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Autore: Ryta Holmes    06/01/2011    7 recensioni
“E allora che fare?
E’ un momento. L’immagine delle abitazioni nella città bassa le attraversa il cervello. Visioni di famiglie che festeggiano la loro notte di luce scambiandosi doni.”
[Morgause]
[Storia V classificata al contest "Natale a Camelot" indetto da LyndaWeasley]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Storia V classificata al Contest "Natale a Camelot" indetto da LyndaWeasley =)


-Nick autore: Ryta Holmes
-Titolo: L’abbraccio dell’edera
-Personaggio scelto: Morgause
-Genere: Malinconico
-Rating: Verde
-Avvertimenti: One-shot, What if? e pre-serie.
-Introduzione: “E allora che fare?
E’ un momento. L’immagine delle abitazioni nella città bassa le attraversa il cervello. Visioni di famiglie che festeggiano la loro notte di luce scambiandosi doni.”

-NdA: ho cercato di unire il tema principale del dono, con un momento della vita di Morgause di cui non sappiamo quasi nulla. Quando Morgause ha saputo della sua sorellastra e della sua famiglia? Ho ipotizzato che le grandi sacerdotesse glielo avessero rivelato solo ad una certa età, perché prima troppo giovane per comprendere. A 15 anni quindi, scopre di avere una sorellastra (più piccola ovviamente) e che è stata strappata alla madre ancora in fasce per un qualche motivo che io ho ipotizzato fossero i suoi poteri magici. Ho preso come base l’episodio 2x08, in particolare il discorso di Uther e Gaius su di lei, nel quale si scopre che Morgause è la sorellastra di Morgana da parte di madre (e non di padre, perché all’epoca il duca di Gorlois si pensa ancora genitore naturale di Morgana). Anche l’idea dell’edera proviene da quella puntata, nella quale si nota che l’antro di Morgause è circondato da queste piante.
Un’altra precisazione sulle fonti (sperando di non dilungarmi troppo…)
- qui: http://icar.poliba.it/storiacontemporanea/seminari/bertolaccini/text04.htm ; mi sono accertata che i cimiteri nel medioevo si spostano nelle città e sono detti dormitorium.
- sulla questione “Natività del nuovo Sole”, ho generalizzato la faccenda. (da qui la fonte: http://www.strie.it/ruota_solstizio_yule.html) per i pagani è il Solstizio d’Inverno, per i cristiani il Natale. Data l’assenza di religione nella serie, ho quindi ipotizzato che ognuno celebrasse a modo proprio una notte che in ogni caso è festa per tutti.

