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Autore: ballerinaclassica    11/01/2011    2 recensioni
Incastrò il cellulare tra l'orecchio e la spalla, per poi prendere la sigaretta poggiata sul comodino accanto a lui. Inspirò una profonda boccata di fumo, per non farla spegnere. La cenere cadde sul pavimento o direttamente o scivolando lungo le lenzuola, dove c'erano le ginocchia di Francis piegate e coperte.
«Certo che ne sono capace», quel borbottio arrivò dopo quasi due minuti.
«Ho i miei seri dubbi. Come mai hai chiamato a quest'ora?»
«Arthur non risponde al cellulare.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«E a quel punto, tu ti avvicini e-»
«Frena, frena, frena, mi sono dimenticato che cosa devo fare prima.»
«Devi darle i fiori, Alfred. I
fiori, i fiori che hai in mano, riesci a vederli, perdio?»
«Il fatto che io stia usando un paio di lenti a contatto non significa che non veda qualcosa che si trova a meno di venti centimetri dalla mia faccia.»
Arthur annuì, aveva l'espressione di chi ancora non è troppo convinto di quanto appena detto, gli occhi fissi su un mazzo di rose (idea consigliata soltanto perché se l'era ritrovato davanti la porta di casa senza volerlo e perché Francis doveva capire quand'era che di preciso arrivasse il momento di darci un taglio con certe inutili smancerie). Alfred, invece, sbatté le palpebre un paio di volte, con l'aria spaesata, un ciuffo che sfidava il gel (e la forza di gravità) e le mani più sudate del solito, mentre la presa si stringeva e le dita cominciavano a fremere.
«E se non fosse ancora pronta? Lo sai come sono le ragazze, ci mettono sempre un sacco di tempo a prepararsi...»
«In quel caso aprirà qualcuno – che ne so... Sua madre? In quel caso aprirà la porta e ti dirà di entrare in casa e sederti.»
«Dio mio. E io cosa dovrei fare?»
«Sbatterle i fiori in faccia e tornare in macchina urlando a squarciagola che sei un idiota, ma proprio un
idiota
«Ma io non poss- Ehi! Non prendermi in giro! Non sei divertente, non sei affatto divertente!»
I dieci secondi durante i quali concentrò la propria attenzione sembrarono terribilmente lunghi. Dopo il dodicesimo (era stato necessario tenere il cervello occupato ancora per un po') Alfred – purtroppo – era ancora lì, la faccia per metà confusa e per metà terrorizzata, la bocca serrata, come se stesse per vomitargli sul cruscotto da un momento all'altro, gli occhi che sembravano volerlo trapassare e... E a quel punto Arthur arrossì e concentrò la sua attenzione sulla strada davanti a loro.
«Senti, vuoi darti una mossa? Non ho tutto questo tempo da perdere, anzi, non ho
per niente tempo da perdere.»
«Non sapevo uscissi anche tu!»
«Infatti non vado da nessuna parte, resto a casa a bere qualcosa per i fatti miei.»
«Francis però diceva che stasera sarebbe uscito...»
«E allora?», Arthur sembrava risentito, «Francis ed io non siamo amici, non lo siamo mai stati.»
«Ma di solito bevete insieme!»
«Questo non esclude il fatto che io possa vedermi con qualcun altro, perché non potrei vedermi con qualcun altro?»
«Tipo?»
Arthur rimase in silenzio, le mani si strinsero con forza sul volante, le sopracciglia si aggrottarono mentre una lista di nomi gli scorreva repentinamente davanti agli occhi ma nessuno di essi sembrava essere quello giusto. Dannazione, odiava quando Alfred colpiva nel segno.
«Ecco, lo sapevo.»
«Cosa sapevi, razza di idiota? Cosa credevi di poter sapere?»
«Che saresti rimasto solo anche stasera.»
«Mi piace stare da solo, qualcosa in contrario? Mi piace da morire. Sai, certe volte mi piace così tanto che mi sento in un'estasi di felicità.»
«Non è vero, sei un bugiardo, non è vero Arthur. Ma preferisco che tu te ne stia a casa da solo, non sono tranquillo quando vai a bere da Francis, se proprio ci tieni a saperlo.»
