Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Nihal    18/01/2011    13 recensioni
«Identificatevi.»
Ebbene sì, i miei peggiori incubi si erano realizzati. E no, non sto parlando di quello in cui il professore di giapponese ci obbliga a passeggiare nel freddo perché qualcuno ha dato fuoco al suo cane. Mi riferisco ad un compuntissimo e sconosciuto ninja di Konoha che ci guardava con aria truce e aspettava che dicessimo qualcosa. E io quasi mi dimenticavo di quello che avevo concordato con Madara. Una cosa, però, l’avevo capita: il piano del capostipite degli Uchiha. Lui voleva farci rinchiudere nelle segrete! Sicuramente così Sasuke lo incontravamo, eh.
Di sfuggita mentre lo portavano nella sala di tortura dove attendeva un cazzosissimo Ibiki Morino, però lo incontravamo.

[Sequel di 'Ninjas are coming']
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sai, Sasuke Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Ninjas are coming… again.



Prologo

Sasuke entrò nell’ufficio dell’Hokage a passo sostenuto e si chiuse silenziosamente la porta dietro di sé. Non si premurò di salutare né di fare un cenno.
Da quando era tornato non c’era stato molte volte. Non ci teneva particolarmente a stare in compagnia di altre persone, fossero queste i membri del villaggio o l’Hokage in persona, così se non era strettamente urgente preferiva rintanarsi in casa sua e darsi ad attività più costruttive. Come non fare nulla, ad esempio. O far finta di non essere in casa quando Naruto o peggio, Sakura, andavano a trovarlo.
«Sasuke» disse solo lei.
Evidentemente era esaltata quanto lui all’idea di averlo lì.
Lui non rispose.
«Dalle nostre fonti ho scoperto che ciò che temevamo è, effettivamente, realtà.»
Il tono grave di Tsunade e la consapevolezza di ciò che aveva detto, fecero capire a Sasuke quanto la situazione fosse drammatica.
Comunque, invece di uscire da quell’ufficio e andare a porre fine al problema una volta per tutte da solo – l’idea, se doveva essere sincero, lo allettava – si limitò ad annuire, incassando il colpo.
Tsunade sembrò sorpresa. Forse credeva che Sasuke avrebbe fatto proprio quello che gli stava passando per la mente. Lui, comunque, non si mosse.
«Lo cercheranno» continuò lei.
Le sembrava assurdo continuare con quei giri di parole, ma per qualche motivo non era mai riuscita a trovarsi a suo agio con l’Uchiha.
«Lo so.»
«Devi portarlo via.»
La sua sembrava quasi una supplica, sebbene avesse tentato di celarla dietro il tono duro che usava quando doveva dare un ordine.
«No» rispose semplicemente lui.
Sembrava che Tsunade avesse previsto la sua risposta perché si limitò a sorridere tristemente prima di continuare.
«Probabilmente vi seguiranno» disse.
Sasuke non rispose, però la sua espressione mutò impercettibilmente.
«Porta anche Sai con voi.»
Detto ciò sembrò decidere che la discussione sarebbe terminata lì, perché voltò le spalle a Sasuke e iniziò a frugare nel cassetto.
Probabilmente anche Sasuke doveva essere della medesima opinione, perché si voltò e lasciò l’ufficio.


Capitolo 1



Descrivete il movimento del Dolce Stil Novo in modo conciso, elencando almeno tre autori che ne facevano parte.
Minimo venticinque righe.

