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Autore: mewsana    23/12/2005    0 recensioni
Sei storie che si passano accanto, senza sfiorarsi, accumunate solo da sogni interrotti e tanta voglia di sperare in un finale migliore.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei micro storie, la prima è solo un’introduzione più breve delle altre

Sei micro storie, la prima è solo un’introduzione più breve delle altre.

Un bacio e Buon Natale!

 

 

Quando La Neve Cade In Silenzio.

 

 

.a Quando ognuno osa fermarsi

.b La voce di un addio non arriva mai

.c Neve di una soffice esistenza

.d Cade in un vortice infinito

.e In ricordo di una vita

.f  Silenzio, si gira!

 

 

.a Quando ognuno osa fermarsi.

 

Quando la neve cade in silenzio, tutto pare fermarsi.

Le persone si muovono come legate da fili invisibili, e i loro soffici respiri si dipingono nell’aria in mille sfumature capricciose.

Eppure si continua a soffrire, a piangere e morire.

E la neve continua a cadere, come ultima beffa di qualcosa più grande di noi.

E solo allora ti accorgi che non è sinonimo di felicità, che c’è gente che la odia.

Che in fondo è solo un’illusione, e niente di più.

 

 

 

*§(°)§*

 

 

 

.b La voce di un addio non arriva mai.

 

Lo sto aspettando da mezz’ora.

Me lo aveva promesso e lui non c’è.

Non so se essere felice o meno.

Se arriva parte, e io non lo rivedrò mai più.

Se ritarda perde il treno, e così rimanderà la sua partenza di un’ora o forse due.

Mito, sbrigati ad arrivare!!!

In ogni caso, non è stata una mezz’ora inutile. Tutt’altro, è stata abbastanza proficua.

Ma.

Non sono ancora giunta a niente.

Cosa dire al tuo migliore amico? Quello che era –malauguratamente- presente il giorno del mio primo bacio, che mi aveva consolato quando ero triste e addirittura abbracciata in mezzo alla strada?

Come in un sogno, le mie mani rosse per il freddo prendono la neve che si è depositata sulla sedia accanto a me e la comprimono in un mucchietto di forma vagamente piramidale.

Il mio indice non risponde più a nessuno stimolo esterno, e il naso si appresta a fargli compagnia.

La sciarpa malamente arrotolata sul collo indica, più che disordine fisico, una confusione prettamente mentale.

M sembra quasi di sentire mille e mille idee muoversi nella mia testa senza riuscire a trovare un ordine. Fa così freddo che forse la mia testa ha cominciato a fumare.

In effetti, considero, è un’ipotesi possibile.

-Maledetto Mito…- come forse ho già detto, quel nome corrisponde a quello del mio migliore amico. Se vi state chiedendo se è il mio ragazzo, la risposta è no.

E riguardo alla questione del primo bacio bhe… non era ancora quello che si definisce esattamente un amico.

Il suddetto aveva avuto la  brillante idea di rimanere chiuso nello sgabuzzino delle scope. E, ovviamente, di riuscire ad uscirne proprio mentre Yamazaki mi baciava timidamente, stringendomi un braccio con la mano e torturando la giacca blu del completo della mia scuola.

Sebbene la nostra storia sia finita poco dopo, quella giacca non l’ho mai lavata.

Forse la conservo così più per il ricordo legato a Mito che a quello di Yamazaki, ma non ha importanza.

Ricordo che quella situazione me la legai al dito, scatenando una faida che imitava quelle medievali. Non abbiamo mai finito di torturarci a vicenda, e io molto peggio di lui.

È un ricordo imbarazzante che non sono mai riuscita a lasciarmi alle spalle. È troppo piacevole e buffo per farlo, forse.

Ma non so cosa dirgli.

Dopo anni di vite in simbiosi, lui sta per partire.

In realtà dovrei regalargli un sorriso. Il mio primo, vero sorriso.

In tutta la mia vita, lo giuro, non sono mai riuscita a sorridere.

 

È così umiliante…

E frustrante.

 

Ad ogni modo, non gli farò certo un piacere salutandolo con una piva del genere.

E se non ci riuscissi…? Cosa dovrei dirgli…?

“Ciao Mito, passa bene il resto della tua vita” oppure, ancora peggio “Mi mancherai”.

Otterrei solo un gran dispendio di lacrime, col risultato che mi si congelerebbero a metà del canale di uscita e morirei per una malattia che non sono sicura esista.

E allora COSA DIAVOLO DEVO FARE??

 

-Yoko!!- se non fossi già fredda, direi che in quel momento mi sono congelata sul posto.

