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Autore: baka_the_genius_mind    13/01/2011    8 recensioni
Ricordava perfettamente l'istante in cui il bianco era diventato il suo colore preferito in assoluto.
Era stato quando Yutaka era uscito dal camerino, il corpo color caramello infilato dentro un completo bianco, che risaltava ancora di più e sembrava mille volte più luminoso in contrasto con la sua pelle, coi capelli scuri, con gli occhi neri come la notte.
Era stato il momento in cui aveva eletto il bianco come sovrano fra i colori. Persino il suo amato nero e il suo viola sensuale perdevano il loro in favore del bianco.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kai, Reita, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sangue e neve.





A lui piaceva molto il bianco.

Era un colore freddo, accecante, ma nello stesso tempo avvolgente, rilassante. Gli piaceva così tanto che il suo ragazzo gli aveva concesso di far girare tutta la casa su quel colore. O quasi tutta.

Ricordava perfettamente l'istante in cui il bianco era diventato il suo colore preferito in assoluto.

Era stato quando Yutaka era uscito dal camerino, il corpo color caramello infilato dentro un completo bianco, che risaltava ancora di più e sembrava mille volte più luminoso in contrasto con la sua pelle, coi capelli scuri, con gli occhi neri come la notte. Era stato il momento in cui aveva eletto il bianco come sovrano fra i colori. Persino il suo amato nero e il suo viola sensuale perdevano il loro in favore del bianco.

Ricordava che quel giorno era stato costretto a raccogliere la sua mascella dal pavimento.

Yutaka stava bene con indosso qualsiasi cosa, ma vestito di bianco sembrava un dio.


«Posso aiutarla?»

Erano venti minuti che girava a vuoto.

Avrebbe potuto puntare direttamente il bancone all'ingresso per ottenere in pochi istanti l'informazione che gli serviva, ma inspiegabilmente appena entrato aveva perso tutta la voglia di vederlo e si era messo a camminare per i corridoi, sperando si sembrare qualcuno che sapesse perfettamente dove voleva andare.

Aveva avuto paura.

«Hai. La... stanza 17?»

Era tutto sbagliato.

Lui era sbagliato, i jeans che indossava erano sbagliati, e quella maglia verde con la sagoma scura delle gambe di una donna era sbagliata.

Il numero della stanza era sbagliato.

Le pareti bianco spento erano sbagliate, i pavimenti bianco sporco, le divise di un bianco freddo, era tutto sbagliato.

«In fondo al corridoio, giri a sinistra. Le camere dalla 13 alla 17 sono là.»

«A-arigato.»

Quel patetico balbettio era sbagliato.


Quando erano andati a vivere assieme, aveva scoperto in lui un'insana e morbosa passione per il rosso.

Aveva intuito che quel colore potesse piacergli particolarmente il giorno cui, vedendo Takanori con i capelli color fuoco, gli era andato incontro saltellando, le mani giunto sotto al mento e un gridolino poco in tono con l'immagine di batterista rock.

Ryo aveva passato due settimane buone ad immaginarsi la sua cresta in rosso.

Uruha l'aveva dissuaso da fare qualche pazzia appena in tempo.

Aveva capito fosse fra i suoi colori preferiti, non che covasse verso il rosso una ossessione così intensa.

La loro camera da letto era un tripudio non indifferente di nero, bianco e rosso.

Le pareti erano rosso sangue, lo scheletro del letto in ferro nero, le lenzuola giocavano tutte sul bianco e sul nero, anche se Yutaka era riuscito ad infilarci in mezzo un cuscino rosso cui si aggrappava ogni notte, cuscino che lui avrebbe fatto sparire all'istante se avesse potuto.

Primo, perchè centrava come un cavolo a merenda con qualsiasi lenzuolo avessero mai provato.

E poi... dormiva anche lui in quel letto, perchè doveva abbracciare proprio un cuscino pulcioso?


«Ce ne hai messo di tempo.»

Uruha era appoggiato al davanzale della finestra, una sigaretta spenta fra le dita, lo sguardo leggermente severo.

«Non trovavo la camera.»

«Balle.»

Gli regalò un sorrisetto mesto.

«Già, balle.»

Da quando era entrato non aveva degnato quel letto del più minimo sguardo. Sentiva che sarebbe potuto crollare come un castello di carte se solo avesse visto quanto stonava quel bianco sul suo Yutaka.