L’ABBRACCIO DELL’EDERA


La lama della spada vibra nell’aria immobile della foresta, si insinua prepotentemente nelle carni del malcapitato, producendo un fiotto di sangue. Il cavaliere che impugna l’arma non si scansa per evitare di sporcarsi ma rimane a guardare attraverso l’elmo calato sul viso, la vittima che si accascia al suolo esanime.
Con un gesto secco, fende l’aria e la lama si ripulisce dal sangue che vi era rimasto sopra. Si guarda intorno il cavaliere, controllando che non ci siano altre minacce pronte a sbucare fuori all’improvviso per derubarlo o nel peggiore dei casi per ucciderlo.
Quella zona della foresta è popolata da numerose bande di briganti e il cavaliere non sarebbe sorpreso di vedersi nuovamente circondato da miserabili in cerca di denaro o cibo.
Ma non teme nulla, egli, che viaggia verso Camelot nella notte fredda e innevata.
Eccola lì, la città. Silenziosa, austera, bardata dai drappi rosso e oro dei Pendragon.
Il cavaliere storce la bocca disgustato, dietro l’elmo e prosegue il suo cammino verso la meta. Ecco l’entrata, ecco il ponte levatoio. Il portone spalancato come sempre nei periodi di pace, in cui non si teme nulla.
Due guardie si sporgono oltre il bastione, sentinelle nella notte. Niente cattura la loro attenzione, perciò continuano il giro di ricognizione, indisturbate.
Il cavaliere riemerge dall’ombra, compiaciuto della facilità con cui è possibile entrare a Camelot e disprezza l’arrogante tranquillità di un sovrano che non teme il pericolo.
I suoi passi sono silenziosi nella neve che è caduta sulla via principale e che nessuno ha più spalato da ore. Il cavaliere è diretto nella cittadella, percorre l’abitato del popolo senza soffermarsi, senza volgere lo sguardo verso le finestre illuminate dietro cui si stagliano figure in movimento.
Bambini che ridono, madri che abbracciano, padri che osservano compiaciuti la gioia dei propri figli. Famiglie riunite in una notte di speranza, una notte dopo la quale la vita torna alla luce. La “natività del nuovo Sole”, la chiamavano da sempre. Una notte da festeggiare, una notte in cui scambiarsi semplici doni e messaggi di auguri, una notte in cui esprimere affetti.
Ignora, il cavaliere, tutte queste cose, mentre senza rallentare il passo, si lascia alle spalle la città bassa e ancora una volta protetto dal buio, elude con particolare facilità la vigilanza delle guardie di Camelot.
Nessuno ad intralciargli il cammino, nessuno da incrociare. Solo una voce interrompe i suoi propositi quando ormai è nel piazzale principale: una risata di bambina che si perde nell’aria ovattata.
Solleva lo sguardo, il cavaliere, verso la luce proveniente da una finestra aperta del torrione. La voce risuona ancora, rivolta a qualcuno.
“Dai Arthur, non te ne andare! Giochiamo ancora un po’ assieme!”
Il cavaliere resta immobile, assaporando il dolce suono di quella bambina che ancora non sa, troppo giovane per accettare una verità così grande.
Si impone risolutezza, quel cavaliere, dominando l’istinto di raggiungere la bambina e portarla via con sé, ultimo frammento di una famiglia dilaniata dall’egoismo di un re.
I passi riprendono, silenziosi e il cavaliere aggira il torrione centrale, dietro cui troverà ciò che cerca. E’ terra di sepoltura quella, il dormitorium, come in città viene chiamato. Terra sacra sopra la quale nulla deve nascere e sotto cui giacciono anime defunte.
Il cavaliere si sfila l’elmo, finalmente, donando al vento le sue lunghe ciocche dorate. Occhi castani in un volto che ancora di donna non è. Una giovane di appena quindici anni, dietro l’armatura del cavaliere. Una giovane che nasconde molto più della destrezza con la spada: doti magiche di una potenza inimmaginabile che giorno dopo giorno si risvegliano. Doti che le Grandi Sacerdotesse hanno coltivato fin dalla sua nascita e che presto le serviranno per trovare la giusta vendetta verso colui che ne aveva decretato la morte.
Gli occhi cercano tra le lapidi un nome. La giovane si muove lentamente sulla terra coperta di neve, trattenendo il respiro quando scorge, da lontano, un mausoleo. Sua madre. Le lettere incise nella pietra fredda, della donna che l’ha messa al mondo.
La giovane si lascia andare sulle ginocchia davanti alla grande lapide. E’ l’emozione nei suoi occhi appannati dalle lacrime.
I ricordi della verità, rivelata dalle Grandi Sacerdotesse, riecheggiano nella mente.
“… non sei nostra figlia, Morgause. Tua madre viveva a Camelot, moglie del duca Gorlois. Quando sei nata, i tuoi poteri magici hanno preoccupato re Uther che ha ordinato la tua morte. Sei viva solo grazie al coraggio di uno stregone che ti ha portato qui da noi, invece di ucciderti…”
“… lo spirito di tua madre ha abbandonato la sua dimora terrena molti anni orsono e tu eri ancora troppo giovane perché te ne potessimo parlare… hai una sorellastra però, si chiama Morgana e vive a Camelot protetta da Uther…”

