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Autore: vannagio    15/01/2011    7 recensioni
Nemmeno al mio peggio avevo mai commesso una simile atrocità.
Non avevo mai ucciso un innocente, in più di otto decenni.

(Edward Cullen, Midnight Sun, capitolo uno “A prima vista”)
Sarà vero?
[Il secondo capitolo si è classificato primo al contest "Spazio ai personaggi", indetto da Sevvie]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen, Nuovo personaggio | Coppie: Carlisle/Esme
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Capitolo 2
Charlaine Melanie Gibson
-Ritrovarsi nella solitudine-




«Non volevo farle del male…». Il ragazzo singhiozzava disperato, rannicchiandosi il più possibile contro il suo petto. Seduta per terra, sul pavimento del piccolo salottino, lo stringeva forte a sé e lo abbracciava con braccia e gambe, nel tentativo di far aderire ogni parte del suo corpo a quello del giovane. Non c’era nessun desiderio sessuale in quel contatto così intimo. Soltanto amore materno.
«Volevo…». La voce del giovane si incrinò e non riuscì a completare la frase. Esme avvertì un dolore lancinante al centro del petto, proprio sotto lo sterno. Là, dove una volta batteva il suo cuore. Vederlo soffrire a quel modo, sentirlo così straziato… era pura agonia per la vampira. Quel dolore superava di gran lunga il bruciore della gola e il desiderio di nutrirsi. E poco importava che lei fosse una neonata, perciò più giovane e - a rigor di logica - più bisognosa di attenzioni del vampiro che le singhiozzava addosso. Tutto passava in secondo piano al cospetto della disperazione del ragazzo.
«Mi sentivo così solo…», continuò a gemere il giovane. Artigliò la spalla della vampira, come per salvarsi dal baratro nel quale rischiava di precipitare e il rumore della stoffa che veniva lacerata le riempì le orecchie per una frazione di secondo. Esme si sentiva impotente, inutile. In colpa. Amava quel vampiro come se fosse figlio suo eppure non aveva saputo proteggerlo dal mondo. Da se stesso.
Mentre gli baciava teneramente il capo, non poté far altro che bisbigliare: «Raccontami, Edward. Raccontami tutto».



* * * * * * * * * * * * * * * *



La vista di Miss Charlaine Melanie Gibson era sempre stata ottima. E lo era anche adesso, nonostante l’età avanzata. Perciò, in sessantasette anni, non le era mai capitato di dover mettere in dubbio ciò che aveva visto con i suoi stessi occhi. Quella volta, però, qualche perplessità Charlaine la nutriva. Perché il ragazzo che lei pensava di aver intraveduto tra la folla del mercato, il pomeriggio precedente, stando a quanto le era stato detto da alcuni suoi conoscenti, doveva essere passato a miglior vita - pace all’anima sua - da circa tre anni. Che si fosse sbagliata? Che la vecchiaia le avesse giocato un brutto scherzo? Ci aveva riflettuto per tutto il giorno. Non riuscendo a venire a capo di quel mistero, troppo orgogliosa per ammettere di aver preso un abbaglio, il giorno seguente era tornata al mercato.
Da circa mezz’ora, Charlaine si aggirava con aria circospetta tra le bancarelle di frutta e verdura, nella speranza di avvistarlo di nuovo. Il cielo era coperto, come sempre in quel particolare periodo dell’anno, e l’aria era così gelida da farle venire i brividi. Temporeggiare all’aria aperta alla sua età era da considerarsi un atto davvero scellerato, ma la curiosità e la voglia di fare luce su quella faccenda le impedivano di dare ascolto al buon senso.
Charlaine aveva trascorso gran parte della sua vita a Chicago, svolgendo il mestiere di insegnante. In una grande città, si trovavano sempre famiglie borghesi bisognose di un precettore per i loro figlioli viziati e indisciplinati. Così, intorno al 1908, Charlaine conobbe Elisabeth Masen. La donna era alla ricerca di un insegnante per il figlio Edward e un’amica le aveva consigliato Miss Gibson. Lavorò presso i Masen per circa cinque anni, ma continuò a frequentare Elisabeth - con la quale aveva stretto un sincero rapporto di amicizia - anche per molto tempo dopo.
Col sopraggiungere della Spagnola, però, al fine di evitare il contagio, la donna fuggì a nord, nel piccolo paesino in cui era nata. Con i pochi risparmi accumulati negli anni, aveva comprato una piccola casa in periferia e adesso si guadagnava di che vivere lavorando come maestra nella scuola del paese. Nel 1918, con suo grande dispiacere, era venuta a sapere della morte di Elisabeth Masen, del marito e del figlio diciassettenne.
E allora com’era possibile che Charlaine avesse visto Edward Anthony Masen camminare per le vie del mercato, vivo e vegeto? Che si trattasse soltanto di una sorprendente somiglianza?
Proprio quando stava per decidere di dare ascolto alle sue povere ossa doloranti e tornarsene a casa… eccolo!


