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Autore: sprl1199    13/01/2011    5 recensioni
Richiesto il suo aiuto in un caso riguardante una giovane cameriera assassinata in una ricca tenuta, Sherlock si ritrova ad investigare nel bel mezzo di segreti, fantasmi, un'inopportuna influenza, e John. (Rielaborazione in chiave moderna de "L'enigma di Reigate". Sherlock/John pre-slash. Traduzione a cura di Madame Butterfly.)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sally Donovan , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.

Note dell'autore. Questa storia è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi "Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.

(Traduzione a cura di Madame Butterfly -  link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)







FROZEN

La solitudine è la prima cosa che Dio vide non esser buona. - John Milton



1.




La gola di Sherlock prudeva.

Cercò di schiarirsela discretamente, ma un piccolo suono doveva essere sfuggito lo stesso perché Sally si fermò nel bel mezzo di una frase e lo guardò con un cipiglio aggressivo.

"Scusa, c'è qualcosa di divertente in una ragazza morta a ventiquattro anni?"

"Naturalmente no," Sherlock rispose calmo, lieto che il suo profondo timbro vocale da baritono non tradisse con facilità la leggera raucedine che era irritantemente presente da un paio di giorni a quella parte. Il fatto che lei l'avesse intesa come una risata soffocata era stato un caso fortuito. Tipico, ma fortuito.

"Mi stavo semplicemente chiedendo quando saresti arrivata al punto di questo piccolo rendezvous."

Sotto il tavolo, John gli mollò discretamente un calcio in uno stinco. All'occhiataccia di Sherlock, prese un sorso del suo caffè per nascondere quello che era certamente il sorrisino che adottava ogni qualvolta gli era concesso di replicare alla mancanza di diplomazia di Sherlock.

Bastardo.

Rifiutando di essere disciplinato, Sherlock lo ignorò e si adagiò contro lo schienale rivolgendo uno sguardo freddo al sergente Donovan. La bocca di lei si era piegata in una smorfia alla sua replica pungente e aveva chiuso gli occhi mentre si prendeva un comprensibile momento per dominarsi. Quando aprì nuovamente gli occhi, fu professionale e distaccata come Sherlock non l'aveva mai vista.

Si chiese se stesse prendendo lezioni da Lestrade.

"Il punto," continuò il sergente, "è che Lestrade vuole che ti occupi dell'omicidio di Hampstead."

Sherlock emise un suono spazientito. "Be', questo è ovvio, altrimenti non ci avresti convocati qui. Ma cosa fa credere a Lestrade che io voglia immischiarmi in questo caso? Nulla di quello che hai detto finora mi è sembrato anche solo remotamente interessante."

Sally lo guardò con disprezzo. "Interessante? Sei uno schifoso bast-"

"Dato il prestigioso quartiere in cui ha avuto luogo l'omicidio," la interruppe Sherlock, con un tono piatto fatto apposta per irritarla, "immagino che ci siano delle pressioni politiche affinché questo crimine venga risolto velocemente e senza troppo clamore."

Sally non rispose ma la stretta delle dita intorno al suo tè chai fu abbastanza eloquente. Sherlock si sporse in avanti in modo tale da incombere su di lei mentre chiariva il punto, nonostante immaginasse che l'effetto sarebbe stato rovinato dall'atmosfera disgustosamente gioiosa del Java The Hut.

"Non mi interesso di politica," disse con voce bassa e precisa, socchiudendo gli occhi minacciosamente. "Non ho alcun interesse nel diventare un burattino nelle mani del governo britannico."

"Semplicemente non vuoi fare nulla che tuo fratello potrebbe potenzialmente approvare," se ne uscì John, gioviale. Sherlock gli lanciò un'occhiataccia che chiaramente non sortì alcun effetto, se i calmi occhi azzurri e il tranquillo sorso di caffè erano di qualche indicazione. Al contrario, sembrava divertito e Sherlock rivolse un fugace pensiero carico di nostalgia ai giorni in cui era capace di intimidire qualunque persona con cui venisse in contatto.

Sally emise un suono disgustato. "Come te ce ne sono due? Dio ci aiuti."

Sherlock la ignorò. "La cosa davvero interessante è che Lestrade ha mandato te," disse con un sorrisetto mentre l'espressione di Sally si faceva di pietra. "In special modo dato che sa in che rapporti siamo. Rapporti che - vorrei sottolineare - sono interamente il risultato dei tuoi insulsi tentativi di screditare sia me che i miei metodi." Spostò elegantemente la gamba prima che John gli mollasse un altro calcio.

"Chiaramente Lestrade è persuaso a credere che mandarti personalmente da me per chiedere assistenza possa tenere a bada la mia insolenza abbastanza da farmi acconsentire di occuparmi di questo caso."