«Non ci tengo... E comunque questo che significa? Che significa che non sei tranquillo quando vado da Francis?»
«... Significa che se non mi do una mossa, arriverò in ritardo. Alle due prenderò il Settantasette, anche se non è romantico per concludere un appuntamento non importa. Non aspettarmi alzato, ok?»
«Ok, tanto non avevo intenzione di farlo, sono stanco.»
«Ma hai appena detto...! Non importa. Buonanotte,
Artie
Sentì qualcosa di caldo ed umido prendere consistenza sulla sua guancia e poi premere appena, poi il respiro di Alfred sulla pelle e quando si voltò c'era soltanto un enorme sorriso. Quello che successe dopo, Arthur non lo registrò nemmeno. Mentre Alfred scendeva dalla macchina – il mazzo di fiori in mano, la cravatta che ondeggiava fuori dalla giaccia ed i capelli scompigliati – lui si passava una mano sulla guancia, così lentamente che ogni centimetro d'aria gli sembrava un chilometro.
Alfred gli aveva appena dato un bacio lì, in quel punto appena sotto lo zigomo sinistro, e poi aveva sussurrato uno dei “buonanotte,
Artie” più belli che lui avesse mai sentito.
«B-b-buonanotte, Alfred...»


Erano passate da poco le undici quando rincasò. La sua auto era quasi a corto di benzina, eppure aveva preferito imboccare la strada con la quale avrebbe impiegato quindici minuti di più per tornare a casa, rispetto a quella che lui prendeva di solito.
Non gli andava di passare una serata senza Alfred: da quando si erano trasferiti insieme in una città nell'est del New Hampshire, un appartamento abbastanza vicino al college e abbastanza vicino ad un Mc Donald's – insomma, era andato bene ad entrambi fin da subito – non gli era mai successo di farlo. La loro nuova abitazione si era rivelata abbastanza comoda, due camere da letto, cucina, ingresso ed un bagno un poco angusto. A parte un topo di tanto in tanto – che faceva saltare Alfred sulle sedie ed impazzire Arthur quando non sapeva dove cercarlo – non avevano mai avuto problemi particolarmente rilevanti.
Arthur e Alfred non erano nemmeno estranei al vivere insieme, succedeva già da sette estati: la villeggiatura con i propri genitori diventava troppo noiosa quando i figli non potevano condividere la stanza l'uno con l'altro. E così, malgrado l'intromissione di Peter di tanto in tanto, i due avevano condiviso il cottage di Tampa, la camera d'albergo di Miami, la tenda quando erano stati in vacanza nel Rhode Island ed in Canada. Le cose non erano cambiate nemmeno quando, l'uno appena diplomato, l'altro che già inseguiva la sua laurea in fisica nucleare, avevano deciso di trovare casa nei pressi dell'università.
I genitori di Alfred erano stati felici del fatto che tra i due l'amicizia sembrasse rinforzarsi di anno in anno, ed erano altrettanto contenti che, grazie all'aiuto di Arthur e al suo buonsenso, loro figlio avrebbe avuto una laurea in economia in quattro e quattro otto. La madre di Arthur, tuttavia, non era della medesima opinione: sapeva bene che suo figlio era abbastanza maturo da capire quanto i costi di un college gravassero su una donna che da sola doveva mandare avanti una famiglia, ma temeva che la compagnia di Alfred potesse distrarlo dallo studio. Arthur aveva assicurato più volte che non ci sarebbero stati problemi, che avrebbe preso la laurea il prima possibile.
Arthur lasciò la giaccia nell'ingresso, si diresse nella sua stanza e si lasciò cadere sul letto spronato dalla forza di gravità. Fissava il soffitto con particolare interesse, come se volesse studiarne ogni minima crepa e come se stesse cercando anche le più piccole ed impercettibili macchie di umidità, non sbatteva nemmeno le palpebre, tanto era concentrato. Dannazione, ci voleva del gin, dello scotch, del whisky o qualunque altra cosa avesse effetto quasi immediato sul suo cervello.
