CAPITOLO
TRENTAQUATTRO
Lentiggini
Sì,
perché la sua già limitata pazienza stava venendo
messa a dura prova dalla
persona con la quale lui avrebbe dovuto sapersi controllare di
più : Eleanor.
Erano
ore che la ragazza continuava a correre avanti e indietro, ad
inciampare nella
miriade di vestiti da lei stessa abbandonati sul pavimento, imprecare
su ogni
cosa, dare di matto al minimo rumore, rispondere male ogni volta che
qualcuno
osava rivolgerle la parola. Era un fascio di nervi, suscettibile come
non
l’aveva mai vista, e spaventata da qualcosa che davvero non
riusciva ad
immaginare.
Non che
Eleanor non fosse una che si agitava poco. Le bastava davvero un niente
per
farsi prendere dal panico, ma nulla di simile a quel giorno, comunque.
E poi,
in genere, Rock riusciva a calmarla con facilità. Solo che
adesso Rock non
c’era! E anche Heavy e Metal se l’erano svignata,
lasciandolo solo nelle
grinfie di quella squilibrata mentale!
Tutto
ciò che Rap era riuscito a capire del misterioso dramma che
aveva colpito
Eleanor, era che lei non aveva un vestito abbastanza elegante da
indossare. A
cosa le servisse tuttavia, non riusciva proprio ad immaginarlo. Era
sempre
stato convinto che lei odiasse le cose eleganti, sebbene fosse sicuro
che
sarebbe stata uno schianto con qualcosa di davvero femminile indosso.
Beh… più
del normale. Lei era comunque uno schianto. Anche quando girava per la
scuola
con quelle enormi T-Shirt che rubava a Rock.
Aveva
pensato di provare a calmarla, ma qualcosa gli suggeriva di starle
lontano.
Stare alla larga da una ragazza in crisi per mancanza di vestiti, era
una
regola base dell’universo maschile. Un po’ come
quella di non contraddirle mai
durante il ciclo!
D’un
tratto però, sentì un tonfo e un lamento di
Eleanor; poi silenzio. Doveva pur
accertarsi che non si fosse fatta male... Magari aveva deciso di porre
fine
alle sue sofferenze dando una testata allo specchio. Si, era meglio
controllare
che fosse tutta intera… altrimenti Rock chi
l’avrebbe sentito?
Bella
scusa, Rap!
Fece un
paio di respiri e, prendendo coraggio, si decise ad entrare in quella
camera
adibita ormai a campo di battaglia.
La
trovò sul pavimento in una posizione poco naturale, una
smorfia di dolore ad
incrinarle il viso. Era scivolata sui suoi stessi vestiti e si stava
massaggiando la schiena. Avrebbe anche potuto ridere e prenderla in
giro, se
non fosse stato per un piccolo, fondamentale dettaglio. Non
c’era niente a
coprirla se non la biancheria intima!
Questo
gli impedì di reagire in alcun modo. Rap rimase imbambolato
sulla porta, a
fissare quel corpo che sembrava quasi farsi beffa di lui.
Sono qui,
mi vedi? Guardami, avanti! Guardami
pure, tanto appartengo ad un altro!
Sarebbe
dovuto tornarsene subito in corridoio, ma invece fece la cosa
più stupida di
tutte. Qualcosa che giusto Heavy avrebbe potuto fare, ma non lui. Non
lui! E
invece la fece.
Un
lungo fischio di apprezzamento raggiunse le orecchie di Eleanor che,
accortasi
della presenza di Rap, diede di matto. Allungò un braccio,
quasi strappò via la
coperta dal letto e ci si avvolse. Cominciò a lanciare i
vestiti contro Rap,
sbraitando e sottolineando il fatto che fosse un pervertito.
A quel
punto Rap non riuscì a trattenersi e scoppiò a
ridere.
“Ti
ricordi che ti ho già vista nuda, vero?!”
Inutile
dire che questo fece solo accrescere la rabbia della ragazza che si
alzò in
piedi e cominciò a spingerlo.
“Vai
fuori di qui, razza di idiota! Esci da questa stanza o mi metto ad
urlare!”
“Giusto
per la cronaca, stai già urlando.”
La sua
voce si alzò di un altro paio di ottave, cosa che fece
aumentare il
divertimento di Rap, che tuttavia decise di non infierire
ulteriormente. Si
lasciò buttare fuori dalla stanza con facilità,
felice di aver potuto godere
della visione di lei mezza nuda. Il farsi etichettare come pervertito,
non era
nulla se confrontato al premio che aveva ottenuto.
Grazie al
cielo Rock non sa leggere nel
pensiero….
Con
l’immagine di lei ancora ben stampata nella mente, si
convinse a lasciarla ai
suoi drammi personali e uscì in cortile.
Rock
non tardò molto ad arrivare. Vide che in una mano stringeva
una sacca. Avrebbe
voluto chiedergli cosa contenesse, ma nemmeno ci provò. In
quell’ultimo
periodo, raramente lui ed Eleanor rispondevano alle sue domande.
Qualunque cosa
stessero architettando, erano due impiastri totali nel tenerla segreta.
“Grazie
al cielo sei qui!” sbottò, piuttosto aspramente.
“Lo chiami tu il manicomio?”
“Scusa?”
“Sia
chiaro che d’ora in avanti voglio essere retribuito per farle
da baby sitter!
Persino Heavy e Metal se la sono data a gambe!”
Rock
cercò di non ridere, davanti a quella finta esasperazione di
Rap. Sapeva bene
che in realtà non gli era pesato affatto trascorrere il
pomeriggio con lei.
“Cosa
ha combinato questa volta?”
Rap lo
invitò ad entrare con un gesto della mano :
“Controlla tu stesso!”
Senza
ulteriori indugi, Rock s’incamminò verso la stanza
sua e di Eleanor. Provò a
aprire la porta, ma qualcosa la bloccava. Dall’interno
proveniva solo un gran
fracasso.
