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Autore: Rowena    23/01/2011    4 recensioni
La nuova guerra magica aveva colpito anche lontano, seguendo la sete di potere dell’Oscuro Signore appena sconfitto, segnando dunque gravi perdite ben al di fuori dei confini britannici.
Nessuno si stupì, dunque, se i più rinomati e famosi fabbricanti di bacchette, artigiani eredi di una tradizione antica, si radunarono in un paesino della Bulgaria per rendere l’ultimo omaggio a un loro compagno.
E cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di considerarsi una specie in via d’estinzione.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Marietta Edgecombe, Nuovo personaggio, Olivander
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ottime bacchette dal 382 a.C.'
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Note: Avevo in mente da un po' questa storia, rileggevo una parte del settimo HP per scrivere un'altra fic e ho pensato a cosa potesse davvero significare la morte di Gregorovitch... Sì, un'altra storia su personaggi totalmente secondari! ^^ Questa storia partecipa all'iniziativa "Mestieri e faccende" su Acciofanfiction. Buona lettura!


La guerra era terminata, finalmente. Questo pensava la comunità magica, mentre cercava di rimettersi in sesto dopo l’ultimo sanguinoso scossone.
Sebbene qualcuno tentasse di limitarla a una crisi nazionale, un problema che doveva riguardare solo la Gran Bretagna e non il resto del mondo, il secondo conflitto aveva colpito ben più lontano, seguendo la sete di potere dell’Oscuro Signore appena sconfitto e segnando dunque gravi perdite ben al di fuori dei confini britannici.
Nessuno si stupì, dunque, se i più rinomati e famosi fabbricanti di bacchette, artigiani eredi di una tradizione antica, si radunarono in un paesino della Bulgaria per rendere l’ultimo omaggio a un loro compagno. E cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di considerarsi una specie in via d’estinzione.
Non si trattava di un funerale, in realtà: il corpo era stato trovato mesi prima – Voldemort non aveva rinunciato al Marchio Nero nei suoi omicidi in Bulgaria, certo che nessuno avrebbe capito cosa stesse davvero cercando – e la salma riposava ormai da un pezzo nel piccolo cimitero del paese in cui il fabbricante di bacchette si era ritirato per godersi la pensione.
Il mondo magico tuttavia si premurò di rendere omaggio a lui e alla sua famiglia, martiri della guerra.
Giunsero da tutta l’Europa: dignitari, ministri, eroi di guerra, molti personaggi per cui ogni giornalista avrebbe scritto pagine e pagine, ma la delegazione dei fabbricanti di bacchette spiccava tra i partecipanti, non erano molti, una decina circa, ma rappresentavano da soli l’intero mondo magico del continente. Giunsero tutti assieme, come una vera rappresentanza diplomatica, e andarono a occupare i posti più avanti.
Difficilmente quegli artigiani si facevano vedere fuori dalle loro botteghe o trattavano i loro affari in pubblico: erano gli ultimi eredi di una tradizione antica e stava a loro creare lo strumento fondamentale per ogni mago rispettabile. Non erano tutti, ovviamente, ma solo quella ristretta cerchia che si poteva fregiare del titolo di Maestro. In ogni paese poi c’era tutta una lunga fila di ex-apprendisti, imitatori e bottegai da due Zellini, ma i veri fabbricanti non si sarebbero mai mischiati con gente simile.
C’era Madame de Guise, l’avvenente strega francese, avvolta in una lunga pelliccia tinta di rosa, e l’anziano Jusupov, che aveva il suo negozio in uno sperduto villaggio della Siberia, tanto che per i maghi russi era una vera e propria impresa ottenere la prima bacchetta.
Il più giovane era un bel ragazzo dai capelli scuri, che si presentò anche ai colleghi – forse era la prima volta che partecipava a una simile riunione. C’era anche un uomo di mezza età con i capelli del tutto bianchi, probabilmente giunto dai Paesi Scandinavi, e una strega che sembrava una gitana uscita dai libri per bambini, vista l’eccentrica gonna che indossava, il suo scialle con i campanelli e i suoi grandi orecchini dorati. Parlava con un forte accento spagnolo, quindi non era difficile capire da dove provenisse.
E, ovviamente, c’era Olivander, l’inglese che portava avanti una tradizione antica di quasi dodici secoli. Il mago portava ancora i segni della lunga prigionia e delle torture che aveva subito e si stava lentamente riprendendo, ma aveva un aspetto deperito e malsano. Si teneva un poco in disparte dai suoi colleghi, come se fosse in imbarazzo a stare con loro, e teneva gli occhi fissi sul pavimento.
Per la celebrazione era stato organizzato un elogio solenne tenuto da alcuni maghi influenti in Bulgaria e nei paesi limitrofi, tutti pronti a dichiararsi amici intimi di Gregorovitch quando, probabilmente, l’avevano incontrato solo al momento di acquistare una bacchetta.
