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Autore: Stregatta    10/01/2011    9 recensioni
- E poi, boh... L'idea di un oggetto freddo ed inanimato che prende vita grazie ad una collisione del tutto casuale è stupenda. Ti fa pensare che non c'è limite alle possibilità che... Che anche la situazione più estrema, in senso negativo, si possa risolvere un giorno, per caso... E per il più stupido dei motivi. Un asteroide che paragonato alla massa di un pianeta è poco più di sasso vicino ad una montagna. -
{Uno sfigato, uno svitato, uno che passava per caso.}
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Exogenesis

Prologo

Era tornato.
A scuola, dietro gli sportelli degli armadietti, durante l’intervallo e persino nelle ore di lezione, l’argomento sulla bocca di tutti era solo uno.
Era tornato.


In verità suscitare scandalo e portare scompiglio al liceo statale di Teignmouth non era davvero così difficile: in una cittadina di circa quindicimila anime anche il minimo evento fuori dall’ordinario godeva di un’eccezionale risonanza.
Era qualcosa del quale Dominic Howard non avrebbe mai smesso di stupirsi.

Aprendo il proprio armadietto ed estraendone il libro di algebra, il ragazzo cercò di ignorare le querule voci di due ragazze che ridacchiavano e ciarlavano alle sue spalle.
- Così è tornato!-
- Già, già.-
- Certo che ha del fegato a ripresentarsi qui… A me non sembra neanche guarito, a giudicare dalla faccia!-
Altri fastidiosi risolini, poi le due ragazze si allontanarono dai loro armadietti in prossimità di quello di Dominic, che lo richiuse con energia.
Diamine, quella storia lo infastidiva da morire.
Ok, Matthew Bellamy era tornato a scuola… E allora?
Evidentemente era riuscito a superare i suoi problemi, quelli che lo avevano ridotto al rango di barzelletta dell’intera collettività locale.
La campanella suonò in quell’istante, seguita da un languido e labile coro di gemiti di disappunto da parte degli studenti.
Un’altra allegra mattinata scolastica, insomma.
Nessuna novità avrebbe potuto cancellare la routine grigia della popolazione adolescenziale di Teignmouth.


All’ora di uscita Dominic raccattò in tutta fretta le proprie cose, senza salutare nessuno e avviandosi a passo celere verso la porta dell’aula per guadagnare finalmente un soffio d’aria non viziata dai respiri di altri venti ragazzi… Certo, se alcuni di loro avessero avuto più familiarità col sapone sarebbe stato già un passo avanti nel rendere accettabile quella quotidiana convivenza forzata.
Si sforzò di ignorare la baraonda di ragazzi urlanti che lo circondavano.
Gli arrivò uno spintone, che lo gettò a terra e gli strappò un grido soffocato.
- Cazzo… Scusa! – esclamò una voce alle sue spalle, prima che il proprietario schizzasse via come una scheggia verso l’uscita, senza neanche voltarsi indietro a controllare i danni provocati dalla propria goffaggine.
Spolverandosi con aria torva i pantaloni sulle ginocchia, Dominic sibilò fra sé: - Idiota.-
Attese che la folla si diradasse lasciando spazio allo sparuto corteo dei ritardatari, al quale si unì caracollando pigramente.
Un giorno assolutamente, uniformemente, inevitabilmente normale.
Quando passò di fronte alla variopinta bacheca degli annunci appesa vicino all’uscita, Dominic le gettò uno sguardo distratto.
Uno sgargiante manifesto attirò la sua attenzione – poche parole stampate alla bell’e meglio su sfondo color giallo fluorescente, una parte di esso era occupata da un casellario per le firme.
Per la prima volta in quella giornata – anzi, in quella lunga sequenza di giornate trascinatesi da settembre fino a quel giorno di novembre – Dominic Howard sorrise, spinto da un sentimento di vaga aspettativa.


