Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: GaTTaRa PaZZa    04/01/2011    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Ryou e Keiichiro avessero scelto altre ragazze con il DNA compatibile a quello degli animali codice rosso? Se invece di Ichigo, Minto, Zakuro, Purin e Retasu avvesero trovato altre candidate?
Questa fiction è un adattamento delle puntate dell' anime secondo il carattere di queste altre mew mew (vedrete moltissime similitudini e citazioni, le battute a volte sono anche le stesse, a volte con varianti). Noterete che le mew mew non saranno cinque, ma ben sette. Sono ispirate alle mie amiche più intime, non potevo tralasciarle!!
Spero vi piaccia, commentate negativamente o positivamente, voglio sincerità! :)
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Satō camminava per una delle stradi principali di Shibuya, affiancata dalla madre Midori, e guardava con occhi scintillanti le vetrine dei negozi che sorpassavano.
«Okasan! Guarda quelle scarpe azzurre a pallini blu! Non sono bellissime? Potresti comprarmele, onegaiii!!» la supplicò, indicando con l' indice un paio di Converse All Star a un costo esagerato.
«No,Satō. Prima dovrai fare qualcosa per meritarle. Per esempio, un bel voto a scuola quando comincer໫Ma io sono brava a scuola! Ero nella prima classe e i miei voti erano impeccabili. Dovresti premiare la mia diligenza!» ribatté prontamente. Aveva pensato a quel genere di discussione un milione di volte, e ora aveva le parole giuste da dire.
«Bisogna vedere se sarai così brava anche nella nuova scuola. Prima il dovere. A proposito, dovevamo andare a prenderti la divisa. Mancano quattro giorni all' inizio e tu non sei ancora pronta!»Satō mise il broncio. Non le andava proprio non riuscire ad ottenere qualcosa, qualunque cosa si trattasse.
«Tu l' hai già vista, la nuova scuola?» domandò, per cominciare una conversazione.
«Sì. E' un edificio molto grande, c' è addirittura una palestra completa di tutte le attrezzature ginniche. Scommetto che ti piacerà. E la divisa è proprio carina»Satō non rispose. Non le piaceva che la libertà di indossare vestiti a piacimento fosse stata abolita, là.
«Ecco, la sartoria dove te l' ho fatta fare è laggiù» annunciò la madre, affrettando il passo.
La figlia la seguì, alzando gli occhi al cielo. Detestava correre, e l' impazienza di Midori la spaventava.
Entrarono assieme in questa sartoria piccola e caratteristica, e Satō rimase affascinata da quanto fosse colorato l' interno.
Stoffe di ogni tipo e colore erano sparse ovunque: tessuti morbidi e lisci, o granulosi e leggermente ispidi.
Verde scuro, rosso, giallo, panna, bianco, arancione, blu... Guardava e toccava tutto, curiosa.
Non riuciva a credere che un buco di posto così potesse essere pieno di tutte quelle stoffe.
Una creaturina fragile, piccola e vetusta era seduta dietro un bancone, a ritagliare la forma di un abito di seta nero. I capelli bianchi a sbuffo e gli occhiali dalla montatura tonda e dorata le davano un aspetto saggio.
Le mani rugose e affusolate lavoravano con velocità ed esperienza, sicure di ciò che stavano creando.
«Konbanwa, misesu-san. Siamo qui per la divisa scolastica di mia figlia» salutò con gentilezza Midori. Nella cultura giapponese, il rispetto per gli anziani è davvero importante.
La nonnina alzò lo sguardo, inchiodando la ragazza con quegli occhi che sembravano due infiniti pozzi neri.
«Hai. E' quel pacco protetto dalla confezione bianca» gracchiò con la sua voce rauca, facendo un cenno a un qualcosa sulla sedia di legno intrecciata.
«Domo».
Satō si avvicinò a quell' involucro di plastica, liberando il vestito dalla protezione dalla consistenza di un sacchetto della spesa.
E gelò.
Era un abito grigio, con il colletto alla marinaretta blu, a maniche lunghe. La gonna era a sbuffo, con increspature ogni dieci centimetri.
Scorse una camicia bianca nascosta dalla giacchetta grigia, con un fiocco rosso sul petto.
Chi era il creatore di quel vestitino da bambola?
Non assomigliava affatto a una blusa scolastica!
