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Autore: princess_sparklefists    27/01/2011    6 recensioni
Ciascuno di noi nel corso della sua vita dimentica un sacco di cose. Un modo piuttosto sicuro per conservare i ricordi è scriverli. A volte è doveroso quando si è stati testimoni di un evento storico. E, in casi addirittura eccezionali, si può essere testimoni di un evento stoico dimenticato da tutto il resto del mondo.
[6° classificata al contest "Colori e...ore" di emily alexandre]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono anziano ormai, e la mia memoria fa brutti scherzi. Molti momenti importanti sono scivolati via dalla mia mente senza che io potessi farci nulla. Oramai non ha più importanza. C’è solo un episodio a cui ho assistito di cui vorrei non si perdesse la memoria, perché i più non lo rammentano.


Eravamo tutti ospiti al castello di Lady Geren, e con “tutti” intendo la creme de la creme della società del fiero regno di Jyssa.  In quel momento mi stavo incamminando verso la sala dei banchetti in compagnia di Jeen, patrizio di Hyver, di Sir Yun Him, uno dei maggiori latifondisti delle Piane e di Lady Turisi, giovane erede di un’importante dinastia di mercanti. –Allora, Sir Lavli, quali notizie portate dalle fredde montagne del sud?- mi chiese proprio quest’ultima. –Le solite: freddo a non finire, rocce che franano e lupi che sbranano le mandrie di cocciutissimi pastori- celiai -E ovviamente quel picchiatello del suo concittadino, messer Jeen, quello che ogni inverno va a pigliar aria per venderla alla Fiera del Disgelo. Quest’anno si è preso un apprendista, che lei sappia? O quel ragazzetto tutt’ossa lo segue per sport?-. Il patrizio aprì la sua risposta con una grassa risata: -Sissignore, ha deciso di insegnar l’arte a uno dei ragazzini della città-, ma poi scosse la testa -Pazzo lui, pazzo il giovane e pazzo il padre che ha accettato di farlo andare!-. La nostra compagnia si incupì momentaneamente, ma, svoltato il corridoio, un effluvio di selvaggina arrostita solleticò le nostre narici e riportò le nostre menti alla prospettiva dell’imminente banchetto. Lady Geren, la cui tenuta comprendeva diversi boschi brulicanti di cacciagione, era famosa anche per l’abilità dei suoi numerosi cuochi nel preparare piatti considerati unanimemente talmente deliziosi da poter convincere le povere bestiole che li componevano di essere morte per una nobile causa. Quando entrammo nell’imponente sala dei banchetti una schiera di zelanti valletti ci prese in consegna e accompagnò ciascuno al posto che gli era stato assegnato. Io venni separato dagli altri e mi ritrovai seduto tra Ulian, reggente di Huminna, famoso più che altro per la propria sordità che per essere un buon governante, e il rampollo dei Van Bersteg, un ragazzotto non troppo sveglio di cui non conoscevo neppure il nome. Non esattamente la compagnia che avrei preferito, ma, se si è parte dell’aristocrazia del nostro fastoso regno, bisogna far buon viso a cattivo gioco e mostrarsi sempre affabili e cortesi. Così tentai di intrattenere una qualche conversazione civile con i miei vicini, anche se praticamente la cosa si ridusse a un soliloquio, interrotto da qualche “Non sento niente, alza la voce!” provenienti dalla mia destra e da parecchie osservazioni ottuse e fuori luogo dalla mia sinistra. Dopo poco mi arresi e restai a fissare il piatto vuoto con sguardo astioso. All’improvviso i portoni della sala si aprirono. Tutti alzammo gli occhi, pensando fossero arrivate le prime portate. Invece tutto quello che era comparso nel riquardo della porta era un ragazzino, teso nello sforzo di sollevare uno dei due pesanti battenti di quercia. Indossava abiti di un giallo squillante, che sembravano essere stati ricavati mettendo insieme da un sarto usando i capi non voluti dai clienti. Probabilmente era così. Lady Geren si alzò incollerita e tuonò: -E tu chi saresti, di grazia?-. Il ragazzetto spalancò la bocca per rispondere sovrastando il fracasso provocato da noi commensali, ma proprio in quel momento le grandi campane della torre dell’orologio del palazzo cominciarono a suonare la mezzora del mezzogiorno e lui sobbalzò, preso alla sprovvista, perse l’equlibrio e venne trascinato fuori dal portone che si richiudeva. La sala intera venne invasa da una fragorosa risata, che non si era ancora spenta del tutto quando il giovane rientrò. Si schiarì la voce e, incredibilmente, questo mise tutti a tacere. -Nobili signori di questo regno- esordì -sono qui per annunciarvi che Telrea se ne va!-. -E chi sarebbe questo Telrea? Tu? E perché devi rovinarci il pranzo per dircelo, ragazzino?- commentò Guntben, uno dei più alti consiglieri di sua maestà. -Signore, lei mi stupisce, deve essere davvero un pessimo ascoltatore per non aver mai sentito nominare il mio impero! O forse, semplicememnte, lei è uno dei tanti che trovano futile e insensato prestare orecchio ai miei sudditi-. -Quali sudditi? Quale impero? Guardie, portate fuori di qui questo mentecatto- sbottò Lady Geren. -Non così in fretta, nobile signora, me ne andrò da solo. Non ho interesse a restare in questo regno un minuto di più. Da domani io e tutti i miei compagni ce ne andremo, fonderemo un nuovo regno, lontano da qui-. -E chi sareste tu e i tuoi compagni? O sudditi o quel che sono?-. -Siamo i figli di questo paese. Non tutti, ma i reietti, i bastardi, i morti di fame. Siamo quelli che convivono con un nome troppo ingombrante, antenati troppo illustri o tristemente famosi, ma anche coloro che per origini troppo umili vedono tutte le strade della vita chiuse davanti a sé. Siamo coloro a cui tutto ciò non va bene. Ci ribelliamo signori. Ce ne andiamo, solcheremo il mare e domani ci sarà un nuovo regno, in nuove terre, un po’ più giusto e libero di questo, che ormai è marcio-. -GUARDIE!- strillò Lady Geren stridula. Il giovane venne trascinato fuori. Ma, al di là del portone del palazzo una schiera di ragazzetti dagli abiti simili ai suoi lo attendeva e il mare giallo lo liberò prima che i soldati potessero fargli del male.

