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Autore: Miwako_chan    12/01/2011    8 recensioni
Trucco gli occhi con linee nere. Le labbra, se sono particolarmente in vena, di rosso.
Detesto il rosa.
Amo i sorrisi amari, il caffè amaro alla mattina.
L’amaro sulla lingua.
Questo mordace sapore, lo adoro quanto il peccare.
Trasgredire irriverente alle regole.
[Karin-Centric]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Karin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Bitterness









Adoro i cuissardes. Neri. In latex sfioranti le natiche.
Con i loro tacchi a spillo che mi fanno vacillare, abbinati all’inguinale minigonna.
Non sono svestita, anzi. Tra l’orlo della gonna e gli stivali ci sono appena due dita di pelle nuda,
e le mie dita sono sottili, valutate anche questo.
Non sono svestita, non sono facile. Io sono provocante.
È un dono che possiedo, quello di provocare gli altri.
Irrito terribilmente.

Trucco gli occhi con linee nere. Le labbra, se sono particolarmente in vena, di rosso.
Detesto il rosa.
Amo i sorrisi amari, il caffè amaro di mattina.
L’amaro sulla lingua.
Questo mordace sapore, lo adoro quanto il peccare.
Trasgredire irriverente alle regole.
Per quanto ammiri il macchiarsi di colpe, non mi reputo una grande peccatrice.
La mia collezione è misera, ne vanta solo due, conservati in un cassetto.

La rigiro tra le dita, lascio cadere la cenere al pavimento della terrazza.
Fumo.
In una compagnia come la mia è ovvio cascarci in un vizio simile.
Eppure per me è molto di più, seppur veniale, non è vizio, ma peccato.
Offende la mia intelligenza.
Via,
dentro il cassetto.

Il secondo è peggiore, o migliore.
Varia dal punto di vista.
Sicuramente banale.
Ubriaca, ho commesso amplessi con un perfetto sconosciuto.
Sono giustificata. Ero tristemente depressa per validi motivi e lui era dannatamente bello.
Tuttavia rimane che non ricordo neppure il nome,
ed è stato un atto banale e disdicevole.
Offese la mia intelligenza.
Via, nel cassetto.
Ne accendo un’altra.

Tengo unghie laccate di nero.
Le rimiro a lungo la notte, riverberano nel buio.
Mi fanno sentire importante. La dico spesso questa frase.
Forse perché ho realmente bisogno di sentirmi tale.
L’intelletto, nella compagnia che frequento io, spesso e volentieri non è valore determinante.
Vorrei essere più avvenente. Tengo solo tratti sensuali.
Distillata malizia.

Sono passati tre anni da quando l’incontrai per la prima volta…

Porto gli occhiali. Montatura pesante e scura.
Li detesto, no, no scusate, li detestavo.
Ora li trovo affascinanti e se tanto li devo portare, desidero che si notino.
Seducono gli occhiali. Come ali piumate alle iridi, mi permettono di vedere oltre.
Riescono a conferirmi quell’aria da sexy segretaria, erotica femmina.
Da secchiona.
Indosso sempre i miei occhiali fino a notte fonda.
Li scalzo dal naso solo dopo aver chiuso con un tonfo il Decameron.
Settima giornata, novella terza.

Sono passati tre anni da quando l’incontrai per la prima volta…

Non mi manca molto, qualche diottria.
Potrei indossarli solo durante le lezioni all’Università.
Per guidare.
I miei occhi color mogano suppongo siano belli.
Espressivi.
Intensi, ma mai quanto i suoi.
Oh no, nulla è intenso quanto il suo sguardo.
È un peccato adombrarli dietro queste lenti.
Mi piego sulle ginocchia e rido. La sigaretta scappa dalle labbra.
Quale peccato? Non è affatto un peccato.
Ben altro offende la mia intelligenza.
Come queste tre. Stupide doppie punte.

