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Autore: Ciribiricoccola    06/01/2011    4 recensioni
* STORIA TEMPORANEAMENTE SOSPESA * Clarissa e Danny insieme, come entrambi avevano sempre desiderato (ma mai ammesso!). E adesso che cosa succederà? L'amore sarà idilliaco? Nah, altrimenti sopraggiungerebbe la noia! Qualcosa succederà, e una grossa, enorme, spaventosa crepa ignorata da tutti si aprirà in questo quadretto perfetto. Provate a indovinare chi sarà la persona che per prima causerà questa crepa...
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danny Jones, Dougie Poynter, Harry Judd, Nuovo personaggio, Tom Fletcher
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'McClaire- She's the young, she's not alright'
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claire

Popolo mcflyano, invoco il vostro perdono. Prima Natale, poi il veglione di Capodanno, infine la Befana...  senza contare gli esami universitari che avrò a breve! Sono stata sommersa da baci del parentado, spumante, dolci, brindisi e tutto il corredo immancabile ad ogni festività! Ma adesso sono qui, sono tornata con uno dei miei capitoloni da lametta (li odio, ve lo giuro). Chissà quanto li apprezzerete! Magari molto, se vi è rimasto un pò di spumante che scorre nelle vene ;)! Fatemi sapere!

Un bacio a tutti

Ciry

***

Si incontrarono davanti ad un tè freddo e ad un whiskey.
Cassie non poteva sapere che lui non lo beveva quasi mai, perché non gli piaceva il suo strano sapore amaro di alcool quasi “affumicato”.
Ma era qualcosa di forte, ne aveva bisogno, la birra non sarebbe bastata in quel momento. Forse più tardi, a casa…

“Sembra che ti sia crollato addosso il mondo, spero tu non stia tentando di nasconderlo… perché non ci stai riuscendo…” gli fece notare la ragazza, gli occhi comprensivi che cercavano di attirare quelli del chitarrista, che rispose con un sospiro ed un sorso della sua bevuta.
“Scusami, è che… mi sento ancora… frastornato…” si scusò in preda ad un triste imbarazzo mentre evitava di guardarla.
“E’ successo qualcosa con i ragazzi? Avete litigato?” chiese la ragazza in tono apprensivo.
“No, no, loro… sono coinvolti, ma non sono responsabili di niente, alla fine…”
“Che vuoi dire? Siete nei guai con il lavoro, ti hanno detto qualcosa…?”
“No, il lavoro è a posto…”
Cassie allungò una mano verso la sua, stretta intorno al bicchiere, e domandò cautamente: “… Clarissa?”

Con gli occhi abbassati sul liquore, Danny ebbe per un attimo un vuoto di memoria al suono di quel nome, come se non conoscesse nessuno che lo possedesse.

Quel momento strano e sereno scivolò via per lasciar subentrare il malessere subito dopo: una marea di immagini di lei si rovesciarono nel suo cervello, compresa l’ultima in ordine cronologico, quella che più di tutte avrebbe voluto dimenticare all’istante.

Clarissa sotto la pioggia nel suo specchietto retrovisore, in lacrime e urlante mentre correva dietro al suo SUV.

Avrebbe potuto risultare imbarazzante come immagine, se solo non fosse stata la sua ragazza.
Difatti era un’immagine terribile. Quasi inconcepibile, tanto l’ atterriva.

“Danny?” lo richiamò gentilmente l’amica, vedendolo assente.
“Sì…” replicò il chitarrista a bassa voce, con un nodo in gola “Io e Clarissa ci siamo lasciati.”
Cassie si morse il labbro inferiore con un’espressione contrita prontamente stampata in faccia.
“Non ci posso credere!” esclamò con un filo di voce, simulando incredulità “Ma come… come è possibile? È successo così, da un giorno a un altro?”
Danny annuì e bevve un sorso di whiskey.
“Sì” ammise, il volto impietrito dalla collera mista alla tristezza “E’ buffo, ma è andata proprio così…”
“Ti andrebbe, non so… di parlarne?” osò l’altra “Se hai bisogno di uno sfogo, io ho tutto il tempo del mondo...”

Il ragazzo le rivolse un sorriso sincero, anche se spento, e si schiarì la voce prima di iniziare a raccontare tutte le cose che Cassie già sapeva fin troppo bene.