Prima che un conato di vomito potesse farle fare una brutta figura, ricoprì svelta il futuro vestito che avrebbe indossato ogni giorno per tre anni.
«Beh, ehm, caratteristica» riuscì a balbettare Satō, travolta da un' ondata di tristezza.
Perché, perché, perché, doveva andare alle superiori? Dov' era la divisa banale a gonna scozzese, camicia, maglioncino grigio e cravatta blu con lo stemma della scuola?
L' unica cosa che la sollevava era che Kurumi, una sua cara amica delle medie, veniva con lei.
Questo pensiero la calmò un po' e rimase con l' involucro bianco in mano, in preda a bellissimi ricordi.
Sua madre sorrise e tirò fuori il portafoglio, pagando la vecchietta con una buona dose di Yen.
"Ecco. E questa è fatta. I libri ce li ho, la divisa anche... la calma manca all' appello, però" pensò la ragazza, salutando la sarta con un gesto della mano.
«Hai visto com' è diversa dalle altre? Niente a che vedere con quella tua dell' anno scorso. E poi ci sta a pennello con il tuo nome!» osservò Midori con affetto, stringendo le spalle della figlia con un braccio.
«"Zucchero". Ma che bel nome. Già mi vedo l' appello:Kona Satō! E' una battuta di pessimo gusto. Verrò presa in giro a vita» si lamentò Satō, chiudendo gli occhi e porgendo alla madre il pacco.
«Ma no, è un nome simpatico, ammettilo. Di quelli che ti ricordi per tutta la vita. Ah, qui le nostre strade si dividono. Hai preso il biglietto del tram?»L' altra annuì, facendosi aria con il biglietto.
Midori alzò gli occhi al cielo con un sorriso, e se ne andò.
La ragazza osservò la madre fino a quando non svoltò l' angolo.
Sapeva di somigliarle molto: i lineamenti del viso, gli occhi marroni, e i capelli scuri folti e mossi.
Il punto era che adesso la donna stava andando dal parrucchiere e Satō aveva timore di cosa poteva uscirne.
Sospirando sonoramente si girò, ma non aveva intenzione di andare alla fermata. Voleva farsi un giretto per quel quartiere che adorava,sedersi sul suo piedistallo di marmo grigio bevendo una granita alla menta.
Sapeva ambientarsi bene a Shibuya, perciò raggiunse la piazza senza intoppi (esclusa la fermata in gelateria per comprarsi la bibita ghiacciata).
Finalmente appoggiata alla statua, Satō cominciò a mordicchiare la cannuccia gialla, segno che aveva finito la granita.
Osservava con aria critica tutte le tamarre che sfilivano davanti ai suoi occhi, lanciandole occhiatacce.
L' unico problema era che Shibuya è il covo delle Gyaru.
«Hai sentito? Stanno per aprire un nuovo Caffé un po' distante dal centro, immerso nel verde. Potremmo andare a visitarlo quando lo aprono: da fuori sembra un posto romantico adatto alle coppie: potrei andarci con Toru...» disse una del gruppetto, pobabilmente la cosidetta "Leader".
Satō fece una smorfia: se c' era una cosa che più odiava delle Gyaru, erano le coppiette.
Quelle erano veramente insopportabili.
Però... un nuovo locale? A Tokyo ce n' erano un po' troppi, molti andavano in fallimento. La gente, con la vasta scelta, andava sempre in quelli più rinomati.
E non aveva senso farne uno laggiù; chi mai si sarebbe spinto così in là per prendersi, che so, un capuccino?
Poi ricordò che anche le superiori dove fra quattro giorni doveva andare erano in periferia quella zona: finita la scuola poteva passarci tranquillamente, senza fare troppo tardi.
Si era sbagliata: il Caffé era in una postazione strategica.
Quasi quasi le venne voglia di vederlo: il tram sarebbe passato tra poco: doveva sbrigarsi.
Buttò il bicchiere in un cestino e poi respirò a lungo.
Bisognava CORRERE!
Le lunghe gambe abbronzate di Satō iniziarono a muoversi in modo frenetico, decidendo da sole la strada più breve.
Con il fiatone, raggiunse la fermata in sei minuti esatti, catapultandosi dentro il mezzo pubblico con un' agilità degna di un orso sui trampoli.