*


Edward stava uscendo. Di nuovo.
“Non lasciarmi sola, te ne prego!”, lo supplicò con il pensiero, mentre lo osservava inforcare gli stranissimi occhialini scuri che si era fatto spedire da chissà dove, qualche anno prima. Le aveva raccontato di averli usati per nascondere le iridi rosse da neonato, nelle poche volte che si era trovato in presenza di esseri umani. Anche se adesso i suoi occhi erano divenuti dorati, l’abitudine era rimasta, perché gli davano la possibilità di mescolarsi tra la gente senza attirare sguardi indiscreti.
«Carlisle sarà qui a momenti», replicò il vampiro con fredda indifferenza, senza degnarsi di guardarla in viso.
“Ma ho paura di…”. Non ebbe neanche il tempo di terminare il pensiero, che la gola cominciò a bruciare dolorosamente. Si portò una mano al collo e prese a massaggiarlo, cercando inutilmente di alleviare la sofferenza e placare la sete. Perfino ‘il pensare a certe cose’ costituiva una tentazione per lei. Così provò con un’altra argomentazione.
“Carlisle ti ha chiesto di farmi compagnia!”, insistette, rivolgendosi al giovane vampiro. Ma questi non diede segno di averla sentita. Indossò la giacca e volò giù per le scale.
«Edward, aspetta!». Lo rincorse fino alla porta d’ingresso… troppo tardi. Era già sfrecciato via ed Esme non poteva uscire. Aveva fatto una promessa a Carlisle - sarebbe rimasta in casa fino al suo ritorno - e intendeva mantenerla, perché riponeva la massima fiducia nel suo salvatore e a sua volta non voleva deluderlo.
Esme era una vampira da poco più di cinque mesi. La sete era incontenibile e il suo autocontrollo era ancora molto scarso. Carlisle aveva stabilito che non fosse mai lasciata da sola, in nessun caso. Edward aveva tre anni come immortale, perciò perfettamente in grado di badare a lei nelle rare occasioni in cui Carlisle era costretto ad allontanarsi. Ma Edward se n’era andato. Ancora una volta. Capitava spesso nelle ultime settimane. Ed Esme - sola, soprafatta dalla sete - non sapeva che cosa fare.
Si accasciò sul pavimento, poggiando la schiena contro la parete e provando il forte desiderio di mettersi a piangere. Desiderio vano, naturalmente. Non biasimava Edward per il suo comportamento, ma ciò non le impediva di soffrire. Voleva molto bene al ragazzo, lo considerava come un fratello minore… forse addirittura un figlio. Ma lui non si lasciava avvicinare. La respingeva, la teneva a distanza. Esme era stata un’insegnante nella sua precedente vita, perciò credeva di capire che cosa stesse capitando al giovane vampiro. Tuttavia, non sapeva come aiutarlo o come farsi voler bene.
Semplicemente, Edward era geloso. Di lei e del profondo legame che si era instaurato tra Esme e Carlisle. Aveva vissuto con suo padre per tre anni ed essendo abituato ad avere Carlisle tutto per sé, l’arrivo di Esme lo aveva destabilizzato parecchio. Nei successivi cinque mesi, infatti, il dottore si era dedicato a Esme anima e corpo. Probabilmente Edward si sentiva trascurato e abbandonato, come un bambino che si vedeva improvvisamente ‘rimpiazzato’ dal fratellino appena nato oppure come un figlio che non sopportava l’idea che il padre si risposasse. Al pensiero di sposare Carlisle, Esme provò la strana sensazione di andare a fuoco. Se avesse potuto, sarebbe arrossita. Ne era certa.
«Che cosa ci fai lì per terra? Stai bene?».
Esme sollevò lo sguardo e di nuovo ringraziò il cielo che nelle sue vene non scorresse del sangue e che quindi non potesse arrossire. Carlisle la guardava dall’alto, con un sopraciglio inarcato e un sorriso tra il divertito e l’accondiscendente. Era così presa dai suoi ragionamenti che soltanto una regione periferica della sua mente aveva registrato il ritorno di Carlisle. Mentre afferrava la mano del vampiro e si rimetteva in piedi, Esme si rese conto di amare Edward e Carlisle proprio come una donna umana avrebbe amato un figlio e un marito. Invece di rallegrarla, quel pensiero le fece provare una sconfinata tristezza. Perché loro, Edward e Carlisle, non erano niente di tutto ciò per lei.
Né il figlio che aveva perso, né il marito che non aveva mai avuto.
Se avesse potuto farlo, Esme avrebbe pianto.


