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Autore: cartacciabianca    07/01/2011    5 recensioni
L’attivazione del Frutto dell’Eden durante e dopo lo scontro finale ha cosparso Masyaf di una maledizione. Avvenimenti insoliti turbano la quiete della sua gente. Altaїr e Malik, imbrigliato il governo della cittadina, si troveranno ad affrontare le stranezze di una città caduta nelle polveri del tempo e sprofondata nelle paludi della deficienza. Non sono concesse debolezze: il popolo ha bisogno di loro, ma ignorare i propri istinti diventa impossibile quando si ha più bisogno l’uno dell’altro. Un misterioso battaglione armato sta razziando le terre attorno alla roccaforte e minaccia di circondare la base dell’Ordine degli Assassini. Che siano nuovi Templari? Pronti a riaprire vecchie ferite e disposti a sgozzare innocenti pur di annientare una volta per tutte i loro epocali avversari? Oppure è qualcosa di molto più grande dei Templari stessi? Magari una forza sovrannaturale che ha cosparso germogli di guerra e si presenta come la reincarnazione della Potenza Divina...
Per scampare alla morsa della pazzia e risolvere questo mistero, i nostri assassini dovranno tenere a mente due cose soltanto: che niente è reale e che tutto è lecito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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VI


Gli sfollati di Al Quadmus si erano accampati temporaneamente fuori dal villaggio, lungo la strada sterrata che costeggia il lago e il crepaccio, occupandola tutta – tra carri, tende e bestiame – fino alla prima arcata pietrata. La scelta non era stata casuale: Mansur, in quanto ospiti, aveva scelto (poco) saggiamente di mantenere le distanze tra il suo e il popolo di Masyaf per non caotizzare oltremodo la cittadella. Quell’uomo poteva avere tutto il senso altruista che voleva, ma se i misteriosi soldati fossero avanzati nelle terre degli Assassini senza alcuna intenzione di pace, la sua gente sarebbe andata incontro alla morte prima del tempo. Malik apprezzava il contegno e il rispetto dimostrato in cambio dell’ospitalità, ma avrebbe di gran lunga preferito che il popolo di Al Quadmus si stabilisse all’interno della cittadella o addirittura nella fortezza stessa, al fine di garantire efficacemente la protezione promessa. Durante la mattina, perciò, il falco era stato molto occupato.
Poco dopo la partenza di Altaїr, aveva fatto disporre il cortile interno della fortezza nel modo più propizio ad ospitare un centinaio di persone. Aveva ordinato alle guardie di sradicare i manichini per l’addestramento al lancio di pugnali ed erigere dei tendaggi dove improvvisare giacigli. Anche le stalle erano state trasformate in una confortevole capanna, simile a quella ove alloggiarono Maria, Giuseppe e Gesù nei racconti della Sacra Bibbia. Le cavalcature degli assassini Malik aveva richiesto che fossero spostate fuori dai cancelli o nei pressi del mercato: una nottata o due sotto le stelle non avrebbe fatto loro alcun male; anzi, si sarebbero irrobustiti le ossa in vista dei prossimi viaggi.
La Fortezza degli Assassini, in tutto ciò, era un andirivieni di guardie, servi e fratelli che si rendevano utili nel migliore dei modi possibili. Malik dirigeva il traffico direttamente sul campo, correggendo dove poteva errori o intransigenze ai suoi ordini. Gli era capitato di riprendere uno stesso confratello più volte: i pali reggenti di quel tendaggio andavano piantati più affondo nel terreno o tutto sarebbe crollato al primo starnuto. I cappucci grigi passavano lui sotto agli occhi ormai tutti uguali; era giunto addirittura a confondere il nome di una guardia cittadina per quello di un apprendista assassino. E il caldo non aiutava.
-Maestro, io sono Hijar. Lui è Yasef.-
-Sì, perdonami. Tu: va’a prendere altre lenzuola, e nel tragitto convocami Imad S’Il-Kaahed. Lo troverai sulle mura in compagnia del comandante Husam.-
Il novizio annuì e si affrettò a scomparire dal suo campo visivo.