Cos’era una presa per il culo?
Girai il foglio dall’altro lato, sperando che per qualche inspiegabile motivo ci fosse qualche suggerimento per rispondere alla domanda. Come era successo nelle tredici volte precedenti in cui avevo effettuato quell’operazione, non vi trovai nulla.
Mi voltai da una parte e dall’altra. Almeno cinque professori simil-carcerieri giravano tra i banchi osservando con sguardo critico i poveri esaminati. Di tanto in tanto sollevavano il foglio di qualcuno, credendo forse di trovare un libro di testo che qualcuno fosse riuscito a ridurre di spessore pari al nulla continuando a sbatterci sopra la testa il giorno prima nel tentativo di studiare. Io, per quanto mi fossi impegnata, non ero riuscita a produrre dei bigliettini degni di essere chiamati tali, quindi mi ero limitata a portare la mia persona nell’aula indicata all’ora prestabilita. Il resto sarebbe venuto da sé, in bene o in male.
Inoltre, sebbene avessi passato l’intera giornata precedente a sbattere prima la testa contro il libro e dopo il libro contro il muro, questo era rimasto ostinatamente dello stesso esorbitante spessore.
Davanti a me, dietro di me, ai miei lati, insomma dappertutto tutti erano chini sui fogli scrivendo febbrilmente. Il ragazzo seduto sul banco proprio accanto al mio scriveva con tanta foga che ero sicura che tra poco avrebbe perforato prima il foglio poi il banco. Sicuramente entro poco avrebbe scritto sul banco, perché sembrava che per essere conciso a lui venticinque righe non bastavano. Mi sarebbe piaciuto che mi prestasse un po’ della sua conoscenza.
Tentai di sporgermi un po’ e carpire qualche informazione. Peccato che scrivesse come una gallina.
«Mancano tre minuti e cinquantaquattro secondi, utilizzateli bene.»
La voce del professore mi fece andare nel panico e ritrassi la testa. Almeno ché non fosse avvenuto un miracolo nei prossimi due minuti, non avrei saputo cos’altro scrivere su quel foglio. Sperai che la consegna fosse sbagliata. Magari doveva esserci scritto Minimo due virgola cinque righe. In quel modo l’avrei quasi rispettata.
Ad un certo punto dell’esame la mia penna si era addirittura rifiutata di continuare a scrivere, così avevo dovuto placcare il più vicino professore che non fosse impegnato a cercare i bigliettini nelle scanalature dei banchi e farmene prestare una.
Mi pentii amaramente di non aver dedicato più tempo allo studio, in quelle vacanze di Natale. Abituata ai ritmi del liceo, pensavo che all’esame me la sarei potuta cavare con il solito cinquanta e cinquanta. Se le prime due risposte erano vere, ne discendeva inequivocabilmente che la terza era falsa. Invece mi trovavo lì a sperare che qualche cataclisma facesse bloccare la prova e la rimandasse a data da destinarsi. Preferibilmente molto in là.
«Tempo scaduto, consegnate!»
«Tu, metti giù quella penna, altrimenti ti boccio a prescindere.»
Come se stessi andando al patibolo ritirai le mie cose e consegnai il foglio. Almeno non avrei saputo i risultati fino alla settimana dopo. Evitai di ascoltare i vari brusii di gente che si chiedeva com’era andata e commentava le domande.
Ho sempre pensato che fosse un atteggiamento malato. E comunque io non avrei avuto nulla da commentare.
«Com’è andata?»
Mi resi conto che colui che aveva parlato si rivolgeva a me quando notai un energumeno più o meno della stazza del mio armadio che non accennava a spostarsi per farmi uscire.
Lo fulminai con lo sguardo.
Come poteva essere andata? Trenta minuti e venticinque righe per ogni domanda che necessitava una risposta concisa. Mi chiesi vagamente se quel ragazzo fosse scemo.
«Una schifezza» brontolai e, contorcendomi un po’ per poter passare, finalmente guadagnai l’uscita.
Quando fui fuori una folata di aria fredda mi investì in pieno viso. Mi riparai come meglio potevo con il bavero della giacca e mi diressi alla fermata del tram. Eravamo arrivati più o meno entrambi nello stesso momento. Per un attimo, un passante attirò la mia attenzione. Aveva gli stessi capelli di Naruto. Comunque poi si mescolò alla folla che stava attraversando la strada e io non ci feci più caso. Da otto mesi a quella parte avevo visto all’incirca una decina di Sasuke, quindi non è che potessi fare molto riferimento sulle mie sensazioni.
Non feci neanche in tempo ad alzare lo sguardo.
«Cazzo!»
Il tram mi passò davanti ignorando i miei gesti frenetici per fermarlo. Forse in quel momento tendevo a prendere tutto un po’ sul personale, ma mi sembrò di vedere l’autista rivolgermi un mezzo sorriso di scherno.
Così rimasi lì, sul salvagente, ad attendere il prossimo tram, come una scema. Maledetto passante che assomigliava a Naruto.
Quella era un po’ la descrizione della mia vita.
Gli altri riuscivano a prendere i pullman in tempo, io no. Applicando il concetto un po’ più in grande, potevo descrivermi a grandi linee.
Non chiedevo molto. In quel momento speravo soltanto di aver passato l’esame e di poter essere a casa nel più breve tempo possibile, onde evitare che mi venisse un accidente. Stava anche per venire a piovere. Ci mancava solo quello.
Non appena – un buon quarto d’ora dopo – arrivò un altro tram, mi affrettai a salirvi e cercai di asciugare un po’ i capelli. Alla fine era davvero iniziato a piovere. E io non avevo l’ombrello.
Sarebbe stato bello se, dopo l’odissea di quella mattina, fossi riuscita a trovare le chiavi tra la moltitudine di oggetti inutili che avevo nello zaino senza problema. Peccato che la fortuna non sembrava volermi assistere così mi trovai inginocchiata per terra sul pianerottolo a svuotarne l’intero contenuto, prima di trovare le benedette chiavi che a quanto pare avevano deciso di depositarsi sul fondo.
Quando la chiave girò nella toppa e io entrai nell’appartamento, finalmente tirai un sospiro di sollievo. Anna era fuori a sostenere uno dei suoi tanti esami di psicologia e, per quanto riguardava me, mi aspettava un’intera giornata di niente.