*


E così Miss Gibson non si era sbagliata. Non che lei avesse mai nutrito dei dubbi in merito, figurarsi! Il ragazzo del mercato era proprio Edward Anthony Masen, salvatosi miracolosamente dalla Spagnola e accolto sotto le ali protettive di un ricco dottore in pensione, o almeno così le aveva raccontato Edward. Forse era un po’ troppo pallido, - la malattia aveva lasciato tracce indelebili su di lui -, e un tantino più riservato e taciturno di come lo ricordava - non era mai stato un soggetto loquace, l’essere di poche parole era una prerogativa degli uomini Masen -, ma tutto sommato era sempre lui. Un gentiluomo educato, galante e anche affascinante. Per quanto ormai si trovasse al di là del bene e del male, Miss Gibson sapeva ancora apprezzare la compagnia di un giovane di bell’aspetto.
Passò davanti allo specchio per rassettarsi la gonna e poi si avviò velocemente - quel tanto che le sue gambe stanche permettevano - in cucina per controllare che il the fosse pronto per essere offerto al suo ospite, insieme ai biscotti al burro. Dopo diverse settimane di visite, cordiali rifiuti e sinceri ringraziamenti, Charlaine non sperava più di convincere Edward ad accettare qualche biscotto, però lei era una vecchia coriacea e caparbia. «E in fondo… tentar non nuoce», disse soprapensiero, mentre entrava nel salotto con il vassoio. «Ma perseverare è diabolico, Miss Gibson», la riprese una voce morbida e vellutata.
Edward Anthony Masen, seduto sul divano, la scrutava con aria divertita. O almeno così lei credeva, poiché gli occhiali scuri che il ragazzo portava le impedivano di guardarlo negli occhi. A Charlaine quegli occhiali non piacevano, per niente. Nascondere gli occhi al proprio interlocutore era un gesto insolitamente sgarbato per un gentiluomo come Edward. Aveva l’impressione che il giovane se ne servisse per mentirle con più facilità. Per nasconderle qualcosa. Ma non aveva voluto indagare. Che si tenesse pure i suoi segreti - si era detta -, lei aveva già gli acciacchi della vecchiaia di cui preoccuparsi e più grattacapi di quanti desiderasse.
«Almeno uno. Per favore!». Sforzandosi, la donna sorrise nella direzione del giovane. «Non vorresti farmi contenta, almeno per una volta?», lo pregò ancora, protendendo il vassoio verso di lui ma stando bene attenta a non avvicinarsi troppo.
Per qualche strana ragione, Edward evitava i contatti ravvicinati, in ogni modo possibile. Una volta sola, la donna si era permessa di sedersi sul divano accanto a Edward - come aveva sempre fatto quando lui era bambino e Miss Gibson la sua insegnante -, ed era scattato in piedi come una molla, neanche avesse avuto il diavolo in corpo. Si era scusato, aveva blaterato qualche motivazione sicuramente inventata e si era accomodato su una poltrona presso la finestra aperta. Charlaine non aveva più tentato.
«Da bravo, Edward. Sono una vecchia signora… le mie braccia non reggeranno ancora per molto. Prendi un biscotto!», insistette. Edward scosse la testa, improvvisamente più serio.
Cattivo segno, quando non rispondeva con una delle sue battute sagaci. Accadeva continuamente che il suo umore cambiasse all’improvviso. Neanche si fosse trattato di una ragazza in quel particolare periodo del mese.
Sospirando pesantemente, la donna depose il vassoio sul tavolino e prese posto sulla sua poltrona preferita. Sorseggiò il the, lentamente, osservando di sottecchi il giovane che le sedeva di fronte. Charlaine sapeva esattamente come fargli tornare il sorriso. E a lei piaceva quando Edward sorrideva. Perché il suo sorriso la riscaldava e la faceva sentire meno sola. Non era per questo motivo che era tornata al mercato nella speranza di ritrovarlo? Per non sentirsi più sola?
«Che cosa desideri ti racconti oggi, Edward?», domandò, mentre poggiava la tazza vuota sul vassoio. Ed eccolo, finalmente, il sorriso che Charlaine aveva imparato ad amare. Faceva capolino sulle sue labbra, come il sole del mattino da dietro le cime delle montagne.
Edward pareva ponderare con attenzione la sua risposta, come un bambino che possiede un’ampia scelta di caramelle tra cui scegliere e non riesce a decidersi. «Di quando abbiamo fatto quella gita in campagna», rispose infine, perplesso, come se non si fidasse della sua stessa memoria.
«Oh, sì! Ricordo bene quel giorno. Tua madre aveva insistito parecchio affinché mi unissi a voi. E, che Dio la benedica, quando tua madre si metteva in testa qualcosa, non c’era modo di farle cambiare idea». Un sorriso triste si dipinse sul viso di Miss Gibson, mentre i ricordi si affollavano nella sua mente. Poi, riscuotendosi dalla malinconia, ammiccò in modo decisamente poco elegante verso il ragazzo e aggiunse: «In questo sei molto simile a lei, Edward. Due muli terribilmente cocciuti, altroché!».
Risero per diverse ore, scacciando a suon di ricordi la solitudine.