-Ciao… Mito- lui sorride, e ciò non fa che peggiorare la mia già precaria situazione. Maledetto bastardo, ci sarà un giorno in cui ti farò seriamente male.

Per ora, il male lo sto facendo solo a me stessa.

-Allora… mi aspetti da molto..?- si, ma non preoccuparti. Meglio mezz’ora senza di te che con te, ora come ora. Non so cosa fare, non so cosa dire, e fine (?) del problema.

-No, affatto… sai che anche io arrivo spesso in ritardo…- frasi utili quanto l’opposto sono le uniche che riesco a far scongelare e di conseguenza uscire dalla mia bocca.

-Già.- no, no, no!! Una domanda!! Idiota, dovevi farmi una domanda alla quale io avrei potuto rispondere per occupare altro tempo.

-Già.- decisamente, il nostro ingranaggio perfetto si è inceppato proprio quando ne avevo bisogno.

Arrotolo una ciocca dei miei capelli neri su un dito color morto, puntando lo sguardo a terra. la neve cade, cade e non smette più.

Ho sempre più freddo.

Ricordo, tanti anni fa, quando lui mi consolò dopo una crisi di pianto particolarmente forte. La mia prima storia d’amore era finita da poco, e io non sapevo farmene una ragione.

“Non posso stare con una ragazza che non sorride mai, cerca di capirmi!”

Inutile dire che capivo meno di zero in tutta quella contorta logica maschile, ma non importa.

Lui, perfetto e discreto, mi consolò con una frase degna dei cioccolatini.

“Per sorridere devi essere felice! Se non sorridevi con lui, vuol dire che non era quello giusto, trovi?”

Già, trovai, e smisi di piangere.

Nell’inutilità di quella frase ricercai un motivo per combattere, e tutt’ora oggi mi trascino ripetendomi quelle poche parole, emergendo a tratti da quel limbo di paura che mi impedisce di curvare all’insù gli angoli della mia bocca.

-Mito…-

-Si…?- una domanda! Bella prova amico!

-Cosa dovrei fare per salutarti?- se tutto va bene, lui comincerà a sghignazzare, ed io potrò pestargli un piede in libertà, sbloccando questa fastidiosa situazione.

Lui diventa tutto serio, invece, e registro che qualcosa non va. –Potresti sorridermi.- non c’è accusa nel suo tono, e di questo lo ringrazio.

Ma, in ogni caso, il mio stomaco si contrae in maniera spiacevole.

-Nevica Mito… a me non piace la neve.-

-Già…-

-Tu mi hai detto che per sorridere devo essere felice… io oggi non lo sono. Non posso ancora sorriderti, Mito, mi spiace.-

Leggera come una piuma, questa frase supera le barriere di ogni legge fisica e pare fermarsi nel tempo. Io l’ammiro svolazzare fra di noi, prima che lo raggiunga. Cerco di afferrarla, ma non ci riesco.

Lui la recepisce e mi sorride amaro.

-Non importa. Fa freddo Yoko, vai a casa.- mi posa un leggero bacio sulla fronte e si appresta a salire sul treno.

-Allora addio Mito.-

-Si, Yoko, allora addio.-

La porta si richiude dietro di lui, e di colpo il freddo che mi blocca il petto è l’ultimo dei miei pensieri.

Vorrei tanto poter sorridere di cuore, ma ancora sono ferma, immobile, e la causa non è certo la neve che mi ghiaccia il corpo.

Il Natale non mi è mai piaciuto. Tuttavia, per un volta, cerco di capire tutte queste persone così entusiaste.

Oggi meno che mai, non è giornata per essere felici.

Ho fatto uno dei discorsi più stupidi mai pronunciati nel momento più importante.

Non importa.

Mi permetto di sorridere dentro la mia testa, e per oggi basta così.

 

 

 

 

*§(°)§*

 

 

 

 

.c Neve di una soffice esistenza.

 

E correva, correva facendosi strada fra la folla. Il respiro affannato e gli occhi rossi per il freddo.

Come un dannato a cui il terreno si consuma sotto i piedi.

Arrestò la corsa, guardandosi intorno, nel vago tentativo di cogliere la sua chioma rosso fuoco e il giubbotto nero che tanto aveva amato. Nulla.

Letìce non c’era.

-Ci ero andato così vicino… così maledettamente vicino!- ringhiò esasperato, facendo scorrere una mano fra i capelli neri imbiancati dalla neve.

Agli occhi esterni di un passante, sarebbe sembrato un ragazzo di 27 anni, capelli corvini e occhi castani, semplicemente smarrito, o in preda a una forte emozione.

