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Autore: j3nnif3r    28/01/2011    9 recensioni
Una raccolta di brevi shot sui Turk.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elena, Reno, Rude, Tseng
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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1 – La prima missione

“Non è come perdere la verginità, vero?”
Il suo collega non ha ancora detto una parola. Ora si volta a guardarlo, inarca un sopracciglio.
“No, perché...” riprende Reno, compiaciuto dalla sua sorpresa. “...Sai, la verginità.” Non dice altro, ed il collega non chiede. Vorrebbe che lo facesse, che si mostrasse curioso, che pretendesse una spiegazione. Ma non lo fa. Fissa l’orizzonte azzurro lontano, e Reno fa spallucce e continua a pilotare l’elicottero, in silenzio.
“Sei muto?” gli chiede poi, dopo qualche minuto. L’altro sorride appena, allunga una mano, e Reno deve mollare i comandi per stringerla. L’elicottero oscilla un istante, nessuno dei due si scompone.
“Sono Rude.” dice il collega, e Reno scoppia a ridere.



2 – Come Reno ha imparato a fischiare

“Cosa stai facendo, esattamente?”
Reno si volta, come fa sempre quando non si aspetta qualcuno alle spalle. Rude quasi sorride, riconoscendo il suo modo di essere sorpreso, di venir colto impreparato.

“Sto...” Risponde, voltandosi di nuovo a guardare fuori dalla finestra. Stringe le gambe, le incrocia. La sigaretta si consuma con il vento, abbandonata fra le dita. “Sto imparando a fischiare.”
”Ah.” Rude gli si siede accanto. Ha smesso di approfondire ogni volta, con lui. A volte, semplicemente, fa cose che sono difficili da capire. “Ci stai riuscendo?”
”Certo.” Reno mette due dita fra le labbra, soffia. Ne vien fuori un suono debole e improvviso. Rude soffoca una risata, e il bicchierino di caffè che aveva in mano si inclina, lascia cadere qualche goccia.

“Non c’è molto lavoro da fare oggi, eh?”
“Smettila. Posso imparare.”
”Chi ti ha detto che saper fischiare sia importante?”

“Tu sai fischiare?” Rude fischia, e Reno annuisce scocciato. “Ti odio, Rude.”
“Le dita. Le metti male.”
”Mh?”

“Chiunque può fischiare, basta metterle bene.”
Rude gli prende una mano, lui la scosta bruscamente. Lo guarda, poi lo lascia fare.
“Prova così.” dice Rude.
Il suono che gli esce dalle labbra è nuovo, è forte. Reno osserva le sue dita, stupito. E’ davvero facile.
L’aria si riempie delle note che Rude arriverà ad odiare.


3 – Lifestream

Alla fine, tutto sa ancora di verde.

Il pavimento trema. Reno lo osserva, osserva le crepe che si formano nell’asfalto. La crepa si allarga, si apre come una bocca proprio accanto ai suoi piedi. Si scosta. Il fottuto mondo sta finendo, e lui è per strada. Morirà.
Solleva il viso e nel farlo cade all’indietro, si ritrova seduto. Guarda in alto, verso i tornado che si sono formati all’improvviso. Gli edifici crollano, la gente urla. Li sente morire, li vede morire. Niente di nuovo. Solo che, stavolta, lui sarà il prossimo.
Morirà, quindi. E’ divertente. E’ assurdo. Ride, seduto sulla strada che si increspa.
“Alzati!” urla qualcuno, e Reno si volta. Rude gli afferra una mano e tira. Si ritrova ancora in piedi, e intanto gli edifici diventano polvere.
“Credi nel destino, Rude?” dice all’improvviso. Rude ha paura, gli si legge in faccia. E’ preoccupato. Forse crede che dovrà scontare qualcosa, che dopo la morte ci sarà altro.
Reno sa che non ci sarà nulla.
“Allora? Ci credi?” chiede, mentre alle sue spalle qualcosa cede e crolla. Rude solleva lo sguardo, gli si getta addosso, con una spallata lo spinge a terra, e un enorme pezzo di cemento e ferro precipita a pochi centimetri da loro. Si spacca, con un rumore tremendo. Pezzi di qualcosa gli finiscono in faccia, strappano la stoffa dei vestiti.
“No, non ci credo.” dice Rude. Si rialzano, iniziano a correre.