*


La sorpresa l’aveva paralizzata sul posto per alcuni interminabili istanti. Gli occhi sgranati per lo stupore fissavano increduli il viso gentile e leggermente preoccupato di Carlisle. Preoccupato? Credeva forse che Esme avrebbe rifiutato la sua proposta?
“Sciocco!”. Quel pensiero la fece sorridere di felicità. Sciocco e innamorato. Di lei, innamorato di lei. Esme stentava a crederlo. Sorrise ancora. Forse non aveva mai smesso, di sorridere. Porse una mano al vampiro che le si era inginocchiato di fronte. Quando Carlisle intrecciò le sue dita a quelle di Esme, la vampira lo invitò a rialzarsi. «Sì», farfugliò infine, impacciata ma al tempo stesso raggiante.
Allora le sembrò che il volto del vampiro si fosse improvvisamente acceso. Come se avesse cominciato a brillare di luce propria. E nel momento in cui Carlisle la catturò tra le sue braccia, avvolgendola in una stretta soffocante e possessiva, precludendole la vista del suo viso e della luce che esso emanava, Esme capì che quel bagliore sfavillante altro non era se non il sorriso di Carlisle. Il meraviglioso sorriso di Carlisle. Lo aveva ammirato in una piccola stanza di ospedale, quasi dieci anni or sono. Ed era stato il primo vero ricordo della sua non-vita, dopo esser rinata dalle fiamme della metamorfosi. Adesso avrebbe potuto contemplarlo per l’eternità, quel sorriso.
Ma un rumore proveniente dal piano superiore fece implodere la bolla di felicità che li aveva avvolti per un tempo apparentemente infinito.
«Edward», sussurrarono all’unisono. La paura sul viso di lui rifletteva il terrore nello sguardo di lei. Un battito d’ali più tardi, si trovavano nella stanza del giovane vampiro, mano nella mano.
Le ante della finestra aperte, quasi scardinate. In balia del vento, le tende danzavano furiose.


