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Autore: Satomi    06/01/2011    10 recensioni
[I classificata al contest "Fatemi leggere!" di _pollina_ e vincitrice dei premi speciali "Libro" e "Pensieri profondi"]
[IV Classificata parimerito al contest "Sulle orme di Nessuno" indetto da Fatafaby89]
Arnaud Chevlon, di origini bretoni, ritorna in patria dopo trent'anni e più di assenza. Insolitamente afficancato da una fanciulla del suo paese, sognatrice e figlia e nipote di gente di mare, si lascia andare ai ricordi della sua avventurosa vita di filibustiere; al rancore nei confronti dei suoi parenti, che hanno spinto l'amata sorella minore tra le braccia di un bruto fino a farla morire; alla nostalgia per il sole e il mare delle Antille.
E a qualche amara, triste riflessione di fondo.
“A dispetto dei luoghi, che possono essere i più disparati, il mondo è uguale dappertutto. L’unico posto che cambia davvero è il posto dove sei nato” disse Chevlon. “Forse non si dovrebbe tornarci mai.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia si è classificata:

 

PRIMA al contest Fatemi leggere!, indetto e giudicato da _pollina_, nella categoria One-Shot, e ha vinto i Premi Speciali Libro e Pensieri profondi.

SECONDA al contest Pick your three! [banner] Indetto e giudicato da adamantina, e ha vinto il premio Stile [banner]

QUARTA PARIMERITO al contest Sulle orme di nessuno [banner] indetto e giudicato da Feel Good Inc.

[il suo giudizio è stato spostato sul mio LJ per non intasare la pagina]

  

 

Di mondi nuovi, vecchi paesi e tristi memorie

 

François Rauvert era un personaggio noto, in paese, per la sua magrezza tale da farlo rassomigliare a un’aringa e la testa dura, ma così dura che una pietra a suo confronto avrebbe fatto una ben misera figura. Era figlio e nipote di pescatori, ma lui diceva di avere ben altre ambizioni, e al diavolo gli scapaccioni del padre e ancor più al diavolo le tradizioni di famiglia. Lui voleva viaggiare, vedere il mondo, non restare in quel buco che noi tutti chiamavamo casa, nossignore; Rauvert finì per imbarcarsi sulla Saint Claire, una delle tante navi che facevano la spola tra le coste bretoni e le colonie del Nuovo Mondo, non prima di aver impalmato una brava donna del borgo e messo al mondo un paio di pargoletti.
Papà Rauvert lo chiamava figlio degenere e giurava di pregare Iddio che quel diavolaccio crepasse in mare in uno dei suoi tanti viaggi, ma col passare degli anni tutto il paese aveva preso in simpatia il suo primogenito, ed era un piacere vederlo piantare i piedi sulla tolda, dopo un rapido volteggio sui pennoni, per poi tornare a terra e riabbracciare la sua famiglia.
Era divenuto un bravo gabbiere, François Rauvert, con la pelle bruciata dal sole al pari di tutti i suoi camerati, gli occhi rossi per aver tanto scrutato l’orizzonte e la voce rauca di chi è avvezzo a servirsene assai. La sua mesata non era granché, ma anche la moglie aveva il suo bel daffare a salare per il suocero le aringhe che tanto rassomigliavano al marito; bene o male si tirava avanti.
Almeno fino a quando, un giorno di tanti anni fa, lo stesso gabbiere rimise sì i piedi nel suo paese, ma in una cassa di legno portata a spalla da quattro camerati, unici sopravvissuti della ciurma della Saint Claire sorpresa e saccheggiata da una banda di quelli che, qui in paese, ci ostiniamo ancora a chiamare ladri, senza osar pronunciare il loro vero nome.
Si racconta ancora che Rauvert non abbandonò il suo posto, coltellaccio tra i denti e pronto a battersi, fino a quando una poderosa cannonata non spezzò alla base l’albero di mezzana ove era abbarbicato, facendolo precipitare sulla tolda. Morì così lo sventurato gabbiere, con gli occhi spalancati e carichi di spavento. 