Il sergente stava stringendo i denti, le narici che fremevano leggermente. Accanto a lui, John appariva vagamente preoccupato.

Sherlock si adagiò allo schienale e lasciò che un sorrisetto trionfante gli increspasse le labbra.

"Dunque, coraggio," disse sarcastico. "Chiedilo."

Gli occhi di Sally divennero velenosi per la rabbia mentre apriva la bocca per rispondere.


**

"Te la sei cercata, sai," disse John, tornati all'appartamento, mentre Sherlock si lamentava della chiazza di chai sulla sua camicia. Poteva solo essere grato che avesse mancato il cappotto.

"Allora li aiuterai?" continuò John.

Sherlock guardò in su da dove stava cercando di pulire il davanti della sua camicia, senza molto successo. "Naturalmente li aiuterò. Lestrade ha chiesto di me personalmente ed è lungi da me rifiutare di mettere le mie capacità a disposizione della polizia quando è così ovviamente in difficoltà."

L'occhiata che John gli lanciò fu così chiaramente incredula che sentì le proprie labbra tentare di curvarsi in un sorriso.

"In più sono consapevole che la bolletta del riscaldamento scade la prossima settimana e che se non vogliamo che ce lo taglino del tutto dobbiamo pagarla per intero."

Avevano usato il riscaldamento molto di rado nelle scorse settimane, preferendo raggomitolarsi sotto montagne di coperte, ma la bolletta era salita lo stesso. L'appartamento aveva solitamente appena un paio di gradi in più rispetto alla temperatura esterna, fredda e autunnale. La cosa faceva impazzire Mrs. Hudson.

"E infine," se ne uscì Sherlock, "siamo rimasti quasi senza tè e HobNobs. Ad una situazione simile bisogna porre rimedio immediatamente."

Gli HobNobs erano i preferiti di John e il sorriso che Sherlock ottenne in risposta alla sua casuale osservazione fu abbagliante.

Si voltò prima che John si accorgesse che c'era senza ombra di dubbio un'espressione orribilmente instupidita sulla sua faccia e - per essere sicuro che non fosse visibile - iniziò a togliersi la camicia facendosela passare sopra la testa, borbottando qualcosa riguardo il nauseante odore di cardamomo e chiodi di garofano.

Alle sue spalle, sentì John emettere un suono strozzato prima di scusarsi e lasciare improvvisamente la stanza, facendo sbattere la porta dietro di lui.

Sherlock si bloccò, sorpreso per quell'uscita improvvisa, la testa ancora tra le pieghe del tessuto blu. Era stato impaziente di discutere i particolari del caso con John sopra scatole di cibo cinese o il take away di qualunque ristorante fosse tra le loro preferenze della settimana. Averlo visto ritirarsi così improvvisamente era stato... deludente.

La miscela speziata del chai gli assalì nuovamente le narici e starnutì. Due volte.

Che seccatura.


**


I particolari del caso erano i seguenti:

Billie Kirwan, ventiquattro anni, era cameriera nella tenuta di Hampstead appartenente ai Cunningham, un'antica famiglia benestante la cui fortuna era legata al commercio e alla navigazione fin dal diciannovesimo secolo. Dipendente nella casa da due anni, era stata trovata due giorni prima ai piedi dell'imponente scalinata che scendeva nell'atrio: collo spezzato e testa fracassata da un oggetto pesante attualmente non identificato. Secondo l'inchiesta, era stata la caduta da un'altezza pari a quella della scala a causare la sua morte.

Non aveva amanti di cui i suoi datori di lavoro fossero a conoscenza e la sua sola parente in vita era una madre malata che viveva fuori da Ipswich. Era stata una studentessa nella media e non aveva voluto continuare ulteriormente gli studi. Era arrivata con buone referenze per via di una posizione simile ricoperta in adolescenza e il suo solo passatempo conosciuto consisteva nella regolare frequenza con cui si recava al cinema più vicino, presumibilmente a vedere commedie romantiche.

Tutto questo era contenuto nel fascicolo che il sergente Donovan aveva provveduto a Sherlock, i dettagli meticolosamente annotati e i fatti di interesse liberalmente sottolineati e cerchiati con una penna viola.

Si trattava di spazzatura, naturalmente, anche se c'erano dei punti interessanti nelle foto della scena del crimine: c'era qualcosa che colpiva nelle scene del corpo disteso in modo scomposto sul tappeto persiano, i ritratti nelle pesanti cornici immobili come sentinelle e i pannelli di luce dorata provenienti dalla lampada Tiffany davano un senso di melodramma alla scena. Somigliava in qualche modo alla copertina di un violento thriller romantico.