Casa Howard era l’ultima del quartiere.
In generale a Dominic questo non pesava molto: provava un curioso piacere nel passare di fronte alle case dei vicini, addobbate di panni distesi ad asciugare, di giocattoli, statue e vasi vuoti sparsi in giardino ed esposti ad ogni genere di intemperie.
Spesso però tale “giardino” era solo un fazzoletto d’erba spelacchiato abbandonato di fronte alla soglia di casa e decorato solo di tarassachi e pratoline: nulla di studiato, nulla di curato.
Non era un quartiere popolato di nababbi, quello, e la gente preferiva spendere soldi per generi di prima necessità e non scialacquarli in sciccherie superflue.
La famiglia di Dominic non faceva eccezione, ovviamente.
Il ragazzo ogni tanto si chiedeva se non valesse la pena di spendere qualche penny per acquistare qualcosa in grado di scacciare via lo squallore che regnava fuori e dentro le quattro mura che l’avevano visto crescere fino ad allora.
Anche se una ventata di colore all’esterno avrebbe costituito solo una bugia di cattivo gusto, un’illusione che non sarebbe servita a nessuno.
Il cancelletto rotto cigolò, salutando per primo il ritorno di Dominic a casa.
Calpestando i pochi fili d’erba del vialetto per evitare di imbrattarsi le scarpe del fango dal quale erano circondati, Dominic alzò lo sguardo verso la casa dei vicini.
- Taglialo dritto, scema!-
- Tu sei scema!-
- No, tu!-
Le gemelline Bradford, sedute in veranda, stavano litigando come al solito: da sopra la staccionata Dom riuscì ad intravedere che entrambe avevano in mano delle forbici ed un foglio di carta ripiegato più volte.
In quel momento la signora Bradford si affacciò dalla porta, minacciando le figlie con un lungo cucchiaio di legno: - Finitela di litigare, voi due!-
Angelica Bradford batté i piedi a terra, indicando la sorella: - Ha cominciato lei!-
Dominic scosse il capo, prevedendo ciò che accadde subito dopo: Samantha Bradford spalancò gli occhi verdi quanto quelli della sorella, assumendo l’aria innocente che sfoggiava solo in determinate occasioni, e replicò precipitosamente: - Mamma, tu
non puoi davvero credere che abbia cominciato io!-
E perché no? Sei sempre tu quella che inizia. Mocciosa infida.
La madre trascinò in veranda il suo personale
voluminoso rivestito di uno sgargiante camicione a fiori che le arrivava fino ai piedi, sempre con quel cucchiaione pendolante fra le mani.
Ponendosi le mani sui fianchi, dedicò un’occhiataccia ad entrambe le bambine, borbottando: - Vorrei proprio sapere perché non vi riesce di comportarvi da brave sorelle, tutte e due.-
Angelica e Samantha chinarono i capi umilmente di fronte alla reprimenda della signora Bradford, ma non smisero di fissarsi di sottecchi con aperta ostilità.
Dominic sospirò, decidendo all’improvviso di averne abbastanza di quello spettacolo, e salì gli scalini che portavano dal piccolo portico di casa sua alla soglia.
La porta era solo accostata, e la voce di sua madre lo raggiunse immediatamente.
- Be’, ammetto che è stata una sorpresa un po’ per tutti!-
Una donna dal tono di voce fin troppo sommesso mormorò qualcosa, e la signora Howard rise di cuore: - Cara Marilyn, tutti hanno dei grattacapi in famiglia! –
Indubbiamente, mammina
aggiunse mentalmente Dom in tono ironico, cercando allo stesso tempo di associare il nome dell’ospite ad un volto.
Marilyn, Marilyn…?
Cercò di sgattaiolare su per le scale, nel tentativo di rifugiarsi in camera sua senza essere visto, ma purtroppo per lui era impossibile raggiungere la meta stabilita senza passare di fronte alla porta aperta del soggiorno.
- Dommy ! Non vieni a salutarmi?-
Sospirando quietamente, Dominic accostò appena le labbra alla guancia della madre nel solito bacino d’ordinanza.
La donna seduta in poltrona di fronte alla signora Howard sorrise debolmente nell’osservare il gesto del ragazzo, che finalmente la riconobbe.
Marilyn Bellamy, perché non ci aveva pensato subito?
