigio.
“Non ho detto questo.” mormorò, ignorando il sorriso vittorioso che illuminava il volto della ragazza.
“Quindi,” trasse le conclusioni il poliziotto mentre apriva una scatola di sigari “la signorina venti minuti fa era sotto la doccia. Esatto?”
“Sì.” fu la risposta data in contemporanea. 
“Io però non la stavo spiando.” aggiunse subito lui.
L’agente Ricciardi accese il sigaro: “Come fa a sapere che era sotto la doccia, allora, se non la stava spiando?”
“Lo so perché l’ho vista.” rispose il ragazzo con ovvietà, infilando le mani nelle tasche e stringendosi placidamente nelle spalle.
“Tu non mi hai vista.” sibilò lei, avvicinandoglisi minacciosamente di un passo “Tu mi hai guardata.
“E se anche fosse?” inarcò un sopracciglio “Non significa che ti stessi spiando, ragazzina. Non è reato ergo non sono un pervertito.”
“Sei un infimo…”
“Signorina, per cortesia.” la interruppe il poliziotto. 
Aspirò ancora, cercando di trarne la forza necessaria a continuare.
“E tu, giovane, si può sapere perché la guardavi?” cominciava a perdere la pazienza  “Credevo fosse una semplice lite fra piccioncini, ma se la mettiamo in questo modo… non si guardano le ragazze mentre sono sotto la doccia e che diavolo!”
“Che altro dovevo fare?!” esplose lui, allargando le braccia.
Il poliziotto strinse le labbra e lanciò un’occhiata alla ragazza.
“E’ sul serio pervertito?”
Lei alzò gli occhi al cielo e prese a strizzarsi i capelli. 
“E’ quello che sto tentando di dirle, agente. Lo sbatte dentro?”
“Qui non si sbatte nessuno da nessuna parte! – gridò il ragazzo, gli occhi neri resi ancora più scuri dall’incredulità “Come potevo non guardarla?” chiese, attirandosi diversi sguardi di biasimo che riuscirono solo ad animarlo ancor di più “Ero semplicemente uscito a fumarmi una sigaretta!” strillò, calpestando furiosamente quella che poco prima gli era caduta in terra.
“Perciò l’ha vista attraverso una finestra.”
“No. L’ho vista dal vivo.”
“Non capisco.” grugnì l’agente Ricciardi, il sigaro che si consumava come la sua pazienza.
“La doccia è sul balcone.” sussurrò la ragazza, un infradito che strusciava nervosamente sul pavimento.
Il poliziotto la fissò in silenzio. 
“Quindi tu l’hai vista mentre si faceva la doccia in balcone, giusto?”
“Sì.”
“E tu dov’eri?” insisté “ Per strada, affacciato alla finestra…”
“Sul balcone.”
Una risata grassa pervase la stanza, rimbalzando da una parete all’altra. 
L’agente Ricciardi sembrò non sentirla.
“Eri sul balcone? Il tuo balcone?”
“Sì.” confermò lui, accennando con il capo alla ragazza “Il suo balcone.”
“E no. O è il tuo o è il suo di balcone.”
“E’ lo stesso.”
Calò il silenzio mentre l’eco della risata andava lentamente svanendo. 
“E’ lo stesso?”
“Sì.”
“E tu sei uscito sul balcone.”
“Sì.”
“Il tuo balcone.”
“Sì.”
“Il balcone che è anche della signorina.”
“Sì.”
“Per fumare.”
“Sì.”
“E la signorina era sotto la doccia.”
“Sì.”
“E tu, mentre fumavi, l’hai vista.”
“Sì.”
“No!” intervenne lei con uno strillo “Non mi ha vista. Lui si è appoggiato alla ringhiera, una sigaretta fra le labbra e mi ha guardata!”
Vedendo che i due non accennavano a parlare, continuò implacabile: 
“Come fate a non capire la differenza?! Non si è scusato e non se n’è andato: è rimasto lì, come se niente fosse, a guardarmi con quei suoi occhi neri del diavolo. Con la sua dannatissima sigaretta e con quel fottutissimo sorriso! –
L’agente Ricciardi espirò e si rivolse al ragazzo.
“Una cosa ancora non mi è chiara: perché avete lo stesso balcone, voi due?”
“Perché viviamo insieme.”
“Voi due?”
“Sì.” sospirò affranto “Noi, un hacker in clausura, una escort in carriera e due topi mutanti.”
“Mi prendi per i fondelli, giovane?”
“No, agente.” negò, estraendo una nuova sigaretta dal pacchetto rosso: l’appoggiò alla labbra e cominciò a cercare l’accendino. 
“Ah, no!” sibilò lei strappandogliela via “Davanti a me tu non fumi più.”
“Signorina, per favore.”
“Per l’amor del cielo!” fronteggiò il poliziotto “Perché si comporta così? Come se io fossi la pazza e lui la povera vittima?! Non c’era lui sotto la doccia!”
“Avresti voluto, ragazzina?” chiese il ragazzo, ammiccando sorridente.
“Matteo.” lo avvertì lei, senza guardarlo.
“O avresti voluto che venissi sotto la doccia assieme a te?”
“Matteo.” lo minacciò.
“Dillo! Dillo che da quando mi hai visto con Sofia non fai che pensare a me!”
“Matteo!”
“E’ vero? Ho ragione, perché non lo ammetti?”
“Cosa? Che ero gelosa? Questo vuoi sentirti dire?! O che da quando ti ho visto fuori il bar che ti facevi non so più chi sei? O che a rigarti la moto sono stata io? Cos’è che vuoi sentirti dire?”
“Ragazzi, per favore…”
“Lo sai che ho parlato con tua madre? O non t’interessa e vuoi solo sentirti dire quanto sei bravo a letto, eh? Cos’è che vuoi sentire? Un’altra delle tue belle bugie?”
“Sono bugie bianche, ragazzina.”
“Sei solo un dannatissimo stronzo!” gridò lei, scagliandoglisi contro.
L’agente Ricciardi aspirò un’ultima volta e fece segno a due agenti di dividerli mentre spegneva il sigaro nello stesso punto in cui aveva spento quello precedente. 
Sospirando, intimò ai due ragazzi di sedersi. 
“Credo sia il caso che mi raccontiate un po’ di cose.”
Accese il terzo sigaro.
“Dall’inizio.”

 

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