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Autore: Dulcamara    20/01/2011    3 recensioni
E' una one-shot scritta di getto tempo addietro e pubblicata nel mio forum su HP. Mi spiaceva lasciarla lì...è un modo come un altro per farla leggere ad altri appassionati. Spero vi piaccia.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Hogwarts era dannatamente fredda, durante l'inverno. Gli spifferi riuscivano a trovarsi una strada fra gli interstizi delle millenarie pietre del castello, rendendo i corridoi gelidi in ogni periodo dell'anno.
Ma quell'inverno, il freddo era più intenso del solito, tanto che nelle sale comuni si faceva quasi a botte, pur di accaparrarsi un posto al divano di fronte al caminetto, le cui fiamme riuscivano finalmente a dare un pò di tregua agli studenti infreddoliti.

Harry ultimamente passava la maggior parte del suo tempo in solitudine. Lo si poteva vedere spesso camminare a zonzo per i corridoi deserti, con la sciarpa rosso-oro calata fin sul naso, tanto che quasi non si sarebbe potuto identificare, se non fosse stato per la sua famosa cicatrice in bella vista sulla fronte.
Harry stava solo perché voleva stare solo. E i suoi compagni e amici avevano ormai smesso di fare del loro meglio per cercare di farlo uscire dal bozzolo che si era costruito intorno. I primi tempi Seamus e Dean lo usavano come cavia degli ultimi scherzetti acquistati al negozio dei gemelli Weasley nei fine settimana ad Hogmeade, nel tentativo di strappargli un sorriso, ma, considerato che la sua risposta era sempre un cupo brontolìo, i due ragazzi avevano deciso che era meglio lasciarlo bollire nel suo brodo.
Magari, si dicevano, gli sarebbe passata da solo.

Harry prese posto in una panchina del vasto giardino. Faceva freddo, quindi lui era l'unico studente nei paraggi. E a lui questo piaceva.
Ron gli sedeva accanto, in silenzio.
Sapeva quanto era grande il suo dolore, e lo rispettava evitando di propinargli battutine che, piuttosto che strappargli un sorrisino, lo avrebbero incupito ulteriormente.

Il dolore di Harry era troppo grande; un enorme vuoto all'altezza dello stomaco che gli impediva di mangiare, di concentrarsi nello studio, e persino di arrabbiarsi per le consuete angherie di Piton nei suoi confronti.
Al mattino, per una infinitesimale frazione di secondo, riusciva ad essere felice; ma poi la consapevolezza dei ricordi gli cadeva addosso come un macigno, facendolo ripiombare nella tristezza più acuta.

Ron posò una mano sulla spalla del suo amico, senza soffermarsi sul suo profilo crucciato.
Guardava piuttosto davanti a sé, al castello silenzioso quanto Harry, che gli sedeva accanto su quella panchina gelida.

"Ti ricordi quando hai tentato di arrampicarti su quell'albero?", domandò Ron, indicando un pino piuttosto ritorto, a qualche metro di distanza. Si era appena ripromesso di non fare battute, ma quello era sempre stato il suo modo di affrontare i problemi. Quelli altrui, per lo meno.
Attese qualche istante una possibile risposta, ma invano.
Poi, senza neanche voltarsi a guardarlo, avvertì distintamente il sorriso di Harry.
"Già", mormorò sommesso quest'ultimo. "Il mio fresbee era finito fra quei rami e nessuno di noi aveva una bacchetta a portata di mano per farlo scendere con un Accio"
"E nessuno voleva salire fin su alla torre per prenderla", concluse Ron, intimamente lieto di vedere Harry con un accenno di sorriso stampato in volto.
"La Chips se l'è presa da morire", ricordò Harry, sfiorandosi la nuca, come se il ricordo della caduta di quel lontano giorno avesse fatto riaffiorare un dolore da lungo sedato.

Il viso di Harry si incrinò appena, e Ron ne realizzò subito il motivo.
Dal grande portone di quercia che segnava l'ingresso alla scuola ne stava uscendo Hermione, con la sua solita borsa carica di libri sottobraccio.

Hermione.

Non si riuscivano più nemmeno a guardare in volto, ormai. La vita in sala comune era diventata quasi un inferno, ed Harry era contento che la ragazza avesse così tanti impegni scolastici, che diluivano ulteriormente le loro già scarse possibilità di incontrarsi.
Attraversavano la sala comune con occhi bassi, quasi per timore di incontrare l'una lo sguardo dell'altro.