“Eleanor?”
chiamò “Sono io, fammi entrare!”
Si
sentirono dei passi frettolosi, qualcosa che strisciava sul pavimento
– una sedia?
Pensò Rock - e
poi la porta si aprì.
Eleanor
gli apparve completamente esausta. Spettinata e con gli occhi lucidi
dal
nervosismo, pareva essersi appena svegliata dopo una notte di baldoria. Non sapeva quale fosse la
causa che aveva
scatenato tutto ciò, ma cercò comunque di restare
sereno per non farla agitare
ancora di più.
“Mi
dici che succede?” cominciò, pazientemente
“Hai fatto scappare Heavy e Metal,
lo sai? E Rap è talmente stanco che sembra appena tornato
dai giochi olimpici!”
La vide
accennare un sorriso e se ne rallegrò. Qualunque fosse il
problema, se lei
aveva la forza per sorridere, non doveva essere nulla
d’insormontabile.
La
ragazza però, non sembrava pronta a parlare. Un velo
d’imbarazzo la spinse a
cambiare discorso.
“Che
cosa ti ha detto Will?”
Rock non
poté fare altro che assecondarla, con un sospiro rassegnato
: “Che dobbiamo
agire in fretta… ma con discrezione!”
Eleanor
fece una smorfia contrariata e prese a camminare per la stanza con
sguardo
afflitto : “ …in fretta. “
mormorò, mesta.
Rock
chiuse la porta e la raggiunse. La circondò con le braccia,
nel tentativo di
tranquillizzarla, ma lei non reagì in alcun modo. Si
limitò a nascondere il
viso contro la sua spalla.
“Che
cosa c’è che non va ?”
La
sentì scuotere il capo contro il suo petto.
“Non
vuoi dirmelo?”
La sua
voce le giunse attutita : “Rideresti e basta!”
“Non
riderei mai di te, lo sai!”
“Stavolta
si!”
“Ok,
facciamo così. Se per caso riderò,
sarà per una cosa che sapremo solo noi due.
Non uscirà dalle pareti di questa stanza!”
Eleanor
non parve molto convinta., La sua consueta timidezza l’aveva
vinta di nuovo. Ma
lei fu più forte e riuscì ad averne ragione!
“Lo so
che è una cosa sciocca, ma ….”
Abbassò lo sguardo a terra e cominciò a
tormentare con le dita l’orlo della maglietta di Rock
“… Non ho nulla di
decente da indossare per quando andremo ad incontrare la direttrice
dell’istituto! Lo sai che la prima cosa che una persona
valuta durante un
colloquio è l’abbigliamento? Ancora prima del
carattere o del conto in banca o
delle tue referenza. E’ assurdo ma è
così! E io non ho nulla che mi faccia
sembrare una persona seria e affidabile. Anche se è solo per
un giorno….”
Un velo
di tristezza calò su di lei, sostituendo la timidezza. Gli
occhi le si
riempirono di lacrime.
“Non
sembro proprio una mamma… è solo che non
è mai stato nei miei progetti
diventarlo, anche se per finta.”
Rock
lesse una paura incondizionata in quegli occhi blu. Paura di fallire,
di
giocarsi la loro unica possibilità di avere Haylie e di
condannare sia lei che
Rap alla solitudine.
Con un
sospiro le prese le mani, staccandole dalla maglietta ormai
stropicciata peggio
di un foglio di carta e le sorrise rassicurante :
“Nessuno sembra una mamma a
diciannove anni. Ma, sei fortunata che ho una sorella
previdente.”
Il suo
sguardo si fece attento e curioso. Lo osservò mentre
prendeva un vecchio zaino
che aveva abbandonato sul pavimento appena arrivato. Glielo porse.
“Jules
deve aver avuto i tuoi stessi timori e mi ha detto di portarti
questi!”
“Cosa
c’è lì dentro?”
domandò Eleanor prendendolo.
“Alcuni
vestiti che lei non mette più.”
Bastarono
quelle parole per ridare vita al volto di Eleanor. La paura venne
spazzata via
in un istante, sostituita dalla stessa speranza che l’aveva
alimentata fino a
quel giorno.
Si
gettò sul letto e si fiondò sullo zaino con una
foga inverosimile.
“Tua
sorella è una santa!”
“Penso
che lo sappia già.” Fece Rock ridacchiando della
ben nota totale mancanza di
modestia di Jules.
“Dille
che li tratterò con la massima cura.” Disse
Eleanor mentre studiava con un’accuratezza
quasi maniacale un paio di camice.
“Ha
detto che puoi tenerti tutto.”
“Davvero?
“
Rock
annuì, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia sul
petto. “Penso non gli
vadano più bene. Non lo dirò mai davanti a lei,
dato che ci tengo alla mia incolumità,
ma ho notato che ha messo su qualche kilo.”
Eleanor
lo guardò con rimprovero : “Sai che non sei per
niente carino?”
Lui
rise :”Dovresti esserne felice. Questo per te significa
fornitura eterna di
vestiti, visti quanti ne ha…”
Ma
Eleanor non lo stava ascoltando. Si voltò verso di lui
stringendo in una mano
un’elegante camicetta nera e dall’altra una gonna
dello stesso colore :”Che ne
pensi?”
“Oh, è
perfetto…” dichiarò vedendola
illuminarsi “… Se devi andare ad un
funerale!”
aggiunse poi, facendola ripiombare nel suo piccolo dramma personale.
Rock si
sedette accanto a lei :”Senti, non che io sia un esperto di
moda e cose simili,
ma hai mai pensato di prendere in considerazione anche altri colori
oltre il
nero?”
Qualcosa
si ruppe nella testa di Eleanor. La ragazza sentì
distintamente il crash , come un
vetro che s’infrangeva
sul pavimento. Ma non si trattava di un vetro. Un ricordo era appena
andato in
frantumi, concretizzandosi nella realtà con un fortissimo
dejà-vu.