* 

Sua figlia Madelene crebbe con la certezza che, femmina e povera quale era, sarebbe vissuta, invecchiata e morta in quel paese che le andava stretto ogni anno che passava. Il suo maggior cruccio non era quello di doversi contentare di vestiti rammendati e di non possedere fazzoletti e gioielli, ma di esser costretta a veder girare attorno a sé un mondo sempre uguale.
A quindici anni aveva i modi spigliati e tenaci di una degna nipote di pescatori, le mani precocemente rovinate dai lavori di casa e una dote su cui la madre aveva versato sangue e lacrime. Madelene non era entusiasta all’idea di dover passare il resto dell’esistenza accanto a un uomo che non conosceva e di fare tanti bambini, ma la sua vita era quella e non poteva fare diversamente. Se non fermarsi accanto alla Maison, la barca dei nonni, e osservare il mare sognando i medesimi posti che il suo sventurato padre aveva visitato.
Lo invidiava senz’altro, come invidiava tutti coloro che partivano ogni giorno dal porto, pronti per il Nuovo Mondo, per poi tornare carichi di racconti e avventure, magari ebbri di fantasie, ma che importava? Loro avevano visto.
A Madelene il lavoro dei nonni e della madre garbava poco; ma il mare no, quello le piaceva assai, e quando portava la cesta delle cibarie ai parenti appena tornati dalla pesca restava, anche più del dovuto, seduta sulla sabbia a rimirare la risacca o i gabbiani che volavano a bassa quota.
Spesso, prima che la madre la richiamasse per tornare a casa, la ragazza prendeva a passeggiare sulla riva, passando accanto ad altre imbarcazioni e a vecchi marinai intenti a rammendar le reti; in verità Madelene badava poco a coloro, morti di fame come lei e i suoi parenti, preferendo ammirare le divise tirate a lucido degli ufficiali di Marina, o anche i gabbieri intenti ad ammainare le vele; gabbieri come suo padre.
Quando seppe che i parenti le avevano trovato un fidanzato, onesto lavoratore e pronto ad accoglierla in casa, Madelene alzò le spalle e si preparò ad adempiere ai suoi compiti giornalieri, come se non le fosse mai stata data alcuna notizia. Preparò la cesta da portare ai suoi zii, di ritorno dalla consueta battuta di pesca, e si avviò verso la spiaggia; non le era andata male, in fondo: conosceva di vista il suo fidanzato che aveva sei anni più di lei e, più di una volta, si era voltato a guardarla. Aveva un buon lavoro e non le avrebbe fatto mancare nulla.
Perlomeno sarebbe stata lontana dai nonni che la definivano una svitata come suo padre, sottolineando tali parole con le carezze che si convengono ai nipoti disobbedienti.
La spiaggia era quasi del tutto deserta. Vi era solo un gruppo di rozzi marinai che ridevano sguaiatamente, passandosi un fiasco di vinaccio, e che Madelene si affrettò a lasciarsi alle spalle; gli zii ancora non giungevano, così pensò di recarsi alla sua nicchia preferita e di sedersi. Peccato che quel posto fosse già stato occupato da un’altra persona.
Madelene ne aveva veduti di vecchi marinai dalle pelle grinzosa, ma nessuno di quelli se ne restava immobile sulla riva, cogli occhi fissi sulle onde e senza borbottare alcunché nella grossa bocca; tra le labbra stringeva qualcosa che non rassomigliava affatto a una di quelle pipe di schiuma che tanti lupi di mare conservano manco fosse un tesoro prezioso. Non ne aveva mai veduti, Madelene, di sigari, men che mai quelli cubani, spessi e scuri, i più pregiati di tutti.