Il corpo era stato trovato dall'anziana Mrs. Edith Cunningham quando era scesa in cucina per tentare di combattere l'insonnia con una tazza di latte, approssimativamente all'una e trenta di notte. I membri maschi della famiglia - Edgar, il figlio di Edith, e il nipote Alec - avevano dichiarato di aver lavorato fino ad un'ora estremamente tarda nell'ufficio della società di navigazione Cunningham quella notte e di non essere rincasati finché non erano stati avvertiti dell'incidente.

L'ultimo membro della famiglia, la moglie di Edgar, Delia, stava presumibilmente dormendo. Da diverse annotazioni fatte alle trascrizioni degli interrogatori svolti sul posto - inclusa una con la medesima penna viola che diceva "Lunatica!!!" - Sherlock dedusse che Delia Cunningham soffriva probabilmente di psicosi o di un inizio di demenza precoce.

Non c'erano segni di scasso e nessuna orma, impronta, fibra o composto non identificati sopra o vicino al corpo. Una vicina telecamera per il monitoraggio del traffico che inquadrava il cancello d'entrata mostrava che dopo il tramonto nessuno era entrato o aveva lasciato la proprietà nella direzione della strada.

La teoria avanzata - da Alec Cunningham, notò Sherlock - era che la morte di Billie Kirwan fosse stato uno sfortunato incidente conseguenza della scoperta da parte della cameriera di alcuni ladri. C'era stata un'ondata di furti nella zona recentemente. Tutti in splendide, dimore storiche come quella appartenente ai Cunningham, e il giovane Cunningham aveva insistito ostinatamente nel dire che questo era solo un altro crimine attribuibile agli stessi malviventi, anche se con un più terribile finale.

Sally sembrava d'accordo con quella teoria e una buona parte del file era composta di copie dei rapporti degli altri casi: cinque in totale nell'arco dei precedenti quattro mesi, tutti perpetrati mentre i padroni di casa erano assenti.

Sherlock diede un'occhiata veloce ai rapporti e poi, con un movimento improvviso, gettò via i documenti usando una mossa segreta che consisteva in una notevole torsione del polso e della quale andava discretamente fiero. Il fascicolo scivolò lungo il pavimento e si infilò sotto il divano, fuori dalla vista.

"Sherlock!" lo rimproverò John, chinandosi per recuperare il file. "Non è così che vorresti che gli altri trattassero le tue prove, no?"

"Bah," Sherlock scartò l'idea. "Quei documenti saranno inutili quando vedremo la scena del crimine e interrogheremo i residenti. Sarei davvero sorpreso se non ci fosse qualcosa che nelle indagini preliminari è stato dimenticato. E attribuire questo alla banda di ladri che evidentemente si aggira lì intorno mostra una mente particolarmente poco creativa, la qual cosa - suppongo - è poco sorprendente visto che l'investigatore incaricato è Sally."

John lo ignorò e si mise a sfogliare i rapporti. "Cosa ti fa pensare che non abbiano relazione con il caso? Cinque furti in un quartiere agiato sembra una pista di cui dovresti tener conto."

"Nei casi precedenti, i ladri si erano assicurati che nessuno fosse presente prima di entrare."

"Forse pensavano che la casa fosse vuota e hanno semplicemente commesso uno sbaglio."

"In questo caso sono riusciti a non accorgersi della presenza di tre individui. È molto più di un 'semplice errore', non sei d'accordo?"

John lo guardò, la fronte corrugata in quella maniera che non mancava mai di far desiderare a Sherlock di spianarla con un dito. Si trattenne.

"Forse i ladri volevano a tutti i costi qualcosa che si trovava in casa e non potevano aspettare," rispose John, un po' testardamente, secondo l'opinione di Sherlock. "Non dovresti tener conto di ogni prova disponibile?"

"Molto bene," disse Sherlock, di malavoglia, sventolando la mano verso i documenti. "C'è qualche schema negli oggetti rubati dai ladri?"

John diede un'occhiata ai rapporti. "Be', si tratta soprattutto di dipinti. Qualche gioiello di famiglia. Tutto il denaro a portata di mano. Un uomo di nome Pirie ha perso il busto antico di Nefertiti che aveva posizionato in biblioteca e un grosso rubino che aveva messo al sicuro nella camera da letto."

Passò ad un altro rapporto. "Nel caso degli Acton, solo lo studio è stato rovistato e i ladri se ne sono andati con un volume di Homer, due candelabri placcati, un fermacarte, un barometro di quercia e un rotolo di spago."

"Notevole," disse Sherlock con aria assente, la mente che faceva un balzo in avanti. Gli fece eco saltando in piedi con entusiasmo, pronto a iniziare la caccia.