*


Dio possedeva uno strano senso dell’umorismo, stava pensando Miss Gibson. Perché solo adesso che si trovava in punto di morte, solo adesso che stava per perdere la vita, Charlaine riusciva a dare un significato alla vita stessa e a tutto quello che le era capitato nei suoi sessantasette anni.
Ogni scelta avventata, ogni errore, ogni strada sbagliata. Come quando metti controluce un bicchiere apparentemente pulito e ti accorgi delle impronte che qualcuno vi ha lasciato sopra. Rifiutare la proposta di matrimonio di David. Vendere la casa della sua infanzia. Allontanare tutti i suoi parenti e circondarsi di famiglie di cui non faceva parte. Andarsene da Chicago. Far rientrare Edward - o chiunque lui fosse - nella sua vita. Com’era possibile che non si fosse resa conto subito di quegli errori madornali? Apparivano così chiari ed evidenti, adesso, contro la cupa luce della morte.
Beh… per l’ultimo sbaglio una spiegazione l’aveva. La solitudine. Charlaine l’aveva scelta come unica compagna e poi se n’era stancata. Troppo tardi, sfortunatamente. Così Edward le era caduto in grembo come la manna dal cielo. Sciocca vecchia, sciocchi rimpianti!
Perfino l’ultima discussione avuta con Edward, pochi minuti prima, acquisiva, ora, tutto un altro significato.


«Edward! Perché sei in giro a quest’ora? Che cosa ti è successo? Sembri sconvolto».
«Carlisle… lui…».
«Lui, cosa? Oh, per l’amore di Dio, entra! Si gela qui fuori».
«Posso rimanere con voi, Miss Gibson?».
«Per questa notte?».
«Per sempre».
«Come?».
«Voi avete bisogno di me, Miss Gibson. Ed io di voi. Potremmo essere una famiglia».
«Edward, qualunque cosa il dottor Cullen abbia fatto, sono sicura che…».
«Non voglio più sentir parlare di lui!».
«Sii ragionevole! Non posso accoglierti in casa mia. Lo vorrei, giuro che lo vorrei».
«I soldi non saranno un problema».
«Edward. Dovresti parlarne con…».
«Vi fidate di me, Miss Gibson?».
«No, per niente».
«Ma mi volete bene, no? Provate affetto per me, non è così?».
«Ti voglio un gran bene, Edward. Quasi come un figlio».
«Basterà. La fiducia verrà con il tempo. E quello di certo non mancherà».


E invece Edward si era sbagliato. Di tempo, lei, non ne aveva più.