Perché quando gli occhi cominciavano a vagare per la stanza, cercando un ragazzone seduto davanti alla tv con un video gioco in mano, quando le orecchie si concentravano sul rumore che veniva dalla camera accanto, che un po' era il materasso che scricchiolava sotto il peso di Alfred ogni qual volta lui si girasse, un po' era il russare, segno che avesse finalmente preso sonno, quando perfino il naso cercava di sfidare i propri limiti per riconoscere l'odore (o la puzza) degli hamburger che andava a comprare e che custodiva gelosamente nel suo scaffale di frigorifero, allora Arthur capiva che cosa significava quel vuoto, dovuto soprattutto a una mancanza che si faceva sentire nei momenti peggiori.
Il fatto che lui ed Alfred avessero cominciato a convivere (se così poteva chiamarsi il rapporto che ne era nato) non aveva fatto altro che aumentare le angosce di Arthur. Perché se da una parte l'idea di avere Alfred vicino ventiquattro ore su ventiquattro lo allettasse più di ogni altra cosa, dall'altra la sua vita era diventata sempre più imbarazzante: la privacy era sparita tranquillamente, così come la tranquillità ed il suo nuovo set da cucito, nuovo,
fiammante. Arthur aveva capito quanto fosse diventato pericoloso spogliarsi senza chiudere la porta a chiave o senza sbarrare le finestre, Alfred sembrava avere un radar per i momenti imbarazzanti e riuscire di conseguenza ad entrare in quel preciso istante, né un nanosecondo in più, né un nanosecondo in meno.
A quel pensiero, Arthur ridacchiò nervosamente e scosse la testa. A parte tutta una serie di piccoli inconvenienti, che andavano dai boxer color rosa antico al suo spazzolino da denti usato per togliere il calcare dal lavandino, Alfred era un coinquilino quasi perfetto – se poi un giorno avesse imparato a pulire il bagno dopo averlo usato, lo sarebbe stato ancora di più. La loro era una convivenza pacifica, in cui le liti non superavano i dieci minuti, in cui si completavano a vicenda, perché Alfred alzava la musica a tutto volume, ma prima di farlo si premurava di portare ad Arthur il suo pesante volume di biochimica e i tappi per le orecchie; una convivenza in cui ogni cosa era di entrambi, in cui Alfred era ben lieto di andare a prendere Arthur quando doveva tornare a casa e Arthur era (quasi) contento che fosse Alfred a guidare, dato che lui era sempre troppo stanco; una convivenza in cui i lavori part-time si accavallavano, in modo tale che nessuno fosse mai a casa da solo, Arthur tornava a casa dopo aver lavorato circa quattro ore in un negozio di camicie, e lì trovava Alfred che provava a cucinare qualcosa per lui, e appena lo vedeva sorrideva e gli raccontava di qualche cliente del bar al quale aveva sputato nel caffè. In quel modo la casa era sempre piena di risate, e nessuno era mai da solo.
Osservò il bicchiere che si riempiva lentamente, quasi fino all'orlo, e poi appoggiò la bottiglia sul comodino. Alfred gli aveva detto di non aspettarlo in piedi, e lui così aveva intenzione di fare, bere per un paio d'ore, magari poi guardare la tv (ma soltanto se fosse stato abbastanza lucido da riuscire a tenere in mano il telecomando) e poi mettersi a letto e forse fingere di dormire. In quel momento sentì il suo cellulare vibrare sulla scrivania, e per un attimo si ritrovò a sperare che fosse Alfred che gli raccontava di come il suo appuntamento fosse stato un fiasco ancora prima che cominciasse, che la ragazza gli aveva sbattuto i fiori in faccia e che lui ora era talmente depresso e sconsolato da voler solo tornare in camera e restare un po' da solo con lui.
Invece, il display illuminato, gli rimandò soltanto la sequenza di lettere del nome che più odiava al mondo, della persona più subdola, melliflua e spregevole possibile, uno dei tanti motivi per i quali Arthur voleva laurearsi in fretta: sparire dall'università e poi inventare qualcosa come un raggio di fotoni che disintegrasse quella brutta faccia in men che non si dica.