4 – Un altro giorno, un’altra sera

“Li tingi?” chiede Elena, con una punta di aspro nella voce.
“No, non li tingo.”
”Ovvio che li tinge.” dice Rude.

“Non li tingo... Solo un po’.”
“Dai...” Elena prova a mettergli una mano sulla spalla, ma è già troppo ubriaca e rischia solo di cadere dalla sedia. “Non esistono capelli di quel colore!”
“Tu non li tingi?”
“Certo che no, io sono una bionda naturale!”
“A dirla tutta sono troppo biondi...”
“Tu li tingi?” chiede lei, voltandosi verso Rude che finge di ignorarla. Poi ride, e si pente subito del suono che ha quella risata. Troppo squillante.
“Bene, io ho finito i soldi e ho bevuto abbastanza.” Reno si alza, lascia una banconota sul tavolo. “Me ne vado a dormire.”
“Ma no, andate di già?”
“Rude può anche restare, se vuole.”
“No, vado anch’io.”
Si sono alzati entrambi, ed Elena li osserva camminare. Vorrebbe chieder loro di farle compagnia un altro po’. Giusto cinque... dieci minuti. Perché la sua stanza è così fredda e così vuota e lei è troppo ubriaca per sopportarla. Perché non vorrebbe tornarci ora, solo un altro pochino, andiamo, qualche altro secondo in cui può dimenticare tutto e dire stronzate con quei due idioti. Ma non ha nulla che possa trattenerli, e domani deve alzarsi presto, lo sa. Il tempo è scaduto, deve tornare alla realtà.
Mentre loro escono dal locale, Elena rimane a fissare i bicchieri vuoti fra le risate della gente intorno. Poi si solleva, spingendo con le mani sul legno del tavolo. Può farcela. Solo un altro giorno, sì. Un giorno alla volta.


5 – Rise and shine

Il telefono suona.
Allunga una mano sulla cornetta, la afferra. Fuori c’è il buio del mattino, pieno di luci artificiali. Piccole stelle false. Ad occhi chiusi, respira sulla plastica.
“Mmh?”
“Sorgi e splendi, Reno!” squittisce la segretaria. E’ ancora imbarazzata, nel pronunciare quelle parole. Non si è abituata. “Sveglia effettuata come previsto.” aggiunge subito dopo, in fretta, come per scusarsi.
“Non devi dirlo. Ho chiesto solo la prima frase.”
“Lo so, ma...” Lei fa un risolino.
“Sei già vestita?”
”Non posso chiaccherare, Reno. Posso solo darti la sveglia, lo sai.”
”Mh...”

Si solleva a sedere. Scosta le lenzuola. Il suo letto è un disastro. Chissà perché continua a ridurlo in quello stato, mentre dorme. Chissà cosa sogna.
“A domani!” dice lei.
“Domani, come sveglia, voglio il tuo numero.”
La segretaria ride, poi riaggancia senza rispondere. Probabilmente potrà scoparsela presto. Reno passa una mano fra i capelli, si trascina in bagno.


6 - Allenamento

A volte rimane solo a guardarla.
A sognare di trovare le parole. Qualcosa di serio, qualcosa di dolce. Oppure no, qualcosa di stupido. Perché a volte, ma solo per pochi momenti, Rude vorrebbe essere più simile a Reno. Capace di vomitare talmente tante idiozie da stordirle, da farle ridere. Vorrebbe farla ridere, sì, per spiare un’espressione che sia causata solo da lui.
Non sa bene per quale motivo. Cissnei è leggera e veloce, mentre si allena. Si ferma solo ogni tanto, senza fiato. Si siede un istante, asciuga il sudore dalla fronte e poi riprende. Si allena molto più di loro. Eppure non ce ne sarebbe bisogno.
E lui si sente un cretino, a guardarla da lontano. Ma gli basta, in fondo.
Poi lo vede, il suo viso si accende, ora inizia a scegliere come mostrarsi. Lo saluta con una mano, sorride. Fa appena in tempo a tendere le labbra, e Rude è già sparito. A passi veloci per i corridoi, già pentito di essersi fatto vedere.
Forse non troverà mai qualcosa da dire.