Una lacrima di frustrazione colò lungo la linea della mascella, perdendosi all’interno delle fibre della sciarpa scura. Ancora una volta, non era assolutamente servito a nulla.

-Letìce…-

Poi una mano bianca entrò nel suo campo visivo, accarezzandogli teneramente lo zigomo.

-Letìce!!!!- sperò, intensamente, per un attimo, che fosse lei.

Invece era Marie.

-Vai a casa. Dimentica questo pomeriggio, e goditi la neve…- gli consigliò la mora, rivolgendogli un cenno del capo e andandosene.

Marie. Figura amica eppure sconosciuta.

-Non mi serve guardare la neve… Non mi serve adesso!!- con uno scatto riprese a correre, sbandando a causa della neve ghiacciata per il freddo. Urtò anziani e ragazze senza curarsene, facendosi prepotentemente strada.

Poi svoltò in un vicolo a destra.

Un bagliore ambra catturò la sua attenzione.

Occhi gialli che metallici riflettevano la scarsa luce dei lampioni.

Occhi dannati e incantatori.

Letìce….

-Ciao Josh…- mormorò lei, il viso sporco di sangue. La pistola stretta nella mano, e uno strano sorriso sul volto, come a conferma di quella pazzia che già le stravolgeva il viso ed i gesti.

-Sei qui.- una semplice constatazione spezzò l’opprimente silenzio, lasciando che i due ragazzi si confrontassero uno di fronte all’altro.

La rossa spostò il peso da un piede all’altro, tirando su col naso. Poi piantò il suo sguardo in quello scuro dell’altro, osservandolo con fare felino.

-Non ti sei mai arreso, vero..?!?! non hai ancora capito che cosa sono… sei ancora qui a bere da questa illusione che mi hai dipinto addosso, dimmi se SBAGLIO!!!- gli urlò contro, contorcendo il volto in una smorfia di sofferenza. Non era più la ragazzina perfetta, immacolata nei suoi 14 anni.

Letìce era cambiata.

-Non è vero Letìce… tu puoi ancora pentirti, ne sono certo… possiamo tornare amici, e andare di nuovo a vedere gli alberi di Natale nel corso… e fare i regali insieme, come ogni anno, ricordi…? E ridere, ridere mentre ci aggrappavamo l’uno all’altro sulla pista di pattinaggio nel tentativo di rimanere in piedi. Come puoi averlo dimenticato, Letìce…? Come puoi aver dimenticato che un tempo eravamo felici?- il moro stava lì, fermo, a fissarla con un’espressione assurda. Gli occhi socchiusi e il volto rilassato, mentre ripercorreva con la mente quei ricordi felici.

Lei lo osservò, ridendo della sua pia illusione, delle sue convinzioni che sarebbero state presto spazzate via.

Lo osservò sgretolarsi lentamente, in silenzio.

Il suono della sua voce, netto e secco, artigliò il silenzio riducendolo a brandelli –Non sono più la tua ragazza, Josh.-

Attese nel silenzio una risposta che non ottenne.

-GUARDAMI JOSH!!!!- urlò a squarciagola, costringendolo ad alzare gli occhi scuri sui suoi. –Sono un’assassina, ora… cosa credi di poter fare per me..?-

Egli trasalì, quasi colpito da quell’assurda affermazione.

Piccole lacrime scesero dagli occhi, subito asciugate dalla mano della ragazza, che prontamente gli si era avvicinata.

-Vai a casa… smettila di credere che io sia perfetta.-

-Ma tu lo sei, Letìce…- Lei era nata perfetta. Fin dal primo giorno in cui l’aveva conosciuta, alle medie, gli era sembrata così. Occhi d’oro e una cascata di fuoco a contorno del viso dolce.

-Non è vero Josh… sono solo un errore creato da te.-

-Sei così perfetta, pura come la neve….- insisté lui, portando le mani verso l’alto in un gesto di contemplazione del cielo che fioccava.

-Io odio la neve… Questa neve di una sciocca, stupida, soffice esistenza… che ci rende quasi magici, immortali…la neve è bianca, io adesso voglio solo sporcarmi di rosso. Il mio rosso, il tuo, quello verso il quale mi ha spinto la mia famiglia… ROSSO!! La neve è bianca, bianca, troppo bianca!!!- ella, in quel patetico momento, gettò la maschera che tanto faticosamente aveva eretto intorno al suo viso, rivelandosi per quello che era.

Il ragazzo non si spaventò, né si mosse, ancora convinto da quella contorta illusione.