La ragazza si sentì incuriosita da quella figura massiccia come uno di quegli orsi canadesi di cui tanto aveva sentito parlare ascoltando gli esploratori di ritorno dal Nuovo Mondo; si portò leggera alle sue spalle, gli occhi piantati nella nuca grigia del marinaio coperta a stento da un vecchio berretto; aveva abiti sgualciti e logori, ma la spada che portava al fianco era così lucida da parere nuova nuova.
Madelene si dimenticò presto degli zii che l’attendevano; stropicciandosi i piedi nudi l’uno contro l’altro, imbarazzata, pensò a qualcosa da dire per attirare l’attenzione. Ma il marinaio, vecchio sì ma vigile, si era accorto di lei. “Non mi serve qualcuno che cerchi di parlare con me” borbottò con la voce arrochita dal fumo, senza nemmeno girarsi. “Mi serve qualcuno che mi ascolti.” Madelene pensò in tutta sincerità che il vecchio avesse prese un colpo di sole di troppo, o che fosse semplicemente solo e voglioso di narrare a qualcuno le sue storie. Si sedette sulla sabbia, eccitata come una bambina davanti a un sacchetto di dolciumi.
“Hai da bere? Ho la gola arsa.”
Lei si affrettò a porgergli da dietro la bottiglia di vino che aveva con sé e che l’uomo vuotò per metà con un sol sorso, da bravo lupo di mare. “Sei il primo che si ferma qui” disse quando ebbe finito; non essendosi voltato, non sapeva ancora di essere udito da una donna. “Tutti mi evitano come avessi il colera indosso. Diavolo! Si stava meglio all’isola.”
“Che isola?” domandò Madelene, e udendo una voce femminile il marinaio si voltò stranito; aveva il volto cotto dai raggi del sole e gli occhi scuri ma ancora vivi come quelli di un giovine. Ma non si stupì più di tanto di avere come ascoltatrice quella che, a suo confronto, era solo una bambina.
“L’isola era casa mia” riprese a raccontare. “Vi coltivavo dei banani alti come cinque uomini, quando non ero per mare. E vedessi che bei frutti che davano! Ah! Facevo crepare di invidia tutti i miei camerati che preferivano spendere i loro denari in ben altre cose, e che le tue orecchie di bambina farebbe meglio a non udire.”
Madelene arrossì, decisa però ad ascoltare: aveva compassione di quel povero vecchio, di cui nessuno aveva mai udito le avventure.
“I miei banani erano alti come cinque uomini, dicevo, ed erano l’invidia di tutta l’isola. Coi soldi che guadagnai comprai tre schiavi neri, colle braccia così forti da sollevare senza problemi un carro con una mano sola! Ah! Non ero il miglior marinaio di questo mondo, diavolo, ma all’isola mi rispettavano eccome! Anche il capitano si complimentò con me, e non era uomo da far complimenti senza ragione! Che personaggio… ah, com’erano alti i miei banani!”
“Come cinque uomini, sì” borbottò Madelene, delusa; si aspettava racconti più avventurosi come quelli che già aveva sentito dagli amici dei nonni, mentre quel vecchio svampito non parlava altro che delle sue stupide piante. Penso dovesse aver messo il broncio, Madelene, perché il marinaio, non appena la vide in faccia, scoppiò a ridere e di gusto. “Hai voglia di mandar all’inferno i miei banani, ci scommetto. Oh, non dovrei parlar così a una fanciulla” disse poi, ma non pareva per nulla pentito, anzi, era più divertito che mai. “Perdona questo povero vecchio.”
La ragazza continuò a tacere, lasciando che il marinaio si sdraiasse sulla sabbia.