Sono passati tre anni da quando l’incontrai per la prima volta…

La lussuria.
Mi piace pronunciarla sibilando la s. Schiocco la lingua sul palato alla sillaba -ria.
Ardente e sfrenato desiderio di piaceri carnali.
La perversione mi affascina.
Ammalia i miei sensi, è libidine che aumenta.
Rigiro ciocche color cacao tra le dita. Sfioro con voluta noncuranza,
seppur nessun sia a vedermi, la L di brillanti sulla camicia.
È intarsiata e splende, applicata sul taschino.
Pratico lussuria onirica. In quei momenti do il meglio delle mie tre doti.

Sono passati tre anni da quando l’incontrai per la prima volta…

Intelligenza, provocazione e modestia.
Pratico anche l’egocentrismo.
Sono così egocentrica da esser vomitevole. Avrò preso da qualcuno.
Esclusivista, egoista, vanitosa. Sono tutti difetti.
Tutti facenti parte di quell’interminabile schiera.
Sfugge dalle labbra un soffio di fumo.
L’intelletto non mi manca, grazie ai Kami.
L’ho già detto che sono intelligente?
E modesta.

Sono passati tre anni da quando l’incontrai per la prima volta…

Si chiama Sasuke Uchiha.
Lo presentò Suigetsu alla compagnia una giornata d’inverno.
La classica faccia da stronzo. Ne avevo già viste tante da saper riconoscere una,
quando me la ritrovavo davanti.
Cereo, efebico.
Due occhi freddi e neri.
Intensi.
Indifferenti.
Un bimbo coperto da imperscrutabilità.
Me ne innamorai subito.
A prima vista.
Proprio io che fino a quel giorno avevo amato soltanto cuissardes e sorrisi amari.
S’imporporarono le guance di rosa.
Detesto il rosa.
Alzò la sciarpa blu fino a coprirsi le labbra sottili.
Persi un battito.
Mi porse quella dannata e fredda mano bianca.
Allungai la mia, guanti dalle dita tagliate a mostrare le unghie cremisi.
La strinse.
Soffocai un sussulto.
“Uchiha.”
E decretai la mia condanna.

Fin dal principio s’instaurò tra noi una profonda amicizia.
Bugia.
Siamo incompatibili.
L’osservavo di scorcio sedersi.
A passo felpato mi avvicinavo chinandomi su di lui.
Gli scostavo la lunga frangia dagli occhi.
Dannato, se s’intestardiva a celarsi lo sguardo,
le possibilità che i suoi occhi si posassero su di me
calavano sensibilmente.
A voce pacata e malcelato fastidio m’implorava.
“Smettila.”
Con scatto furente gli volgevo la schiena.
Nel dinamismo sciorinavo la chioma tinta Rosso Tripudio.
Le mani posavo sui fianchi.
“Non essere così frigido, Uchiha!”
Vociavo.
Cosicché tutti i presenti potessero sentirmi.
Lo provocavo.
Irritandolo terribilmente.

Sono consapevole di non essere perfetta.
Ciononostante desidero per me la perfezione.
Il meglio.
E lui lo rispecchia in modo completo.
La sua assolutezza mi affascina.
Abbagliandomi. Rendendomi cieca.
Raccolsi il coraggio in un angolo di strada.
Lo raschiai dall’asfalto.
Mi dichiarai un pomeriggio di primavera.
Il 14 maggio.

