Frascescà.
Dedicata -e ispirata- a te,
a cui voglio
un bene non quantificabile a parole.
Ffffra, non desidererei amica migliore di te.
Erano due anni
che non la vedeva.
L’ultima volta
che l’aveva vista era una tredicenne dall’apparecchio ben visibile e la
personalità esuberante.
Su chiamava
Francesca – o Frascnescà, come pronunciava lui, fa buon francese
tale era, facendola ridere- ed era una ragazza italiana che aveva conosciuto
perché ogni estate, come lui, si recava a visitare i nonni, su una piccola
Isola toscana, L’isola d’Elba.
Ricordava
vagamente come fosse, ai ricordi si erano sovrapposte le foto più recenti che aveva visto su
facebook, sapeva per certo che aveva ancora gli occhi grandi, la pelle
olivastra e la bocca carnosa, era ancora quell’amica per cui si era preso una
cotta da bambino.
Era Frascescà, semplicemente.
E ora l’avrebbe
rivista, dopo due anni. Era stranamente in fibrillazione, come mai gli era
successo prima. D’altro canto l’anno precedente, quando, arrivato sull’isola,
gli avevano detto che quell’estate non l’avrebbe rivista, aveva fin da subito
capito che non sarebbe stata la solita estate, senza di lei.
Così come
l’estate ancora precedente in cui lui non era potuto andare in vacanza a causa
del lavoro dei suoi genitori, rimanendo a Parigi.
Comunque sia,
ancora pochi minuti, e sarebbe arrivato alla spiaggia dove, ogni estate, si incontrava con gli “amici del mare”, lei compresa. Non temeva che, per la terza volta, gli
avrebbe dato buca: le aveva mandato un e-mail per accertarsi che ci sarebbe
stata.
Arrivò sulla
spiaggia, si tolse la maglia, abbandonò i suoi genitori, lasciandoli con una sguardo perplesso, e si affrettò a corsa verso il
fatidico punto d’incontro.
Ovviamente, non
c’era nessuno. Era molto presto, e gli altri non si sarebbero visti prima delle
undici.
Si sedette su uno
scoglio per regolare il respiro, ansante dopo la corsa. Teneva la testa basta,
a causa del sole accecante del mattino, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, i
lisci capelli biondi gli scendevano a ciocchi davanti agli occhi.
Era impaziente e
leggermente euforico, combatteva con la voglia di andarla a cercare e la
fermezza di non farle capire che le era mancata
terribilmente, più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Non seppe quanto
tempo era passato quando una voce allegra lo chiamò da lontano
«Baptiste! Salut!»
Alzò la testa… e
la vide, la vide camminare verso di lui, come eleganza
e grazia, in un modo che lo fece quasi ipnotizzare.
Aveva le gambe
lunghe e magre, il ventre piatto e il seno, seppur poco accennato, che la
faceva apparire più donna e meno bambina, più sensuale, più consapevole del suo
corpo.
La pelle era già
abbronzata, nonostante l’estate fosse appena iniziata, e, da quanto sembrava da
quella distanza, incredibilmente liscia.
Il sole le
illuminava il viso, rendendo impossibile vedere la sua espressione, facendo in
modo che, mano a mano che si avvicinava, scoprisse
gradualmente qualche lineamento del viso.
Per primi vide
gli occhi, grandi, verdi, accesi di quella luce allegra, con un cenno, ora, di
malizia, che ricordava. Poi vide il naso, dritto, leggermente sporgente, non
era piccolo o delicato, eppure sembrava perfetto in quel viso, era un qualcosa
che la contraddistingueva dalle altre, un qualcosa di suo, che non avrebbe
cambiato per alcun naso perfettamente all’insù.
E poi, ecco, il
suo sorriso. Luminoso, seducente, cordiale. Sicuro di sé. Non c’era più l’ombra
di quel fastidioso apparecchio che aveva un tempo. Le labbra erano rimaste
carnose e, per quanto poteva immaginare, morbide come aveva sempre pensato
fossero.
Indossava un
semplice bikini nero, i capelli erano più chiari e corti, le arrivavano sopra
il collo in modo sbarazzino ma nello stesso momento seducente.
Durante tutto il
tempo in cui l’aveva guardata lei non aveva staccato
lo sguardo da lui, lo guardava dritto negli occhi, come una sfida. Solo quando
arrivò davanti a lui abbassò gli occhi, interrompendo
quel contatto.
Erano entrambi
imbarazzati, come era normale che fosse. Dopotutto
erano cambiati radicalmente entrambi, compreso lui.
Il fisico, grazie
agli allenamenti di basket, si era modellato e ora non sembrava più solo un
allampanato ragazzino dai grandi occhi azzurri senza arte né parte. Si era
alzato di dieci centri menti buoni, i capelli erano più lunghi, la pelle non
aveva più quelle piccole imperfezioni tipiche della prima adolescenza e si era
fatto più consapevole di se stesso.