I fabbricanti di bacchette si erano rifiutati di parlare in pubblico: tutti detestavano Gregorovitch, era un vecchio mezzo matto che farneticava della Stecca della Morte da cinquant’anni e che si vantava di aver realizzato le bacchette migliori della storia. Se erano lì presenti, era perché era un loro collega e come tale meritava il loro rispetto, ma non solo; la sua morte prima della presentazione del suo successore segnava la fine di una tradizione importante per ciascuno di loro. Avrebbero dovuto discutere di chi mandare in quella zona per evitare che gli sciacalli approfittassero dell’assenza di un Maestro e riempissero i non esperti del settore di bacchette scadenti. C’era anche da decidere se, visto che avevano corso il rischio di perdere anche Olivander, non fosse il caso di diventare meno severi e permettere che ci fossero più Maestri per evitare che la loro arte morisse.
Questi e molti altri erano i pensieri del mago inglese, mentre osservava le candele accese; davanti al piccolo podio da cui si sarebbero espressi gli oratori, infatti, era stata creata una splendida composizione di candele bianche, tutte accese, tra cui spiccavano quattro ceri più grandi di colore rosso sangue, ancora spenti. Uno per Gregorovitch, uno per sua moglie, uno per ciascuno dei suoi bambini.
Tutti assassinati. Olivander deglutì e distolse lo sguardo, infastidito. Non riusciva a togliersi un pensiero dalla mente: era colpa sua, se erano tutti morti? Lui aveva confessato all’Oscuro Signore dove cercare la Bacchetta di Sambuco, mandandolo direttamente dalla famiglia del mago. Se avesse taciuto, se fosse riuscito a resistere…
Fortunatamente, i suoi sensi di colpa furono zittiti dall’officiante che annunciava l’inizio della celebrazione.
La cerimonia fu breve, si elencarono i pregi e le onorificenze ottenute da Gregorovitch e si ribadì l’importanza di impedire che altri Maghi Oscuri salissero al potere, per evitare che altri innocenti morissero in simili conflitti. Ci fu un minuto di silenzio per le vittime, in cui una ragazza bionda si avvicinò al podio e con un tocco di bacchetta accese i quattro ceri rossi. Un altro movimento del polso, e le altre candele si spensero. Qualche parola dell’officiante ancora, e si decretò la fine della funzione; l’assemblea si alzò in piedi e chi lo desiderava portò dei fiori davanti, in segno di rispetto. Quelli dei fabbricanti di bacchette erano cinti da uno spesso nastro dorato con decori che rappresentavano la loro professione.
Ci sarebbe stato un piccolo banchetto, per omaggiare gli ospiti giunti da tanto lontano, perciò la maggior parte dei presenti si allontanò subito.
Olivander stava ancora fissando i ceri rossi, quando una voce a lui nota lo salutò.
«Signor Olivander, salve. Come si sente? La trovo molto meglio da quando ci siamo visti l’ultima volta».
Harry Potter. Ma certo, anche l’Eroe del mondo magico partecipava alla funzione. Il mago aveva letto sul giornale che il ragazzo aveva dichiarato di aver visto l’Oscuro Signore che torturava e uccideva prima la famiglia e poi lo stesso Gregorovitch, in sogno. Immaginò che per lui si trattava di un dovere essere lì quel giorno.
«Mi sto riprendendo, per fortuna sono tenace» rispose tranquillamente cercando di non mostrare il suo disagio. «È venuto da solo?»
Ora era il ragazzo a sentirsi in imbarazzo: «Sì, i miei amici… A dire la verità non capiscono perché sia qui oggi».
Olivander comprese e sorrise appena. «Non si deve sentire in colpa, signor Potter, lei non ha alcuna responsabilità. Non poteva salvarli, ma aver visto la loro morta l’ha aiutata a comprendere come sconfiggere l’Oscuro Signore».
Avrebbe voluto riuscire a dire anche a se stesso una frase del genere…
La sua assoluzione, tuttavia, non sembrava abbastanza, perché il ragazzo cercò di spiegarsi meglio, quando la voce burbera di Jusupov li interruppe. «Scusatemi, ma Olivander è richiesto altrove», borbottò in un inglese un po’ stentato il mago da sotto i suoi folti baffi.
«La mia corporazione si è riunita qui anche per discutere di affari, signor Potter, voglia scusarmi» completò l’interessato con un lieve cenno del capo per congedarsi.
«Certamente, scusate voi se ho disturbato», si schermì il ragazzo arrossendo. Che buffo, aveva salvato il mondo ma era in crisi per un breve scambio formale. Harry Potter fece per andarsene, quando si fermò, sorpreso. «Signor Olivander, lei sa chi è la ragazza che ci sta fissando?»
Il fabbricante di bacchette si voltò e osservò per un attimo la giovane strega dai capelli biondi.
Era la ragazza che aveva acceso i ceri e davvero li stava fissando con una strana espressione, come se la loro vista la disturbasse.
«No, non l’ho mai vista in vita mia», rispose poi cautamente, cacciando indietro un pensiero che gli era balenato indietro. Aveva lo stesso taglio degli occhi di Gregorovitch, e la gobba del naso, un poco aquilino… Non era possibile.
La donna se ne andò senza dire una parola, abbandonando la celebrazione con una certa fretta.
   
 
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