“Non esiste solo il nero,
sai?” quella voce le fece chiudere lo
stomaco. Dovette portare una mano al petto e serrare forte le labbra
per
evitare di urlare dal dolore.
Evan ….
Sospirò mentalmente, lottando contro l’istinto di buttare fuori quella sofferenza.
“Hei!” La mano di Rock che si posava sulla sua spalla la ridestò. Incontrò il proprio riflesso nei suoi occhi “Va tutto bene?” le domandò.
Eleanor annuì soltanto e cercò di tirare fuori la poca ironia che possedeva :”Si, è solo che… ti stai Evanizzando!”
Lui non capì :”Mi sto cosa?”
Eleanor scosse il capo, più per cancellare l’immagine di Evan dalla mente che per rispondere a Rock :
”Non importa, lascia perdere!”
Lui
tuttavia non pareva molto
convinto. Continuava a studiare la sua espressione alla ricerca di
qualche
segno che lo aiutasse ad identificare la causa di
quell’improvviso cambio
d’umore.
Eleanor se ne accorse e tentò di
riprendersi in fretta, schiarendosi la gola e raggruppando tutti i
vestiti di
Jules.
“Li proverò tutti!” esclamò, il più entusiasticamente possibile, con un sorriso tirato. “Ma non sono il tipo che fa le sfilate di moda davanti al proprio ragazzo, perciò…”
Letto tra le righe: “Voglio stare da sola!”
Sentendo
lo sguardo del ragazzo
su di sé, Eleanor abbassò il proprio e rimase in
silenzio, concentrandosi sulle
sue mani che stringevano con forza i vestiti di Jules.
Rock allungò un braccio e le
poggiò una mano sulla guancia, costringendola a guardarlo.
Ed eccole lì di
nuovo. Lacrime trattenute con la forza dietro quel blu intenso. Gli
bastò fare
leggermente pressione con il pollice sulla sua guancia
perché una sfuggisse.
“E’ Evan.” Capì Rock “Ho detto o fatto qualcosa che le ha ricordato lui…”
Le sue labbra di mossero da sole: “Sarebbe fiero di te…” disse, automaticamente.
Gli
occhi di Eleanor gli
appartennero di nuovo per qualche istante, per poi chiudersi con un
sospiro. La
vide sciogliersi in un sorriso quasi rassegnato e un’altra
lacrima sfuggì al
suo controllo, seguendo lo stesso percorso della precedente.
Rock la raccolse con le sue
labbra e appoggiò la fronte su quella di Eleanor :
“Li folgorerai tutti, vedrai. Non aver paura. E poi, se non dovessero accontentarti, Evan lancerà qualche maledizione su di loro!” Risentire la sua risata fu un vero sollievo.
Le braccia della ragazza furono subito intorno a lui. Gli circondarono il collo dolcemente, in un gesto che profumava di gratitudine.
“… Non poteva lasciarmi in mani migliori.” Mormorò. “…Se non ci fossi tu, non so proprio come farei.”
Rock la strinse forte di rimando, immergendo il viso fra i suoi capelli. Non disse nulla, ma nella sua mente il suo unico pensiero, la sua sola speranza, nonché timore, era questo:
Dio, ti prego, fa che non la deluda mai.
Quella
breve fuga dalla realtà fu
destinata a terminare in pochi istanti. Il cellulare di Eleanor,
abbandonato
fra le lenzuola, vibrò. La ragazza si separò a
malincuore da Rock, sospirando,
e lesse il nome di Will sullo schermo.
Era un messaggio. Poche parole in
grado di mandarla subito in panico:
Incontriamoci davanti al parco. SUBITO! Porta il
tuo ragazzo.
“E’ uno scherzo!” Lo dissero simultaneamente e Will si mise a ridere.
“Temo di no.” Fece l’uomo, osservando divertito la loro espressione meravigliata.
Le labbra di Eleanor tremarono un attimo prima di aprirsi :”Non puoi sul serio averlo fatto…”
“Dovevo forse chiedervi il permesso?” L’ironia di Will non accennava a diminuire. Il sorriso sul suo volto continuava ad allargarsi.
“Non so… non so neanche… cosa dire.” Biascicò Eleanor senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla grande casa davanti a sé.
Sembrava quella che disegnava da piccola quando per compito le chiedevano di raffigurare la casa dei suoi sogni. Su due piani, i muri di mattoni e il tetto nero, le imposte verdi, il vialetto di ghiaia fino all’ingresso, il portico, il dondolo, il giardino, la staccionata bianca e la chioma di una betulla che spuntava dal retro.
“Penso che un grazie papà, andrebbe più che bene.” Fece Rock, ironicamente.
Eleanor
sussultò appena a quelle
parole. SI sentì andare a fuoco la faccia mentre si voltava
verso Will. Quell’uomo
aveva appena comprato quella casa, affermando di voler fermarsi a
vivere in
quella città. Tutto normale; nessun sconvolgimento, almeno
finché non aveva
consegnato loro una copia delle chiavi dicendo che quella sarebbe stata
anche
casa loro d’ora in avanti.
Eleanor tentò davvero di
ringraziarlo, ma le parole erano come bloccate nella sua gola. La sua
naturale
diffidenza, fomentata dagli anni trascorsi sulla strada in balia di
estranei,
era più forte di qualunque gratitudine. La parte
più orribile di lei, le
suggeriva che Will stava facendo tutto quello spinto da qualche altro
fine. E
questo la faceva profondamente vergognare di sé stessa.
“Non serve!” esclamò Will, sereno. “Non voglio sentire nessun grazie, da nessuno di voi due! Mi serviva una casa e ho trovato questa che, guarda un po’, è abbastanza grande per noi tre, i vostri amici, se vorranno unirsi a noi e qualsiasi bambina voi vogliate adottare. “
“Beh amico, io te lo devo dire lo stesso. Non posso fare altrimenti. Grazie! Davvero. Non ho idea di come farò a ricambiare un gesto simile, ma sono certo che prima o poi l’occasione mi si presenterà.”
