«I look into the mirror
I don't know who I am»
Sto
perdendo la testa, ormai. Questo
specchio sta riflettendo un’altra persona, questo non sono
io. Non so più per
cosa sto vivendo, perché continuo a tenere questo stile di
vita? Forse la
routine della rockstar non mi si addice più di tanto. Forse
devo smetterla di
andarmene in giro per il mondo a cantare il mio dispiacere. A chi
interessa,
tanto? Serve a me, per sfogarmi, e basta. Ma non posso continuare
così per
sempre. Forse è meglio che rimanga più tempo con
Selena su a Spokane. Sento che
pian piano questa vita mi sta uccidendo. Non so davvero più
chi sono.
«Well I can't keep pretending
I just can't play the part
I need the solace of her shore
I need the solace of her shore»
Ho
bisogno di tornare a casa, ho bisogno
di risentire i fili d’erba che mi solleticano il viso. La
brezza autunnale che
mi fa strizzare gli occhi, come quando uscivo a giocare da piccolo.
Quando mia
mamma mi copriva con mille strati perché aveva paura che
prendessi freddo.
“Myles
copriti che non voglio tenerti a
casa ammalato!”
“Ma
dai mamma, fa caldo fuori!” e poi
scappavo, non riuscivo a starmene fermo in casa, dovevo muovermi e
perdermi in
mezzo alla natura.
Facevo
le gare in bici con i miei amici, e
poi ci rotolavamo nel fango tra le risate. Mi ricordo ancora le urla di
mia
mamma quando tornavo a casa.
“Fila
subito a fare la doccia, sembri un
barbone!” e io ridevo, perché mi sentivo forte, mi
sentivo diverso.
“Sì
ascolta tua madre Myles, vai a
lavarti” e c’era sempre il mio patrigno che
rincarava la dose, supportando mia
mamma in ogni cosa che diceva. E io non rispondevo mai,
perché in quei momenti,
rivolevo mio padre.
«Safe at last in your arms
I'm safe at last in your arms»
Tra
le tue braccia, papà. Te lo ricordi
vero? Quando andavamo in vacanza al lago, a Coeur d’Alene, e
mi avvicinavo alla
riva sporgendomi per guardare i girini che nuotavano. E mamma ti
chiedeva
sempre di tenermi stretto, perché aveva paura. Tra le tue
braccia.
E
poi mi lasciavi sempre andare, quando
mamma non guardava, perché volevi farmi vedere che ero
diventato grande. Avevo
tre anni! Ma tu mi chiamavi sempre “il mio ometto”
e io lì mi sentivo forte e
speravo che non smettessi mai di ripeterlo.
E
mi portavi a pescare con la tua piccola
barca, e io mi sedevo sempre sulla punta, in bilico, lasciando scorrere
i piedi
nudi sull’acqua, e mi sentivo libero.
Ricordo
ancora quella volta che avevamo
pescato un pesce enorme, e avevo preteso di portarlo io, quando pesava
il
doppio di me. Mamma si era fatta due risate a vedermi trascinare quel
coso
sull’erba, e aveva fatto una foto a noi due, io per terra e
tu, papà, con
almeno cinque pesci di uguale stazza in mano. Quella sera, guardando la
foto,
ti eri messo a ridere e io avevo detto che da grande sarei diventato
come te.
“Come
me? No Myles, tu farai cose più
grandi di quelle che fa il tuo papà!” e mi avevi
accarezzato la testa.
Dici
che ce l’ho fatta? Questo si può
considerare una “cosa più grande”? Sai,
darei tutto indietro, tutto questo, pur
di riaverti qui.
«When all the lights have faded
The encore's come and gone
And I can't take this no more»
Quando
le luci sono sbiadite. Al
crepuscolo, quando non tornavo a casa perché non ne avevo
voglia.
Quando
avevo dodici anni, e girando per la
città finivo inesorabilmente di fronte al cimitero di
Spokane. E mi dicevo
sempre di fare dietro front e di andarmene. Dovevo dimenticarti, non
potevo
andare avanti così. Ma, così come le mie gambe
inevitabilmente mi portavano lì,
inevitabilmente io entravo sempre, e mi sedevo sopra la tua tomba a
raccontarti
la mia giornata, a parlarti di come andavano le cose a casa. E finivo
sempre a
piangere, e non volevo che tu mi vedessi così.
Perché tu mi vedevi, ne ero convinto.
E mi vedi anche ora, vero?
Mi
vedi seduto in questo divano, nel mio
tour bus? Sì che mi vedi.
E
vedi come sto piangendo? Trent’anni
dopo, ancora non ho imparato a trattenerle, le lacrime. Sono certo che
mi stai
osservando anche in questo momento.
E
allora mostrati.
Show
me a sign.
E
immagino che tu stia vegliando su di me
anche in questo momento, vero? Mi vedi ora mentre prendo questa siringa
e me la
infilo nel braccio? Mi vedi mentre mi accascio per terra in preda ad
una
momentanea gioia, nonostante le lacrime continuino a rigare il mio viso?
So
che mi vedi.
Ma
io non so più quello che vedo.
Degli
alberi in fiore, animali che escono
dalle loro tane, famiglie che giocano.
Un
lago.
QUEL
lago.
Eccoti
sulla tua barca, che mi fai cenno
di salire, sorridendo.
“Dai
Myles, vieni piccolo, che sennò ci
rubano tutti i pesci!”
Corro
verso di te mentre l’aria fresca mi
scompiglia i capelli.
«Coeur d'Alene is calling out
Where the water's calm
Coeur d'Alene I'm coming now
And it won't be long»
Un
sorriso mi illumina il viso mentre ti
abbraccio e salgo sulla barca.
Mi
siedo sulla punta, come sempre.
“Non
sei un po’ troppo grande ormai?”
“No.
Tu sarai sempre il più grande.”
E
tu cominci a remare.
Oggi
l’acqua è calma. E io sono felice.
Non sei felice, papà?
Miiiinchia
ragazzi, che One Shot tristi che mi vengono!
Su, uccidetemi D:
No,
coooomunque, ero lì che studiavo letteratura (ebbene
sì, so anche studiare :O)
e ascoltavo AB III (ma vaaaa? XD). Lo sguardo di Myles in uno dei miei
poster
mi ha dato la definitiva ispirazione, proprio mentre ascoltavo Coeur
d’Alene.
Bene, non chiedete come possa un poster dare ispirazione, ma
è così U_U
Bene,
detto
ciò, avevo da tempo la voglia di scrivere qualcosa sugli
Alter ed è venuta
fuori questa song-fic. Penso che i loro testi siano tra i
più sottovalutati, io
li trovo profondissimi e pieni di innumerevoli spunti per le nostre
vite *-*
Ovviamente
la
storia è inventata, ma molti fatti sono presi dalla
realtà. Myles, ovviamente,
non si droga, o almeno spero che non lo faccia
ù_ù Coeur d’Alene è proprio
il
nome del lago dove la famiglia di Myles andava in vacanza quando lui
era
piccolo, prima che suo padre morisse ç_ç
Ulteriore
precisazione: il soggetto della storia non mi appartiene *si dispera* e
meno
male per lui, aggiungerei!
Siate
clementi,
vi prego *-*