“Hai perduto la lingua, cara? Sei divenuta muta come certi pesci che ho veduto nei mercati dell’isola, ed erano grossi come il mio braccio. Ne ho pescati di simili anch’io, qualche volta, ma ho sempre preferito dar la caccia ai volatili. Gli aironi avevano una carne tanto squisita che la ricordo ancora, ah! Altro che le code di caimano che quegli stupidi dei miei negri mandavano giù. Ne avrebbero divorato uno intero senza batter ciglio, e dire che hanno le squame dure come ossa.”
Madelene aveva sentito parlare, qualche volta, dei caimani: erano grosse lucertole che divoravano anche un uomo per intero, gliel’aveva detto suo fratello e lei ci credeva, anche se la cosa la spaventava. “È vero che per i marinai è proibito mangiare uccelli del mare?” domandò. “Si dice che siano lo spirito dei camerati morti.”
“Perbacco, figliola, non sei nuova a certi racconti” commentò il marinaio, tirando un’altra boccata. “Ti assicuro però che se stai morendo di fame, e credimi, l’ho rischiato diverse volte, non ti farai tanto scrupolo ad abbattere un gabbiano. Carne un po’ dura, in verità.”
“Ma è tabù!”
“Lo stomaco non conosce leggi, cara. Tutto è buono per riempirlo, parola di Chevlon.”
“E le piovre? Ne avete veduta qualcuna?”
Il marinaio scoppiò a ridere, mettendo in evidenza i denti bruniti. “Che storie ti hanno raccontato i tuoi compaesani? Io non ho mai veduto simili bestie, e sì che ho attraversato il mar delle Antille per trent’anni e più!”
“Cos’avete veduto, allora?”
“Un mare più azzurro del cielo e che ti fa passare le peggiori malinconie, sempre che non si stia preparando una qualche tempesta. Allora le onde divengono altissime, e non si è mai certi di riveder l’indomani.” Di storie simili Madelene ne aveva udite fin troppe, ma era il modo in cui Chevlon discorreva a incuriosirla: gesticolava furiosamente, gli occhi accesi e brillanti a tal punto che il vecchio marinaio pareva tornar di nuovo giovane.
“Vi è un sole tale da spaccar le pietre, eccome! Ma un sole, cara, che ti entra qui, proprio qui” e Chevlon si percosse il petto robusto come fosse un tamburo, “e ti brucia dentro come nessun fuoco è in grado di fare.”
Questa invece Madelene non l’aveva mai sentita: pareva che il vecchio marinaio desse importanza a cose che gran parte dei lupi di mare ignorava; suo padre, più che alle onde e ai raggi del sole, badava alla gente: quando era piccola la portava in una stanzetta di nascosto dalla madre, brava donna sì ma gelosa, e le narrava di certe donne bellissime vestite con tutti i colori del mondo e con indosso pietre preziose grosse come uova. Madelene non aveva mai desiderato tali cose, che nella sua mente ingenua di bambina erano troppo lontane dalla sua portata, ma sentirne parlare con l’entusiasmo del padre l’aveva affascinata.
Tentò di accennare qualcosa al vecchio Chevlon, che per tutta risposta scoppiò ancora a ridere tenendosi il ventre. “Ma cosa credi tu, bambina? Che le Americhe siano il paese di cuccagna?” domandò, badando poco alla povera Madelene che se ne restava seduta imbronciata sulla sabbia. “Lo pensano solo gli sciocchi.”
“Mio padre non era uno sciocco!” protestò la ragazza. “E io non sono una bambina!”
“Io lo credo, in verità.”
“Errate. Presto mi sposerò.”
“Ubbie! Non occorrono un anello e una dote per esser donne. Mia sorella aveva meno di te quando entrò in casa d’un uomo, e giocava ancora con le sue bambole! Maledetto quel giorno…” borbottò Chevlon, rabbuiandosi. Ora sembrava deciso a raccontare, più che del Nuovo Mondo, della vita sua medesima.