Gli uccellini cantavano.
Sbocciavano i fiori.
Profumi inebrianti nella brezza leggera.
Il ruscello gorgogliava allegro.
Il sole splendeva.
Bla bla bla.
Stava davanti a me.
Il riflesso del sole puntualmente sulle lenti.
Mi fissava fingendo interesse.
Manco fosse lui a portarli gli occhiali, eppure vede sempre oltre e non si sofferma mai.
Attorcigliai una ciocca scalata tra le dita.
Kami, che Rosso Orrendo.
Schiarii la voce e diedi inizio al mio martirio.
“Sasuke, io ti amo.”
Schietta e diretta.
“Dal primo momento che ti ho visto.”
Insulsa.
“Vorrei stare per sempre al tuo fianco.”
E tutto questo merdoso romanticismo? Da dove cazzo salta fuori?
Sbatté le palpebre dimostrandomi che non si era assopito nel frattempo.
Rispose.
Anzi, pronunciò la condanna.
“Mi dispiace, ma non corrispondo.”
Dalla sua compostezza e timbro vocale utilizzato,
immaginai le decine di volte che doveva aver pronunciato quella sentenza
prima della mia suddetta dichiarazione.
Lapidario e laconico.
Senza fronzoli e delicatezze. La verità nuda e dura, pornografica.
Autentico tranne che per quel - mi dispiace -.
Sì, quello non era per nulla credibile.
Blaterai qualcosa riguardo alla sua presunta omosessualità.
Volli irritarlo per stizza.
Me ne andai.
Non piansi nemmeno.
In fondo sapevo già come sarebbe andata a finire.
Sono abbastanza intelligente da capirle queste cose.
Non piansi nemmeno.
Una piccola fitta soltanto.
All’altezza del cuore.

Il 14 maggio commisi il mio secondo peccato.
Dicevo, ero tristemente depressa per giusti motivi.
Mi abbandonai al sesso con un perfetto sconosciuto.
Senza rammarico, non ricordo il nome.
Sotto di lui e sotto gli influssi dell’alcool vagheggiavo Sasuke poggiato allo stipite della porta.
Ci osservava attentamente.
Livido in volto.
Fremendo stringeva le labbra.
Pareva turbato.
Io ci leggevo bruciante gelosia.
Mi guardava, per la prima volta.
Io ridevo.
L’altro mi scopava.

Desideravo vendicarmi dell’Uchiha, per tal motivo peccai.
Non ne venne mai a conoscenza.
In realtà bramavo molto più vendicarmi del mio insulso innamoramento.
Castigai me stessa.
Offesi indelebilmente il mio brillante intelletto.

Adoro provocare.
Sono una provocatrice nata.
L’ho forse già detto?
Amo ripetermi.
Perché provoca gli altri rendendomi ai loro occhi,
terribilmente irritante.
Il mio preciso intento è provocare il prossimo.
Innescare i meccanismi delle emozioni.
Far scattare ingranaggi uno a uno.
Introdurre chiavi al passo d’istigazioni sempre più pesanti.
Esasperare sentimentali automatismi attraverso moleste satire.
Perché gli esseri umani,
non sono altro che
Piagnucolanti Macchine.

Mi alzo dalla sedia.
Vacillo sui tacchi e mi affaccio alla ringhiera.
Poggio il viso tra le mani.
Tristi ricordi mi sono affiorati alla mente.
Nonostante il tempo trascorso, portano ancora un asprigno sapore.
La brezza mi dona sollievo.
Carezza il mio volto.
Liscia i capelli mori.
Gesticolo all’aria e al vento.
Posiziono le mani sulla traiettoria visiva di oggetti lontani.
Creo illusioni ottiche di prospettiva forzata.
Tra due dita trattengo auto.
Carezzo alberi.
Sfioro nuvole e in un pugno,
il sole racchiudo.

I giorni successivi la mia drammatica dichiarazione,
Sasuke prese a trattarmi con inaspettata gentilezza.
Atipico riguardo.
Per quanto il suo responso mi avesse umiliato,
non desistei dal provocarlo.
Sedendomi sulle sue gambe giuravo d’amarlo per sempre.
In quei frangenti risaltava il nuovo atteggiamento nei miei confronti.
Palesava fastidio socchiudendo le iridi scure.
“Levati, per favore.”
Era quel - per favore - a incuriosirmi.
Io sono intelligente.
Provocatoria.
Modesta.
E anche curiosa. Troppo.