Will rise di gusto. Li prese entrambi per le spalle, con energia, entusiasta come un bambino la mattina di natale.
“Fatemi un bel nipotino e siamo a posto per la vita, d’accordo?”
Sia
lui che Rock risero, ma
Eleanor desiderò ardentemente venire inghiottita dalla
strada. Tutto ciò che
riuscì ad emettere fu un mugolio nervoso, più
simile ad un aborto di risata che
altro…
Cercò di non pensare troppo a quella
battuta – si, perché era sicuramente una battuta!
Suo padre non poteva essere
serio! – e concentrarsi sull’appena nato rapporto tra lui e Rock.
Will l’aveva sempre trattato con
freddezza. Non che lo odiasse, ma si capiva che tollerava a stento la
sua
vicinanza a Eleanor. Come qualunque padre, era geloso della figlia,
anche se
quest’ultima era praticamente un’estranea per
lui…
Eppure, negli ultimi minuti, quel
distacco che entrambi avevano sempre mantenuto, era scomparso. Questo
la fece
sorridere.
“Oh, finalmente un sorriso!” fece Will, guardandola. “Mi chiedevo quanto avrei dovuto aspettare prima di vederne uno.”
Eleanor si coprì istintivamente la bocca con il dorso di una mano, cosa che scatenò l’ilarità dell’uomo.
“Timida come sua madre.” Lo disse con tono scherzoso, ma c’era un velo di malinconia nel suo sguardo; qualcosa che le fece stringere il cuore. Non voleva pensare a cose tristi quel giorno. Nessuno di loro doveva farlo.
“…E ora che si fa?” domandò Rock.
Will sembrò ridestarsi da quell’attimo di amarezza e li guardò entrambi, con rinnovato entusiasmo.
“Adesso? E’ tempo di prepararsi al grande colloquio per voi due!” lasciò le loro spalle e fissò la casa davanti a loro “Ma prima, faremo a gara a chi si aggiudica la stanza da letto più bella!”
Quasi non si accorsero dello scatto di Eleanor, già quasi sulla soglia d’ingresso. Si voltò verso di loro, raggiante, ed urlò: “La matrimoniale è mia e di Rock!”
Le
loro mani non si erano mai
lasciate per tutto il tragitto da casa fino all’Istituto.
Will aveva detto che avrebbero
dovuto agire in fretta, quindi perché rimandare? Avevano
deciso di andare il
giorno successivo dalla direttrice dell’Istituto. Aspettare
ancora non avrebbe
fatto altro che fare agitare ancora di più Eleanor, che
sembrava sempre più
vicina ad una crisi di nervi.
Era in preda al panico sì, ma era
anche splendida con indosso quella camicetta azzurra che
s’intonava così bene
con i suoi occhi, e quella gonna nera dalla quale nonostante i
molteplici di
tentativi non erano riusciti a separarla. Si era rifiutata
categoricamente di
truccarsi, sostenendo che era da masochisti e da stupidi andare in giro
con il
viso cosparso di quella robaccia, che come al solito avrebbe pianto per
qualche
scemenza e le sarebbe colato tutto via, che i pori le si sarebbero
ostruiti e
le sarebbe uscito qualche brufolo. Nemmeno le prese in giro di Heavy
erano
riuscite a farle cambiare idea.
Ma non era importante, lei era
bella così, al naturale. Non aveva bisogno di cosmetici per
farsi notare. Su
quello erano d’accordo tutti.
La cosa più problematica fu
convincerla a togliersi quei maledetti anfibi. Per poco non si era
messa a
piangere quando non li aveva più ritrovati al loro posto,
sotto la finestra.
Rap glieli aveva nascosti a sua insaputa, premunendosi di dirle che li
aveva
buttati via, cosa del tutto falsa.
Eleanor non aveva fatto altro che
incespicare tutto il giorno con le scarpe col tacco di Jules ai piedi.
E dire
che non era nemmeno tanto alto… Heavy aveva riso
sguaiatamente della sua poca
femminilità, lei
l’aveva inseguito per
tutta la palestra, impugnando uno dei tacchi a mo’ di arma!
Persino Rap aveva riso davanti a
quella scena.
A sera inoltrata, l’equilibrio di
Eleanor si era rafforzato e lei riusciva a camminare senza essere
costretta a
tenere in fuori le braccia. Ogni tanto faceva una smorfia di dolore e
piagnucolava qualcosa a proposito della comodità dei suoi
anfibi. Dichiarò
inoltre che avrebbe odiato Rap fino alla fine dei suoi giorni.
Ovviamente,
nessuno le credette.
La mattina successiva, aveva
svegliato tutti con le sue urla di gioia, accortasi che Jules, in
quello zaino,
non aveva infilato solo vestiti, ma anche un arricciacapelli. Il
risultato era
stato eccezionale. Quei boccoli che le incorniciavano il viso le davano
un’aria
più adulta …..
e terribilmente sexy ; era stato il
pensiero comune di Rock e Rap.
Ma quei momenti spensierati,
sembravano lontani anni luce adesso.
Immobili davanti a quel grande
edificio circondato dagli schiamazzi dei bambini, cercavano uno il
conforto e
il coraggio nell’altro, senza successo.
“Non ce la faccio.” Ammise Eleanor, tremante
“Si che ce la fai!” tentò di spronarla, Rock.
“E… E se-“
“Non c’è nessun se!” esclamò lui, uccidendo sul nascere l’ennesimo timore “Andrà alla grande!”
Fu
lui il primo ad oltrepassare
il cancello, ed Eleanor lo seguì solo perché le
loro mani erano saldamente
incollate.
I bambini erano tutti in cortile
a giocare. Entrambi si guardarono intorno alla ricerca di Haylie, ma la
piccola
non sembrava esserci.