* * * * * * * * * * * * * * * *



«Raccontami, Edward. Raccontami tutto».
E come se non avesse aspettato altro in tutta la sua non-vita, Edward cominciò a raccontare. Sembrava un ubriaco in procinto di smaltire una brutta sbornia. Vomitava parole, una dopo l’altra.
Le parlò di Miss Gibson e di quando l’aveva incontrata per caso durante una delle sue fughe pomeridiane, riconoscendo in lei la vecchia insegnante, l’amica di sua madre Elisabeth. Delle visite a casa dell’anziana signora - quasi ogni giorno nelle ultime settimane - e di come fosse riuscito a vincere e sopportare la sete.
Esme ne rimase profondamente sconcertata. Ne sarebbe mai stata capace, lei? Stare a stretto contatto con un essere umano senza aggredirlo e ucciderlo? Per un breve istante tale pensiero le fece ardere la gola, poi la voce disperata di Edward le ricordò che c’erano cose più importanti del sangue in quel frangente. Si vergognò profondamente della sua scarsa capacità di concentrazione.
Ritrovare Miss Gibson - stava spiegandole Edward - era stato come ritrovare il suo passato, la sua famiglia. Se stesso. Sentire Carlisle chiedere a Esme di sposarlo aveva talmente spaventato Edward, da indurlo a credere che loro avessero intenzione di abbandonarlo. Esme sussultò e istintivamente aumentò la stretta del suo abbraccio. Lei ci sarebbe sempre stata per Edward. Non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via. Nemmeno alla morte.
«E invece Miss Gibson era lì. Pronta ad accogliermi come…». Pareva che Edward avesse qualche difficoltà nel trovare le parole adatte, come se avesse dimenticato l’esistenza di alcuni termini. «Pronta ad accogliermi come una… una madre. Mia madre», e nel pronunciare quel sostantivo il vampiro apparve stupito quasi quanto Esme.
Ma ciò che si agitava nel petto di Esme non era stupore. Sempre là, dove una volta batteva il suo cuore, qualcosa di diverso e ignoto aveva cominciato a vibrare improvvisamente, pronto a esplodere. Eppure, forse, quel qualcosa non era così sconosciuto. Non aveva provato una cosa simile quando Carlisle, settimane prima, le aveva parlato di un’infermiera con la quale aveva lavorato a Chicago?
«Volevo tenerla con me, per sempre. Ma… non sono riuscito a fermarmi».
E quel diapason interiore prese a vibrare ancora più forte. Edward aveva tentato di farla sua, a trasformare Miss Gibson in una madre adatta. Sicuramente più valida di Esme, una neonata scostante e priva di autocontrollo, che invece di far fronte alla disperazione del proprio cucciolo, si trovava costretta a lottare contro la sete, la rabbia e… la gelosia. Ah, ecco cos’era! Egoistica gelosia! Adesso Esme poteva comprendere a pieno Edward e l’insofferenza che nutriva verso di lei.
Il senso di colpa tornò prepotente a tormentare la vampira, mentre il ragazzo veniva scosso da altri singhiozzi privi di lacrime.
«Mi spiace di aver dubitato di Carlisle e di esser stato irrispettoso nei tuoi confronti», aggiunse lui in un bisbiglio appena udibile, anche per un vampiro, «Mi sono comportato come… come un bambino e adesso Miss Gibson…», altri singhiozzi e colpi di tosse secca, «…lei è…».
La frase rimase monca ed Esme non lo forzò a proseguire, perché conosceva la conclusione della storia. Non appena si erano accorti della fuga di Edward, infatti, Carlisle si era messo sulle tracce del ragazzo. Quando era riuscito a trovarlo, a casa di Miss Gibson, era già troppo tardi. Lo aveva riportato indietro, affidandolo alle cure di Esme, mentre lui, Carlisle, era tornato indietro per occuparsi del… la vampira deglutì a vuoto, non essendo in grado di formulare quel pensiero senza rimuginare sul sangue andato sprecato, che probabilmente stava ancora imbrattando il pavimento di Miss Gibson. E un improvviso moto di euforia la colse nel costatare che la sua rivale fosse… si bloccò appena in tempo, ben consapevole che Edward potesse essere in ascolto.
Lo cullò, canticchiando sommessamente, come ricordava di aver fatto in passato. Prima di morire. Prima che lui morisse. Pochi giorni, fatti di manine e piedini rosa.
«Edward?», lo chiamò chissà quanto tempo dopo.
Il vampiro sollevò lo sguardo verso di lei. I suoi occhi erano ancora nascosti dagli occhiali scuri. Esme glieli tolse lentamente. Due iridi rosse di sangue umano fecero capolino da dietro le lenti incrinate: la fissavano con intensità e colpevole curiosità. La vampira sorrise dolcemente, intenerita da quello sguardo smarrito e fanciullesco, così stonato sul volto di un letale predatore. Accarezzò la guancia pallida del ragazzo e scacciò quell’ennesimo pensiero inopportuno.
«Ti ho mai parlato di mio figlio?», domandò. Il vampiro scosse la testa, perplesso. Esme esitò un istante perché non era sicura che fosse la cosa giusta da dire. In fondo non aveva alcuna esperienza in quel campo. La possibilità di acquisirla le era stata negata con feroce crudeltà. «Mi manca. Tanto». Edward era molto simile a Esme: entrambi avevano perso prematuramente qualcuno di importante, entrambi cercavano un sostituto. Edward avrebbe capito. «Ogni volta che ti guardo, penso a lui. A come sarebbe potuto diventare, crescendo. A volte me lo immagino adulto. E sei tu. Nelle mie fantasie lui ha il tuo volto e la tua voce. Vorrei tanto che tu fossi lui, Edward. Che lui fosse te. Potrei conoscerlo meglio», neanche questo le era stato concesso, «Ti abbraccerei, ti cullerei, sarei…».
«Saresti mia madre». Edward la stava fissando in silenzio - da quanto tempo? - con sguardo intenso e penetrante. Senza lasciar trapelare nessuna emozione. «Tu sei mia madre», concluse, come a volersi correggere.
E senza aggiungere altro, si abbandonò di nuovo tra le braccia della vampira, che lo accolsero prontamente.
Esme amava Edward e Carlisle, proprio come una donna umana avrebbe amato un figlio e un marito. E loro erano esattamente questo per lei.
Il figlio che aveva perso e il marito che non aveva mai avuto.
Se avesse potuto farlo, Esme avrebbe pianto.
Lacrime di gioia.