Entrando, travolse un paio di sfortunati ragazzi e rossa d' imbarazzo balbettò qualche scusa, andando il più velocemente possibile a timbrare il biglietto.
"Uffff... che impedita" pensò, rassegnata, aggrappandosi saldamente a un palo. Non voleva cadere su qualcun altro... per esempio quella ragazza con una cascata di capelli neri e lisci lunghi fino alla vita circa che ascoltava musica guardando fuori dal finestrino.
La tizia si girò, infastidita, con un' espressione che diceva: "Embè? Che hai da guardare?"
Satō distolse immediatamente lo sguardo. Quegli occhi strani, di un verde giallastro, avevano l' aria di non essere amichevoli.
Odiava prendere autobus, tram e simili. L' aveva sempre detestato.
Si trovava sempre gente strana: cinquantenni con i Dread, punkettoni, ottantenni fuori di zucca e altezzosi businessmen.
E ragazze scocciate.
Quella tipa era molto carina, ma non si atteggiava affatto, perciò probabilmente non se ne rendeva conto. Aveva il viso spruzzato di lentiggini e il volto assolutamente perfetto, ma molto indifferente, distaccato.
Satō sentì una fitta di invidia. Anche lei voleva essere bellissima, ma purtroppo non era una che risaltava.
Niente capelli colorati, niente vestiario originale.
Si guardò: maglietta dello Stregatto di Alice in The Wonderland, normalissimi jeans chiari e all star a fiorellini rossi.
La banalità fatta persona, l' esatto contrario della stravagante Kurumi. Lei si notava: anticonformista al massimo, indossava solo vestiti assolutamente fuori moda, occhiali, capelli sciolti e spettinati, castano mielato, alta, magra, stranissima nei modi di fare e nel parlare.
"oh, questa è la mia fermata!" si accorse la ragazza, giusto in tempo per catapultarsi fuori (travolgendo due scocciatissime ragazze).
Satō si guardò intorno, cercando con lo sguardo quel famigerato locale... senza trovarlo.
Si mise a girovagare in giro, chiedendo informazioni ai passanti, e alla fine, riuscì a trovare questo famigerato Caffè.
Lo trovò orribile: tutto cuoricini, rosa e bianco, e si sentiva un forte profumo di dolci provenire dall' interno.
Si affacciò da una finestrella a forma di cuore, curiosa. Voleva sbirciare un po', non ci trovava nulla di male.
Stava per l' appunto mettendosi in punta di piedi, arrancando per arrivare alla mensolina, quando sentì un verso terrificante provenire da dietro di lei: si girò di scatto, in preda al panico.
C' era un topo. Un topo alto quattro metri e largo due.
Satō rimase a bocca aperta per qualche secondo.
E QUELLO DA DOVE DIAMINE VENIVA?!?!
Il sorcio le si avvicinò con un balzo, accucciato a quattro zampe, e ad una velocità incredibile alzò una zampa per tirare una graffiata letale alla ragazza, che prima di poter solamente urlare, si ritrovò su un albero abbracciata stretta stretta a uno sconosciuto dai capelli biondi e occhi azzurro cielo.
«Va tutto bene?» domandò il ragazzo con voce suadente, perfettamente controllato, ignorando il bestione poco distante. Quel tizio aveva occhi da gatto. «Ah,ciao,Satō» aggiunse con un sorriso appena accennato, senza lasciar ancora andare la mora dalle sue braccia.
«Oh! Ma tu... tu come fai a sapere come mi chiamo?» chiese lei, sfuggendo dalla presa del tipo misterioso, sedendosi sul ramo e strisciando all' indietro, spaventata.
Il biondo fece un sospiro. «Te lo spiego più tardi. Su, ora elimina quel mostro» ordinò, indicando la bestiaccia urlante. Era così perfettamente impassibile, quasi annoiato.
Potevano esserci solo due spiegazioni: 1)o lui era certo che sarebbe andato tutto bene e non aveva intenzione di preoccuparsi per una sciocchezza, 2)o non gliene importava niente se Satō morisse o sopravvivesse.
L' interessata guardò a bocca aperta prima il giovane: con quell' espressione voleva far intendere che dubitava seriamente delle capacità intellettive del ragazzo.
«Chi?! IO?!» boccheggiò isterica la ragazza, e in quel momento l' estraneo la strinse nuovamente in un abbraccio e saltò velocemente su un altro albero, atterrando con un' agilità degna di un gatto.