“Forse non aveva voglia di stare fuori.” Disse Eleanor, vedendo Rock crucciarsi di preoccupazione.
“Si, forse.” Fece lui, poco convinto.
Attraversarono
il cortile,
salirono i cinque gradini dove lei e Evan avevano trascorso mille e
più
pomeriggi, ed entrarono.
Il familiare odore di tempere
colorate e mangiare, le riempì le narici. Per Eleanor,
quello era quanto di più
vicino ci fosse al profumo di casa.
Le tempere, con sui erano stati
fatti le decine e decine di disegni appesi alle pareti
dell’ingresso
principale, e l’odore di cibo proveniente dalla mensa, appena
dietro l’angolo.
E sì, c’era anche un retrogusto di detersivo per
pavimenti.
Inspirò a fondo e chiuse gli
occhi per un attimo. Quando li riaprì le parve di vedere i
fantasmi di due
bambini correre su per la scala che portava ai dormitori. Al primo
battito di
ciglia sparirono, ma le loro risate allegre e spensierate no. Eleanor
sentì la
propria risata e quella di Evan, riecheggiare nella sua mente. Si
ritrovò a
sorridere, senza rendersene nemmeno conto.
Odiava ammetterlo, ma in quel
posto era stata felice. E, cosa più importante, al sicuro!
Certo, questo fino
al giorno in cui quel ragazzino più grande non aveva abusato
di lei nello
scantinato. Ma quella era una parte del suo passato che aveva preferito
dimenticare. Non ricordava nemmeno il volto di quel tizio, o il nome.
Ricordava
solo che Evan l’aveva riempito di botte fino a mandarlo
all’ospedale e che per
questo era stato pesantemente punito. Che lei era andata a dire tutto
alla
direttrice e che quel ragazzino non aveva più fatto ritorno
dall’ospedale. Evan
aveva passato un periodo terribile, convinto di averlo ammazzato. Aveva
il
terrore che per questo l’avrebbero spedito in qualche carcere
minorile o in
riformatorio, aveva trascorso mesi a controllare chi entrava o usciva
dall’Istituto,
alla ricerca di qualche poliziotto in borghese. Dopo un po’,
la paura era
svanita e l’ipotesi che fosse stato proprio quel ragazzino ad
essere stato
mandato al riformatorio per ciò che era avvenuto in quello
scantinato aveva
fatto dimenticare ad entrambi quella brutta storia.
Ma a parte questo, Eleanor si
sentiva profondamente legata a quel luogo. Una malinconia infinita le
si
strinse intorno al cuore, serrandole la gola.
“Posso aiutarvi?”
A parlare era stata una donna sulla mezza età, bassa e tarchiata. Eleanor la riconobbe subito.
“Signora Rendall !” esclamò, sinceramente felice di rivederla. Era stata la sua insegnante di musica, l’unica materia in cui andava bene. La sua voce le aveva permesso di avere un posto d’onore nel coro della scuola.
La donna strinse gli occhi e osservò attentamente la ragazza. Le sue rughe parvero distendersi dallo stupore :
“Non ci posso credere!” mormorò, incredula “Eleanor, giusto?”
“Proprio io!”
La signora lanciò un urletto di gioia ed l’abbracciò con foga. Eleanor ricambiò la stretta e rise divertita da tutto quell’entusiasmo.
“Non pensavo si ricordasse di me.” Disse Eleanor, una volta che si furono separate.
“Come posso dimenticare la mia allieva più talentuosa? Il nostro coro è praticamente morto da quando sei andata via!”
Eleanor sorrise imbarazzata. “Non esageri adesso.”
“Oh non esagero affatto! So che non dovrei dirlo, ma sappi che eri la mia preferita!”
Stava
per rispondere, ma Rock le
sfiorò il braccio, riportandola alla realtà.
Stavano perdendo tempo! Non erano
venuti fin lì per ricordare i bei tempi andati;
c’erano cose più importanti a
cui pensare.
Eleanor si fece seria. Da quel
momento in poi sarebbe iniziata la recita:
“Signora Rendall, avrei un favore enorme da chiederle.”
“Dimmi, cara.”
“Dovremmo incontrare urgentemente la direttrice. So che bisognerebbe prendere appuntamento, ma …”
“Non c’è alcun problema!” le assicurò subito, lei.
“Davvero?” domandò Eleanor, speranzosa “Può riceverci ?”
“Certo che si, dato che ti sta già ricevendo.”
“Come?”
La signora sorrise, con un certo orgoglio: “Sono quasi quattro anni che gestisco questo posto, ormai!”
“Oh…”
Grande!
Se non era un colpo di fortuna quello? Quella donna l’adorava, non sarebbe stato complicato convincerla. Rock sembrava pensarla come lei, vista l’occhiata complice che si scambiarono.
“Aspettami nel mio ufficio. Devo prima fare una cosa. Ti ricordi dov’è vero?”
Se
lo ricordava? Aveva passato
ore lì dentro insieme ad Evan, in punizione.
Annuì soltanto. Prese Rock per
mano e lo guidò verso la zona degli uffici degli insegnanti.
Avrebbe potuto
trovare la strada anche ad occhi chiusi.
“Dovrai fare la cocca della maestra ancora per oggi, temo!” la prese in giro Rock.
“Stai zitto!” sbottò lei, assestandogli una gomitata poco convinta, facendolo ridacchiare.
Rap
assisteva impotente. Non
poteva fare altro che restare a guardare la sua vita, così
come la conosceva
lui, sparire, scivolare via, mutare inevitabilmente.
Erano passate già due settimane
da quando Rock ed Eleanor avevano parlato della casa che Will aveva
acquistato
e della loro intenzione di trasferirsi lì. Avevano chiesto a
lui, a Heavy e
Metal di andare con loro, e mentre i due gemelli sembravano prendere
seriamente
la cosa, lui non riusciva nemmeno a prenderla in considerazione.
Quella scuola era la sua casa.