«Che vuoi? Stavo per andare a letto.»
Francis era un ex studente di letteratura antica e aveva conosciuto Arthur circa due anni prima. Insomma, Arthur considerava i suoi studi piuttosto vani, per quanto lui amasse la letteratura e l'arte, e non si era mai fatto problemi a dirlo apertamente. Tra lui e Francis c'era sempre stato qualcosa, ad ogni modo, che spesso mandava in crisi lui stesso e anche Alfred... Beh, Alfred non sembrava andare in crisi, non sembrava nemmeno accorgersene. Comunque, quello tra Francis e lui era odio di fondo, e in più sentimenti, che non andavano oltre l'amicizia, o molto più probabilmente tensione che non avevano potuto impedirgli di andare a letto insieme più di una volta.
Ma Francis non si limitava soltanto a quello, ma sembrava divertirsi a esercitare una vera e propria pressione psicologica su di lui. Francis riusciva a influenzare le sue scelte, e in un modo o nell'altro Arthur sembrava reputarlo l'unica persona degna di sorbirsi un certo tipo di confidenze.
«Così presto? E soprattutto,
con chi? Perché non vieni a bere qualcosa da me?»
Arthur appoggiò le dita sulle tempie e cercò di far mente locale su quali fossero i buoni motivi per rifiutare – in cuor suo sperava ancora che Alfred tornasse a casa presto. Dall'altra parte del telefono, sentì Francis ridacchiare e sussurrare qualcosa nella sua brutta e suadente lingua.
«Che cosa hai detto?»
«Ho detto che sei adorabile quando ti arrabbi e hai quell'aria confusa.»
«E tu che ne sai? Non puoi di certo sapere come-»
«Oh, sì che posso. Perché non guardi fuori dalla finestra?»
Per un attimo il sangue gli mancò alla testa, e con la faccia pallida lanciò un'occhiata all'auto parcheggiata esattamente davanti al suo viale, al conducente che rideva e teneva il telefono poggiato all'orecchio e al mazzo di rose rosse che stava appoggiato sul sedile del passeggero. Che Francis Bonnefoy fosse una sottospecie di maniaco lo sapeva, che avesse qualche strano fetish, la brutta abitudine di riempirsi di amanti lo sapeva, ma fino ad ora non aveva mai immaginato che avesse addirittura potuto trasformarsi in uno stalker.
«Sorpresa!», strillò Francis al telefono, e le tempie di Arthur pulsarono per un momento, prima di riattaccare e dirigersi alla porta.
Il circolo vizioso delle relazioni cominciate e mai finite
doveva essere un capitolo concluso della sua vita, avrebbe dovuto esserlo. Era difficile stabilire quando e come cominciare a ficcarselo bene in testa, la solitudine giocava brutti scherzi, delle volte.

A un certo punto della sera, tardi, un telefono cellulare vibrò sul comodino accanto al letto. Francis avrebbe voluto chiedere al ragazzo mezzo addormentato accanto a lui se voleva o meno che rispondesse, ma quello lo liquidò con un borbottio pressappoco incomprensibile.
A quel punto, decise di fare di testa sua. Appoggiò la sigaretta sul legno del comodino, in bilico, e passò un braccio sopra al petto del ragazzo, sporgendosi verso la sponda opposta del letto con poca grazia e afferrando il cellulare. Diede un'occhiata al display e poi ne lanciò una rapida in direzione del suo amante, una rapida ed eloquente, che comunque fu male interpretata oppure non fu interpretata affatto. Eppure, Francis si diceva sempre, la gente avrebbe dovuto pensarci due volte prima di augurargli un paio di occhi più espressivi di quanto già non fossero i suoi.
Stava di fatto che comunque, il ragazzo sdraiato accanto a lui e avvolto nelle lenzuola fino alle spalle, non dava segno di volersene fregare nemmeno un po' di quella telefonata. Non che gliene fregasse a lui stesso, voleva solo un po' di appoggio dato che il problema era (ed era sempre stato) di entrambi.