Il figlio di Mansur si era dimostrato subito utilissimo in fatto di azioni preventive. Malik aveva inizialmente pensato d’impiegarlo altrove, ma era stato Imad stesso, appena indossate le vesti da confratello, a mettersi in ballo con ottime ragioni. Aveva detto di ricordare molto sulle armi adottate dai misteriosi mercenari e di saperla lunga persino sulla “dinamica” che avrebbero impiegato in caso d’assedio alla fortezza. Il falco era rimasto un po’ dubbioso: è raro imbattersi in un giovane uomo capace di calcolare tanti dettagli minuziosi, che sarebbero sfuggiti ai migliori condottieri, durante la messa a ferro e fuoco della propria patria. Mantenere la lucidità tattica di uno stratega nelle situazioni più contorte era un grande valore che Malik stentava a riconoscere così presto.
Imad era in compagnia del più valoroso tenente siriano, conosciuto col nome di Husam, a discutere dell’eventuale futura battaglia. Il figlio di Mansur si sarebbe rilevato fondamentale nella difesa della fortezza, nel qual caso il misterioso esercito di mercenari avesse deciso di attaccare la cittadella. Imad l’aveva colpito già una volta, a confronto di suo fratello minore, per la tranquillità e la quiete di spirito. Malik sapeva di aver catturato una mente saggia e forse avrebbe trovato più fruttuoso compiacersene in un altro momento. Ma il tempo stringeva e bisognava mettere al riparo la gente di Al Quadmus prima che all’orizzonte si fosse delineata l’avanzata nemica.
Mansur era tornato dal suo popolo per rassicurarli che la loro richiesta di protezione era stata pienamente accolta, e che l’intera cittadella era nel pieno delle attività al fine di garantire spazio sufficiente per tutti. In caso di assedio, e se il nemico si fosse dimostrato più abile di quanto sperato, all’interno della fortezza sarebbe stato necessario accogliere non solo gli sfollati di Al Quadmus, ma l’intero popolo di Masyaf, che misurava all’incirca sei o sette volte quello del piccolo villaggio saccheggiato.
Imad e Husam, tra i merli delle mura, mettevano in discussione i vaghi ricordi dell’uno e l’esperienza militare dell’altro, mescolando il tutto in un unico pentolone strategico. Malik pregò vivamente che, in quel breve lasso di tempo concesso loro assieme, i due fossero riusciti a disporre un buon piano di difesa. La fortezza non contava su altro che archi e frecce, in fatto d’armi. Poi c’erano gli oli bollenti e quella lunga serie di trappole dimenticate, i segreti dei quali i grandi maestri costruttori del passato avevano portato con sé nella tomba. Restava poco da fare a parte disporre alla bell’e meglio gli arcieri sui merli e sperare di non veder spuntare catapulte o arieti tra le file nemiche.
Maher era l’unico membro della famiglia S’Il-Kaahed per il quale Malik cominciava a temere il peggio. Affidarlo nelle mani di Altaїr era stato come mettere su una zattera un orbo e un cieco. Se ne rendeva conto solo ora perché aveva trascorso gran parte della mattina, mentre dirigeva il traffico nella fortezza, a rimuginare sulle contestazioni dell’aquila senza mai compiacerle davvero. Ma veniva il tempo di ammettere che Altaїr era stato più cosciente di lui nel calcolare razionalmente l’utilità di Maher nella missione. A compensare le teste calde, però, sapeva di poter contare su Khalid, un nome piuttosto noto nella nuova generazione di assassini. La veste di medio rango, corta ma bianca per intera, parlava per lui se si contava che aveva raggiunto quel prestigio dopo solo qualche anno di addestramento. Con tutto se stesso Malik sperò, pertanto, che nessuno si facesse male e rientrassero tutti per cena.
Imad giunse al suo cospetto dopo aver vagato errante tra un gruppo di saggi che si contestavano a vicenda sul terrazzo davanti all’ingresso della fortezza. Il figlio maggiore di Mansur aveva corso fin lì per poi tornare indietro senza più fiato. Malik si annotò che, in caso Imad avesse dimostrato interesse nella confraternita, il suo ruolo sarebbe potuto convergere unicamente nel settore strategico: sarebbe stato inutile o difficile addestrarlo alla corsa sui muri, se dimostrava tanta pigrizia di corpo.
-Mi avete chiamato, mio Signore- azzardò un inchino col capo, asciugandosi la fronte.
Il sole cadeva a picco nel cortile: Malik aveva imitato quel gesto almeno trenta volte prima di lui. –Sì, volevo chiederti come sta andando il tuo colloquio col generale Husam.-
-Ottimamente, oserei dire. Il comandante è un grand’uomo e ammette che i miei consigli stanno tornandogli utili.-
-Ti spiace se assito?-
Sul viso d’Imad si stampò un festoso sorriso. –Non era necessario chiedere-.