 

 

~~~

 

 

Dopo aver lasciato l’ospedale, Clarissa era tornata verso casa con i ragazzi per poi restare nell’auto di Tom, parcheggiata a pochi metri dall’appartamento; aveva fornito a Harry e Dougie una veloce ma completa lista di tutte le cose che avrebbe dovuto portare via e i due amici avevano promesso di portarle tutto il necessario in giornata.

“Adesso pensa a riposare un po’, ok?” le consigliò Dougie dal marciapiede, mentre la ragazza tentava di sorridergli al di là del finestrino abbassato, dal sedile del passeggero.
Il bassista le accarezzò una guancia, impietosito, e la salutò dicendole: “Si sistemerà tutto. Datevi solo un po’ di tempo. A stasera…”
Clarissa agitò una mano per dirgli “Ciao” e si trattenne dal scuotere negativamente il capo: avrebbe soltanto fatto intestardire ulteriormente il suo amico.

Harry e Tom suonarono alla porta, nessuno aprì.
“La sua macchina non c’è, credo sia ancora… fuori…” ipotizzò il batterista “Forse Clarissa ha le chiavi…”
“Dovremmo… chiedergliele…” concluse il collega, preoccupato.
L’altro sospirò e concluse: “Lo faccio io…”.
Raggiunse Dougie e Clarissa e si rivolse alla ragazza, armato di tutta la delicatezza di cui era capace: “Claire… Non avresti le chiavi di casa? In casa non c’è nessuno e…”
In un gesto stanco e lento ricevette il mazzo adornato da un pupazzetto di gomma.
“Quelle del portone sono la più grande e poi quella colorata di blu” lo avvertì inespressiva.
Harry annuì e preferì non aggiungere altro; si limitò ad invitare Dougie a seguirlo con un cenno. Il bassista allora salutò l’amica con un gesto della mano a cui lei rispose con un sorriso forzato.
Mentre alzava il finestrino, Tom tornò a sedersi al posto di guida.

“Claire?” la chiamò a bassa voce.
“Mh?”
Si voltò a guardarlo e lui non le disse niente, le sorrise soltanto.
Tentò di rispondere con un altro sorriso, ma proprio quando stava per riuscirci un singhiozzo le invase la gola, uscì soffocato e la costrinse a coprirsi il viso con le mani un’ennesima volta, per non farsi vedere di nuovo in lacrime.
Il chitarrista piegò gli angoli della bocca in giù e le passò gentilmente una mano sul ginocchio destro, tentando di consolarla.
“Non ci vorrà molto, ok? Dieci minuti e saremo arrivati…” la rassicurò, sperando che lo stesse ascoltando in mezzo ai propri singulti.

 

 

“Claire… Tesoro, entra!”

Giovanna la strinse a sé come una mamma con la propria figlia.
Clarissa chiuse gli occhi rossi e pizzicanti e si abbandonò all’abbraccio, cingendo debolmente a sua volta la schiena della moglie di Tom, rincuorato e ottimista dietro di lei.
“Ehi, che ne dici di un bagno caldo? Ti ho preparato la vasca di sopra, perché non vai a rilassarti un po’?” le propose gentilmente la ragazza dopo averle tolto il cappotto.
Gettando un’occhiata alle scale, il chitarrista le fece notare: “Si è fatta male alla caviglia, non dovrebbe fare troppi sforzi!”
“Oddio, e adesso?” si chiese Giovanna.
“Non importa” intervenne la loro ospite, zoppicando verso il primo gradino “Mi appoggio al muro e sposto il peso sull’altra gamba, Tom, non è un problema…”
“Aspetta, vengo con te!” le andò dietro l’altra.
“Ma non ce n’è bisogno…” si oppose la ragazza.
“Claire, per favore…” la persuase Tom, paziente.
La sua migliore amica si arrese con un sospiro rassegnato e lasciò che Giovanna la prendesse sottobraccio mentre insieme salivano verso il bagno. 

 

“Qui ci sono gli asciugamani, te li lascio sulla sedia…”
“Grazie, Gi… Non c’era bisogno di-“
“Se vuoi lavarti anche i capelli, il phon è nello sportello in basso a sinistra. Ok?”

Giovanna spostò lo sguardo su di lei.
Si guardarono, confuse. Clarissa non diceva niente.

“Pensi… pensi di lavarteli?” chiese timidamente l’altra, conciliante.
