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Autore: chaplin    09/01/2011    6 recensioni
"Les Paul, amplificatori Marshall, l'archetto per il violino, Aleister Crowley – questo era Jimmy Page.
Beh, il mio Jimmy era ben diverso."
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Boy Next Door.
Il mio Jimmy.

 

A Bron-Yr-Aur, scrivere canzoni poteva diventare anche una scusa per uscire. Uscire in mezzo ai campi verdi che si aprivano di fronte ai nostri occhi, sdraiarsi in mezzo al prato, cercare mille spunti tra i rami; scrivere canzoni non era più un impegno o un lavoro, ma diventava qualcosa di simile ad un gioco. Mi sentivo come un bambino che gioca a nascondino, alla ricerca di qualcosa che possa portare quel gradevole vento dell'ispirazione.
Mi era capitato per davvero di giocare a nascondino con gli altri, però. Giocare a nascondino con Jonesy era una cosa davvero irritante: riusciva sempre a far “Libera Tutti” senza farsi beccare, silenzioso com'era. E Bonzo si nascondeva sempre dietro allo stesso cespuglio, facendosi trovare subito. Jimmy preferiva stare seduto a guardarci e a mangiare un sandwich, svelando al contatore di turno i nascondigli e facendo quindi innervosire i vari fuggitivi.
Di solito uscivamo verso le quattro del pomeriggio a fare quella che, per noi, o al limite per me, era una continua osservazione accurata di quel che ci circondava – e tutto si trasformava davvero in un enorme spunto: da una coccinella che cammina su un filo d'erba ad una pioggia nel mezzo di una giornata soleggiata, ma anche una passeggiata con Strider riusciva a suggerirmi delle idee. Invece, quella volta, sveglio di buon'ora, avevo trovato Jimmy seduto davanti all'ingresso della casa imbracciando la solita sgangherata chitarra. Con un sorriso sul volto, un tempo delicato e pulitino e ora coperto da una folta barbetta scura, mi aveva augurato una buona mattina e, con la sua solita vocina timida, mi aveva detto: “Ti va di andare a fare un giro con me?”
Era sangue quello che mi scaldava le guancie? Stavo arrossendo. Stavo arrossendo! Sperai con tutto il cuore che lui non lo notasse – mi avrebbe preso in giro per il resto della mia vita, lo sapevo, io – e uscii dalla penombra dell'interno del cottage. Annuii, piano, a testa bassa. Lo vidi sorridere di nuovo, con quella candida dolcezza che solo lui possedeva.
Il sole era uscito in fretta da dietro le nuvole che sovrastavano solitamente il cielo inglese, l'intera campagna era illuminata da un gradevole chiarore mattutino e la bruma delle sei si era quasi dissolta del tutto. Ogni cosa compariva com'era, la rugiada punteggiava le foglie degli alberi e i raggi del sole sopra le nostre teste erano caldi e rarefatti: tutto sembrava dipinto in una impalpabile perfezione costante – avrebbe potuto addirittura durare all'eterno. Jimmy era seduto sotto il tronco della vecchia quercia dai rami piangenti dove di solito andava a sedersi per suonare, ma anche per rilassarsi, sonnecchiare, bere qualcosa.
Lo osservai mentre pizzicava le sottili corde della chitarra con le sue lunghe e sottili dita, i suoi occhi verdi che passavano lungo il manico con il suo usuale atteggiamento esperto che sfoggiava ogni volta che suonava, anche quando non c'era nessun occhio puntato su di lui – e quando lui era convinto che nessuno stesse a guardarlo.
Ed era in quei momenti che, forse, da lui traspariva la persona che era davvero, sotto quelle maschere e quelle barriere che col tempo si era costruito attorno a se, riducendosi ad uno scarno eremita privo d'una meta. Per i media, i giornalisti, i fan e le irritanti masse, lui era Jimmy Page: il mago, il dio della chitarra, l'uomo dalle dita magiche, l'occultista – e a volte, erroneamente, il satanista.
Les Paul, amplificatori Marshall, l'archetto per il violino, Aleister Crowley – questo era Jimmy Page.
Beh, il mio Jimmy era ben diverso.
Il mio Jimmy si chiamava James Patrick Page ed era un comunissimo ventiseienne con lievi tendenze alla claustrofobia e leggermente somigliante ad un giapponese eccitato. Non per niente gli facevano un sacco di domande sulle sue origini, e io non esitavo a riderci su assieme a Bonzo e Jonesy, mentre lui ci fissava in cagnesco.
Il mio Jimmy amava passare i pomeriggi liberi a leggere riviste di musica con me, indicandomi nelle foto per farmi notare ogni santa volta quanto ero figo e fotogenico – okay, scherzo. Gli piaceva anche farmi partecipare ad ogni sua presa in culo ai fotografi che entravano nella nostra vita come se niente fosse, fotografandoci nei momenti che meno interessavano al grande pubblico – quando leggevamo giornali assieme, per continuare con questo esempio, e a lui capitava di girare al contrario la rivista in questione senza che il fotografo se ne accorgesse; trattenere le risate era alquanto difficile.
Il mio Jimmy sapeva essere la persona più dolce del mondo, quando gli andava di esserlo. A volte entrava nella mia camera d'albergo e mi augurava una buonanotte. Accadeva davvero di rado, ma ogni volta recava un brivido lungo la mia schiena.
Il mio Jimmy era abituato a sedersi sotto quel tronco di quella vecchia quercia dai rami piangenti, imbracciare la sua chitarretta acustica e suonare accordi con aria spensierata, sorridendo in mia direzione, visibilmente imbarazzato – ripeteva ogni volta che poteva fare di meglio, e io ogni volta rimanevo come folgorato da ogni singolo secondo di quella piccola performance che mi riservava.
Quello era il mio Jimmy, quel James Patrick Page che ormai mi sembrava di conoscere come il palmo delle mie mani, e io sapevo di amarlo per la persona che era, nascosto dietro a muri che forse aveva costruito apposta – gli piaceva tutto quel mistero, la carisma e il fascino che provocava nelle persone, e io lo sapevo; eppure mi dispiaceva che per tutto quel tempo si fosse nascosto nell'ombra pur restando costantemente esposto come un prodotto da acquistare, toccare o provare, e che nessuno si fosse ancora degnato per davvero di guardarlo negli occhi.