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Nota di Autore:

Scusate il ritardo. Questo capitolo era ponto già diverse settimane, ma partecipa a un contest. Volevo attendere la pubblicazione dei risultati, ma dato che ci vorrà ancora un po' di tempo, alla fine non ho resistito.

Il sottotitolo di questa one-shot ha un doppio significato. Il ‘ritrovarsi nella solitudine’ indica sia la condizione di essere solo (in cui si trovano Edward, Charlaine ed Esme inizialmente) sia il ‘rincontrarsi a causa della solitudine’ cioè a causa del bisogno di sentirsi meno soli (come accade a Edward e Charlaine, che si ritrovano dopo tanti anni, e come succede anche a Edward ed Esme, che pur convivendo sotto lo stesso tetto per diverso tempo, non erano mai riusciti a ‘incontrarsi’ o conoscersi davvero). Va beh… ho fatto un po’ di contorsione mentale per trovare il titolo, lo ammetto.

Tutte gli accenni alla vita umana di Esme sono ricavati da Wikipedia. Nel 1911, se non ricordo male, conosce Carlisle in ospedale, in seguito a una frattura alla gamba. Voi lo sapevate? Io no! Prima di diventare vampira era sposata con un uomo violento (infatti definisce Carlisle ‘il marito che non aveva mai avuto’, perché non considera il suo ex come un marito degno di questo termine) e per qualche anno aveva praticato il mestiere di insegnante. Stando sempre a quanto è riportato su Wikipedia, Esme viene trasformata nel 1921, perciò tale OS è ambientata in questo anno.

Gli occhiali scuri (occhiali da sole) esistevano già nel 1921 (mi sono documentata), anche se non erano molto diffusi. Ma tanto i Cullen sono sempre stati straricchi, no?

Infine, piccolo appunto su Edward. L’ho reso molto bambino in questa OS e l’ho fatto consapevolmente. Jasper - non ricordo dove, probabilmente in Eclipse - descrive i vampiri neonati come bambini e sulla base di questa affermazione mi sono sbizzarrita. A voi l’ardua sentenza!

Il tutto è riuscito un po’ troppo melenso per i miei gusti. Bah… Esme mi è scappata dal guinzaglio. Cattiva, Esme! Cattiva!

Detto questo, ho finito con il papiro.

Bacioni, vannagio.

Ringrazio immensamente Sevvie per aver indetto un così bel contest.

E naturalmente un grazie infinito a chi leggerà ed eventualmente recensirà questa storiella.





Questa one-shot ha partecipato al contest Spazio ai personaggi [Multifandom e originali], indetto da Sevvie sul forum di EFP, classificandosi al primo posto e vincendo il "Premio Lacrima".


Ecco il giudizio della giudice:

Grammatica: 10/10
Stile e lessico: 15/15
Approfondimento del carattere del personaggio scelto: 20/20
Importanza del prompt all'interno della storia*: 5/5
Originalità: 5/5
Gradimento personale: 5/5
TOTALE: 60/60

Dire che questa storia mi è piaciuta sarebbe troppo poco. L'ho adorata, amata, venerata... non so che altri termini usare per dire quanto mi sia piaciuta.
Di un'intensità assurda, unica, tanto che alla fine mi è scappata una lacrima di commozione.
Ora però devo contenermi e passare al commento.
Oddio, in realtà non è che ci sia molto da dire. Tutto perfetto quindi cosa dovrei dirti?
Esme perfetta. Esattamente come me la immagino. Un personaggio che mi è sempre piaciuto a pelle, ma che la Meyer non ha approfondito più di tanto. E, d'ora in poi, quando rileggerò i vari libri della Saga, saprò come pensare a Esme.
La grammatica impeccabile, lo stile e il lessico perfetti, hai un modo di scrivere fantastico, stile fluido, scorrevole, coinvolgente; lessico adatto alla situazione...
Davvero, io non ho davvero altre parole per commentare la tua storia. Quando ho indetto il bando ero indecisa se inserire il fandom “Twilight”, perchè, sebbene mi piacesse la Saga (ultimamente la sto rivalutando un po'...tutta colpa di The Vampire Diaries!!), non ero mai riuscita a leggere niente. Non so perchè, ma mi veniva il rifiuto solo a pensarci. Ma meno male che alla fine mi sono buttata e l'ho inserito!!!
Ok, adesso ho davvero finito!!!
   
 
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