«Accipicchia, sei più pesante di quanto pensassi!» affermò con convinzione l' altro, sorpreso.
Non doveva dirlo: Satō perse completamente il controllo di sé stessa e lasciò che le si montesse la rabbia e il terrore che la dominavano. Ma come osava, quello screanzato????? «EH? Stammi lontano! Chi diavolo sei, TU?» gridò, allontanandosi bruscamente dal suo corpo, nervosa.
«Questo non è il momento adatto per le presentazioni...» obiettò sarcastico il tizio, facendo un cenno con la testa al roditore magnum. E poi, senza dire una parola, spinse la poveretta giù dall' albero.
«AAAAAAAAAAAAAH!» strillò, chiudendo gli occhi. Era finita, ora sarebbe andata all' ospedale per una commozione cerebrale.... e invece no.
Toccò terra con i piedi, atterrando con un impatto morbido e delicato. Rimase sbalordita. «Non mi sono fatta niente!!!».
Ma era troppo agitata per gioirne: il topastro si stava avvvicinando pericolosamente.
«Ascoltami bene: ora sei dotata di poteri speciali. Prendi questo, Mew Satō!» esclamò il biondo, lanciandole una capsula dorata con uno strano ghirigoro sopra, che lei afferrò al volo.
«Cosa? Mew Satō?!» ripeté l' interpellata, rigirandosi l' arnese tra le dita. Non aveva mai avuto una presa decente.
E poi l' oggetto misterioso... cadde.
Un raggio di luce multicolore la colpì, accompagnato dalle scosse sismiche che facevano tremare il terreno. Aveva strillato, aveva domandato aiuto, ma prima che qualcuno le potesse rispondere, si era ritrovaa in una dimensione strana, immersa da una tenue luce verde, e spaesata si era chiesta dov' era, che razza di posto era quello. E poi era comparso un cucciolo d' orso polare, tanto dolce e carino. Si era avvicinato per carezzarlo, e dopo un minuto, la creaturina candida si era gettato all' interno di lei. Dentro la sua anima.
Satō si riprese dal flashback di scatto, raccogliendo l' oggetto. Allora... allora... non era stato un sogno? Un semplice sogno che aveva fatto la notte scorsa?
"Sento... sento nascere qualcosa dentro di me... qualcosa che mi viene dritto dal cuore... delle parole!" pensò la quattordicenne, incredula. L' aggeggio misterioso emanava un bagliore tenue, rassicurante. «Mew Satō Metarphosis!» esclamò, e un fascio di luce bianca, accecante, la avvolse. In qualche secondo, eseguì delle mosse lievi e aggraziate, quasi stesse danzando.
E mentre volteggiava come una ballerina, gli abiti sportivi che indossava mutarono in qualcosa di molto più originale, quasi un abito da carnevale: in testa aveva un basco tenuto laterale in un tessuto di finta pelliccia, il busto era coperto da un corsetto di cotone peloso, le mani e il braccio da dei guantini tagliati sulle dita di velo trasparente, il collo era ornato da una fascia bianca con un ciondolo dorato con un ghirigoro strambo... e, ad osservarlo meglio, non era altro che la capsula d' oro che il ragazzo le aveva lanciato.
Per finire, indossava degli shorts bianchi e degli stivali di pelliccia sintetica molto graziosi.
Ma c' era un altro dettaglio da non trascurare: al posto delle orecchie rosate, ora aveva un paio di orecchie bianche a batuffolo e una coda che sembrava una palla di cotone.
«Fantastico! La sua prima apparizione!» commentò entusiasta il biondo, osservando la trasformazione dal ramo dell' albero.
«AaAaRgH!!! Cos' è il costume che indosso?!?!» strillò isterica la ragazza, osservandosi da tutti i punti di vista, notando con terrore i tratti da orsacchiotto.
Ma non c' era tempo per pensare a quello: la creatura alta quattro metri le aveva appena tirato un fendente da sinistra, e lei lo schivò appena in tempo, con un' agilità che non aveva MAI posseduto.
"A-aspetta... sento una parola sulla punta della lingua..." s' illuminò, indietreggiando terrorizzata.
«Ribbon Satō Snowflake!» gridò, e dal nulla le si materializzò in mano un bellissimo flauto di ghiaccio tutto elaborato. Era la prima volta che le veniva la voglia di suonare un flauto. Alle medie detestava le lezioni di musica...
