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Autore: eleblack    04/01/2011    1 recensioni
"Alcune volte siamo noi a scegliere di perderci." Fanfiction post season 6.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hurley, Kate, Nuovo personaggio, Sawyer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Clems, piantala.”
Jackson nemmeno solleva gli occhi dal foglio, e Clementine continua a tormentare le ciocche scure sulla sua nuca.
“La radice quadrata di 64 è 8, non 6.” Fa notare la ragazza, e la sua voce sa del ghigno che ha stampato sulle labbra, che Jackson sente anche se non può vederlo. Riuscendo a stento a non sbuffare, il ragazzo traccia con nonchalance un segno sopra il 6 e corregge. Clems sorride ancora, stavolta in segreto.
“Sei brava a fare i compiti degli altri,” lui ritrova la parola solo dopo qualche calcolo “Ma che mi dici di quello che dovresti fare tu?.”
La ragazza lancia uno sguardo annoiato alle sue spalle.
“Aaron sa badare benissimo a sua sorella. Non vedo perché zia Kate abbia dovuto chiedermi di stare qui a fare la babysitter quando non c’è affatto bisogno di me.”
“Me lo chiedo anch’io,” replica Jackson acido, e dietro di lui Clementine lo scimmiotta con una smorfia, lasciando finalmente in pace i suoi capelli, che il ragazzo si riordina con un tocco misurato della mano.
Clementine crolla sul divano, prende dal comodino lo specchio di cristallo di sua zia e si osserva il viso minuziosamente, alla ricerca di imperfezioni.
Jackson, ormai stufo dei suoi compiti e avvertendo finalmente la noia della situazione, si volta a guardarla e dopo un po’ chiede: “Pensi che sia una delle loro solite riunioni?”
“Quali riunioni?” domanda Clems distrattamente. E’ passata all’attacco dei suoi brufoli - si stimano zero sopravvissuti.
“Dai, lo sai a cosa mi riferisco. Le loro riunioni.”
Nessuna risposta giunge dal divano finché il ragazzo, sbuffando, non si lascia cadere vicino a Clementine e le strappa lo specchio di mano.
“Ehi!”
“Ma è possibile portare avanti una conversazione con te che non riguardi America’s Next Top Model o quel barbone barbuto di X Factor?”
“Il ‘barbone barbuto’, come lo chiami tu, è solo un ragazzo adorabile e pieno di talento con un pizzetto altrettanto adorabile. E comunque sì, mia cara Jackie, basta che la conversazione sia interessante.” replica Clems seccata, ed è il turno di Jackson di scimmiottare il suo modo di parlare “E parlare di riunioni inesistenti che per te sono un vero e proprio trauma infantile non è affatto interessante.”
“Non sono inesistenti! Quante volte abbiamo visto i nostri cambiare improvvisamente discorso quando ci vedevano arrivare?” insiste Jackson, gesticolando visibilmente “Ne parlano di continuo! Non puoi negare che ci nascondano qualcosa...”
“’Ne parlano’?” domanda Clementine scocciata.
“Dell’isola!”
La ragazza rotea gli occhi al cielo e si riprende lo specchietto.
“Non c’è nessuna isola, Jack.”
“Ma sei scema? Tuo padre ci ha passato quattro anni della sua vita e tu- “
“’L’isola’ è un modo simpatico di riassumere tutti i posti in cui mio padre è stato quando non era qui con me,” sbotta la ragazza “Quindi smettila di farti paranoie inutili.”
“Aaron, diglielo tu che ho ragione!” Jackson, zittito dalle parole taglienti della sua amica d’infanzia, si rianima quando vede Aaron varcare la soglia del salotto. Il biondo si mette comodo accanto a lui sul divano, con la solita aria rilassata di chi sembra essersi appena fatto una canna, e si accende una sigaretta.
“Senti, amico, cerca di capirla. Non vogliono che ne parliamo, e lei non vuole mettersi nei guai, perché da quello dipendono le sue uscite serali.” spiega Aaron serafico, beccandosi un’occhiataccia da Clems, che abbandona prima lo specchio e poi la stanza, ormai convinta che preferirà la compagnia di una dodicenne invasata di Barbie e Hello Kitty a quella dei due ragazzi.
“Lo so che non vogliono, ma adesso non ci sono, giusto? Ma tu non ti chiedi mai niente?”
Aaron inspira profondamente, si stropiccia l’occhio destro con la punta del mignolo - lo fa sempre – e dice con semplicità: “Mia madre non ha mai voluto dirmi niente di questa storia, né ha voluto parlarne. Parlarne la fa soffrire, e io non voglio farla soffrire, capito? Punto.”