Se ne andarono davvero, fu la rovina del nostro regno, perché buona parte dei nostri giovani più valorosi sparirono alla volta di questa nuova utopia chiamata Telrea. Nessuno di loro fece più ritorno, ma mi piace pensare che da qualche parte oltre il mare esista, ancora oggi, un reame dei sogni dove la vita viene vissuta in nome della giustizia e della fratellanza, un reame che avremmo anche potuto creare se solo non fossimo stati così disgustosamente pigri. Un reame governato da un imperatore bambino addobbato di giallo, il colore che noi rifiutavamo di vestire perché troppo acceso e troppo poco consono alla nostra seriosa inutilità.

 

Note dell'autrice
Ho scritto questa storia per il concorso "Colori e...ore" indetto da emily alexandre sul forum del sito. Mi sono classificata sesta con questo giudizio:

 

Grammatica e sintassi: 20/20
Stile e lessico: 19/20
Pertinenza alla traccia: 14.5/15 
Caratterizzazione del personaggio principale: 15/15 
Trama: 19.5/20 
Giudizio personale: 10/10 
Totale: 98

L’unico problema della tua storia è stato il discorso diretto. A volte metti i due punti prima del dialogo, a volte no, a volte concludi con il punto, a volte no, anche se servirebbe. Ma per il resto, se si esclude una frase non proprio chiara, la tua storia scorre tranquilla e piacevole. Mi è davvero piaciuto il personaggio dell’imperatore bambino, anche se forse è migliore l’introspezione del narratore che la sua. Il colore è usato perfettamente, mentre il significato che volevi dare all’orario poteva essere espresso meglio. Un ultimo appunto: né colore né orario sono stati segnalati in grassetto. Ad ogni modo questo ricordo mi è piaciuto molto, così come la conclusione finale. Brava!

Spero che anche voi scriverete quello che pensate su questa storia. Alla prossima,   A.

   
 
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