Un modo gentile per dire: “potevi salire quando ti pareva risparmiandomi la corsa fin qui!”, pensò Malik sorridendo a sua volta.
Affidò la gestione ad Hijar, che aveva da poco concluso d’innalzare un nuovo tendaggio, e seguì il giovane Imad su per la scaletta in legno che si arrampicava fino ai bastioni. Tenere eretto il busto nel vuoto giusto qualche istante e afferrare il piolo successivo con una mano sola mentre sollevava un piede alla volta, per lui fu tutt’altro che una fatica. Se spesso e volentieri spolverava i muscoli intorpiditi di braccio e addominali lo doveva solo a quelle gracili scalette di legno. Il resto della fortezza, tra erranti passeggiate per giardini e biblioteche, teneva in allentamento solo la mente e le gambe. Imad, pur arrossendo, si era offerto di aiutarlo ma Malik aveva rifiutato subito senza mostrare alcuna esitazione. Non era un debole, e ne aveva dato prova in più occasioni durante la giornata. Aveva sradicato lui stesso e per primo un manichino d’allenamento, incitando le guardie a fare altrettanto. Aveva piantato nella terra ben quattro paletti, futuri sostegni di un tendaggio sufficiente ad ospitare una famiglia di otto elementi. In fine aveva montato il suo fedele cavallo baio dalle stalle alla piazza del mercato, guidando le sue e le redini di altre due bestie con una mano soltanto. Dietro di lui si erano alzati, assieme alla polvere, elogi e sguardi commossi di guardie e cittadini. Non era proprio tipo da dare quel genere di spettacolo, anzi, il suo mettersi in ballo era un chiaro modo di sottolineare oltremodo l’urgenza delle faccende. Poi, se da una parte Malik aveva gestito il traffico della fortezza affidando ai suoi fratelli i compiti più faticosi, dall’altra si era dimostrato disponibile a rimboccarsi le maniche tanto quanto guardie e allievi. Ecco quale, probabilmente, sarebbe stata la differenza che lo avrebbe distinto dai Mualim del passato. Il falco aveva contrastato a sufficienza le ostilità dell’avere un’ala soltanto. Più precisamente aveva imparato a conviverci a tal punto da poter ricominciare a prendere lezioni di volo. Certo: avrebbe dovuto dimenticare trucchi ed esperienze sostituendoli ad una tecnica del tutto nuova capace di sfruttare l’arto mancante a suo vantaggio senza più considerarlo uno handicap – pensiero che aveva lasciato appassire nei meandri dei primi tempi, quando vestirsi, lavarsi o anche solo camminare, per la mancanza di equilibrio, erano diventate imprese degne di un semi-dio.  
Ma poiché adesso era tornato padrone del proprio quotidiano, ambiva a fare altrettanto per gli altri. Rifugiarsi nella Dimora di Gerusalemme, abbandonando la sua gente nelle mani di un vecchio pazzo, era stato un errore che tutt’ora ambiva di sopprimere nella propria mente. Gli fosse costata una vita intera, l’accudire Masyaf e il suo popolo sarebbe stata la sua prima ed ultima missione per redimersi. Non aveva bisogno di scusarsi di altro. Almeno per ora.
Giunto sul pianerottolo, Imad si voltò indietro esitando se tendere un braccio o meno in soccorso del Maestro. Non appena videro spuntare la capoccia di Al-Sayf, le guardie vicine si affiancarono al giovane Imad fino a sovrastarlo. Questa volta Malik dovette arrendersi, sorridendo, alla concezione che qualche mano in più avrebbe fatto comodo. Staccò la propria dall’ultimo piolo e la tese verso una guardia che, in una sincronia perfetta, gli afferrò il braccio saldamente. Malik si lasciò aiutare a venir issato sul pianerottolo da più incappucciati e ringraziò tutti, congedandoli, stirandosi le pieghe della veste con l’unica manica. Le due guardie tornarono ai propri appostamenti e Imad, visibilmente rosso d’imbarazzo, s’incamminò su ordine del falco.