La ragazza si portò una mano alla testa, le dita si infilarono tra le ciocche bionde umide e appiccicaticce a causa della lacca.
Una veloce occhiata allo specchio le mostrò il proprio riflesso.

I residui del trucco erano colati lungo le guance.
Gli occhi erano rossi, gonfi, orrendi.
Aveva i vestiti sporchi di acqua fangosa e polvere di asfalto.

Era troppo.

Giovanna le si parò davanti e l’abbracciò, soffocando un suo singhiozzo nell’incavo della spalla, dove Clarissa nascose il viso.
La lasciò piangere e non le disse una parola, si limitò a cullarla nella sua stretta finché non la sentì calmarsi.

“Usa pure tutto quello che trovi sul bordo, ci sono shampoo e balsami per un esercito…” le disse infine prima di lasciarla sola in bagno.
L’amica accennò un sorriso e mormorò un altro “Grazie”, dopodiché si spogliò dando le spalle allo specchio e accumulando i vestiti in un angolo.

 

Per rimuovere la schiuma dello shampoo dalla testa, la immerse per metà, annegando anche le orecchie nel suono ovattato dell’acqua che gorgogliava ad ogni suo movimento.

Si strinse nelle spalle, provando vergogna mentre fissava il soffitto bianco, come se quest’ultimo potesse spiarla nella sua nudità esposta e rea confessa.
Quel corpo, così abituato a sentire Danny, con la sua pelle, le sue mani, il suo calore… avrebbe dovuto abituarsi alla solitudine.
Solo in quel momento realizzava che non avrebbe mai voluto fare ciò che aveva fatto.
Era intontita, su di giri, frastornata dal fascino nuovo del primo che le era passato davanti.
Non che fossero giustificazioni, le sue, solo constatazioni: lei in primis si considerava colpevole.
E… perseguibile.
Portare via tutte le sue cose da quella casa, piangere a dirotto, subire le sue grida, i suoi insulti, il suo disprezzo…
La parte più brutta doveva ancora venire.

L’irrefrenabile voglia di tornare indietro. Un indignitoso aggrapparsi alle più flebili speranze.
L’accettazione.

Le lacrime sgorgarono senza alcun singhiozzo, spontanee e silenziose.
Si coprì il viso con le mani per poi rannicchiarsi su se stessa mentre risollevava il capo bagnato.
Con il fiato grosso per il nodo che le serrava la gola, passò una spugna imbevuta di bagnoschiuma sulle braccia, sulle gambe, sul collo…
Strusciò, strusciò, strofinò fino ad arrossarsi.

Maledetta. Che cos’hai fatto.
Sei una puttana, devi soffrire, non ti meriti altro.

Alla rabbia verso di sé seguì un pianto isterico che le provocò delle convulsioni. Furiosa, scagliò la spugna nell’acqua e si tirò i capelli ruggendo ad occhi sbarrati. Il batticuore le impedì di sentire la propria voce distorta dalla collera.

 

 

“Claire? Claire, va tutto bene? Ti sei fatta male?”

Giovanna bussò due volte a vuoto e se ne stette in attesa davanti alla porta. Tom la raggiunse dopo pochi secondi, preoccupato quanto lei.
“Non si sarà fatta male alla gamba?” azzardò incerto.
“Ma se è caduta dovrebbe lamentarsi, si dovrebbe sentire qualche… qualche rumore, insomma…” balbettò sua moglie.
“Clarissa? “ tentò il chitarrista, colpendo la porta con discrezione “Hai bisogno d’aiuto?”

Niente.

La ragazza fissò il marito, indecisa sul da farsi, e un suo cenno la convinse a fare capolino nel bagno…
“Ehi, abbiamo sentito dei rumori…” esordì a bassa voce per poi interrompersi bruscamente, il respiro morto in gola.
Tom la richiamò perplesso: “Gi? Che c’è?”
“Claire, oddio…”

 

Non guardò neanche per un istante il suo corpo nudo.
La prese in braccio, infradiciandosi quasi completamente, e prese a schiaffeggiarle il volto per tentare di risvegliarla con Giovanna al suo fianco, che la copriva alla meglio con un asciugamano, in preda al panico, mentre cercava il medico di famiglia al telefono.