A un certo momento, quando stava per premere il tasto verde del cellulare e avvicinarlo all'orecchio destro, il ragazzo si puntellò sugli avambracci, in un gesto fulmineo e spigoloso che gli era caratteristico. Lo guardava con aria sospettosa, come se da un momento all'altro Francis si aprisse una zip sul petto e si trasformasse in qualcun altro (magari l'unica persona che non avrebbe mai voluto lì, nella sua camera da letto, proprio in
quel momento).
«Pronto?»
Una voce stridula, vagamente acuta di ragazzo giunse direttamente contro il suo orecchio, assordandolo per qualche nanosecondo.
«
Ahahahah! Francis! Ti ho svegliato?»
Francis guardò di nuovo il ragazzo accanto a lui, che era tornato nella stessa posizione di prima, avvolgendosi nel lenzuolo e lasciando intravedere, ora, solo due enormi e inespressivi occhi verde bottiglia.
«Affatto. Non mi ero ancora addormentato.»
«
Ah, meno male! Anche se alla tua età dovresti riposare... Non te lo dicono anche i medici o qualcosa del genere? Che dovresti riposare di più?»
«Alfred, ho poco più di trent'anni e comun-»
«
Trentacinque
«Come ti pare. E comunque stavo leggendo, cosa che dovresti fare anche tu, se ne sei capace.»
Francis incastrò il cellulare tra l'orecchio e la spalla, per poi prendere la sigaretta poggiata sul comodino accanto a lui. Inspirò una profonda boccata di fumo, per non farla spegnere. La cenere cadde sul pavimento o direttamente o scivolando lungo le lenzuola, dove c'erano le ginocchia di Francis piegate e coperte.
«
Certo che ne sono capace», quel borbottio arrivò dopo quasi due minuti.
«Ho i miei seri dubbi. Come mai hai chiamato a quest'ora?»
Ci fu un breve silenzio, durante il quale Francis guardò più volte in direzione del ragazzo, che dal canto suo non sembrava interessato al loro discorso (
non ancora, almeno). Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, il labbro inferiore sporgeva leggermente più di quello superiore, come a conferirgli un'aria di cane bastonato. Dava l'idea di un super colpevole.
«
Arthur non risponde al cellulare
Un super colpevole, e pure latitante.
«
Aveva detto che non sarebbe uscito. Magari è uscito e si è ubriacato, sai com'è fatto, non regge nemmeno un bicchierino. Magari ha incontrato qualcuno. Mio Dio, e se avesse incontrato qualcuno? Che ne so, un malintenzionato, qualche drogato all'angolo della strada, un uomo armato, un ladro, Goblin!»
«Chi? Senti. Non avrebbe più senso l'idea che Arthur stia semplicemente dormendo?»
In quel momento, Francis abbandonò di nuovo la sigaretta sul comodino e si voltò a guardare Arthur. Con la stessa mano gli mostrò un pugno chiuso, stendendo poi soltanto l'indice e il pollice per imitare un telefono. Arthur scattò seduto e infilò la mano nel primo cassetto del comodino, dando le spalle a Francis per qualche secondo. Ne riemerse con un cellulare in mano che vantava la bellezza di sei chiamate perse e tre nuovi messaggi, tutti di Alfred, naturalmente.
«
No che non ne ha. Dice sempre che non mi aspetterà, ma poi lo trovo in salotto che ricama, che legge o che fa, che ne so, una seduta spiritica con quel suo maledetto unicorno striato blu. Lo so che non è normale, ma è fatto così
«E tu sei a casa adesso?»
«
Non ancora, sto aspettando un maledetto autobus. Perché?»
«Perché allora non puoi sapere se Arthur si sia addormentato oppure no. Facciamo una cosa, mi richiami appena hai preso l'autobus, okay?»
«
D'accordo...»
Francis tenne il cellulare all'orecchio ancora qualche secondo, fino al preciso istante in cui fu Alfred stesso a riagganciare. Si voltò verso Arthur, che aveva appena finito di leggere l'ultimo messaggio e riprese la sua sigaretta.
«Allora?», gli domandò Arthur quasi subito, quando notò il suo sguardo insistente, «Che ti ha detto?»