La famigerata dama di carità Diane Howard che prendeva un tè con la madre dello scemo del villaggio.
Quel cliché.
- Dominic… Cielo, come sei cresciuto in questi mesi!-
- Non tanto, a dire il vero… Ma i maschi non dovrebbero crescere tutti d’un botto?-
Diane allungò un braccio per acciambellarlo attorno alla vita del figlio, guardandolo dal basso verso l’alto: - Quando diventerai alto come tuo padre, eh, Dommy?-
La delicatezza che Dominic pose nello sganciarsi dall’abbraccio della madre era un riguardo più nei confronti della signora Bellamy che quelli della sua stessa genitrice.
- Diane, in fondo c’è ancora tempo… E comunque è già un gran bel giovanotto.- argomentò cortesemente Marilyn, prendendo un sorso di tè dalla tazza che stringeva fra le mani.
Era come se stesse tentando di prendere le distanze dall’ostilità repressa fra madre e figlio, ma allo stesso tempo a Dominic il suo sguardo sembrò quasi… Comprensivo.
Il ragazzo si sentì un po’ infastidito, ma apprezzò comunque quel tacito sostegno: ogni alleanza era ben accetta, in tempo di necessità.
- Vado in camera mia.- annunciò finalmente Dominic, e mentre usciva Diane commentò tranquillamente: - Certo, tesoro.-
Dominic divorò i gradini due alla volta, sbattendo la porta con noncuranza dietro di sé nell’entrare.
Si gettò sul letto, non prima di aver notato che fosse stato rifatto con la cura meticolosa che è proprietà universale di ogni madre – le aveva detto di non entrare in camera sua. Glielo ricordava ogni volta e lei puntualmente lo ignorava.
Si rifiutò di prendersela per questo, allungandosi a mo’ di gatto sulla superficie del proprio materasso.
Sospirò, soddisfatto. Infilò una mano in una tasca dei suoi ampi jeans sdruciti, riscaldando le punte delle dita infreddolite. Sospirò ancora, stavolta con un sorriso leggero sulle labbra.
Da un angolo della minuscola camera, poco felicemente incassata all’incrocio fra due pareti, la sua batteria esponeva le proprie cromature alla fioca luce che penetrava dalla finestra a ghigliottina.
Un gregge di nuvole color grigio perla galleggiava nel cielo, soffocando il sole basso nella loro lanugine.
Entro l’ora di cena avrebbe piovuto, constatò Dominic, sfilando le mani dalle accoglienti aperture nelle quali avevano appena cominciato ad intiepidirsi.
Chiuse gli occhi, rivedendo contro lo sfondo scuro delle palpebre abbassate il nero sbiadito dei caratteri impressi sul manifesto letto a scuola – ormai conosceva a menadito il contenuto dell’annuncio.
Il complesso jazz della scuola cercava un nuovo batterista.
Il precedente, un ragazzo del secondo anno, si era rotto un braccio giocando a basket ed ovviamente si era visto costretto a dare forfait; quando l’aveva saputo, Dominic non aveva potuto fare a meno di sperare che il complesso organizzasse delle audizioni per individuare un sostituto.
Una volta tanto, sognare quel poco che si era concesso in quelle circostanze non gli si era ritorto contro.
Un brivido di eccitazione gli riverberò nel ventre, piacevole e caldo.
Tirandosi su a sedere sul ciglio del materasso, Dominic si rivolse direttamente alla batteria poco lontana: - Vogliamo riprovarci, piccola?-
I cimbali e le altre parti lucide non brillavano più; il sole era tramontato dietro le colline.
Stando in silenzio, la risacca fomentata dal vento teso era perfettamente udibile nel suo monotono andirivieni anche da lì.
Una macchina dalla marmitta evidentemente esausta passò borbottante giù in strada, un motorino ronzò acuto subito dopo di lei.
Dominic si alzò in piedi, quando la quiete di quel pomeriggio novembrino si ripresentò con il suo familiare canto d’acqua sciabordante.
Certe volte si chiedeva se quel suono non facesse il lavaggio del cervello a tutti, se anche solo quello strascicato fruscio avesse il potere di erodere le menti degli abitanti come faceva con i sassi e le conchiglie.
Quanti desideri si era ripreso il mare di Teignmouth? Quante vite aveva modellato e consunto?