~~~

 

 

“Come sta?”
“Un po’ meglio, il peggio è passato…”
“Ha bisogno di essere ricoverata?”
“No, ma quello che le è successo è una sorta di… campanello d’allarme. La vostra amica ha bisogno di farmaci. E di riposare.”
“Che tipo di farmaci?”
“Tranquillanti. Leggeri, almeno per il momento. Vorrei farle fare un ciclo di dieci giorni con un farmaco nuovo, leggero, non la scombussolerà più di tanto, solo dormirà un po’ più profondamente, almeno all’inizio…”
“Tranquillanti? Per Claire?”
“Ce n’è bisogno, Tom.”
“Ho capito, ma…”
“Dottore, non avrà bisogno, non so, di parlare con qualcuno?”
“Io non sono uno psichiatra, ma… da quel che ho capito, la ragazza necessita solo di serenità e di amici con cui stare. Fondamentalmente è molto abbattuta, ma risponde agli stimoli, sia nel fisico che nella mente. Non è depressa, né isterica.”
“Certo che no. Non lo è mai stata.”
“Non volevo dire questo, Tom.”
“Lo scusi, dottore… Ci siamo spaventati moltissimo, credevamo che volesse… che volesse uccidersi.”
“Parlatene con lei appena sarà un po’ più in forze. Abbiamo fatto una chiacchierata durante la visita e le sue intenzioni non erano quelle. Ma voi la conoscete sicuramente meglio di me…”
“Grazie per essere accorso subito… Non volevamo trascinarla di nuovo in ospedale…”
“Dovere, dovere. Chiamatemi ogni volta che ne avrete bisogno. E statele vicino.”
“Di sicuro. Grazie ancora, dottore, arrivederci…”
“Buonasera a voi.”

Tom si chiuse la porta alle spalle e incrociò gli sguardi ancora scossi di Giovanna e Dougie, corso a casa Fletcher dopo che aveva chiamato il collega per dirgli che aveva con sé parte delle cose di Clarissa da consegnarle.

“Vogliamo andare a vedere… come sta?” propose proprio il bassista, esitante, puntando le scale con gli occhi.
Giovanna fece spallucce con aria dubbiosa e Tom si fece avanti per primo: “Sì, controlliamo se è sveglia…”

 

“Credo che mi verrà un’influenza paurosa, ma sono qui…” la sentì dire appena entrò nella stanza, seguita dai due musicisti.
“Si può?” domandò Dougie.
“Certo che potete… “ rispose la ragazza con un sorriso gentile mentre si sistemava meglio l’asciugamano sulla testa per tamponare i capelli umidi.

Tom e il bassista le sedettero accanto, Giovanna la fissò rincuorata dai piedi del suo letto, nella stanza degli ospiti.

“Ti fa ancora male la caviglia?” si informò “Non sarebbe meglio spalmarci qualche pomata sopra?”
“Tranquilla, era solo una storta, non si è neanche gonfiata…” la rassicurò la bionda, rivolgendosi poi ai due ragazzi: “Voi state bene?”
Dougie ridacchiò nervosamente, imitato da Tom, che rispose per entrambi: “Adesso sì. Adesso sì…”
“Non volevo fare quello che state pensando” intervenne subito la ragazza, seria “E’ stato… è stato un momento. Ha cominciato a girarmi la testa e sono svenuta. Tutto qui.”
“Un-“
“Crollo nervoso. Sì, Doug. È stato quello e… sono svenuta perché non ho retto.”
“Vuoi riposarti un po’, Claire? Ti ho messo i vestiti a lavare, il cambio lo ha portato Doug…” fece Giovanna, premurosa.
Dougie confermò: “Ti ho preso i vestiti, i libri e tutta la roba per il bagno. Al resto penserà Harry, l’ho lasciato ancora indaffarato in casa…”
“Grazie, Poynter” ribatté Clarissa, spettinando grossolanamente i capelli dell’amico “E grazie anche per aver portato il borsone pieno di tutta la roba fin quassù…”
“Di niente. Forse Judd si farà vivo in serata. Ti farà sapere lui. Io vado adesso, Frankie vorrà sapere come stai… Ci vediamo in questi giorni, ok?”
“Volentieri, certo…”
“Riposati!”

Un bacetto veloce sulla fronte e il bassista uscì dalla stanza dopo aver salutato anche l’amico. Giovanna lo accompagnò fino alla porta d’ingresso.

 