Ormai da qualche mese mi ero trasferita a causa dell’università, che si trovava abbastanza lontana da casa mia. Sì, forse definire appartamento quel monolocale situato in culo ai lupi in una mansarda era un tantino esagerato, ma si stava bene, quindi non potevo lamentarmi. La prima volta che ci avevo messo piede non era nient’altro che una stanza vuota con una finestra al lato opposto della porta che dava esattamente sulla strada trafficata di sotto. Di positivo, si poteva dire che il bagno era abbastanza spazioso. Adesso, invece, era diventata irriconoscibile.
Ai due lati della finestra erano stati piazzati due letti, al centro del quale si trovava un comodino in posizione molto strategica. La cucina, molto piccola, riempiva appena un angolo della stanza, così come la credenza che la sovrastava.
Al centro della camera c’era un basso tavolino che al momento ospitava due computer portatili e un ammasso spropositato di fogli e libri. Ovviamente non avevano un criterio: libri di psicologia e libri di giapponese erano ammassati uno sull’altro senza un preciso ordine. Era già capitato diverse volte che, stanche per la giornata estenuante, io e Anna prendessimo dal mucchio un libro a casa per studiare e ci ritrovassimo l’una a studiare la materia dell’altra. Una volta avevo letto dieci pagine di Piaget e compagnia bella prima di rendermi conto che c’era qualcosa che non andava.
I muri, una volta, erano bianchi e completamente spogli. Ora, invece, erano ricoperti di vari foglietti su cui erano appuntati con una scrittura disordinata nozioni di giapponese o di storia della psicologia – dicevano che avere costantemente sotto gli occhi gli argomenti da studiare aiutava a ricordarli. Non è vero –, disegni di Sasuke – miracolosamente riesumati dopo la partenza di quest’ultimo – e non. Sopra il mio letto avevo riservato il posto al kunai che Sasuke aveva dimenticato dal momento che dopo la mia ultima esperienza avevo deciso con sommo sollievo dei miei conoscenti di smetterla di portarlo ovunque andassi.
Era successo che, un giorno, alla stazione dei pullman, stessi casualmente puntando il kunai contro una persona che non rientrava esattamente nelle mie grazie.
Ovviamente non l’avrei usato – non l’avrei insozzato per lei, figuriamoci! –, però il poliziotto che passava di lì non era del mio stesso avviso.
Quest’ultimo si era messo ad urlarmi di mettere le mani in alto e compagnia bella e trascinandomi via aveva borbottato qualcosa sui maledetti terroristi che usano armi obsolete.
Così avevo dovuto passare la giornata in centrale a spiegare ad un pingue agente che no, non ero una terrorista e che quel kunai era un portafortuna. Mi avevano lasciato andare con l’assicurazione che non lo avrei più portato in giro.
Così al momento si trovava appeso lì, in bella vista. L’ultimo ricordo di ciò che era accaduto, escludendo una sottile e quasi impercettibile cicatrice sotto l’occhio sinistro che a me piaceva, ma a detta degli altri era davvero antiestetica.
Indecisa sul da farsi stetti un po’ lì, dopo aver buttato lo zaino in un angolo, dove sarebbe rimasto per un bel po’. Alla fine optai per una specie di premio di consolazione e mi diressi verso la credenza da dove tirai fuori un barattolo di nutella non ancora aperto. Dopo aver preso un cucchiaino mi buttai sul letto e iniziai ad ingozzarmi senza ritegno, pensando che se il giorno dopo mi fossi ritrovata piena di brufoli, l’esame andato male sarebbe stato l’ultimo dei miei problemi.
Ultimamente la mia vita era abbastanza monotona. Mi alzavo, andavo a lezione e, occasionalmente, facevo spaventare le persone che mi circondavano con le mie uscite assurde.
Dopo che Naruto, Sai e Sasuke se n’erano andati non avevo fatto praticamente nulla. Avevo finito il liceo e, come avevano fatto tutti i miei compagni, mi ero iscritta all’università.
Anna aveva trovato un monolocale e mi aveva chiesto di trasferirmi. Così adesso ero lì, a fare le stesse cose che facevo al liceo, solo più in grande.
L’unico evento degno di nota era stato l’esame di quel giorno e questo la diceva lunga.
Letteratura italiana non mi era mai piaciuta e, ultimamente, la situazione non era cambiata se non si prendeva in considerazione il fatto che fosse degenerata in peggio.
Almeno, prima, all’ultimo anno di liceo mi divertivo. Già soltanto vedere gli sforzi di Naruto e Sai per ambientarsi a scuola – Sasuke non contava – era un qualcosa di esilarante.
Un barattolo di nutella dopo la mia situazione si rivelava alquanto allarmante. Come lo dicevo ad Anna che mi ero spazzolata un intero barattolo? Decisi di nasconderlo e fare finta che non l’avessimo mai comprato. Chissà, magari ci cascava.
Per il momento lo appoggiai sul comodino, già ingombro di cose inutili, e mi alzai dal letto.
Avevo una mezza idea di leggere il manga di Naruto che avevo comprato il giorno prima e che non avevo ancora aperto, ma ultimamente la cosa mi deprimeva.
Non è che non mi piacesse più, per carità, però la visita di tre ninja più o meno psicopatici serviva ad insegnare, perlomeno, che leggere Naruto lasciava il tempo che trovava.
Comunque il suono del campanello mi risparmiò il problema di pormi il dilemma. Probabilmente Anna aveva terminato l’esame in anticipo e si era dimenticata le chiavi. O erano finite in fondo allo zaino anche a lei, ma non avendo voglia di recuperarle si era limitata a suonare, facendo fare a me il lavoro sporco. Fui quasi tentata di lasciarla fuori: poteva cercarsele anche lei le chiavi, come avevo fatto io!
Svogliatamente andai ad aprire la porta.
«Ciao Laura!»
«Ti siamo mancati? Ti sei tagliata i capelli!»
Se mi fossi trovata davanti qualsiasi altra persona, avrei urlato “finalmente qualcuno se n’è accorto, me li sono tagliata da tre mesi!”, invece mi limitai a restare lì con la bocca aperta, a fissare Sai, Naruto e Sasuke che erano sul pianerottolo in attesa che io mi spostassi e che li facessi entrare.