Due pazzi a confronto, ognuno convinto della propria verità.

Letìce che voleva ancora bagnarsi di quel colore che tanto amava.

Josh che ancora, e ancora, voleva bearsi del sorriso della sua ragazza, quel sorriso che ora era sostituito da un ghigno.

Nessuno dei due lo vedeva.

Lei il rosso, lui il sorriso.

Josh vide finalmente il suo vero volto quando lei realizzò il suo sogno più grande.

Quando Letìce vide il sangue rosso del suo amico uscire dal foro del proiettile.

 

Lei il rosso, lui il sorriso.

Entrambi furono contenti.

 

 

 

 

*§(°)§*

 

 

 

d. Cade in un vortice infinito.

 

Molti di voi mi adorano, eppure non sanno che esisto.

Non ho un nome, un nome mio.

Voi mi chiamate fiocco di neve.

 

Sono destinato a cadere.

Sempre.

In un vortice infinito di fiocchi uguali a me.

 

È triste, perché so che non avrò mai il potere di rialzarmi.

Mi poggerò ovunque il vento tiranno comanderà.

E rimarrò lì, nella penosa attesa che il sole assassino mi faccia scomparire.

 

Dalla terra, ed anche dalla vostra memoria.

E dire che io mi ricordo di voi… di ogni avventura che ho visto mentre cadevo.

Vorrei smettere di cadere.

 

Piano piano evaporerò, e diventerò pioggia o neve.

Nulla cambia.

Cadrò, cadrò in un vortice infinito

 

Nella speranza che qualcuno, prima o poi, si ricordi anche di me.

 

 

 

*§(°)§*

 

 

 

 

.e In ricordo di una vita.

 

E così sono qui.

Mi spiace lasciare questa finestra, alla fine dei conti l’ho sempre considerata mia.

La Mia finestra, mia e di nessun’altro.

Con quella vista un po’ particolare, le due porte di Pt. Venezia.

Che poi, insomma, le hanno appena finite di ristrutturare.

Ho sessant’ anni suonati, e l’idea di osservare tutto ciò per l’ultima volta non mi piace.

Non mi piace per niente.

 

Il ricordo di una vita è legata a questa finestra, e a tutto ciò che osservavo da quassù.

 

Legno dipinto con qualche macchia, segno di vecchiaia.

Quante volte vi ho appoggiato sopra la testa, solo per fermarmi un attimo e riflettere?

Quante volte da questi vetri ho visto persone tristi, felici o pensierose?

 

Così, buon Natale finestra.

 

Quest’anno i miei più sentiti auguri vanno a te.

A te e nessun altro, che a volte hai saputo offrirmi molto di più di coloro che respirano.

A te che ai accolto pianti e disperazione senza un cedimento.

 

La maniglia gira con uno scricchiolio.

Ha scricchiolato anche quando l’ho aperta per buttarmi giù.

Grillo di gioventù, non pensate male.

Fortuna che la ringhiera era troppo alta e non sono riuscita a scavalcare.

 

Ancora una volta, grazie finestra.

Mi sento un po’ sciocca, eppure nulla è più semplice di questo.

Grazie, grazie, grazie!!!

 

Mi hai riparato dal freddo, dalla neve che cade anche ora.

Dalla pioggia che minacciava di bagnare i disegni poggiati sulla scrivania.

La mia stanza non aveva senso senza di te.

Ti avevo privato delle tendine, per poter osservare meglio quello che vedevo.

 

Una volta, ti ricordi…?

Avevo visto quel ragazzo così solo.

E poi lui aveva alzato lo sguardo, incrociando il mio.

Ci eravamo sorrisi, come due naufraghi che non hanno nient’altro a cui aggrapparsi.

Come una zattera di salvezza.

Non era successo nulla di più.

Ad ogni modo, quel sorriso mi aveva fatto stare bene.

 

Hai assistito pure a questo.

Non mi stupisco, non mi stupisco più di niente.

Non quando si parla di te.

 

Ancora una volta, per l’ultima, Buon Natale, a te che morirai domani.

So che piangerò vedendo la casa crollare sotto i colpi della dinamite.

In ricordo di una vita, che era la tua come era la mia.

 

 

Buon Natale.

 

 

 

 

*§(°)§*

 

 

 

.f Silenzio, si gira!

 

La mano bianca e raffinata strinse il bicchiere di champagne, portando il calice alla sua bocca leggermente arrossata per il caldo.

Lia Cleavy sorrise cortesemente a tutte le persone riunite attorno a lei, per poi schiarire la voce.

Prese un breve respiro, ed iniziò a parlare.