Giunsero tra i merli della facciata anteriore della fortezza. Da quella terrazza Al Mualim aveva assistito all’esecuzione di un loro confratello e dichiarato ufficialmente aperte le ostilità tra Assassini e Templari. Sotto il suo comando, però, stava in realtà affermandosi un ordine intermedio del quale Al Mualim si era posto vertice assoluto. Poi, in un secondo momento e al cospetto del suo allievo migliore, aveva chiamato a testimone la luce volendo dimostrare la menzogna dell’ombra; ed aveva così cercato di abbattere il pilastro fondamentale del Credo.
Niente è reale. Tutto è lecito.
I coraggiosi che avevano messo in discussione questa frase si contavano sulle dita di una mano.

“Colpiscimi Kadar, avanti.”
“No!”
“Se non lo fai, non diventerai mai un Assassino!”
“Nooo!”
“No cosa?!”
“No! Io non  voglio non diventare un Assassino!”
“…Allora colpiscimi, dai, e fa’ alla svelta.”
“…No!”
“Se non riesci a colpirmi come le uccidi le persone?!”
“Sei mio fratello!” lagnò scoppiando in lacrime, “Non voglio ucciderti…” Il bambino si asciugò le ciglia con la manica e tirò su col naso, prima che Malik potesse vedergli colare il moccolo sulle labbra.
“Kadar, non devi uccidere tuo fratello”, intervenne il Mualim fuori campo, “devi semplicemente colpirlo. Un pugno, un calcio, quello che più di aggrada. Ripeti cosa stiamo imparando oggi, avanti.”
Kadar esitò a lungo. Sul cerchio di allievi riuniti attorno al cortiletto per gli addestramenti piombò un angoscioso silenzio. Il piccolo Al-Sayf guardò a terra, osservando le proprie lacrime precipitare al suolo e, quando parlò, il pianto gli solleticava ancora la gola: “I nemici più astuti si nascondono tra gli amici” disse riempiendo la voce di singhiozzi.
“Esatto”, esordì il Maestro, “non dovete esitare a confrontarvi anche con chi vi è caro: finireste col venirne travolti se mai vi fosse l’urgenza di combatterlo”, spiegò ai ragazzi. “E questo, Kadar, perché?” domandò tornando a rivolgerglisi.
Kadar deglutì strizzando le labbra, bagnate di lacrime salate. Il cuore di Malik, immobile di fronte al fratellino, batteva fortissimo per l’emozione. Aveva capito cosa stava chiedendo il Mualim a suo fratello. Ma suo fratello avrebbe risposto quello che il Mualim avrebbe voluto sentire?
“Perché…”, balbettò Kadar, “perché…”, tirò ancora su col naso, prendendo tempo. “Perché niente è reale”, s’interruppe alzando finalmente il mento dal petto e piantando gli occhi in quelli oscurati dal cappuccio del Maestro. “Neanche l’amicizia” concluse serio come suo fratello non lo aveva mai visto e come lui non era mai stato.
Malik lasciò cadere le spalle lentamente, trafitto dalla lingua biforcuta del mostro che lui stesso aveva contribuito a creare.
Soltanto la sera prima, nel letto che i fratelli Al-Sayf condividevano in una stanza assieme ad altri quattro allievi, Kadar aveva confessato di non riuscire a capire il significato di quelle parole pronunciate tanto spesso da tutti. Mentre Malik fissava il basso soffitto sopra il proprio naso, Kadar si era rannicchiato sotto le coperte, tirate fino alle labbra. Aveva concluso i suoi infantili ragionamenti sulle cose vere e le cose false così: “Non ha senso, è stupido.”
A quel punto Malik lo aveva fulminato con un’occhiataccia, e per poco non l’aveva anche picchiato. “Se è questo che pensi, tu sei l’unico stupido.”
Il modo in cui l’aveva guardato Kadar, dopo essersi sentito insultato dal fratello maggiore, Malik non l’avrebbe mai più dimenticato. E nemmeno l’altro.

-Maestro Malik- il comandante Husam s’inchinò pronunciando per la prima volta quell’elogio accanto al suo nome. Il falco non ricordava d’essersi mai proclamato tale, ma a tutti lì dentro veniva spontaneo chiamarlo in quel modo.
-Generale Husam- sorrise Malik, ricambiando con la stessa moneta.
L’uomo nascosto sotto il cappuccio bianco e in vesti grigie chinò nuovamente la testa. –Imad si sta dimostrando indispensabile come pensavate, mio Signore. C’è molto dei nostri nemici che avrei stentato solo a immaginare- disse mentre il ragazzo gli si avvicinava, ancora rosso in viso.