Sfortunatamente, il balzo in piedi fece in modo che il prurito che sentiva in gola scavalcasse i confini sotto forma di un breve e secco colpo di tosse. Fece del suo meglio per camuffarlo in modo da far sembrare che si stesse semplicemente schiarendo la gola, ma poté vedere che John non l'aveva bevuta.

Il dottore lo scrutò sospettosamente, la fronte nuovamente corrugata. "Da quant'è che ce l'hai?"

"Un giorno o due," disse Sherlock con noncuranza. "Nulla di cui preoccuparsi. Abbiamo una scena del crimine da investigare. Andiamo!"

John non si mosse ma incrociò le braccia e sollevò le sopracciglia come stesse considerando la situazione. "Sciroppo per la tosse," disse infine. "Prenderai lo sciroppo per la tosse prima di andare, giusto per stare tranquilli. Non meraviglierai nessuno con i tuoi monologhi deduttivi se sputi fuori un polmone nel bel mezzo di una frase."

"Io non faccio monologhi," disse Sherlock in tono offeso. "E sono molto lontano dal punto di 'sputare fuori un polmone', come dici tu."

John borbottò vagamente. "Continueresti a lavorare anche se fossi all'ultimo stadio di tubercolosi acuta."

"Adesso stai facendo il drammatico."

Vedendo che John non aveva intenzione di cedere, emise un sospiro teatrale di sconfitta e si voltò per salire le scale verso la stanza di John. "Bene," disse, testardo. "Ma uso la tua scorta."

Sorrise mentre John sbuffava alle sue spalle. "Come tu ne avessi una."


**


Sciroppo per la tosse preso e promessa di rivelare eventuali altri sintomi estorta, arrivarono di fronte alla tenuta dei Cunningham.

Era un'enorme, cupa struttura - barocca, in apparenza - situata ben discosta dalla strada. Un muro fatto degli stessi mattoni scuri correva lungo il perimetro della proprietà e rafforzava l'impressione di intensa privacy. Perfino il rumore del movimento sulla strada trafficata dove era situata la casa sembrava fermarsi al limite previsto.

La qual cosa, pensò Sherlock, era eccellente in quanto si poteva sperare che facesse smettere anche il tormentato suono di un violino suonato da qualcuno poco più in giù nella strada.

L'uomo vide la sua (sofferente) occhiata e la interpretò come un invito ad avvicinarsi. Era vestito a strati, con vestiti piuttosto vecchi, in varie tonalità di marrone e un cappello a larghe falde calcato sugli occhi. Sherlock era pronto a passargli oltre quando notò che lo spazio intorno alla custodia del violino indicava la frequente presenza dell'uomo in quel particolare tratto di marciapiede.

Il violinista fece un piccolo salto a tempo con la melodia che stava suonando, avvicinandosi, e smise misericordiosamente di suonare mentre si fermava di fronte a loro, inchinandosi con fare teatrale.

"Buon pomeriggio, signori," disse con accento marcato e sorriso affascinante. "Gradite una melodia? Magari qualcosa che vi sollevi lo spirito in una così gelida giornata?"

"Hmm," disse Sherlock, noncurante. "Quello che ci solleverebbe lo spirito è qualunque tipo di informazione ci può provvedere riguardo quella residenza laggiù."

L'uomo sembrò confuso per un momento finché John non fece un gesto verso la proprietà dei Cunningham.

Fece un ampio sorriso quando capì a che residenza ci si riferiva. "Ahh, volete una storia di fantasmi?"

"Storia di fantasmi?" gli fece eco John.

"La tenuta è infestata, sapete?" Si sporse verso i due, alito fetido e cappotto cencioso che puzzava di muffa. Sherlock fece immediatamente un passo indietro e notò - con divertimento - che John stava fermo al suo posto, con le ginocchia bloccate in quello che era indubbiamente un senso dell’educazione profondamente radicato.

Il violinista proseguì: "Era il 1840. Un donna e la sua bambina furono trovate brutalmente assassinate in quella casa. Erano da sole in una piccola stanza all'ultimo piano che era stata chiusa a chiave dall'interno, con una sola chiave esistente, ma in qualche modo alla donna - anche lei una cameriera, se non ricordo male - era stata quasi staccata la testa. E la sua povera bambina era stata strangolata e ficcata nel camino."

"È terribile," disse John con sincerità. Poi, perché ci si aspettava che lo chiedesse, "L'assassino è stato preso?"

Il violinista sorrise con ferocia, un bardo tutto preso dall'intrecciare un racconto per il suo pubblico. "Nient'affatto, signori, è questa la parte più tragica. La polizia dell'epoca non riuscì a capire come avesse fatto l'assassino ad entrare e uscire dalla stanza chiusa così come non poté dedurre chi fosse quel demonio."