“Era la ragazzina più bella del paese, e lasciai senza batter ciglio che quell’orso la rovinasse! Ah, quale sciocco e vigliacco fui a non protestare coi miei parenti, a non capire quale pericolo corresse mia sorella… Ma vi era la fame, e la mia povera Marianne poteva già dirsi fortunata ad aver una dote e qualcuno che l’avesse accolta in casa.”
Madelene non osò aprir bocca: quella triste storia le era parsa familiare, anche se non ne aveva mai sentito parlare direttamente. Era una di quelle tristi vicende che si mormorano in penombra, lontano dalle orecchie dei bambini, ma si diffondono di bocca in bocca meglio dei dispacci dei messi regali. Lei, Madelene, aveva poca esperienza del mondo, ma aveva capito subito che quello Chevlon era un suo compaesano tornato dopo anni dalle Americhe.
“Ebbi il coraggio di alzar il capo solo quando il giogo vollero imporlo a me” continuò imperterrito il vecchio marinaio. “E allora fuggii, mi imbarcai sulla prima nave che mi accolse e via, verso nuove terre, lontano dai miei problemi. Le Americhe mi hanno dato quello che questo paese mai avrebbe potuto offrirmi; ho fatto tanto, anche cose che un buon cristiano inorridirebbe solo a udirle, ma non me ne sono mai pentito. Dio saprà cosa fare di me, quando comparirò dinanzi a lui.”
Chiunque sarebbe fuggito a quella confessione. Madelene non era più coraggiosa o incosciente di tanti altri, era semplicemente ingenua e curiosa, e fu ciò a permetterle di restar ferma al suo posto: aveva compreso che il vecchio Chevlon ne aveva ancora, di cose da dire.
“Ancora qui, bambina? Sta bene. Non sei il miglior confidente che mi aspettassi, a dire il vero” commentò il marinaio, ficcandosi in tasca il mozzicone spento di sigaro. “Dovrò contentarmi. Non voglio che parte della mia vita muoia assieme a me; voglio che qualcuno sappia, e che si ricordi in qualche modo di Arnaud Chevlon.”
“Non vi è nessun altro, che sappia di voi?” domandò con stupore Madelene. Non poteva credere che il vecchio non si fosse mai confidato con alcuno.
“Vi era, bambina.” La ragazza avrebbe giurato di veder comparire una grossa lacrima sulla guancia rugosa del marinaio.
“Mai provar affezione per i propri camerati; il mare è infido e non ha riguardi per alcuno. Veniva dal nord, il mio povero amico, e parlava una lingua tale da farti ronzare gli orecchi; gli raccontai di me e della mia sventurata sorella, e lui medesimo si aprì con me. Ma il destino volle che fosse portato via dal mare; le onde lo inghiottirono e non mi lasciarono nemmeno un povero corpo da seppellire."
Madelene non si accorse delle proprie lacrime fin quando non si passò una mano sul viso.
“Era l’unico a sapere di me” mormorò Chevlon.
“Ma qui in paese si ricorderanno senz’altro, anche se sono passati tanti anni.”
“Immagino” disse il marinaio. “La triste storia di mia sorella è una di quelle che dà adito a molti pettegolezzi. Ma nessuno conosce l’altra parte: il mio dolore, che a tutti ho celato, per la sorte della mia povera Marianne. Quel figlio d’un cane non ebbe per lei mai alcuna parola buona, mai una gentilezza; lei deperì lentamente fino a morirne, e questo lo sanno tutti; ma non sanno che fui io, entrato di nascosto in casa sua, a sentirne le ultime parole, a vederla spegnersi senza che alcuno l’assistesse, nemmeno i suoi stretti parenti. Perché Dio non le aveva concesso di mettere al mondo figli per quell’essere, e per loro era una vergogna immensa.”