Asciuga le lacrime amare, la giovane strega, accettando il dolore di non aver mai conosciuto il calore di una famiglia per colpa di quel re egoista. Solo dopo essersi ricomposta torna a guardare la lapide.
“Madre…”
Un sussurro spezzato vibra sulle labbra e poi si spegne; la giovane medita una vendetta che sa dovrà attendere ancora degli anni, prima di compiersi. Ma succederà. Lo sta giurando su quella tomba.
Rimane a lungo, lì inginocchiata. Ha scelto quella notte, perché è la più lunga di tutto l’anno e può concedersi del tempo da trascorrere finalmente con sua madre. Nonostante la morte le separi, nonostante il freddo sia pungente e abbia ripreso a nevicare.
Ma le ore scivolano rapidamente e il cielo comincia a farsi meno buio, allora la giovane capisce che deve andar via da Camelot o corre il rischio di essere scoperta. Non c’è più l’oscurità a proteggerla e la sua magia non è abbastanza matura perché possa difenderla dalle guardie della città.
Deve andare eppure sente le gambe pesanti, vorrebbe rimanere con sua madre ancora un altro po’, quasi sappia che il suo spirito, ovunque sia, possa sentire la presenza della figlia che onora le sue spoglie.
E allora che fare?
E’ un momento. L’immagine delle abitazioni nella città bassa le attraversa il cervello. Visioni di famiglie che festeggiano la loro notte di luce scambiandosi doni.
Il desiderio di fare altrettanto si fa strada nel suo intimo. Anche se lei non è lì per “il nuovo Sole” ma solo perché il Solstizio d’Inverno è la notte più lunga dell’anno, quando la magia e il buio sono più potenti e possono proteggerla in un luogo che la voleva morta.
Solleva la mano guantata e con un guizzo dorato negli occhi, pronuncia arcane parole dell’Antica Religione. La neve accanto al mausoleo si scioglie e dal terreno spunta un’edera che si avvinghia alla pietra, circondandola lentamente e coprendola quasi a protezione. Sembra un abbraccio… il suo abbraccio.
Quello che alla madre non ha mai potuto dare. E che adesso diventa un dono unico e prezioso.
Ed è come se lo spirito di chi le ha donato la vita lo percepisse, perché all’improvviso l’edera fiorisce.
Nonostante il freddo e la neve, nonostante il periodo dell’anno, nonostante la notte.
I piccoli fiori spuntano per ringraziare la giovane del suo gesto. E lei si concede un sorriso e ancora qualche lacrima, solo un altro momento per essere vulnerabile. Asciuga nuovamente quel pianto e si sporge in avanti, sfiorando con le labbra la pietra fredda del mausoleo.
“Grazie…”
Sta per sorgere il sole e lei dovrebbe essere già lontana da Camelot. Si solleva in piedi e indossa nuovamente l’elmo. Un ultimo sguardo a quella tomba, ora così ravvivata dai colori della pianta, prima di sollevare le spalle.
Ecco che il cavaliere ritorna. Fiero, eretto. Abbandona il dormitorium con passi svelti e decisi. Senza fare rumore si lascia indietro la cittadella e si riversa nella città bassa. Qualcuno si sta già svegliando e sta per aprire le porte di casa, perciò deve fare presto.
In un attimo è giunto davanti al portone. Le sentinelle stanno dando il cambio a quelle che hanno trascorso la notte in bianco a proteggere la città. E’ il momento giusto per sgusciare via, lontano dal pericolo.
Il cavaliere è ormai nella campagna fuori le mura e nessuno si è accorto di lui. E’ stato fortunato. O forse quello spirito che ha percepito prima, ha voluto proteggerlo.
Un ultimo sguardo alle altissime torri di Camelot e l’espressione che lentamente si indurisce dietro lo schermo metallico dell’elmo.
Un giorno, quando sarà pronta, Morgause tornerà per vendicarsi. Uther Pendragon la pagherà.

Fine
   
 
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