«Ci risiamo. Sta tornando adesso.»
«E tu che gli hai risposto?»
«Hai sentito che cosa gli ho detto, no? Sei diventato sordo?», rispose irritato.
«Sì che ho sentito. Ho sentito eccome. Dio mio, che situazione assolutamente penosa.»
«Già.»
Rimasero in silenzio entrambi, coperti fino alla vita dal lenzuolo e con lo sguardo fisso sulla parete opposta della camera. Il cellulare di Francis era rimasto sul comodino accanto a lui, per comodità, nel caso la telefonata di Alfred arrivasse entro i prossimi cinque, dieci minuti. Arthur invece sembrava piuttosto distratto, perso in chissà quali pensieri, tanto che il suo, di cellulare, gli scivolò via di mano, cadendo nel letto tra loro due. Francis cercò di aiutarlo a riprenderlo, visto lo scatto di anguilla di lui, ma Arthur cacciò via la sua mano, e fece da solo.
«Te ne devi andare», se ne uscì a un certo punto, senza nemmeno guardarlo.
Francis voltò di nuovo la testa verso sinistra, verso Arthur, con l'aria di chi si sente offeso nell'orgoglio.
«Come sempre. Ma quand'è che ti deciderai a dirglielo, invece di prenderlo in giro e di prendere in giro te stesso?»
Arthur scattò sull'attenti, non aspettandosi una reazione del genere.
«Cerchi rogna o cosa, Francis? Lo sai che tra di me e te non c'è assolutamente niente. Quindi non hai nemmeno il diritto di venirmi a dire-»
Francis ebbe un attimo di incertezza circa l'opportunità di mettere in chiaro un paio di cose una volta per tutte. Poi, con espressione meditabonda, decise che Arthur proprio se l'era cercata e che lui non poteva farci niente. Oltretutto le sue fantastiche uscite di scena dovevano essere verbali, oltre che fisiche.
«Non ne ho nemmeno il diritto?», chiese retorico, mentre si alzava dal letto e afferrava velocemente tutti i suoi vestiti, ritrovandosi per sbaglio in mano la camicia di Arthur, che dopo fu lasciata, con ben poca grazia sul pavimento.
«Che cosa sono costretto a sentire. Chi è che patisce le pene dell'inferno e poi va a cercarsi disperatamente qualcuno che lo consoli?
Fammi finire, sta' buono un minuto! Sei tu, bello mio. E io ti ho mai detto che perdi solo tempo? Che è inutile che convivi con quell'idiota con la scusa di aiutarlo in matematica? Santo cielo, a volte sei proprio cretino, lasciatelo dire! Personalmente credo che faresti bene a trovarti un fidanzato, o almeno qualcun altro da mettere sul tuo maledetto piedistallo. Oppure ci parli, per favore, e gli dici qualcosa, quello che ti pare, qualcosa di molto convincente, ma ci parli e gli dici chiaro e tondo che ti piace e tutto quanto.»
Arthur guardava Francis a bocca aperta. Lo guardava con quella stessa faccia con cui, prima o poi, un giorno o l'altro, chiunque aveva guardato Francis per via del suo aspetto, delle circostante, del suo modo particolare di muoversi o atteggiarsi, per via di qualche gesto malizioso o di qualche uscita spettacolarmente memorabile, come lo era appunto stata quell'ultima. Eppure nello sguardo di Arthur, oltre che ribrezzo, stupore, un vago retrogusto di odio e di reticenza, c'erano anche ammirazione e gratitudine, per quanto fosse difficile che tutte quelle cose convivessero assieme.
«Porta il tuo schifoso culo fuori di qui,
adesso. Fra tre secondi mi alzo e ti prendo a calci. Ti ho onestamente avvertito. Leviamo l'incomodo? Sparisci subito.»


Nell'auto regnava un silenzio tombale. Si poteva sentire,
palpare, una certa ansia, un po' di preoccupazione, qualcosa che pareva essere veramente angosciante. Quella, lo sapeva, era la parte commovente della storia, dal suo punto di vista squallida. Uno dei personaggi sarebbe uscito di scena per sempre, forse. Per esserci, lui avrebbe fatto il possibile per continuare a fare del suo meglio.