Madelene si accorse di tremare: provava una paura terribile, paura di essere sfortunata come la povera Marianne. Paura che andò via a poco a poco, quando la ragazza fu di nuovo in grado di ragionare: il suo futuro sposo le aveva parlato, qualche volta, e le era apparso gentile e buono.
“Fu anche per questo, che fuggii per le Americhe” confessò Chevlon. “L’idea di sottostare a gente che aveva mandato a morte una figlia mi disgustava.” Si interruppe un attimo, prima di tornare a parlar di sé.
“Quando ero ancora giovane la pensavo come tuo padre: lasciavo un mondo grigio e doloroso per uno nuovo e ricco di sorprese. Ho veduto un sole e un mare che sono certo di non riveder più mai, ho coltivato degli splendidi banani, come già ti ho detto… e tutto questo mi rimarrà nel cuore molto più della gente che ho conosciuto.”
“Mio padre guardava la gente più del mare” mormorò Madelene.
“Anche nelle Americhe vi sono ricchi e poveri, mia cara, uomini onesti e disonesti, e anche lì povere fanciulle sono costrette a sottostare a mariti che non tengono a loro. L’età porta il senno, bambina, e anch’io, come tanti altri, ho potuto scoprir qualcosa.”
“Cosa?”
“A dispetto dei luoghi che possono essere i più disparati, il mondo è uguale dappertutto. L’unico posto che cambia davvero è il posto dove sei nato” disse Chevlon. “Forse non si dovrebbe tornarci mai.”
“Non capisco” confessò Madelene. E vide il vecchio marinaio sorridere, per la prima volta da quando le aveva narrato della triste vicenda della sorella.
“Abbandonare il luogo che ti ha dato i natali è doloroso e lascia sempre le sue tracce. Immagina di prender tra le mani un pezzo di stoffa e di tirare fino a strapparlo; anche se cuci tra loro i due lembi, il segno dello strappo resta visibile.”
“Allora non si dovrebbe mai lasciare il nostro paese?”
“Non ho detto questo, bambina. Puoi andartene, se vuoi, e vivere le avventure che credi; ma lo strappo avverrà sempre. A te la scelta se sopportarlo o meno, e se sopportare che il tuo paese cambi senza di te.”
“Potrebbe anche restare il medesimo.”
“No, mia cara. Cambierà sempre.”
“Perché?”
“Perché tu non c’eri. Se fossi rimasta le cose sarebbero state diverse, per te come per il posto dove sei nata.” Questa volta Madelene non poté non dargli ragione: se suo padre non fosse mai partito, forse sarebbe stato ancora vivo; ma il paese non avrebbe avuto un bravo gabbiere di cui vantarsi, né un altro marinaio con le sue storie da raccontare.
“Dite che forse non si dovrebbe tornare al proprio paese. Voi lo avete fatto” disse. Chevlon sorrise ancora.
“Io sono vecchio, bambina, e i vecchi come me soffrono di un male che li costringe a tornare al loro nido” disse semplicemente. “O forse è solo il prezzo che i fuggiaschi come me hanno da pagare: sentir nostalgia di casa più degli altri.”
“Sembrate pentito di esservene andato, Monsieur Chevlon.”
“Sbagli, ancora una volta. Ho solo capito un’altra cosa: puoi conoscere i posti più diversi… ma casa tua, non la conoscerai mai abbastanza.”
Il buio che avanzava veloce fece capire alla ragazza come si fosse attardata troppo. Gli zii non le avrebbero risparmiato una sonora lavata di capo. “Devo… andare…” balbettò; si alzò di scatto con il paniere e corse via, salutando appena. Dietro di sé, udì il vecchio Chevlon salutarla a sua volta con una risata. 