-Del tipo?- domandò Malik avvicinandosi al tavolo improvvisato con due casse e un’asse di legno, sulla quale era stata stesa una cartina del territorio circostante; come una minuscola annotazione, incastonato nella valle appariva il nome del piccolo villaggio predato. I misteriosi mercenari erano personificati da quattro pedine nere, pezzi importanti da scacchi, mentre gli assassini erano tre semplici pedoni bianchi arroccati sulla loro fortezza tra le montagne.
-Imad ci ha confidato che i nostri avversari hanno attaccato il suo villaggio senza risparmi: dalle frecce infuocate alle armi d’assedio, mio Signore. Per quanto ne sappiamo, Al Quadmus è stata rasa al suolo e i misteriosi soldati potrebbero aver esaurito le munizioni oppure averne tante da rivoltare due volte Gerusalemme.-
Pesando il suo tono di voce assieme alle parole del generale, Malik capì che erano nello sterco fino al collo. Era cosa rara che il comandante Husam si facesse intimidire fino a questo punto. La sua prestigiosa esperienza militare era mancata loro in un primo assedio di Masyaf, quando i Templari decimarono la popolazione costringendoli a rifugiarsi nella fortezza. In quel momento un uomo come Husam avrebbe fatto comodo e, sicuramente, rovesciato le sorti della battaglia.
Questa volta Masyaf contava, al contrario, di minimizzare l’effetto sorpresa e farsi trovare pronta alla battaglia.
Gli uomini migliori dell’intero corpo di guardia cittadina erano già schierati agli ingressi della cittadella, come rivelò Husam frantumando un angoscioso silenzio. La notizia era confortante, Malik dovette ammetterlo, ma c’era ancora molto da fare prima di mettersi seduti e aspettare. Husam disse, inoltre, che due falchi da caccia erano stati liberati e, se fossero rientrati prima di una certa ora, il tempo del volo avrebbe comunicato loro la distanza effettiva dei mercenari dalla cittadella. Come terzo punto fondamentale, il generale chiamò in causa il giovane Imad, che fece un passo avanti.
-Hanno delle imbarcazioni- comunicò costui.
Malik s’irrigidì. –Quante?- chiese.
-Quattro, per essere precisi- disse Imad guardando prima il generale Husam e poi la reazione sul volto del Maestro.
Malik, pallido, scrutò a lungo e in silenzio la cartina. –Non è possibile…-, commentò, -se così fosse avrebbero dovuto risalire il fiume dalla parte opposta e arrivare al nostro lago da sud. A meno che…-.
-A meno che non le abbiano costruite alle pendici, passandoci sotto al naso, per riscendere il corso lungo corrente- s’intromise Husam, che aveva l’autorità per farlo. –Una mossa astuta. Ci avevano quasi confusi.-
-Quasi-, sottolineò Malik, -ma non ci sorprenderanno come sperano. State svolgendo un ottimo lavoro, Generale, ma per adesso conto che manteniate le formazioni di difesa coi vostri uomini migliori.-
L’uomo annuì gonfiando il petto. –Sarà fatto- ufficializzò.
A quel punto Malik si tirò indietro e guardò Imad negli occhi. -Appena avremo notizie degli ambasciatori,- disse sfiorando un tasto personale per entrambi, -sapremo meglio che strada seguire- concluse abbandonando i merli.
Il giovane S’Il-Kaahed rabbrividì, e parve ricordarsi solo allora del fratello mandato in missione suicida in braccio al destino.


~ ۞ ~











.:Angolo d’Autrice:.
Ditemi voi: continuo? Ma se continuo, sarà ad aggiornamenti tutt’altro che costanti. E questo capitolo ne è pura prova.
Datemi i pro e i contro di questa storia. Vediamo se le vostre opinioni combaciano con i miei progetti e scopriamo assieme la strada di questa storia. È un aiuto, quello che vi chiedo. Come scrittrice e recensore veterano della sezione, certo, ma anche come quasi-sedicenne perdutamente innamorata di una cosa e una persona nella vita, entrambe momentaneamente irraggiungibili. Scrivere adesso, perciò, sarebbe il modo più facile e breve per rovinare le aspettative di quelli che, come voi, seguono le mie storie.
Grazie per l'attenzione.
   
 
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