Il primo ad aprirgli gli occhi era stato Aoi.

Non sapeva bene come, ma Yuu era sempre stato particolarmente abile a farlo aprire come i petali di un fiore. Uruha era il suo migliore amico, senza ombra di dubbio, a lui diceva tutto, quando si rendeva conto di cosa frullasse nella sua testa. Ecco, Aoi lo aiutava a comprendere quello che poi lui sarebbe andato a dire a Uruha.

A volte si sentiva a disagio a non capirsi da solo.

Avevano cominciato a prendere in giro Takanori per uno stupidissimo paio di pantaloni rosa e per farsi consolare (ma soprattutto per eliminare il broncio del vocalist prima che Kai arrivasse e potesse vederlo) gli avevano giurato sui loro gioielli di famiglia che sarebbe stato da incanto (avevano detto proprio “incanto”) con qualsiasi colore.

Ryo non si ricordava come erano arrivati a parlare di Kai, ma non appena Aoi aveva cominciato a buttare qua e là qualche commento, la sigaretta fra le labbra, fu come se si ricordasse all'improvviso qualcosa di importantissimo e scordato.


«Ha bisogno di te, Ryo.»

«Lo so.»

Uruha aveva rimesso la sigaretta nel pacchetto, con dei gesti nervosi e bruschi. Poi aveva alzato gli occhi sul suo viso, guardandolo come se potesse scavargli l'anima con un piccone e cullare fra le proprie dita quel cuore pulsante e terrorizzato.

«Starà bene.»

«Lo so.»

L'avrebbe abbracciato e carezzato a lungo, gli avrebbe sussurrato parole confortanti, si sarebbe fatto carico della sua paura e avrebbe lasciato al suo posto solo pace e calma. L'avrebbe riposto nel torace solo quando l'avrebbe visto riposare quieto.

«Ryo?»

«Mh?»

«Non devi... aver paura.»

«Lo so.»


Sai perchè? Perchè confrontato con noi altri quattro, lui ha la pelle molto più scura, sembra quasi abbronzata.

Era del colore del caramello, o di un biscotto.

Poi ha i capelli e occhi molto scuri.

Erano entrambi color cioccolato.

Ruki ha la pelle praticamente bianca, infatti quando veste di nero è ultraterreno. Kai invece no. Vestito di nero la pelle e gli occhi scuri perdono tutto il loro fascino, si confondono con gli abiti.

Invece il bianco esalta la sua pelle, i suoi occhi, li sottolinea.

Il bianco gli stava addosso come una seconda pelle, una seconda, perfetta pelle creata da Madre Natura solo per lui.


Uruha mi aveva salutato pochi silenziosi minuti dopo.

Solo in quel momento mi ero azzardato a voltare lo sguardo.

La sua pelle color biscotto aveva perso colore, era pallida, sciupata. Quegli occhi scuri color cioccolato erano chiusi.

Il bianco della stanza lo soffocava, lo legava. Avrei voluto strapparglielo di dosso e avvolgerlo nel mio nero, nel mio viola. O anche nel suo rosso, se gli piaceva. Avrei colorato il mondo intero di rosso, anche col mio sangue se avessi potuto strappargli quel bianco di dosso.

Mi avvicinai lentamente, quasi temendo che compiendo movimenti troppo affrettati avrei potuto ferirlo.

Ancora.

Solo in quello mi accorsi e abbozzai un sorrisetto.

Svegliati Yutaka, svegliati e guarda il tuo rosso.


~


«Hai una minima idea di quanto tu mi abbia fatto spaventare?»

Bip... bip... bip.

Evidentemente dormendo dovevo aver inconsciamente accorciato le distanze. Mi ricordavo di essermi addormentato accanto al letto, su quella scomodissima poltrona; di certo non di essermi chinato sul materasso e avergli preso una mano.

Mi ero svegliato e la prima cosa che avevo visto erano stati i suoi occhi. Era rannicchiato di fianco, e stava disteso scomodissimo solo per poter respirare sulle mie labbra.

«Gomen ne.» mormorò fingendo di essere dispiaciuto, ma si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di sorridere.

Bip... bip... bip.

«Sei un baka. Perchè stavi correndo così forte?»

Lui inclinò il volto, come se si aspettasse che io conoscessi già la risposta alla domanda che avevo posto.