Si portò lo strumento alle labbra, ed eseguì una complicata e armoniosa melodia che non aveva mai saputo di saper suonare. Le dita scorrevano velocissimamente mentre il sorcio gigante si paralizzò sul posto, immobilizzato da un immenso blocco di ghiaccio che avvolgeva tutto il suo corpo.
«Ah! Vattene via, brutto topastro! Adesso ti sistemo io!» ruggì Mew Satō vendicativa, facendo un salto lungo due metri, per atterrare sul tetto del Caffè. «Tieniti pronta, bestiaccia! E' ora della rivincita!» tuonò maligna, brandendo il flauto.
In quel momento, l' essere si liberò dalla morsa ghiacciata, e cercò di azzannare Satō che, colta di sorpresa, fece un balzo laterale schivando il colpo per un soffio, sotto lo sguardo preoccupato del biondino.
«Ribbon Satō Snowflake!» ripeté la giovane, suonando una melodia diversa dalla precedente, ma più complicata.
Il topo venne intaccato da milioni di scheggie trasparenti, affilatissime e letali, e quando ogni minimo centimetro fu ricoperto di quel ghiaccio, il bestione si rimpicciolì nelle dimensioni di un topolino di campagna, mentre una specie di medusa si liberò nell' aria, inghiottita da un esserino rosa a forma di cuore con le alette e gli occhioni a palla da tennis.
«Missione compiuta» affermò con convinzione il tipo, in piedi di fianco al coso rosa svolazzante.
Satō lo guardò malissimo, e sospirò.
I vestiti, il flauto e le orecchie e la coda svanirono all' istante, e lei si ritrovò esattamente come qualche minuto prima.
Orecchie rosa, maglietta dello Stregatto, jeans, all star, niente coda... normale. Finalmente.
«Complimenti. Un ottimo lavoro, davvero brava» aggiunse l' altro in modo più cortese, avvicinandosi a lei, che sentì la voglia di uccidere quello sconosciuto.
«CHE COS' E' QUESTA STORIA?! NON HO LA PIU' PALLIDA IDEA DI QUELLO CHE STA SUCCEDENDO, ESIGO SUBITO UNA SPIEGAZIONE!» gridò infuriata Satō, gesticolando come un' invasata.
Lui la prese delicatamente per il mento, sfiorandole le labbra con il pollice, estremamente vicino, più di quanto lei gradisse. Ma non riusciva a muoversi.
«Su, calmati. Non ti agitare. Tu sei una delle prescelte» l' informò con voce suadente il giovane.
«Cosa?!» mormorò Satō in completo imbarazzo, rossa come una fragola; doveva trovare la forza di toglierselo di dosso!
«Non temere Satō! Non devi avere paura di noi. Ti spiegheremo tutto con calma quando sarà il momento» disse una voce calma e piuttosto gentile, mentre il ragazzetto si allontanava da Satō.
La mora si girò, stupita. C' era un uomo. Un uomo alto, magro, con i lunghissimi capelli marrone legati in una coda bassa. Indossava una camicia candida, con un papillon nero e pantaloni scuri.
I tratti del viso erano dolci, gli occhi grigio scuro.
«Grazie, sei molto gentile» mormorò lusingata l' altra, confusa.
«Sono felice di conoscerti, è veramente un piacere. Il mio nome è Keiichiro. Ryou, cerca di essere più gentile, o non conquisterai la sua simpatia!» lo rimproverò severo Keiichiro, senza smettere di guardare Satō. «E' un privilegio e un immenso onore collaborare con una ragazza speciale come te...» aggiunse poi, in un tono di voce molto più dolce e morbido, facendo il baciamano alla poveretta, che non capiva proprio nulla.
«Che? Io sarei una ragazza speciale?!». In vita sua non era mai stata definita così!
«Allora andiamo?!» li interruppe brusco il giovane, con chiara impazienza.
«Andiamo? E dove?» ribadì offesa Satō. Odiava il tono di voce scorbutico di Ryou. E poi aveva fin troppe domande nel cervello:
1) Perchè si era trasformata in un orso polare?
2) E quelli chi erano?
3)Perchè uno continuava a darle ordini e l' altro la trattava come una principessa?
NON CI CAPIVA NIENTE!!!!

  
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