Si fece ancora più vicino e abbassò la voce. "E probabilmente si trattò davvero del diavolo."

A dramma concluso, fece un passo indietro e riprese un tono di conversazione. "C'è chi dice che l'intero posto sia infestato. Era posseduto allora ed è posseduto oggi, prima dai fantasmi di quelle due tristi vittime e ora quella terza servetta. Se io fossi in voi, signori, starei molto lontano dalla casa e dalla famiglia che ci vive."

Sherlock alla fine trovò qualcosa di interessante nel racconto dell'uomo. "Oh? Che cosa sa dei Cunningham?"

Il violista storse il viso con disgusto. "Brutte storie, per lo più. In particolare sul vecchio. Ho sentito certi racconti dei domestici di quella casa - quelli che c'erano prima, intendiamoci - da farmi venire la pelle d'oca."

"Dubito dell'accuratezza della sua affermazione, ma capisco il significato implicito," rispose seccamente Sherlock. "Nello specifico cosa ha sentito?"

Per la prima volta da quando li aveva avvicinati, l'uomo si fece quieto. Rivolgendo loro un lungo sguardo pensieroso, sorrise cauto e poi distolse lo sguardo, come imbarazzato.

"Be', ecco, io non sono altro che un povero musicista, no? Tutto ciò che possiedo è il vestito che ho addosso, il mio violino e la mia parlantina, come vedete."

Sherlock sollevò le sopracciglia. "Ha un appartamento a Barking, una donna che vive con lei e come minimo due figli," disse senza mezzi termini. L'uomo lo guardò a bocca aperta, scioccato. "Nondimeno, le daremo venti sterline se le sue informazioni si riveleranno utili oltre che divertenti."

"Err, sì," disse l'uomo, preso alla sprovvista. Si ricompose rapidamente, le tracce del commediante svanite in vista del potenziale profitto. "Ho sentito da un mio amico - lavorava lì facendo consegne e roba simile prima che lo licenziassero - che il vecchio Cunningham si prende delle confidenze con le dipendenti donne, se capisce quello che intendo. Non che sia una cosa strana, voglio dire, ma Cunningham è peggio di molti altri. Non accetta un no come risposta e non si fa scrupoli a minacciare chiunque potrebbe accusarlo."

"Minacciare in che modo?" chiese Sherlock.

Il violinista si strinse nelle spalle, la sua attenzione catturata da un gruppo di turisti che camminavano con calma verso di loro. "Eh, grazie al denaro. Insinua che ha degli amici influenti in posti influenti e che ognuno di loro sarebbe lieto di rovinare la vita a qualcuno, su sua richiesta. Dice che tiene la polizia in tasca."

Si volse verso di loro e porse il palmo della mano con aspettativa. Sherlock gli mise in mano l'ammontare promesso ma non lasciò subito la presa.

"Altro?" chiese, socchiudendo gli occhi.

"Il figlio, Alec. È irascibile come suo padre, da quanto ho sentito. Ma fatelo bere e vi stordisce di chiacchiere. Voci dicono che per la compagnia gli affari non vanno bene come invece vorrebbero far credere. Naturalmente," sorrise di nuovo, "io sono solo un povero violinista, no?"

Sherlock lasciò la banconota e l'uomo la fece scivolare nella tasca del suo cappotto. Riprese la sua facciata baldanzosa mentre puntava sui turisti.

"Dentro, subito," disse Sherlock tra i denti. "Quell'uomo è una minaccia per ogni amante della musica."

John rise ma si sbrigò lo stesso a seguirlo giù per il viale. "Davvero? Pensavo che il suo modo di suonare somigliasse un po' al tuo."

Ricevette in risposta un'occhiata fulminante.


**


Sally li aveva battuti sul tempo, della qual cosa Sherlock fu vagamente impressionato, visto che lui non aveva avvisato nessuno del suo arrivo.

Era nello studio, appollaiata cautamente su un divano troppo imbottito, una fragile tazza da tè - già freddo, a giudicare dall'assenza del vapore - tenuta con cura in mano. Appariva stranamente nervosa.

Davanti a lei stavano sedute due donne. La prima, che Sherlock identificò con Edith Cunningham, era una donna dall'ossatura robusta e lo sguardo duro, con capelli grigi tirati indietro in una stretta e intricata crocchia. Le sue labbra sottili erano serrate in un'espressione di condanna, fosse per la sua conversazione con Sally o per la situazione in generale. Sherlock avrebbe scommesso sull'ultima.

La seconda era una donna di mezza età, molto fragile e con acquosi occhi blu che saettavano con aria assente da un punto all'altro della stanza mentre sorseggiava da quella che pareva essere una tazza vuota. Presumibilmente Delia, la svampita moglie di Edgar e madre di Alec. Si riscosse quando Sherlock entrò nella stanza e si dileguò attraverso una seconda porta che dava in quello che probabilmente era il salotto. Nessuno si mosse per fermarla.