«Stavo venendo da te.»

«Mica scappavo.»

«Lo so.»

«E quindi?»

Lanciai un'occhiata seccata alla macchina che monitorava il suo battito. Quando finalmente avevo scoperto che non era assolutamente in punto di morte, l'infermiera mi aveva spiegato che quell'odioso marchingegno era solo una precauzione, che lo tenevano in osservazione solo perchè aveva subito un leggero trauma cranico e che volevano accertarsi che fosse tutto a posto.

Bip... bip... bip.

Avevo scoperto che aveva quell'aria da straccio sbattuto e comatoso solo perchè le infermiere erano state costrette a sedarlo per farlo stare seduto. Mi avevano raccontato che non ne voleva sapere di arrivare tardi. Da me.

«Mi sono solo lussato una spalla...» mormorò di nuovo, ora sinceramente dispiaciuto.

«E graffiato il volto.»

Aveva le labbra leggermente abrase dall'asfalto e un taglio più netto che tagliava un brutto gonfiore sulla fronte.

Rosso.

«Niente che mi abbia messo in pericolo di vita.»

Già, niente.

Cadendo dalla moto io mi ero conciato ben peggio.

Il punto era che Uruha non me lo aveva detto!

«Meglio.» sbottai, più brusco di quanto volessi.

Della telefonata avevo capito solamente il nome del mio ragazzo, l'ospedale e qualche vago farfugliare a proposito di una moto. Ero arrivato all'ospedale nella metà del tempo che ci avrei mezzo rispettando i limiti di velocità, ma l'idea di vederlo stare male mi aveva fatto perdere anche i minuti che avevo guadagnato.

Bip... bip... bip.

«Non possono spegnerla, cazzo?»

Calò uno scomodo silenzio, tagliato e interrotto solo dal battito del suo cuore.

«Ryo...»

«La odio.»

Mi voltai; ero sempre stato restio a sciogliere il muro di riservatezza che mi divideva dal mondo, anche con lui, ma sentivo che in quel momento continuare a dargli le spalle lo avrebbe ferito.

I suoi occhi color cioccolato mi scrutavano, preoccupati, cercando inutilmente dentro essi un motivo che giustificasse la mia asprezza nei suoi confronti.

«Non voglio sentire battere il tuo cuore; vivrei nel terrore che si spegnesse all'improvviso. Preferisco sentirlo silenzioso, immaginarmelo e illudermi che non possa fermarsi mai.»

Bip... bip... bip.

«Ryo...» mormorò con delicatezza; dopo aver attestato melensamente di dipendere totalmente da lui, avevo abbassato lo sguardo, imbarazzato, le guance bollenti. «Io... dei, ti amo. Ti amo, cavolo, ti amo.»

Lo guardai a lungo, fisso. Non riuscii a staccarmi da quello sguardo per un lasso interminabile di tempo.

«Cosa ho fatto per meritarti?» sbuffai stancamente, appoggiando il capo sul suo grembo.

«Per... meritarmi?»

«Tu mi ami e io sono... beh, non sono nessuno. Non merito tanto.»

«Ryo...» esalò quasi indignato «Tu mi hai permesso di vivere un sogno e lo fai ogni santo giorno. Mi hai regalato prima un fratello prezioso e poi il compagno più... speciale che potessi mai desiderare; e mi hai concesso la gioia di non dover scegliere fra i due. Tu... mi hai insegnato a suonare il basso e-»

«Se quello lo chiami suonare...»

Neanche una formica avrebbe potuto farmi meno male del lieve schiaffetto che mi diede sulla nuca.

«Baka, io parlavo seriamente! Ci sono mille e più motivi perchè tu-»

«Ti amo anche io.»

Silenzio.

Silenzio.

«Ryo...» fu quasi un soffio quello che mi raggiunge e spezzò la tensione.

Gli risposi con un solo sguardo.

«Mi... mi baci?»

Le mia dite gli chiusero gentilmente le labbra ancor prima che terminasse la frase, uccidendo dolcemente le sue parole prima ancora che mi rendessi conto che, da quando avevo messo piede in quella stanza fredda, non l'avevo ancora baciato.

Borbottai un vago insulto rivolto alla mia persona mentre mi avvicinavo al suo volto.

Bip... bip, bip, bip...

Era tutto a posto.