*

Madelene è una donna semplice, figlia di gente semplice, al pari di me. Quando entrò in casa mia mi apparve smarrita, ingenua, a tratti impaurita; io ero solo il figlio di un artigiano, ma mio padre mi aveva fornito una discreta istruzione, perché in fondo le lettere e i numeri possono essere di giovamento anche a noi povera gente.
All’inizio, più che un marito, fui un maestro per la mia sposa: le insegnai a leggere, le guidai la mano sulla carta per farle tracciare le sue prime lettere, e lei imparava in fretta, curiosa come se si stesse cimentando con un nuovo gioco.
Gli anni sono passati per entrambi e Nostro Signore ci ha permesso di generare e crescere figli sani; Madelene mi si è affezionata a poco a poco, e non manca giorno che non ringrazi Iddio per la sorte fortunata che le è stata concessa, al contrario della sventurata Marianne Chevlon, sposa infelice e destinata a perire per la sua stessa infelicità.
Fu il giorno della nascita di Jacques, il nostro primo figlio, che Madelene mi parlò di Chevlon. Mia moglie non spicca né per bellezza né per ingegno: è bruna e robusta, con il buonsenso tipico della gente lavoratrice, ma quella sera mi dimostrò di avere un’eccellente memoria, cosa che le permise di parlarmi di quello strano incontro con molti particolari. Fu brava a raccontare, Madelene, a tal punto che dentro di me la curiosità crebbe; e decisi di rintracciare il vecchio marinaio, se ancora si trovava in paese.
Riuscii ad incontrarlo soltanto l’anno passato. Era nei pressi di una baracca sulla spiaggia, intento a guardare le onde che dovevano sembrargli molto diverse da quelle che aveva solcato nella sua avventurosa vita.
Il pelo di Chevlon aveva finito per divenir bianco e la pelle doveva essere più rugosa di come l’aveva veduta Madelene; ma il vecchio marinaio pareva ancora in buona salute e lo dimostrò accendendo uno dei suoi sigari senza che un solo tremolio gli scuotesse le mani.
Non so per quanto tempo restammo a parlare, camminando a passi lenti sulla riva coi piedi che affondavano nella sabbia umida. Lui, forse perché gli avevo rivelato chi era mia moglie, accettò di buon grado di confidarsi anche con me, e mi rivelò cose che nemmeno la stessa Madelene sapeva. “Mi fido. Sei un bravo giovine” mi disse, sebbene avessi ormai trent’anni; ma a suo confronto dovevo davvero sembrare un ragazzo.
La voglia di denaro, di avventure, di rivalsa nei confronti di uomini che gli avevano fatto del male, lo avevano spinto a divenir ladro. Ma non un ladro qualunque: uno di quelli che solcano i mari e saccheggiano, uccidono e tanto spaventano i bravi marinai. Come mio suocero, che a causa di uno di loro aveva perduto la vita.
“Avete scampata la forca, in America” gli dissi.
“Fortuna e furbizia” mi rispose lui, lasciandosi bagnare i piedi dalle onde. “Sono stato filibustiere, sì. Ma ora sono un uomo come voi.”
“Non cambia ciò che avete fatto.”
“Quali sono le vostre intenzioni, Monsieur Pennac?” domandò lui, spiccio. “Volete denunciarmi? Non ve lo impedirò, ho vissuto abbastanza e posso privarmi dei pochi miseri anni che mi rimangono.” Non pareva per nulla intimorito; d’altronde io non avevo alcuna intenzione di rivolgermi alle autorità, che fin troppe volte avevano agito a svantaggio di quelli come me e a favore dei signori. Che vivesse pure in pace, quel vecchio, non sarei stato io a impedirglielo.
“Vostra moglie voleva viaggiare, come il suo povero padre” disse Chevlon, affiancandomi. “Glielo lessi negli occhi. E voi? Avete mai pensato di andar via, verso nuove terre?”
“Io sto bene qui” risposi con decisione. Il vecchio marinaio tirò l’ultima boccata e si mise in tasca il mozzicone ormai spento del suo sigaro. “Perdete molto, monsieur Pennac” mi disse. “Ma non guadagnate poco. Tutto il mondo è paese, sì… ma il tuo paese non è tutto il mondo.”
Tacque, lasciando che le sue parole si perdessero nel vento della sera. 

*

Arnaud Chevlon partì quella sera stessa, dopo essersi congedato da me, e né io né Madelene l’abbiamo rivisto più mai.
Ma la sua figura di vecchio marinaio ingrigito, segnato dagli eventi, robusto come una quercia e mai piegato, rivive nelle storie che io e mia moglie raccontiamo ai nostri figli.
Penso che sarebbe felice di sapere che in qualche modo parliamo di lui. Era questo che voleva, in fondo.
Farsi ascoltare.
E non farsi dimenticare.

   
 
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