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Autore: Regen    19/01/2011    5 recensioni
10 Termidoro dell'anno II, ovvero 28 luglio 1794. In Francia è finito il periodo del Terrore, nell'ultimo giorno della Rivoluzione. Gli ultimi momenti di Saint-Just e Robespierre, poco prima di morire.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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 Siamo alla fine di luglio, eppure sento terribilmente freddo. Forse che è già questo, il freddo della morte?
All’ombra di questa cella umida e buia, accanto a te, mon ami, riesco ancora a mantenere la calma, riesco ancora a piangere.
Ma cosa farò quando, tra non molto –sono già in ritardo-, le guardie verranno a prenderci? Cosa farò, quando lo stesso carro sul quale noi abbiamo mandato alla ghigliottina tanta gente, ci scorterà fino a Place de la Révolution, sfilando lungo tutta la rue Saint-Honoré? Sarò in grado di sostenere lo sguardo, l’odio dei Francesi? Non aspettano altro, lo sai? Non aspettano altro che la lugubre parodia della nostra sfilata.
Sì, ne sarò in grado. Terrò alta la testa, non abbasserò lo sguardo. Lo farò per te.
E’ strano, sembra quasi una vendetta di questo nostro destino maledetto, che proprio sulla strada per la ghigliottina passeremo davanti a casa tua. Casa nostra, mon cher ami, anche se non ti ho mai detto di vederla così.
In realtà, avrei voluto dirti tante cose, ma ora non sono più in tempo. Vorrei almeno ringraziarti, ma mi accorgo di quanto un semplice “grazie”, detto in questo momento, possa suonare banale. E a me non piacciono le cose banali, mon Maxime, tu lo sai bene.
E’ una pugnalata al cuore vederti così, dimenticato su due assi di legno in una sporca prigione –quando tu meriteresti la più bella delle case; soffro, e provo una rabbia devastante, nei confronti di chi ti ha fatto questo, di chi ha rovinato il tuo viso –che io ho tanto adorato… Eppure, anche ora, tu non ti lamenti, tu non mostri il tuo dolore, tu non gliela vuoi dare vinta…
Ti ammiro, mon idole. Sei tu che mi hai insegnato a mascherare il mio dolore, a nascondere le mie debolezze. Anche se sono sempre stati minori dei tuoi. Io non ho nemmeno ventisette anni, tu ne hai trentasei; io mi sono tirato addosso tutte le mie sciagure giovanili, me le sono meritate; tu le hai subite. Io sono forte, perché so combattere; ma tu sei ancora più forte, perché sai mediare.
Le campane di Notre-Dame suonano le quattro. Chissà se fuori piove ancora.
Mi tiri debolmente per una manica della camicia strappata, per richiamare la mia attenzione. Dimmi, mon trésor, c’è forse qualcosa in cui io ti possa ancora aiutare?
Con gli occhi mi indichi il secchio d’acqua ai piedi del tuo giaciglio; cerco un lembo di stoffa per pulirti il viso, forse… Oh, no, Maxime. Non pensare che usi quelle bende, nere del tuo stesso sangue, che ti fasciano la mandibola spezzata. Ecco, in tasca ho ancora un fazzoletto bianco, pulito. Lo immergo nel secchio e lo porto alle tue labbra in una delicata carezza, per non procurarti più dolore.
Mi ringrazi con gli occhi, l’unico modo che ti sia rimasto per comunicare, e solo in questo momento realizzo davvero che non sentirò mai più la tua voce. E’ un pensiero che mi fa impazzire, che mi porta a sostituire le mie labbra al fazzoletto sulle tue, in un gesto quasi disperato. Come con una delicata e bellissima rosa, faccio attenzione a non farti male, mentre ti bacio; faccio attenzione a trasmetterti tutto il mio amore, la mia passione, la mia gratitudine. I tuoi occhi si illuminano, rivolgendomi il più bel sorriso che abbia mai ricevuto. Con questo, posso anche morire con la certezza di non aver perso nulla nella mia breve vita.
Due gendarmi entrano nella cella. Istintivamente ti stringo la mano, come per rassicurarti. Ma rassicurarti di cosa? Del fatto che la nostra sarà una morte non dolorosa? No, non è per quello: tu la morte dolorosa la stai già vivendo da ore; è perché questo sarà l’ultimo contatto fisico che avrò con te, Maxime.
Questo è anche l’ultimo istante che passerò in un luogo chiuso. Sono strani i pensieri che si fanno quando si sta per morire. Ma io sono pronto, non ho paura.
 
La rue Saint-Honoré non mi è mai parsa più lunga. Ancora poco e il carro svolterà a sinistra, in quella via che conduce all’ampia Piazza della Rivoluzione. Non faccio caso alla gente che ci segue, che ci è davanti, di lato, affacciata alle finestre sopra di noi: mostrerò loro come si fa a morire con onore.
Uno dei nostri colleghi –non ho capito chi, ma non importa- mi fa notare che anche adesso, in questo ultimo momento, il mio volto è freddo, altero, impassibile; ottimo, è esattamente quello che volevo. Mi ci è voluto molto tempo per diventare così, almeno in apparenza, e così voglio essere ricordato, per sempre.
A quanto pare, sono tra i primi a dover passare sotto la ghigliottina. Meglio, almeno mi verrà risparmiato il dolore di vedere morire prima te, mon amour.
Non piangere, non guardarmi negli occhi, mi fa troppo male. Mi chino su di te, evitando il tuo sguardo.
-Adieu-  Questa è l’unica parola che mi esce dalle labbra, anche se nella mia testa, nel mio cuore, ce ne sono tante altre. Pessima scelta, vero? Avrei potuto fare di meglio.
Salgo i gradini del patibolo, soffermandomi un istante sull’ultimo a guardare il cielo: sì, ha smesso di piovere. Domani tornerà il sole, e la sua luce gioiosa illuminerà una nuova Francia. Io ho appena terminato, ho già fatto il mio dovere, come mi hai insegnato tu.
Mi verrai a cercare, ovunque sarai? Promettimelo, mon rêve. Io ti aspetterò.
“Je méprise la poussière qui me compose et qui vous parle. On pourra persécuter et faire mourir cette poussière ! Mais je défie qu’on m’arrache cette vie indépendante que je me suis donnée dans les siècles et dans les cieux.” *
 
*Io disprezzo la polvere di cui sono fatto e che vi parla. Si potrà perseguitare e far morire questa polvere ! Ma sfido a strapparmi questa vita indipendente che mi sono dato nei secoli e nei cieli.    (Saint-Just, Frammenti sulle istituzioni repubblicane)
 
  
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