Sasuke rimase per poco più di un anno nella mia compagnia.
Il tempo sufficiente perché Tayuya gli attaccasse il vizio del fumo,
perché Deidara l’istruisse nella fabbricazione di artigianali piccoli ordigni,
perché Sai lo principiasse nell’arte del fingere,
perché io l’irritassi fino al più totale sdegno.
La rottura avvenne una domenica mattina invernale.
Sanguinante lacerazione.
Ci raggiunse accompagnato da un ragazzino.
Biondo come il grano, dagli occhi azzurri come il cielo.
L’assimilai di primo acchito a un quadro bucolico di qualche mediocre artista.
Pareva il negativo di Sasuke.
Sorrideva solare, solerte rideva.
M’irritava terribilmente.
Pensai che di certo non l’avremmo accettato nella nostra compagine.
Era sconvenientemente sincero.
Inappropriatamente buono.
Pericolosamente ingenuo.
L’avremmo divorato come cani affamati.
Codardamente molestato.

Smentendo la mia previsione, Sasuke non volle presentarcelo.
Venne da noi per semplice motivo.
Pronunciare una frase.
Lapidario come sempre.
“È il mio fidanzato.”
Risistemai gli occhiali sul naso.
Tayuya bestemmiò sputando.
Gli altri risero.
Sguaiatamente.
L’avevo già detto, no?
L’intelletto, nella compagnia che frequento io, spesso e volentieri non è valore determinante.

Mi voltai e corsi, sbattendo forte i piedi sulla ghiaia.
La notte mi rinchiusi in camera.
Credei di odiarlo.
Mi toccai nell’intimo piangendo.
Imprecai sputando come Tayuya mi aveva addestrato.
Sentii mancare tutta la fiducia che in quegli anni avevo posto nel mio intelletto.
Non ero stata intelligente.
Forse, non l’ero mai stata prima d’allora.
Vomitai su quello stolido, amorfo, prosaico, ottuso... deficiente amore.
Abiurai il mio giuramento.
Immediatamente provvidi a sancirne uno nuovo.
“Giuro di amarti per sempre in silenzio.”
Come disse Blaise Pascal.
In amore un silenzio vale più di un discorso.

Abbandono le braccia al vento poggiando il mento sulla fredda ringhiera.
Sbuffo annoiata rimirando le unghie nere.
L’ennesima sigaretta portata alle labbra.
Sono rosse.
Si vede che oggi ero in vena.
Increspo un sorriso sul volto.
Sono passati tre anni. Da infantile infatuazione sono giunta a sincera passione.
Amore coltivato in sedizioso silenzio.
Un altro tiro per la donna innamorata.
Un soffio di fumo per la fallita.
Applaudite all’unica folle romantica sopravvissuta.

Alzo lo sguardo al cielo e torno a sedermi.
Con velata malizia incrocio le gambe, anche se nessuno è presente a guardarmi.
Strano il rumore del latex quando sfrega insieme.
Altrettanto bizzarro è il cigolio della porta d’accesso alla terrazza che si apre.
Oltremodo anomalo è il notare che l’intruso gli assomiglia.
Allucinante è accorgersi che è proprio lui.
Sasuke.
Salto in piedi, confusa, come punta da spilli.
Non riesco a reprimere l’irrefrenabile schiudersi delle labbra.
Rosse.
Si vede che oggi ero particolarmente in vena.
“Che ci fai, qui?”
Più che una domanda la mia è un lamento strozzato.
“Siamo all’Università. Credevo fosse un luogo pubblico.”
“Oggi non ci sono corsi.”
“Reitero: credevo fosse un luogo pubblico.”
Affondi le mani nelle tasche. Guardi altrove.
S’infastidisce facilmente Uchiha.
Rimango immobile. Se camminassi, vacillerei.
Non voglio vacillare davanti ai suoi occhi. Non voglio sembrargli debole.
Anche se lo sono.
Porto le mani ai fianchi e schioccò la lingua per attirare la sua attenzione.
“È da tanto che non ci vediamo Uchiha.”
“Qualche giorno. Ti ricordo che frequentiamo lo stesso corso.”
Si volta per un breve istante, poi torna a posare le iridi nere verso qualcosa che non sono io.
Che profilo allettante.
Se non fosse per il mio voto, mi struscerei sensualmente su di lui.
Come una voluttuosa mogliettina ricongiunta al suo insaziabile uomo.
Luccica la L di brillanti sotto le mie erotiche idee.
Non so che dire.
Vorrei tanto provocarlo. Irritarlo allo sfinimento.
Ma non ci riesco.
Non ci riesco.
Si volta ancora.
I suoi occhi bui sul mio volto.
Intensi.
Lancinanti.
I capelli. Neri. Intersecati tra le ciglia.
Vorrei scostargli la frangia dagli occhi.
Come sapevo fare in passato.
A voce pacata e malcelato fastidio m’implorava.
“Smettila”
E allora io, adirata, sferzavo la spettinata ex chioma tinta Rosso Tripudio.
Gli volgevo la schiena.
Le mani posavo sui fianchi.
“Non essere così frigido, Uchiha!”
Vociavo.
Cosicché tutti i presenti potessero sentirmi.