Alle tre e trenta del mattino, o meglio, mezz'ora dopo essersi lasciato alle spalle uno dei posti che meglio lo avevano accolto durante i suoi ultimi due anni di soggiorno in America, Francis aveva di nuovo gli occhi fissi sul cellulare, abbandonato sul cruscotto, nonostante stesse guidando per tornare a casa.
Alfred non lo aveva più chiamato. La cosa lo faceva preoccupare? Qualcuno, in quell'auto, era addolorato? Assolutamente no.
Poi, di nuovo, ebbe il vago sospetto che nella sua mente forze contrastanti stessero lottando simultaneamente per avere una sorta di predominio. Ciascuna sembrava voler imporre il proprio flusso di pensieri, Francis percepiva questa battaglia immaginaria soltanto grazie al pulsare della testa e a una specie di traballare che sentiva fin dentro il cranio.
D'un tratto, forse per distrarlo da quella sensazione fastidiosa (o forse per peggiorare le sue condizioni) il cellulare squillò e il nome di Alfred comparve per la seconda volta.
La mano di Francis però esitava, continuava a stringere il volante e gli occhi si posarono sulla strada. Perché diamine avrebbe dovuto rispondergli? Era stufo di fare il consulente matrimoniale, era stufo di sentire Arthur lodare o (più spesso) lamentarsi di Alfred, era stufo di vedere Alfred trattarlo nella stessa maniera con cui si tratta una colf molto apprensiva.
«Dio mio Alfred, hai idea di che ore sono?»
«
Avevo detto che ti avrei chiamato sul pullman, ma l'ho dimenticato! Sono a casa adesso, Arthur mi stava aspettando. Quando non rispondeva al cellulare si era addormentato sul divano! Che ti avevo detto?»
Francis lanciava occhiate piene di stoicismo alla strada, sperando di incontrare un'altra auto, un misero passante, perfino una prostituta gli sarebbe andata bene, comunque sperava di incontrare qualcuno che capisse fino a che punto si stesse armando di pazienza e di quanta sopportazione e contegno fosse capace.
«
Francis? Sei ancora lì?»
«Sì. Sì, ci sono», rispose senza entusiasmo, bloccandosi un paio di metri prima del semaforo rosso
«
Ti ho detto che devo chiudere. Arthur insiste per volermi dire una cosa in questo preciso istante, sembra importante. Ci sentiamo!»
Francis rimase col cellulare premuto contro l'orecchio. Dall'altro capo non proveniva più nessun suono – tanto meglio, la voce acuta di Alfred gli aveva già fracassato un timpano. Non sapeva se dirsi felice o meno dello svolgimento dei fatti. Era stato lui a consigliare ad Arthur di sputare il rospo, no?
In un certo senso gli dispiaceva. Beh, più che in un senso solo. Arthur era il suo compagno di bevute, il suo confidente, suo malgrado anche un amante. Gli esiti della sua conversazione con Alfred avrebbero potuto spezzargli il cuore, oppure riempirlo di gioia. Non aveva voglia di sopportare né l'una, né l'altra ipotesi, gli sarebbe andata male comunque.
Nel frattempo, dietro di lui, qualche automobilista impaziente (e con ragione) suonò il clacson un paio di volte. Francis sussultò, scagliò il cellulare sul sedile posteriore e gli urlò,
per l'amor del cielo!, di smetterla di fare tutto quel casino e di lasciarlo crogiolarsi nel dubbio in santa pace.






Perdonate eventuali errori di battitura o qualcosa del genere, se non pubblico questa fic stasera dubito che potrò farlo nei prossimi giorni T__T
Comunque non temete, per chi segue le long fic, sono in arrivo tutte tutte *___*
Oh, domani mi impegnerò a rispondere alle recensioni a questa fic, e mi sento in vena di scrivere ultimamente, se qualcuno a una richiesta, che la faccia pure<3

Bye for now! :D

   
 
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