"Mm, questi devono essere i suoi colleghi, sergente Donovan," disse Edith Cunningham. Il suo sguardo era freddo e calcolatore.

"Sì, signora," rispose Sally con un sorriso forzato che non le raggiunse gli occhi. "Uno dei nostri consulenti, Sherlock Holmes, e il suo collega, il dottor John Watson."

Mentre John eseguiva lo scambio di saluti che l'educazione richiedeva, Sherlock esplorò la stanza, ignorando lo sguardo critico di Sally. Aveva deciso di tenere su il cappotto entrando in casa, dove uno spiffero gelido gli provocò un brivido lungo la spina dorsale, e lui ficcò le mani più profondamente nelle tasche mentre scorreva con gli occhi la libreria. Dalla conversazione ricavò che Alec ed Edgar Cunningham erano fuori in ufficio ma che Alec aveva progettato di arrivare a casa presto per rispondere ad ogni domanda rilevante a proposito della nottata in questione.

"Sherlock," disse Sally a denti stretti, la voce lievemente inceppata dall'uso del suo nome di battesimo. "Non ti unisci a noi? Stavo giusto aggiornando Mrs. Cunningham sui progressi nell'investigazione."

Sherlock si concesse altri trenta secondi per tirare giù un libro ed esaminarlo (per rendere chiaro a Sally che non doveva in alcun modo prendere l'abitudine di dargli ordini) prima di prendere posto su una sedia imbottita dall'odore stantio, con un gesto teatrale.

La polvere che si sollevò a causa del movimento gli fece prudere il naso, ma la presenza di Sally lo costrinse a trattenere lo starnuto.

Prima che Sally potesse riprendere il suo chiacchierio, lui si intromise.

"Lei ha trovato il corpo, corretto?" chiese bruscamente a Mrs. Cunningham.

Lei sollevò un sopracciglio imperioso. "Corretto."

"A che ora?"

"Poco dopo l'una e trenta del mattino." Fece una pausa significativa. "Credo di aver già detto alla polizia tutto ciò che potevo sapere che fosse di una certa rilevanza."

"Sono certo che lei abbia detto alla polizia tutto ciò che ritenevano fosse rilevante, d'altro canto, se fossero riusciti ad estrarre ogni fatto considerevole, sarei decisamente sorpreso."

John si intromise. "Ci sarebbe d’aiuto sentirli da lei direttamente, signora," disse in tono conciliante, lanciando a Sherlock uno sguardo di rimprovero che lui decise immediatamente di ignorare.

Mrs. Cunningham sembrò placata, ma Sherlock poté vedere che Sally guardava torvamente nella sua tazza da tè.

"Molto bene," disse Mrs. Cunningham, con dignità. "Faccia le sue domande."

"Lei ha detto alla polizia che si è recata al piano di sotto a quell'ora per una tazza di latte che la aiutasse a dormire. È rimasta sveglia per molto tempo prima di trovare il corpo?"

"Stavo leggendo nella mia camera," affermò lei come se pensasse che lui avesse sottinteso qualcosa di offensivo.

"Tutta la notte?"

"Approssimativamente dalle nove, quando mi sono ritirata nella mia stanza, fino a quando ho trovato Miss Kirwan."

"Aveva la luce accesa?" chiese Sherlock.

"Naturalmente," disse lei, alzando un sopracciglio. "Sarebbe stato difficile leggere altrimenti."

"E qual è la sua stanza?"

"Non riesco a capire lo scopo di queste domande, detective," rispose lei con impazienza.

"Mi sto semplicemente chiedendo, signora, se la luce della sua camera sarebbe risultata visibile ad eventuali ladri che cercassero di entrare. Qualsiasi luce, anche quella di una lampada da lettura, li avrebbe avvisati della presenza di persone nella residenza."

Mrs. Cunningham fece una pausa. "Ci sono stati dei periodi durante la notte in cui ho spento la lampada per cercare di dormire."

"E c'è riuscita?"

"No," disse, socchiudendo gli occhi. "Per questo ho sentito la necessità di una bevanda calda."

"Ha sentito qualcosa durante la notte? Qualche rumore insolito?"

"Certamente no. Avrei avvisato la polizia se mi fosse venuto in mente qualcosa che avevo dimenticato di dire."

"Ha magari sentito il suono di Miss Kirwan che si muoveva in casa? Visto che l'ha trovata nell'atrio completamente vestita, molto probabilmente è stata in piedi l'intera notte."

Mrs. Cunningham non rispose subito e, per la prima volta da quando era entrato nella stanza, guardò Sherlock con qualcosa di più di un malcelato disprezzo.