 

“Beh?”
“Eh?”
Staccai gli occhi dalle sue dita e lo guardai in faccia. Aveva smesso di suonare.
“C-come ti...”
“Come mi sembra? E' grandioso, cazzo! Mi metto subito all'opera per il testo, allora...”
Sorrise per un'altra volta, tirando un lungo sospiro.
“Sei molto gentile, Percy,” disse, piano.
“Macchè,” gli risposi. Poi, ebbi un'illuminazione. “Aspet... Prova a ripetere la prima parte...”
Lui mi osservò perplesso per qualche secondo ma fece lo stesso quel che gli avevo chiesto e io mi schiarii la voce. Le parole uscirono da sole, come guidate da una forza a me invisibile, e Jimmy continuava a guardarmi con quella sua espressione indecifrabile sul viso.
I don't know how I'm going to tell you... I can't play with you no more...” canticchiai.
Scorsi una luce accendersi negli occhi di Jimmy, che mi interruppe subito.
“E'... Perfetto. E' perfetto, Plant.”
Arrossii. Oh, cavolo, stavo arrossendo di nuovo! Ma non ci feci troppo caso.
“Tu dici?”
“Certo! E come possiamo intitolarla?”
“Mmm, magari...”
Lo guardai di nuovo in faccia e sentii le mie labbra che si allargavano in un sorriso.

 

*

 

Dopo un paio di minuti passati ad accordare gli strumenti, Robert Plant scherza con l'audience dicendo, “Questo è un medley di melodie di Lonnie Donegan,” prima di annunciare: “Uno di quelli davvero buoni, soprattutto per John Bonham.”
E quando Page inizia con i primi accordi, Plant rivela: “Questa canzone si intitola The Boy Next Door, anche se avremmo bisogno di un titolo migliore.”

 

 

 

 


A/N: Hey hey, what can I d... say?
Innanzitutto, BUON COMPLEANNO, JIMMEH. ME LOVES YOU YEAH YEAH YEAH. <3
Scleri a parte, questa fic è dedicata a lui, sì. Mi scuso se fa schifo, ho cercato di dare del meglio. E' che non sono molto brava con le fiction dedicate ad una persona, o anche semplicemente ai tributi e alle dediche. Qui ho voluto semplicemente immaginarmi Robert Plant che descrive Jimmy Page in modo genuino, con una certa tenerezza, come una persona descrive un proprio amico – o anche qualcosa di più, come in questo caso.
Consideriamola una slash, anche per via di quel verbo “amarlo” che sbuca dal nulla nel primo pezzo. In fondo... No, nemmeno tanto in fondo, amo follemente le Page/Plant – o Plant/Page, o Jimmy/Robert, o Robert/Jimmy, o Jimbert, o Rommy, lol. Quindi, ecco qua.
L'ultima parte, comunque, è un brevissimo pezzo dell'immenso articolo contenuto nel numero di dicembre 2010 della rivista
Record Collector, dove parlavano sulla nascita del Led Zeppelin III, in vista del quarantennio dall'uscita. Era in inglese, quindi l'ho tradotto, anche se non tanto fedelmente. xD E, ah ecco, Strider è il cane di Robert! Nel caso nessuno conosca Bron-Yr-Aur se non per il meraviglioso brano da due minuti contenuto in Physical Graffiti, Bron-Yr-Aur è un cottage inglese dove i Led Zeppelin hanno scritto canzoni per un breve periodo.
Spero che questa fic non abbia fatto troppo schifo. E' un mio personale modo per fare gli auguri di buon compleanno ad un bravo chitarrista (lol.) che io amo abbastanza (ma abbastanza, eh), e anche un mio personale modo per onorare un brano che amo altrettanto.

Hare Krishna! Grazie a chi ha letto e soprattutto a chi recensirà. :)


 

  
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