Cadeva a pezzi, era buia, umida e cigolante in ogni sua parte, ma
quelle mura
erano impregnate delle risate di Marika. Lei era stata felice in quel
luogo e,
di conseguenza, anche lui.
E poi, c’era quella stanzetta nel
seminterrato. Quella cameretta per la bambina che Marika non era
riuscita a
conoscere. Aveva dato l’anima per arredarla e metterla a
posto, era stata lì
dentro l’ultima volta che aveva riso.
Perché Rock e Eleanor gli stavano
facendo questo? Come potevano chiedergli di separarsi per sempre da
quel
piccolo rifugio? Cos’è che avevano combinato in
quegli ultimi giorni? Perché
Eleanor continuava a badare così tanto al proprio
abbigliamento ed era sempre
così nervosa, come se stesse andando a fare un provino? E
perché non si facevano
più vedere? Erano spariti, come se si fossero già
trasferiti. Eleanor riusciva
a vederla solo al locale di Amber, e Rock solo la sera molto tardi. Non
aveva
idea di cosa stessero combinando.
Era cominciato tutto con l’arrivo
di Will. Rap sentì di odiare quell’uomo. Stava
rovinando tutto.
Strinse i pugni e si ricordò solo
in quel momento di avere un giornale in mano. Sospirò. No,
non poteva dare la
colpa a Will se la sua vita sarebbe cambiata radicalmente di
lì a poco.
Si abbandonò su una delle panchine
del parco e gettò lontano quel maledetto giornale che gli
aveva
indiscutibilmente rovinato la giornata. Su un articolo era scritto che
presto
quella scuola che lui chiamava casa, sarebbe stata demolita,
ricostruita e
riaperta. La decisione era già stata presa
all’unanimità dal Sindaco della
città e dai suoi collaboratori. Presto, la palestra dove lui
e gli altri
avevano giocato a basket, dove Marika aveva ballato con la musica
sparata nelle
orecchie, dove lui aveva baciato Eleanor la prima volta, la mensa dove
spesso e
volentieri tutti loro avevano litigato e riso, dove lui aveva osato
prendersi
Eleanor, le loro aule adibite a camere da letto, l’altalena
dove tutti andavano
a dondolarsi se tristi o preoccupati,
la stanzetta di Haylie…
tutto
quello non sarebbe stato altro che un cumulo di macerie.
Gli altri non sapevano ancora
nulla. Rap aveva appreso da appena un paio d’ore questa
notizia. Eppure, era
convinto che nessuno di loro sarebbe stato triste quanto lo era lui.
Sembravano
così ansiosi di andarsene da lì, di vivere in una
casa vera!
Rap odiava i cambiamenti. Lo
terrorizzavano. E ora era terrorizzato. Si sentiva perso, disperato e
immensamente solo. Nessuno dei suoi amici avrebbe mai lottato per quel
piccolo
mondo. Era solo lui a sentirlo suo.
Qualcosa si mosse davanti a lui.
Rap alzò stancamente gli occhi e si ritrovò a
fissare lo stesso giornale che
aveva gettato per terra poco prima. Qualcuno glielo stava facendo
dondolare
davanti alla faccia. Una bambina lo fissava timidamente, da dietro il
giornale.
Il suo visetto era appena visibile dietro la sciarpa bianca e sotto la
protezione del cappuccio del cappotto bordeaux che indossava.
Era piuttosto piccola, non le
dava più di cinque anni. Sul suo naso, una spruzzata di
lentiggini. Rap si
trovò a pensare che un giorno, quando sarebbe stata
più grande, le avrebbe
odiate. Marika odiava le sue. Cercava in ogni modo di nasconderle sotto
strati
di trucco, senza rendersi conto di quanto lui invece le trovasse
adorabili.
“Puoi buttarlo!” fece Rap, piuttosto apaticamente “Non lo voglio!”
La
bambina osservò il giornale
per qualche istante, un po’ corrucciata. Poi si
guardò intorno, individuò un
cestino per i rifiuti e lo raggiunse di corsa. A causa
dell’improvviso
spostamento d’aria, il cappuccio le scivolò
giù e Rap si trovò ad osservare una
cascata di boccoli rossi ondeggiarle contro le spalle.
Un’orrenda sensazione di
dejà-vu lo colpì. Succedeva ogni volta che vedeva
una ragazza, una donna e ,
sì, persino una bambina con i capelli come quelli che aveva
Marika.
Sospirò esausto, e si abbandonò
completamente contro lo schienale della panchina, fissando il cielo
sopra di
sé, quel giorno azzurro e limpido come non era da giorni.
Un rumore di passi lo distrasse,
costringendolo a riportare lo sguardo a terra. La bambina era di nuovo
davanti
a lui, il cappuccio di nuovo al suo posto , e lo fissava timida, ma con
una
certa curiosità. Rap lasciò vagare gli occhi un
po’ intorno, alla ricerca di un
possibile genitore, ma in quella zona del parco non c’era
nessuno. Soltanto
loro due.
“Ti sei persa?” chiese, con distacco.
La bambina fece di no con il capo, senza staccargli gli occhi di dosso.
Rap sospirò, poi, senza rendersene nemmeno conto, disse : “….Io si invece.”
La vide corrucciarsi di confusione. Le sue labbra si schiusero leggermente fino a formare una piccola "o" di sorpresa.
“Già, sconvolgente vero?” sbottò Rap. “Anche gli adulti si perdono, a volte!”
La bambina continuava a fissarlo, immobile, senza battere ciglio. Nonostante si fosse persa, non sembrava spaventata, come sarebbe stato qualunque altro bambino. Lei sembrava perfettamente a suo agio. Quel suo bizzarro comportamento, scatenò la simpatia di Rap.
“Non dovresti stare qui. Tua madre non ti ha mai detto che non si parla agli sconosciuti?”