“Parlarne fa soffrire tutti.” Riflette Jackson ad alta voce, e quello stesso pensiero lo zittisce una volta per tutte. Succede sempre così: quando si arriva a quel punto lui si sente come se continuando a porre domande mancasse in qualche modo di rispetto a sua madre e a tutti gli altri – ma di certo non aiuta a renderlo meno curioso.
Il rumore della porta principale che si apre lo riporta alla realtà. Aaron si risveglia dal suo coma silenzioso e si precipita a spegnere la sigaretta nel portacenere, che poi corre a svuotare in bagno.
Anche Jackson si alza dal divano, giusto in tempo per veder entrare in salotto zio James, zio Miles e sua madre. Lo zio James tiene tra le braccia un grosso pacco regalo.
Jackson gli sorride mentre si avvicina per abbracciarlo; lui gli molla una pacca sulle spalle come fanno tra sé solo i veri uomini, e dice: “Buon compleanno.”
Il ragazzo abbassa gli occhi sul pacchetto, e si sente ancora più in colpa per aver dubitato di loro. Non erano a nessuna stupida riunione, ma solo a comprare il suo regalo di compleanno.
“Grazie, zio James. Grazie, ma’.”
Kate sorride e lo bacia sulla guancia mentre prende il pacco tra le braccia.
“Si è fatto tardi, e la cena non è nemmeno lontanamente pronta!” annuncia poi a tutti i presenti mentre tacchetta fino in cucina, dove prende al volo il grembiule e tira fuori l’occorrente dal frigorifero.
“Clems, vieni a dare una mano alla zia!” lo zio James urla, rivolto al punto indistinto della casa in cui si trova sua figlia al momento. Lui, invece, sorride a Jackson e si sistema comodo sul divano, cercando con lo sguardo il telecomando.
Jackson dà un’occhiata per niente nostalgica ai suoi compiti di matematica prima di sedersi accanto allo zio e dedicarsi al suo regalo. Alle sue spalle sente la voce di Aaron, giunto a salutare Kate e gli altri, che si offre di aiutare con la cena, mentre Clementine entra in salotto per apparecchiare il grande tavolo di vetro. Non lo usano mai, è solo per le occasioni speciali.
Con un piccolo sospiro, Jackson infila le unghie sotto un lembo di carta e tira dolcemente, ma in modo deciso. Il rumore della carta strappata – che ha sempre adorato, sin da quand’era piccolo, nonostante sia un rumore che molta gente potrebbe trovare fastidioso – è coperto dal suono del campanello.
“Dovrebbe essere mia madre,” dice Aaron, appena entrato con una pila altissima di piatti tra le braccia. Jackson solleva lo sguardo e lo posa su Clementine, che sta disponendo le posate sulla tavola e canticchiando una canzone tra sé, totalmente persa nel suo mondo.
Scuotendo leggermente la testa, si alza. “Vado io.”
“Bravo, figliolo.” Mormora Sawyer accanto a lui, perso anche lui negli ultimi minuti della partita di football.
Jackson attraversa il corridoio nella penombra con passo svelto, per non far attendere zia Claire ulteriormente. Apre la porta di slancio e sorride.
“Ciao, Jackson.”
Ma non è la zia Claire a salutarlo – a meno che, nei due giorni in cui non si sono visti, sia notevolmente ingrassata, abbia tinto i capelli e si sia fatta crescere la barba. Ah, sì, e abbia cambiato sesso.
Il sorriso di Jackson si spegne, quello del nuovo arrivato no.
“Buon compleanno.” dice.
“G-grazie. Cerca mia madre? E’ occupata in cucina...”
“No no no, cercavo te. Cercavo proprio te.”
“Non capisco,” dice Jackson dopo qualche secondo.
“Sono venuto a portarti il mio regalo.” Continua l’uomo, senza smettere di sorridere.
Jackson lo guarda da capo a piedi – è vestito elegante, una tenuta che non si addice molto ai suoi lunghi e vivaci capelli ricci – ma non vede nessun pacco. Istintivamente sposta lo sguardo alle spalle dell’uomo e vede un secondo tizio appoggiato ad una macchina, che gli sorride non appena incrocia il suo sguardo. Ma il suo è un sorriso diverso da quello del signore che è di fronte a lui – è un sorriso strano, un sorriso storto.
Jackson guarda di nuovo di fronte a sé e dice, senza riuscire a nascondere del tutto la nota canzonatoria nella sua voce: “Mi dispiace, signore, ma non vedo nessun regalo.”
Gli sembra di sentire la voce di zio Miles dall’interno, attutita dagli altri rumori, gli sembra che abbia fatto il nome di Claire; ma l’uomo misterioso riesce a tenersi ben stretta l’attenzione del ragazzo.
“Il mio regalo, figliolo?”
“Jackson, dove sei?”
Passi concitati.
“Ma è Claire?”
La luce del corridoio si accende alle sue spalle.
“Hurley?”
“Il mio regalo è la verità.”
  
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