Sapeva di fare la
sua figura e forse era proprio quello che, a dire delle sue ex, lo rendeva affascinante.
Si alzò in piedi
e qual punto lei lo guardò di nuovo, dal basso, sorpresa di dover guardare così
in alto «Sei alzato!»
Aveva parlato in
francese, come al solito. Lui conosceva l’italiano, ma
non abbastanza per intrattenere una conversazione
tanto lunga. Lui annuì, sorridendole. «Tu invece no».
Lei gli fece la
linguaccia, divertita.
La situazione era
tesa, lo sentiva, così fece l’unica cosa che sentiva di voler fare da molto
tempo. L’ abbracciò. Era il primo contatto fisico che
avevano avuto da che si conoscevano, così cerco di goderselo in tutto i modi
possibili.
In un primo
momento lei era rigida, poi, dopo qualche secondo, si rilassò aggrappandosi a
lui. Baptiste, intanto, aveva iniziato a muovere la mano su e giù sulla
schiena, come per accarezzarla. Aveva la pelle liscia e calda, morbida al tatto
e… oh, il suo profumo.
Sapeva di buono.
Sapeva di promesse e sincerità. Sapeva di sorrisi e lunghe giornate di sole,
estate, divertimento. Sapeva di passione, determinazione, giovinezza.
Sapeva di lei.
Quando si
allontanarono, stranamente, non erano più in imbarazzo; sembrava che
quell’abbraccio avesse sciolto tutti i timori e che la distanza di quei due
anni fosse scomparsa.
«Andiamo a fare
una passeggiata in attesa degli altri?»
Parlarono, parlarono a lungo. Lei era come ricordava: intelligente,
divertente, allegra.
Il suo francese
si era migliorato sempre di più e, quando le chiese il motivo, disse
semplicemente che “si era esercitata”, anche se lui sospettò che ci fosse
dell’altro sotto.
Parlarono della
scuola, degli amici, della musica, grande passione di lei, del basket, il suo
sport preferito, della loro vita. Non ci volle molto, però, perché l’ultimo
argomento che non avevano ancora trattato fosse quello
che più temevano: le loro relazioni.
«Allora… hai un
ragazzo?»
Fece una risata strana,
quasi maliziosa, prima di rispondere. «No, non al momento».
A quel punto lo
guardò dritto negli occhi, seria. «E tu?»
Era in… attesa, lo
poteva percepire perfettamente, come se da quella risposta dipendesse la sua
vita.
«Si e no. Io e la mia… ehm… ragazza siamo
in una specie di crisi. Ma per quanto mi riguarda è
finita da tempo».
Lei annuì,
solennemente, come se la riposta la soddisfacesse. In realtà ci stava ancora,
con la sua ragazza, solo che, da quando l’aveva rivista, o forse anche solo da
quando aveva saputo che l’avrebbe rivista, non considerava più la sua ragazza
tale.
Solo che lei, Nadine, non lo sapeva, non ancora per lo meno.
Stettero in
silenzio per un po’, camminando a riva, uno vicino all’altro, la spalla di lei che sfiorava il braccio di lui, lasciando ad
entrambi brividi lungo tutto il corpo.
«Sai avevo una cotta per te quando eravamo piccoli.»
Lo disse
all’improvviso, come se stessero parlando di cose futili, come se stesse
commentando la situazione meteorologica, lasciandolo spiazzato.
Cosa
avrebbe dovuto dire?
Si fermarono tra
alcuni bambini che giocavano e una coppia di anziani che si teneva per mano. Si
guardava intorno, cercando in tutti i modi di non guardare lei, non sapendo
cosa fare né cosa dire, così si limitò a dire la
verità.
«Anche io»
“E ce l’ho ancora”, aggiunse tra sé e sé.
Il silenzio tornò, questa volta, però, non era
uno di quei silenzi fastidiosi o pesanti, no, era piacevole e quasi magico. Uno
di quei silenzi pieni di parole non dette.
Una voce lontana,
poi, interruppe quel momento «Francesca! Baptiste!
Finalmente vi ho trovati!» Era una delle tante amiche
che conosceva da tutta una vita, Costanza, una romana loro coetanea molto
intima di Francesca.
A quel punto lei,
invece di risponderle, si girò verso di lui, alzandosi in punta di piedi per
arrivare al suo orecchio. «Ricordi di quella cotta? Non mi è affatto passata.»
Poi si girò,
elegantemente, raggiante, e corse verso la sua amica, come se niente fosse.
E lui, correndo a
sua volta per raggiungere le due, sorrise pensando che, probabilmente,
quell’estate si sarebbe rivelata incredibilmente sorprendente.
E sapeva già di
promesse e sincerità. Di sorrisi e lunghe giornate tra un tuffo e l’altro. Di
sole, divertimento, passione, determinazione e giovinezza.
Sapeva di lei.
E non vedeva
l’ora di viverla.