Clarissa e Tom rimasero soli.
La ragazza gli lanciò un’occhiata sorridente e gli disse: “Non è successo niente. Devi stare tranquillo, ok?”
Il chitarrista ribatté con aria angosciata: “Lo so. È che… per un attimo ho avuto paura sul serio…”
Lei spense il suo sorriso e lo avvertì: “Il dottore mi ha detto che dovrò prendere dei tranquillanti. La cosa non mi piace, ma se dicono che mi farà stare meglio… Ho paura. Mi sento come se in qualsiasi momento potessi rivivere quello che è successo…”
“E’ finito, Claire. Sei qui, lontana da tutto e da tutti. Ci siamo noi con te, ok? Ci sono io…” la rassicurò il ragazzo, stringendole la mano destra.
L’altra aumentò la stretta e ribatté con voce tremante: “Ho sbagliato. E adesso devo pagare. È come se… come se stessi cercando di portare in salita un masso enorme sulle spalle. Sono stanca, mi sento sempre stanca, io non so se…”
“Ce la farai” la interruppe l’altro, guardandola negli occhi “Non importa quanto ci vorrà o quante ricadute avrai. Non lascerò che tu ti arrenda. Te lo prometto, fosse l’ultima cosa che faccio.”
Clarissa annuì con il labbro inferiore tremulo e abbracciò il suo migliore amico, ricacciando indietro le lacrime.
“Andrà tutto bene, sì…” mormorò, facendosi coraggio.
“Questo è lo spirito giusto…” sorrise Tom, accarezzandole la schiena.

 

 

~~~

 

 

Si incontrarono in corridoio e Danny sobbalzò per la sorpresa. Harry lo salutò per primo.

“Ciao. Scusa, sono solo venuto a… prendere alcune cose di Claire…”
“…Ah” fu la replica apatica del chitarrista, che mollò le chiavi dell’auto sul mobile vicino alla porta per poi dirigersi in cucina, alla ricerca di una birra fresca in frigorifero.

Il batterista continuò ad accumulare indisturbato gli effetti personali della sua amica in un grosso zaino: pochi indumenti che Dougie non era riuscito a far entrare nel borsone, qualche CD, un paio di fotografie incorniciate, i medicinali, un aspirapolvere, alcuni prodotti di bellezza. Gli ci era voluto un po’ per trovare tutto quanto, ma il peso finale non sembrava essere granché ingombrante. Si caricò la sacca sulle spalle ed imbracciò l’aspirapolvere.

Dando una rapida occhiata all’orologio constatò che si erano già fatte le sei. Decise di andarsene.
Ma non prima di aver chiesto una cosa a Danny…

“Io qui ho finito” annunciò all’amico seduto al tavolo, pensieroso e freddo “Le chiavi per entrare me le ha date Clarissa. Che cosa ci faccio?”
Gliele sventolò davanti con disinvoltura dopo averle estratte dalla tasca dei jeans; il chitarrista gli si avvicinò per togliergliele e rispose impassibile: “Queste sono di casa mia. Le terrò io.”
Annuì, camuffando una nota di delusione negli occhi, e fece per salutarlo con un semplice “Ci vediamo”.
Ma l’altro lo costrinse a fermarsi sull’uscio.

“Ha mandato te, dunque. Si è fatta servire e riverire. Siete stati molto… cortesi…” insinuò con sarcasmo con la voce stranamente impastata.
Il ragazzo ridusse gli occhi a due fessure e ribatté lapidario: “Io e Dougie ci siamo offerti di portare tutte le sue cose a casa di Tom, che la ospiterà per un po’ di tempo. È finita in ospedale per una crisi di nervi. Giusto perché tu lo sappia.”

Lo lasciò a quel modo, sbattendo il portone.
Danny rimase immobile in mezzo all’ ingresso, la bottiglia di birra in una mano e il mazzo di chiavi nell’altra.
Sbuffò stancamente e scosse la testa, disgustato.

Che amici del cazzo…

Cassie sì che gli era stata d’aiuto. Lei non lo aveva lasciato solo.
Lo aveva difeso a spada tratta, gli aveva offerto il proprio sostegno e aveva concluso la loro rinfrancante chiacchierata con un bel “Chiamami se hai bisogno di me, Dan. Io ci sono.”.

Lei c’era. Lei.
Loro…
Loro erano da Clarissa. A consolare, aiutare, difendere, sostenere Clarissa.

Gli scappò una risata amara mentre tornava in cucina.

Qui la vittima sono io… e che succede? Che vanno tutti da lei, povera piccola innocante troia.
Stronzi.

Finì la sua prima bevuta e ne prese una seconda, preferendo un bicchiere di vodka.
Dopo due lunghe sorsate si ritrovò a fissare il soffitto con gli occhi lucidi.
Si sentiva triste. Solo. Abbandonato. Rifiutato senza un motivo. Rimpiazzato.

… Ospedale?

Gli ritornarono in mente le ultime parole di Harry pochi istanti più tardi, in mezzo alle immagini sfocate di Clarissa, prima sorridente e poi urlante dietro alla sua auto.

***

Titolo del capitolo: direttamente dai versi di "Down goes another one", dell'album "Radio: ACTIVE". No lucro!!!

   
 
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