"Andrà tutto bene", cercò di incoraggiarlo il suo amico.
Si conoscevano da quando avevano 11 anni. Avevano condiviso episodi dolorosi e avuto a che fare con il Male con la M maiuscola. Harry avrebbe superato anche questa. Harry riusciva sempre a superare tutto.
O almeno, Ron di questo ne era sempre stato convinto.

Quando Harry si svegliò il giorno dopo, era solo in camera. Era domenica, e tutti si affrettavano per poter andare prima possibile ad Hogsmeade; i suoi compagni non erano certamente da meno.
Si vestì lentamente e svogliatamente. Avrebbe voluto restare più che volentieri a poltrire nel letto, ma lottò finchè non si trascinò fino all'armadio, infilandosi la cosa più decente che riuscì a pescarvi.
La Sala Grande era piena, allegra, e gli abiti colorati degli studenti, per una volta non oscurati dalla divisa, sembravano salutare allegramente quella giornata che, pur senza essere stata riscaldata di un solo grado, sembrava priva del consueto gelo invernale. La prospettiva di una gita a Hogsmeade faceva sempre questo effetto.
Solo ad Harry il vasto salone sembrò vuoto, e i sorrisi di tutti coloro che lo circondavano, falsi.

Quando prese posto nella panca, qualcuno interruppe bruscamente l'allegro cicalecciare, sostituendolo con sommessi sussurri velati di malinconia.
Ron gli strizzò un'occhio. "Come andiamo stamattina?"
Harry si strinse nelle spalle. Andava male. Andava molto male.

Hermione varcò in quel momento l'ingresso della Sala Grande. I suoi occhi si posarono su Harry, per poi deviarli verso la persona al suo fianco. La salutò e prese posto all'altro capo del tavolo.
"Quando la finirete di comportarvi così?" sbuffò Ron.
"Credo mai", pigolò Harry, abbandonando definitivamente il cucchiaio nella ciotola di cornflakes praticamente intonsa.

Non aveva fame.
Non aveva voglia di vedere nessuno.
Voleva solo andare a letto e...si, piangere. Non avrebbe risolto nulla, ma in quel momento era l'unica cosa che voleva fare.

Quando si incamminò per la stradina che conduceva ad Hogsmeade, il suo stomaco iniziò a brontolare, ma si trattenne dal commentare. Ron, invece, gli lanciò un sorrisino divertito.
"Non avresti dovuto lasciare la tua colazione."
"Non avevo fame."
"Ah, ma ce l'hai adesso", ridacchiò Ron.

Harry, suo malgrado, si costrinse a sorridere.

Giunse davanti un portone in ferro battuto. Vecchio, malandato e in piedi per chissà quale miracolo - o magia.
Lo varcò senza indugio, come attirato dal leggero cicaleccio di voci che sentiva provenire da qualche parte, al suo interno.
Vide Dean e Seamus, intenti a parlare sommessamente fra loro. E vide Hermione.

Lei, come se avesse avvertito la sua presenza, si voltò ed Harry si sentì avvampare.
Ron gli diede una sonora pacca sulle spalle, costringendolo a fare qualche precario passo in avanti. "Sembrate una vecchia coppia di sposi"
"Finiscila", brontolò Harry, con una punta di speranza nella voce.

Hermione indossava una sciarpa e un cappello amaranto, e un cappotto lungo fin quasi ai piedi. Sorrise, allungando una mano in direzione di Harry.
Il ragazzo lanciò un'occhiata alla sua destra, e sorrise verso Ron, che gli fece un'occhiolino incoraggiante.

"Andrà tutto bene", mormorò Hermione, guidandolo verso i suoi compagni di scuola.
Mentre prendeva posto davanti a studenti ed insegnanti, Harry diede una rapida occhiata alle sue spalle. Ron non c'era più, ma fu solo un attimo.
Perché quando ritornò a guardare di fronte a sé lo rivide, sorridente come sempre. Le dita di Hermione si strinsero alle sue, ed Harry sentì distintamente che quel vuoto che aveva avvertito fino a quel momento stava assumendo proporzioni spaventose.
Nonostante l'immagine buffa di Ron con indosso la sua divisa da Quidditch, non riuscì a trattenere le lacrime. Chiuse gli occhi perché vedere la foto magica poggiata sopra il feretro decorato con la sciarpa rosso-oro che era appartenuta al suo migliore amico gli dilaniava l'anima.
   
 
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