La piccola s’incupì e per la prima volta da quando era comparsa, abbassò lo sguardo a terra. Lentamente alzò un braccio e indicò il cielo. Rap guardò in alto, ma non c’era nulla. La guardò senza capire e prima di poterle chiedere cosa stesse indicando, lei era già seduta al suo fianco. D’un tratto sembrava timorosa. Fissava il vuoto e si torturava le mani .
“Sicura di non esseri persa?” domandò di nuovo Rap, dubbioso.
La
bambina scosse un’altra volta
il capo, stavolta più energicamente. Rap iniziò a
sentirsi piuttosto in
imbarazzo. Non era abituato ad avere a che fare con i bambini. Non
aveva MAI
avuto a che fare con i bambini, a dir la verità. E doveva
ammettere che un po’
lo intimidivano. Bisognava sempre misurare le parole con loro, un
limite che
lui non s’imponeva mai.
Restarono in silenzio per un bel
po’, Rap quasi si dimenticò della sua presenza,
perso fra i suoi mille
pensieri, finché con la coda dell’occhio non la
vide alzare il volto al cielo.
Sembrava impegnata a guardare qualcosa che solo lei riusciva a vedere.
Probabilmente la stessa cosa che aveva indicato poco prima.
“Che stai guardando?” chiese Rap, sinceramente curioso.
Le labbra della piccola si schiusero leggermente e si mossero appena, indecise se far uscire qualche suono o no. Poi, dopo quella che sembrò una dura battaglia con sé stessa, la bambina parlò per la prima volta. Una parola. Solo una parola, pronunciata con un’incertezza quasi commovente, e velata da una tristezza ben percepibile:
“…. Mamma.”
L’attenzione di Rap fu tutta per lei, a quel punto. E anche la sua pietà. Odiava impietosirsi, perché detestava quando le persone s’impietosivano per lui, ma davvero non potè fare altro. Vedere gli occhi lucidi di quella bambina così piccola rivolti al cielo alla ricerca della madre, evidentemente morta, era qualcosa di straziante. Sentì l’improvviso impulso di farla ridere, tirarle su il morale in qualche modo, pur essendo cosciente di essere una frana nel far divertire le persone. Tentò con un’altra strada, allora:
“Anche la mia è lassù.”
La bimba lo guardò, i suoi occhi scuri spalancati in lui, accesi di curiosità. Vedendola così interessata, continuò a parlare:
“Magari conosce la tua. Forse sono amiche e se ne stanno lassù a spettegolare su quello che facciamo qui. E sicuramente passano ore ed ore a litigare su chi abbia il figlio migliore.” La osservò di sottecchi, per verificare il suo stato d’animo. La tristezza era scomparsa dal suo visetto. Un accenno di sorriso le incurvava le labbra. “E mi spiace dirlo, ma vinco io!”
La
sua risata gli si propagò fin
dentro all’anima. Non seppe spiegare il motivo, ma sentirla
ridere lo fece
stare bene ….felice. Trovava assurda quella strana emozione,
eppure non se la
sentì di soffocarla. Erano giorni che non si sentiva
così rilassato. Quel peso
che aveva sul cuore, parve farsi più leggero mentre la sua
mente registrava l’immagine
del sorriso di quella strana bambina, comparsa dal nulla come un
fantasma a
rischiarare un po’ quella giornata da dimenticare.
Poi, accadde qualcosa d’insolito.
Un pensiero veloce e quasi impercettibile, una voce, un’eco
che risuonò dentro
di lui, lasciandolo interdetto :
E’ lei.
Non
seppe spiegare il perché
avesse pensato ciò. Erano parole senza senso. Lei, chi?
Cos’è che il suo
subconscio gli stava suggerendo?
E fu proprio Lei, a ridestarlo. La
bambina gli aveva afferrato il polso e stava
guardando il suo orologio. Fissava le lancette corrucciata e piuttosto
confusa.
Era sicuramente troppo piccola per saper leggere l’ora, ma
non cercò di
aiutarla. La osservò toccare con l’indice ogni
numero sul quadrante
dell’orologio, e contare silenziosamente con
l’altra mano. Era davvero troppo
impegnata ed assorta per poterla interrompere.
Rap si sorprese a fare il tifo
per lei!
La bimba alzò finalmente lo
sguardo su di lui, trionfante e le mostrò entusiasta le
cinque dita della sua
mano :
”Sono le cinque!” esclamò sorridente.
Si
sentì uno stupido a sorridere
di rimando, ma non riuscì a farne a meno. La sua gioia era
così contagiosa!
Terapeutica, quasi. I suoi problemi, le sue paure, la sua rabbia si
erano
dissolte nel nulla con l’arrivo di quella piccola e innocente
creaturina.
La bimba saltò giù dalla panchina
e a Rap si strinse inspiegabilmente il cuore nel realizzare che stava
per
andare via. Si voltò sorridente verso di lui e lo
salutò con la mano, prima di
sgambettare via. Rap non aveva fatto in tempo a ricambiare il saluto,
ma la
seguì con lo sguardo fin dove gli fu consentito. E nel
momento in cui scomparve
alla fine del sentiero, tutte le sue ombre tornarono a braccarlo. Non
le aveva
nemmeno chiesto come si chiamasse. Nemmeno il nome sapeva di quel
piccolo
angelo con le lentiggini che, anche se per una manciata di minuti,
l’aveva
protetto dai proprio tormenti.
Era stato certo l’incontro più
assurdo che avesse mai avuto, e sentiva da qualche parte dentro di
sé, forse
suggerito dalla stessa voce che aveva sentito poco prima, che non
sarebbe stato
l’ultimo. L’avrebbe rivista.
Sbuffò, nervosamente, si alzò e
s’incamminò verso casa.
Stai uscendo di testa, Rap!
Haylie gli si buttò tra le braccia con una tale foga che per poco non cadde all’indietro!
“Hei, vacci piano principessa!” esclamò ridendo Rock.
“Gli ho parlato! Gli ho parlato!” urlò lei, felice come mai lui l’aveva vista. “Ho parlato con il mio papà!”