Le bacchette erano sulle scrivania, pronte all’uso.
Anche loro portavano segni di un lavorio violento ed implacabile lungo il loro stelo.
Il legno sembrava essere venuto via a morsi, strappato furiosamente da mani che pure le amavano come ogni musicista ama il proprio strumento.
Dominic le afferrò, accendendo poi la luce e mormorando fra i denti: - Facciamo casino.-


Quando smise di suonare, pioveva.
Quella era acqua diversa, non frusciava e non mangiucchiava nulla. Aveva un ritmo serrato, galoppante. Se avesse deciso di divorarti, lo avrebbe fatto in fretta come se avesse avuto qualcuno alle calcagna.
A proposito di “divorare” … Cazzo, che fame!


Il piatto fumava già di zuppa bollente, quando Dominic prese posto a tavola.
Il lampadario della sala proiettava un alone giallastro lungo le pareti, e si rifletteva anche sulla tovaglia bianca e sul volto tondo e gaio di sua madre, colorando le sue guance di una strana sfumatura paglierina.
Diane affondò il cucchiaio nella propria scodella, tirandone su una discreta dose di brodo.
- Mhmmm…- mugolò, evidentemente apprezzando la propria opera.
Il figlio non diede mostra di notare la sua reazione, tenendo gli occhi bassi sul piatto.
- Che ne pensi, Dommy? Io trovo che sia squisita!-
In effetti la zuppa non era niente male, forse non abbastanza densa ma comunque buona; Dominic annuì silenziosamente, continuando come sempre a mangiare e ad ascoltare ciò che sua madre stava allegramente cinguettando.
- Sai cosa ci ho aggiunto? Un po’ di cumino. Ricordi che l’avevo comprato per quelle frittelle, tempo fa? Ecco, a quanto pare sta bene anche nella zuppa.-
Dominic assentì senza parlare, versandosi dell’acqua dalla brocca di coccio sul tavolo.
- Di solito non sono una che sperimenta, lo sai bene … Però, sai, ogni tanto ho anche voglia di variare un po’, di cambiare sapori! Devo chiedere a Marilyn qualche altro consiglio … Che donna in gamba! Peccato per quello che le è successo … Lei e suo marito hanno divorziato due anni fa, vive con sua madre, il suo figlio maggiore è terribilmente ribelle e il più piccolo… Be’, insomma…-
Solito cenno del capo, solito tacito disinteresse da parte del ragazzo.
- Se non sbaglio il più piccolo ha la tua età … O un anno in meno? Mhm, mi sa un anno in meno, sì… Va alla tua stessa scuola. Il più grande, Paul, ha diciannove anni. Vuole trasferirsi a Londra, la prossima estate. -
- Beato lui.-
- Come, tesoro?-
- Nulla… Parlavo del cumino.-
- Mhm, già. Comunque, Marilyn Bellamy è davvero, davvero in gamba... -
- Ok, sono sazio.- la interruppe Dominic, iniziando ad alzarsi da tavola.
Le concesse un sorriso tirato per tranquillizzarla, quando Diane osservò confusa: - Ma… Ne hai lasciata metà nel piatto.-
- Be’… Vorrei tenerne un po’ per domani a cena. Sai, è così…
Squisita.- spiegò il ragazzo, continuando a sorridere in quella strana maniera poco sincera.
Un’ombra di disappunto oscurò gli occhi grandi e rotondi di sua madre, prima che tornassero chiari, allegri ed incredibilmente ottusi: - Te la metto in frigo, allora!-
- Sì, sì… Vado di sopra.- la informò piatto Dominic, prima di lasciare rapidamente la sala.


Le cene con sua madre si stavano facendo sempre più brevi, rifletté Dominic con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra della sua stanza.
Diane aveva rinunciato ad ogni tentativo di tenerlo seduto al suo posto oltre il minimo indispensabile… Alla buon’ora.
Il respiro del ragazzo si condensò sul vetro freddo, e Dominic cancellò l’alone opaco con il palmo della mano.
La maglie delle nuvole si stavano gradualmente allentando, e una stella splendeva solitaria su di un fazzoletto di cielo nero.
In quel momento, i lampioni illuminarono una figurina ammantata da un k-way arancione che avanzava trotterellando sul marciapiede.
Incuriosito, Dominic avvicinò il viso alla finestra fino a schiacciarci il naso contro.
Chi diavolo poteva aver deciso di uscire con un tempo del genere?
L’individuo era incappucciato in modo tale che solo parte del naso e degli occhi era esposta alla vista; il resto del viso e del corpo era intrappolato sotto quell’orrida cappa color mandarino.
Quando lo sconosciuto si fermò, Dominic pensò che evidentemente un minimo di buonsenso potesse essergli finalmente filtrato in testa.
Si aspettò di vederlo girare i tacchi per tornarsene a casa… Ed effettivamente andò proprio così.
Solo che, prima di farlo, il tipo sollevò lo sguardo proprio in direzione di casa sua, fissando la sua finestra che dalla strada appariva certamente buia – non aveva acceso la luce, preferendo restare per un po’ al chiarore dei lampioni, in silenziosa contemplazione del panorama che gli offriva il quartiere.
Nonostante ciò, non riuscì a reprimere la strana sensazione che in realtà fosse fin troppo esposto, allo sguardo indistinguibile del tizio.
Quando questi se ne andò, gli venne improvvisamente voglia di accendere la luce e di mettere su della musica.


*fissa la pagina con aria meditabonda*

Me ne pentirò, lo so perfettamente.

Questa storia è seppellita nella cartella delle Fiction Incomplete sul mio computer ed in un angolo remoto del mio cervello da quasi due anni (e si vede - c'è ancora molto baroccume, qua e là XD). Ogni tanto la apro, me la coccolo un po' e poi la rimetto dove stava senza più toccarla – il che dipende dal fatto che, notoriamente, mi pesano le chiappe di fare praticamente qualsiasi cosa ma! voglio che le cose cambino, quindi eccola sulle pagine di EFP come incentivo a darmi una mossa ed a lavorarci seriamente, visto che è effettivamente qualcosa in cui credo ancora e che voglio portare avanti (… suono così pretenziosa che mi do fastidio da sola).

Comunque, come da presentazione, è una sorta di What If? ed i personaggi sono per certi versi OOC (oh, e ovviamente è tutto falso, tutto gratis, tutto all'insaputa dei protagonisti - disclaimer, deve esserci un motivo profondo se mi scordo sempre di inserirti). Insomma, il genere di cose nelle quali non amo cimentarmi, ma per qualche strano motivo nella mia testa funziona. XD

Se vorrete farmi conoscere la vostra opinione al riguardo, grazie mille in anticipo. Cheers! :D


   
 
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