La sua pelle color biscotto era a posto, stava riacquistando colore, la mia maglietta verde con la sagoma delle gambe di una donna era a posto, ora che lui ne aveva stretto lentamente un lembo, quegli occhi color cioccolato erano a posto, ora che mi guardavano, aperti, ed erano brillanti, lucidi, vivi e quel bianco freddo che lo circondava e che non riusciva a placare il calore del suo sguardo era a posto e...

Bip, bip, bip, bip-bip-bip-bip.

«Yutaka... il tuo cuore...» bisbigliai sulle sue labbra, così vicino che parlando le avevo sfiorate, desiderando solo di farle mie per l'eternità.

Bip-bip-bip-bip-BIP-BIP-BIP-BIP.

«Mi fai sempre quest'effetto, Ryo, anche solo avvicinandoti.» rispose con una risatina, mentre le sue guance si tingevano di un delizioso colore rosato che mi faceva perdere la testa ogni volta. Fece scivolare una sulla mia nuca.

Avrei voluto strappargli i fili che legavano il suo torace a quella macchina infernale solo per collegarci il mio, e fargli sentire di quando il mio cuore andasse in orbita anche solo per un sorriso, per uno sguardo e di quanto fosse impazzito a suo tempo non appena l'avevo visto uscire da quel camerino vestito di bianco.

Emise un minuscolo verso soddisfatto, un piccolissimo mmh che raggiunse la mia mente come il colpo di una pistola e annullò all'istante l'universo che mi circondava.

Il suo cuore batteva contro i palmi delle mie mani mentre mi baciava e nello stesso tempo era un furioso sottofondo, sfocato, attutito, ma non per questo meno impetuoso.

BIP-BIP-BIP-BIP-BIP.

«Ah, ecco spiegato il mistero!»

Conclusi il bacio frettolosamente, agganciando la figura di Yuu sulla porta come un caccia-bombardiere aggancia il suo nemico. Gli volevo un bene dell'anima, ma avrei potuto farlo fuori solo per aver interrotto il nostro bacio e quello che stavo cominciando a considerare il più bello e il più spaventoso suono del mondo.

Fece un cenno all'infermiera, che aveva gettato uno sguardo preoccupato dentro alla stanza.

«Vede? È tutto a posto.»

Puoi dirlo forte, amico mio.

«Io... sono mortificata. Ho visto... il monitor, sembrava impazzito...»

«Non si preoccupi.» la tranquillizzò Yutaka, rafforzando la presa sulla mia nuca.

Bip, bip, bip, bip... bip... bip... bip.

«Mi scusi...» la mia debole intromissione suonò come l'impacciato richiamo di un coniglietto. Mi schiarii la voce, seriamente in imbarazzo. «Quando lo rilasciate?»

Yutaka ridacchiò. «Non sono mica un carcerato...»

L'infermiera ci sorrise timidamente. «Fra pochi minuti viene a visitarla il dottore, e poi può tornare a casa.»

Mi raddrizzai -dopo essermi accorto che avevo assistito alla conversazione semi-sdraiato su di lui- e aspettai che Yuu e l'infermiera ci lasciassero nuovamente soli.

Se conoscevo anche solo un po' quel lunatico chitarrista, in quel preciso istante stava raccontando a Uruha e Ruki della scenetta del bacio e dell'infermiera, sghignazzando senza pietà.

Guardai Yutaka intensamente.

Non era quello il bianco che più gli donava. Era troppo... freddo, aspro. E neanche un bianco un po' più dolce e cremoso gli si sarebbe accostato meglio del bianco della mia pelle.

Sbuffai. Meglio che quel dottore si sbrigasse.

Gli lasciai un piccolo bacio sulla fronte, allontanandomi abbastanza in fretta perchè il suo cuore non ricominciasse a ballare la polka con quel dannato macchinario e sfuggii al suo abbraccio ridacchiando e riprendendo posto sulla poltrona. Lui abbozzò un broncio, prima di lasciarsi cadere nuovamente sul letto.

«Voglio stare un po' da solo con te...»

Gli sorrisi.

«Voglio arrivare presto a casa e vestirti di bianco.»


~


«Lo sai che non sono fatto per le sorprese!» si lamentò per l'ennesima volta, mentre tentavamo un suicidio di coppia sulle scale; appena gli avevo fatto intendere che in camera da letto ci sarebbe stato un regalo per lui avevo dovuto faticare per costringerlo a chiudere gli occhi.