"Mi sono assopita ogni tanto," disse alla fine. "È possibile che non abbia udito il rumore di Miss Kirwan con i ladri in questa particolare occasione. Mi rincresce di non poter essere di maggior aiuto."

Sally parlò per la prima volta durante il colloquio, chinandosi in avanti sul divano mentre si rendeva conto dell'insinuazione nella frase di Mrs. Cunningham. "Crede che Billie Kirwan fosse in combutta con loro?"

"Non ne sarei sorpresa," rispose, rigida, Mrs. Cunningham. "Era una ragazza furtiva, sempre ad appostarsi dietro gli angoli. Edgar l'ha assunta andando contro il mio giudizio."

"Sì," subentrò nuovamente Sherlock. "Capisco che Mr. Cunningham sia responsabile della maggior parte delle assunzioni. Del personale femminile, almeno."

Il volto di Mrs. Cunningham si congelò in una rabbia fredda e improvvisa. "Cosa sta insinuando esattamente, signore?"

"Sta zitto, Sherlock," sussurrò John da un angolo della bocca.

"Sto insinuando che suo figlio è conosciuto per intrattenere relazioni inappropriate con il personale femminile della tenuta, potenzialmente relazioni non consensuali," disse in tono piatto, gli occhi puntati sul volto di Mrs. Cunningham per scoprire ogni segnale di colpa o di imbarazzo.

Non ce n'era nessuno. Oppure, se c'era, era coperto dalla stessa gelida rabbia che era apparsa quando prima aveva menzionato suo figlio.

Si alzò. "Sergente Donovan, voglio parlare con il suo supervisore immediatamente. Questo colloquio è terminato." E detto ciò marciò fuori dalla stanza, la schiena dritta e rigida, e il bastone che le conferiva l'aspetto di una regina, più che di un'invalida.

"Argh!" Il suono di disgusto e frustrazione di Sally suonò alto nello studio. "Ti ammazzo! Ti rendi conto di quanto hai messo in pericolo questo caso?! Lo so che vai matto per i piccoli, sordidi segreti nascosti, ma avevo sperato che tu riuscissi a trattenerti se te lo chiedeva Lestrade!"

"Le voci su molestie sessuali nei confronti del personale della tenuta sono importanti al fine dell'investigazione," sostenne Sherlock, la voce chiara e concisa. "Se non volevi che investigassi, non avresti dovuto chiedere il mio aiuto."

Le mani di Sally si aprivano e chiudevano ad intervalli irregolari, senza dubbio desiderose di serrarsi intorno al suo collo. Invece, prese il suo cellulare, la faccia disgustata mentre navigava tra i contatti. "Sparisci dalla mia vista prima che io prenda l'attizzatoio e faccia qualcosa che non ti piacerebbe."

Mentre Sherlock si allontanava a grandi passi verso la porta, lei lo chiamò. "Ancora meglio, vai del tutto fuori dalla casa. Non ho bisogno che innervosisci qualcun'altro mentre io sistemo il casino che hai combinato."

"Bene," disse lui, a denti stretti, proiettandosi verso la porta a passo svelto.

John lo aveva seguito, ma si fermò nella veranda all'ingresso guardandosi indietro con incertezza.

"Penso di poter prendere le tue difese, se si dovesse arrivare a questo," disse con tono sarcastico.

Sherlock si arrabbiò. "Sono perfettamente in grado di difendermi da solo," rispose, irritato.

"Hmmm," borbottò John, evasivo, tirando fuori il suo cellulare, senza dubbio in un tentativo di contattare  lui stesso Lestrade. Quando guardò in su verso Sherlock, si accigliò. "Va a sederti a sbollire in un café o altro. Un qualche posto caldo. Non hai bisogno di camminare fuori con questo tempo."

Senza attendere la risposta di Sherlock, si voltò e tornò dentro casa, chiudendo accuratamente la porta dietro di lui.

"Quello che non mi serve è una balia," disse alla porta.

Aveva notato un café in fondo alla strada quando erano arrivati nel quartiere. Sollevando il collo del cappotto per proteggersi dal vento, si voltò con risolutezza e iniziò a camminare nella direzione opposta.


**


Fu alla terza volta che passava su e giù lungo la strada che notò il piccolo parco cinto da mura, con il cancello arrugginito. D'impulso, lo spinse per aprirlo ed entrò.

Dentro era completamente deserto e reso ancor più malinconico dal parco giochi abbandonato e dalle panchine sparpagliate sotto gli alberi spogli e nell'erba secca. Il vento soffiò con forza per un momento, un dito di ghiaccio giù per la nuca, e lui sprofondò più a fondo nel cappotto, ordinando ferocemente a sé stesso di non tremare.