“Sei stata bravissima.” Le disse Rock, accarezzandole il capo. “E domani gli parlerai ancora. E anche dopodomani e fra tre giorni e così via, fino a che non capirà chi sei!”
Il sorriso di Haylie divenne immenso. La bimba saltellò dalla felicità e si appese con forza al collo di Rock che la sollevò da terra.
“Andiamo a raccontare tutto ad Eleanor, ok?”
Lei annuì con energia e abbandonò la testa sulla sua spalla.
“Domani verrà anche lei.” Le assicurò lui “E’ il suo giorno libero e non deve lavorare!”
La sentì rafforzare la presa attorno al suo collo, segno che aveva capito e che ne era felice. Haylie parlava poco e comunicava perlopiù a gesti. Interpretarli era diventato un gioco per Rock.
“Il mio papà…. Ho parlato con il mio papà…” continuò a ripetere Haylie, sottovoce, come per autoconvincersi che fosse successo per davvero “…il papà numero uno!”
Quando
Rap entrò nel locale di
Amber, trovò parecchio trambusto. Nicole era insieme a Heavy
e Metal e stavano
giocando ad una specie di hockey improvvisato con le scope e un
sottobicchiere.
Urlavano, s’’insultavano e sghignazzavano come dei
ragazzini. Amber stava
dietro al bancone a lucidare bicchieri con aria svogliata assieme ad
Eleanor,
la radio sparava musica altissima e le due ragazze cantavano a
squarciagola.
Inutile dire che la voce di sua sorella stava rovinando tutto. Grazie
al cielo
non c’erano clienti in quel momento.
Rap varcò la soglia un po’
stralunato. Gli sembrava di essere all’asilo.
“Ok, chi ha infilato della droga nell’impianto di areazione?” domandò appena entrato.
Amber
lo salutò con un sorriso,
senza smettere di cantare, Eleanor si limitò ad un cenno
della testa, gli altri
tre nemmeno si erano accorti del suo arrivo. Erano troppo presi dal
darsele di
santa ragione con le scope.
Rap andò a sedersi di fronte alla
sorella che, finalmente, smise si cantare lasciando alla voce di
Eleanor l’onore
di riempire il locale.
“Dov’è Rock?” chiese Rap, notando subito la sua assenza.
“E’ con Will!” rispose Eleanor elusiva, allungando una mano per spegnere la radio. Appena la musica cessò, le risate e le urla di Nicole, Heavy e Metal sembrarono farsi decisamente più fastidiose.
“Con Will?” sbottò, confuso “Scusa, ma quei due non si odiavano?”
Eleanor
fece spallucce e non
disse nulla. Nulla di troppo strano per lei, in quell’ultimo
periodo.
Rap sospirò rassegnato e rinunciò
ad ottenere una risposta esauriente. Qualche istante dopo, Amber
richiamò
all’ordine Nicole e gli altri due, prima di scomparire in
cucina. Nicole la
sostituì dietro il bancone, era rossa in viso, aveva il
fiatone e stava ancora
ridendo, ma non appena vide Rap si fece seria e studiò il
suo viso.
“Non mi dire!” esclamò poi, riacquistando il sorriso.
Rap la fissò senza capire. “Che?”
“Te lo leggo in faccia. Non mi puoi mentire, sono un genio nel leggere le persone!”
“Di che parli, genio?!”
“Sei…diverso, oggi.”
Rap inarcò le sopracciglia, fingendosi impressionato: “Oh davvero?”
Nicole annuì : “Sembri… non so, felice.”
Heavy, seduto col fratello ad uno dei tavoli, sghignazzò : “Lui? L’eterno depresso? Nicole, continua a fare la barista che è meglio!”
La
ragazza bionda, afferrò
nuovamente la scopa e gli si avvicinò minacciosamente. Rap
si ritrovò suo
malgrado a ridere leggermente vedendo i due inseguirsi per il locale.
In effetti Nicole aveva ragione.
In quel momento sentiva di essere di buonumore e gli capitava
così di rado che
era del tutto impreparato a domare quelle sensazioni positive.
“Che succede, Rap?” gli domandò Eleanor. Stava sorridendo, come se comprendesse appieno il suo stato d’animo “Hai per caso incontrato una bella ragazza mentre eri fuori?”
Il sorriso di Rap si allargò e soffoco una risatina, abbassando lo sguardo sul bancone : “…Più o meno!”
***
L'ispirazione non mi è stata per niente amica in questi ultimi mesi. Andava e veniva come pareva a lei. Non avete idea di quante versioni io abbia scritto di questo capitolo! Alla fine sono riuscita a decidermi a non cambiarlo più!
Ma c'è ancora poco da resistere, gente!
Il prossimo sarà l'ultimo! Non ho ancora deciso se fare l'epilogo attaccato al capitolo e se lasciarlo a parte. Boh, dipende quanto verrà lungo! Ho tutto in testa, la scena finale, l'ultima battuta ...tutto! E' l'arrivarci il problema ^^.
Comunque, cavolo! Entro su EFP e trovo tutta la grafica cambiata! XD Mi sono sinceramente spaventata!!!! Però mi piace!
Grazie mille alle irreducibili che hanno recensito! ^__^
A proposito ho visto che ora si può cambiare Nick, e ho notato che qualcuna di voi ha cambiato nick. Questo mi ha mandato in confusione, sappiatelo ù.ù . XD
Ok, sapete che vi dico? Mi metto subito all'opera per il prossimo capitolo (già piango al pensiero che siamo alla fine ç.ç), bisogna approfittarne finchè la mente è lucida e l'ispirazione alta, no!?
Fatemi sapere, vi prego!!! Scrivete scrivete scrivete i vostri pareri su questo pastrocchio di capitolo! T.T
Spero che la prox volta arrivi presto, ma non faccio previsioni che è meglio :p
Alla prossima
Ayleen