E visto che quando si parlava di sorprese Yutaka andava fuori di sé dalla curiosità, alla fine avevo dovuto chiuderglieli io stesso con le mani. Ero stato, in parole povere, costretto a stargli appiccicato come una cozza, salendo le scale incollato alla sua schiena.

«No, rettifico. Sei tu uno stronzo che non mi dai neanche un indizio.»

«Yutaka, lo vedrai fra esattamente sette secondi, che senso ha?»

«...sei uno stronzo comunque!»

Quando fummo in camera e gli permisi di vedere poco mancò che si mettesse ad urlare.

«Rosse! Per tutti gli dei, Ryo, sono rosse!»

Anche l'ultimo, valoroso baluardo bianco era scomparso in un turbine di lenzuola rosso sangue, di una tonalità appena più scura delle pareti e appena più chiara del tappeto.

Se non altro ora il pulcioso cuscino aveva senso.

Ero ferme a questo ponderazioni cromatiche quando lo vidi arraffare di tutta fretta qualcosa dal cassetto e nasconderlo dietro la schiena.

«Cos'hai lì Yutaka?»

Abbozzò un sorrisetto compiaciuto. «Lo vedrai fra esattamente sette secondi, Ryo. Perchè dovrei rovinarti la sorpresa?»

«Perchè tu a differenza mia soffri terribilmente il solletico.»

Mi guardò terrorizzato, prima di battere saggiamente in ritirata. Sentii la chiave del bagno ruotare ansiosamente nella serratura e mi immaginai il mio ragazzo appoggiarsi alla porta chiusa e asciugarsi la fronte, con un comico fiuuu fra le labbra.

Le lenzuola rosse erano state una bella sconfitta per me. Fra l'amore con lui in mezzo al bianco era ultraterreno.

Certo, tutto il resto della casa era bianco in fondo; non avevamo ancora sperimentato tanto, ma ero sicuro che anche issarlo in mezzo sul ripiano bianco della cucina sarebbe stata un'esperienza non poco interessante.

La pretesa di avere una camera da letto immersa nel sangue era ben poca cosa.

Apparve all'improvviso.

Lui e quella pelle color biscotto, lui e quei capelli dal colore scuro, avvolgente, lui e quegli occhi color cioccolato che riuscivano a sciogliergli ogni singolo neurone che aveva nel cranio.

«Posso anche morire ora.» mi scappò dalle labbra, nel vederlo avvolto da un semplicissima paio di pantaloni bianchi, morbidi, larghi. Non indossava altro.

«Non ci provare nemmeno.» mormorò sulle mie labbra, salendomi a cavalcioni con un movimento così naturale ed elegante da travalicare anche la sensualità del gesto; nessuno avrebbe potuto imitarlo senza sembrare una prostituta navigata.

Lo rovesciai sul letto, pregustandomi già il momento in cui quelle iridi ora così maliziose si sarebbero sciolte in un fluido di languido abbandono.

Quando lo vidi disteso sul letto, il volto già arrossato, le labbra graffiate tese in un sorriso dai molteplici significati, cominciai a rivalutare il rosso in contrasto alla sua pelle e a quei pantaloni.

Rosso e bianco.

Un connubio perfetto di sangue e neve nel cui centro perfetto stava la mia unica ragione di vita.


«Yutaka?»

«Mmmmh

«C'è una sola cosa meglio di te con addosso dei vestiti bianchi.»

Mi guardò con gli occhi liquidi.

«Cioè?»

«Toglierteli.»




Fine.








N/A:

Cinquecentesima fiction del fandom! *stappa spumante dolce*

Nessunissima pretesa, semplicemente l'altro giorno ridacchiavo fra me e me su un ipotetico Ruki in un letto d'ospedale, di un Reita che lo bacia e della macchina che impazzisce. Poi ho ripensato ad un discorso fatto con Aelite riguardo Kai e il bianco (finalmente una ReitaxKai, da quanto tempo non ne scrivevo una? é.è).

E poi ho colto l'occasione per esprimere un concetto che mi si è impiantato in testa da quando ho cominciato a fantasticare a proposito di una pseudo coppia, lei capelli rossi, lui capelli bianchi. Come sangue e neve.

Ringrazio infinitamente chi ha recensito la mia baby-shot *^*


Mata ne,

Mya

  
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