-Amici e parenti, prima di tutto, un doveroso ringraziamento a voi, che siete riuniti qui. Quindi, grazie!!- attese che l’applauso si spegnesse negli echi del grande salone. –Oggi, come sapete, è un giorno molto importante per me, ma soprattutto per tutte le persone con le quali ho lavorato. Oggi, dopo questo mio discorso, avrete modo di assistere all’ultimo film della trilogia che mi vede come protagonista.- un ennesimo scroscio di applausi le si riversò addosso, costringendola al silenzio. –Tutti quelli che mi hanno aiutato sanno quanto è stato difficile questo periodo per me: questo personaggio mi ha assorbito più di quanto pensassi, ed è stato difficile per me abbandonarlo. Ancora una volta, grazie!- chinò il capo in un ipotetico ringraziamento, mentre girava i tacchi scendendo dal palco di velluto rosso.

Perfetta.

Così era sembrata a chi le stava davanti. Occhi azzurri illuminati, capelli corvini mossi, una modesta altezza ed un fisico invidiabile.

Lia Cleavy aveva tutto, eppure, in quel singolo attimo, avrebbe dato l’anima per potersi allontanare da quel luogo così sporco.

Così sporco… sporco della sua banale ipocrisia.

Con una leggera smorfia sul viso si allontanò dalla festa, piegando verso il suo camerino.

Poco dopo, si stava chiudendo la porta alle spalle con un gran sospiro.

-è stata dura, Seltea… è stata dura, ma hai visto, ci sono riuscita…- mormorò rivolta allo specchio, sedendosi con calma sulla comoda poltrona che le stava dietro.

Attese un attimo, come qualcuno che attende una risposta, poi sorrise.

-Hai ragione… pensano che finito il film, anche tu te ne sia andata… sciocchi, sciocchi che non sono altro… come solo possono pensare che tu, divina, potessi uscire di scena così banalmente…?- si interrogò, sempre fissando la superficie che rifletteva, oltre agli occhi azzurri, anche le strane rughe d’espressione che le marcavano il viso.

Scoppiò in una risata acida, secca e senza sentimento.

-Seltea, la divina Seltea, amazzone della giungla…- sussurrò, toccando con delicatezza lo specchio. Si lasciò cadere su una sedia, che l’accolse, confortevole come un abbraccio. –Mi hai conquistato con quella forza e quella determinazione… e pensare che prima ti odiavo…-

Era vero, l’aveva odiato con tutta sé stessa.

Non era Lia Cleavy, in realtà. Per tutti quelli che l’avevano vista al cinema, lei era Seltea.

Più volte la ragazza si era tormentata, pensando al futuro che l’avrebbe attesa senza la maschera di quel personaggio.

Poi, invece, era successo qualcosa di miracoloso.

Le era entrata nella pelle, le aveva sconvolto la mente, modificandone i pensieri.

Era successo quello che lei aveva immaginato nei suoi peggiori incubi. Erano diventate la stessa persona.

Non le dispiaceva, però.

-Da oggi saremo unite per sempre, e tu parlerai per me, quando io non avrò più parole davanti alla cattiveria del mondo… saremo come due gemelle che si tengono sempre per mano, vero Sel?- chiese alla sua immagine. Pateticamente, alla ragazza sembrò che le stesse rispondendo.

-Si, sempre insieme… si si, proprio come ora… dove nessuno potrà distinguerci…sempre, come due gemelle. Nessuno potrà vincerci, se saremo insieme…. Nessuno!- immersa nella sua follia, ridacchiò.

Si sporse oltre il davanzale, osservando la neve danzare insieme al vento.

-Voglio far qualcosa per unirmi a te per sempre…- pensò un attimo, mentre gustava il vino con furia dettata dalla pazzia.

-Si…. Mischierò il nostro sangue, e saremo inscindibili. Insieme, lo sai…? Io voglio stare assieme a te, per sempre…- si graffiò il petto con le unghie dipinte di rosso, lasciando dei segni visibili attraverso la scollatura del vestito crema.

-Non è ancora abbastanza, vero…? Vero, non è mai abbastanza…- si morse il labbro, pensando. Ma cosa, ma cosa….. cosa poteva esserle d’aiuto…?

-Trovato…- mormorò, ponderando attentamente l’idea, e contemplando l’oggetto che stava davanti a lei.

-Solo per te, mia adorata Seltea… solo per te.-

 

Mezz’ora più tardi, nessuna delle due era più.

Era vero… Insieme, unite per sempre.

Se non era una, l’altra non poteva esistere.

 

 

 

 

 

 

  
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