Avrei tanto voluto farlo, ma se mi fossi mossa avrei vacillato.
Non voglio vacillare davanti ai suoi occhi. Non voglio sembrargli debole.
Anche se lo sono.
Sorride amaramente.
So riconoscere un amaro sorriso quando ne vedo uno.
Le mie gote ineluttabilmente s’imbrattano di rosa.
Detesto il rosa.
Amo i sorrisi amari, almeno quanto i caffè non zuccherati di mattina presto.
Amo Sasuke Uchiha.
Se solo indossasse un paio di cussairdes in vinile diverrebbe il connubio massimo dell’amore.
Triplicherei il mio illimitato ed eterno affetto per lui.
Sono passati tre anni da quando lo conobbi per la prima volta.

“Devo fare una cosa.”
Spezza i miei seducenti pensieri con brutale freddezza.
Cosa?!”
Sbraito.
Mi è ignoto da dove provengano queste inopportune tonalità della voce.
O da quali sentimenti scaturiscano.
Sbuffa stizzito. Ecco, visto, quando meno me l’aspetto riesco a irritarlo.
“Ho detto che devo fare una cosa. Non credevo avessi problemi di udito.”
Esacerba Sasuke.
Arrossisco crocefissa sui miei tacchi a spillo.
“Intendevo dire quale cosa.”
Mormoro dispiaciuta e servile. Tutto pur di compiacerlo.
S’inginocchia di fronte a me con estenuante lentezza.
Lo guardo attonita dischiudendo le labbra rosse.
Afferra la mia mano destra e rapidissimo ne morsica il polso.
Sento i suoi denti conficcarsi nella pelle. Sono dibattuta se carezzargli il capo per la dolce attenzione.
O assestargli un languido schiaffo per la tentata violenza.
Di poca durata quel prode morso.
Qualche secondo e si dissolve il dolore.
Solleva gli occhi per guardarmi in viso.
Dispiego le lunghe ciglia ammutolita.
Osservo il cerchio perfetto regalatomi dalla sua altrettanto perfetta dentatura.
Sfila una biro dalla tasca dei pantaloni.
Con tratto sottile segna il punto centrale della circonferenza.
Sul dentato perimetro sbozza piccoli tratti a regolari intervalli.
Due linee affusolate a divenir lancette.
Un sorriso sul volto.
Insolente.
“Pensi che sia troppo tardi, Karin?”
Resto al gioco. È vergognosamente consapevole di quanto io ami giocare.
Scruto il quadrante al polso decifrandone l’orario.
“Direi di no. Sono appena le sette e mezza.”
“Bene.”
Riassetta i pantaloni alzandosi.
“Allora abbiamo ancora un po’ di tempo da passare insieme.”
Sì.
Va bene così.
Sasuke.
Non mi accorgo neppure che un sincero sorriso si allunga sulle labbra.
Sono tinte di rosso.
Si vede che oggi ero particolarmente in vena.









Angolino Autrice:

Un piccolo tributo a Karin, che fa parte della cerchia dei miei personaggi preferiti. *-* Ok, ok, vado a nascondermi...
Non so se sia andata occ oppure sia rimasta coerente al suo carattere, piuttosto ho tentato di esprimere ciò che il suo personaggio mi trasmette.
Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno o decideranno per bontà di lasciarmi un loro parere. ^-^
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate!








  
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