Il cielo aveva il colore dell'acciaio. La solida coperta di nuvole poteva sembrare soffocante nella sua vicinanza, ma l'impressione che dava la scena nel suo insieme era di un'intensa solitudine.

I rami secchi di un'edera morta da tempo si avvinghiavano tenacemente alla staccionata intorno al piccolo parco chiudendo fuori segnali di vita e abitazioni che cercavano di spingersi dentro. Anche se c'erano case e negozi ad appena un paio di metri, erano come rimossi.

Camminò lentamente lungo il sentiero, calciando con noncuranza i mucchi di foglie con cui i suoi piedi venivano a contatto. Fu momentaneamente tentato dall'idea di un giro sulla giostra quando si ritrovò improvvisamente a trasalire.

"Che fai qui?" venne una voce da dietro di lui. Si girò rapidamente, il cuore in gola per la frase completamente inaspettata, e vide una donna che sedeva tranquillamente su una delle panchine del parco.

"Sto pensando," replicò in ritardo con voce brusca, i battiti del cuore che rallentavano mentre il suo corpo elaborava che non c'era pericolo.

"Be', forse dovresti sederti. Farsi del male non stimola i processi mentali,” disse la donna, suonando divertita.

Sembrava sulla cinquantina ma portava la sua età estremamente bene, con soltanto delle piccole rughe intorno agli occhi e alla bocca che la tradivano. I suoi occhi erano di un grigio tempestoso che ricordavano le nuvole di un temporale, i suoi capelli avevano un colore simile. In contrasto con la sua pelle chiara, l'effetto era impressionante. Dava l'impressione di qualcosa di sbiadito, pallido e delicato, come una vecchia fotografia. Ma per tutto questo era bellissima.

Senza averlo coscientemente pensato, Sherlock si ritrovò seduto accanto a lei sulla panchina.

Aveva i capelli tirati su in un elegante chignon e tenuti fermi da una forcina con una pietra di un profondo blu all'estremità. Spiccava vividamente sullo sfondo grigio e gli occhi di Sherlock non poterono far altro che perdercisi. Gli strappava qualcosa nella memoria, anche se non riusciva a capire esattamente perché.

Lei sembrava così profondamente triste, e ciò lacerava qualcosa dentro di lui.

"Cosa fa qui?" chiese Sherlock. "Non è esattamente il genere di tempo in cui godersi un parco."

Il suo piccolo sorriso in risposta alla sua affermazione rivelava che lei ne aveva riconosciuto l'ironia, ma non glielo fece notare.

"Mi piace questo periodo dell'anno," disse quietamente.

"Ci vedo molto poco che possa essere catalogato come piacevole."

"Lo trovo pacifico," rispose lei, sorridendo lievemente.

Il vento si insinuò nuovamente attraverso il cappotto di Sherlock, che tremò leggermente. La sua compagna sembrò non accorgersi del freddo.

"Non voglio intromettermi nella sua solitudine," disse, preparandosi ad alzarsi.

La mano di lei, delicata e dalle ossa sottili come la sua, si chiuse sul suo polso, gentile come quella di una madre. Le dita erano terribilmente gelide, e lui automaticamente mise le mani attorno a quelle di lei per scaldarle. Per un istante, la sensazione di qualcosa di elettrico sembrò passare attraverso di loro.

"Stai come me per un po'," disse, guardando in su verso di lui con i suoi occhi tristi. "Qui trascorro il mio tempo in pace, ma anche così in solitudine. La tua compagnia sarebbe ben accetta."

Qualcosa nella forma dei suoi occhi toccò qualcosa nella memoria di Sherlock più di quanto avesse fatto il suo ornamento tra i capelli, e lui si ritrovò ancora una volta seduto sulla panchina.

"Posso rimanere solo per un po'," disse. La voce gli uscì contrita nonostante avesse inteso farla suonare severa.

Lei gli sorrise, semplicemente, prima di volgere lo sguardo al parco vuoto e rimuovere le sue mani, lasciando l'area che aveva toccato ancor più fredda: un piccolo punto di gelo intenso che sembrava diffondersi attraverso il suo corpo. Sherlock resistette all'impulso di sfregarsi le mani mentre il calore sembrava gli fosse improvvisamente succhiato via.

Sedettero insieme in un silenzio pieno di pace.





Nota del traduttore. Questo - a mio avviso - splendido racconto conta tre capitoli. Il secondo lo sto traducendo in questi giorni e spero di potervelo far leggere presto, in ogni caso non prima di fine mese, mi sa. *sospira* Se doveste trovare errori nella mia traduzione, siate gentili e fatemelo sapere. Spero comunque di aver fatto un buon lavoro, questa fanfic e l'autrice se lo meritano proprio.
  
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