Fine primo capitolo!

Bene. No, non ho resistito!xD L’altra sera, mentre ero stesa nel letto mi è venuta in mente l’immagine di Naruto, Sai e Sasuke che facevano capolino davanti alla porta… e non ho potuto non iniziare a scrivere il seguito di Ninjas are coming. Direi che l’aver iniziato una nuova longfic equivale praticamente al suicidio, visto che sono immersa nello studio fino al collo, perciò mi sa che non vi potrete aspettare degli aggiornamenti lampo!^^’
È un tentativo, ci tengo a precisarlo, perciò non so come andrà a finire, ecco!xD
D’altro canto ero sicura che se avessi aspettato a scriverla non l’avrei più fatto, vuoi per mancanza di voglia vuoi per mancanza di ispirazione. Ultimamente – un po’ per il cambiamento dal liceo all’università un po’… no, solo per il cambiamento dal liceo all’università – mi sento un po’ così, quindi avevo bisogno di scrivere qualcosa che mi piaceva e che mi veniva facile. Insomma, niente di serio o di deprimente, che al momento non è proprio il mio genere!xD
Ah, e mi sembra il caso di ringraziare Hi Ban, dal momento che dopo aver sentito che avevo intenzione di scrivere un sequel di Ninjas are coming mi ha fornito un mezzo spunto per la storia.
Quindi: graaaaaazie Hi Ban!
Bene, un ultima cosa e poi vi lascio in pace: Piaget dovrebbe essere una specie di psicologo o roba del genere (?), quindi visto che sono ignorante in materia, vi rimando qui.
E ora siete liberissimi di mandarmi a quel paese per queste noiosissime note!xD
*sparisce*

  
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Nihal