7 – Tseng

Ripiega la divisa con cura, una serie di gesti lenti che conosce a memoria. Le sue mani sono fredde, perché ama tenere la finestra aperta. Anche se è già notte. Anche se non può permettersi un raffreddore.
Il telefono inizia a suonare. Un trillo molto semplice e classico, perché Tseng non ama farsi notare troppo. Finisce di sistemare la divisa, la posa nell’armadio, e solo dopo risponde. Chiunque sia, può aspettare.
“Pronto?”
“Ehi, come va?” dice la voce di Reno, e Tseng si acciglia.
“Ci siamo visti poco fa, Reno. Cosa vuoi?”
“Eh, sai, è che siamo andati tutti a fare un giro, stasera. E mi hanno chiesto di dirti...” Rumori, come se qualcuno lo spingesse, risate soffocate. “Cioè, io volevo dirti... se potevi unirti a noi.”
Tseng rimane in silenzio. Fissa il cielo scuro fuori dalla finestra, sospira. “Lo sai che non posso.”
“Dai, sì che puoi! Cosa te lo impedisce? Il regolamento dice che devi stare sempre tappato in stanza, la notte?”
“Il regolamento dice molte cose che tu ignori, presumo.”
“Beh, noi siamo al bar sotto. Se per caso decidi di dimenticare qualche postilla del regolamento e muovere il culo, sai dove trovarci.”
Reno riattacca senza salutare, e Tseng guarda il telefono tenendolo ancora in mano.

Ma no, ovvio che non può. L’autorità, il contegno, la reputazione. Tutte cose che Reno non conosce, del resto. E poi dovrebbe rivestirsi, e sprecare dei soldi solo per accontentarli. Per passare una sera ridendo con loro. No, non può proprio.
Si permette di riaprire l’armadio e guardare la divisa, così ben piegata, già pronta per aspettare l’indomani. Non può riprenderla, sarebbe un peccato, l’ha piegata così bene. La sfiora, poi richiude.
Sì. Meglio dormire.



8 – Il sapore del sangue

E poi sta sanguinando, e non se lo aspettava.
Non che non sia già successo, insomma. Ma ora, cazzo, fa male sul serio. Fissa il sangue mentre lo portano via, è tutto confuso, è ridicolo, sembra un film. Piccole scene che riesce a cogliere appena. Voci, mani, qualcuno lo solleva, poi i muri intorno, dove si trova adesso? Chi l’ha salvato?
“Stai con me, Reno. Stai sveglio.”
Prova a ridere. Dovrebbe. Dovrebbe mostrare che non gli importa. Dovrebbe farlo capire. Si ferma, un attimo, per raccogliere le forze.
“Dammi qualcosa...” Respiro. “Qualcosa per dormire, idiota. Fa male.”
“No. Devi rimanere sveglio.”
Certo, come no. Chiude gli occhi, e fanculo, ora dormirà. Se non si sveglierà, pazienza.
Poi si sveglia, non è passato nemmeno un secondo, ed è solo. In una stanza. Sembra che sia mattina. Qualcuno l’ha messo in un letto, qualcuno l’ha medicato. Si mette a sedere a fatica, è stato tutto troppo veloce. Ed è vivo. Gli viene un po’ da piangere, maledizione. Non ne è affatto felice, e lo è, allo stesso tempo.
Bene. Quindi dormirà ancora. Cinque minuti di nulla, per favore. Giusto un momento, per riprendersi. Poi ne sarà felice di nuovo, sì. Andrà tutto bene.



9 - Oggi

Oggi è diverso da ieri.
Le sue mani sono ancora piccole, e trema ancora un po’ quando impugna la pistola. Nonostante le ore, i giorni, i mesi di allenamento. I suoi capelli sembrano sempre fuori posto, anche se le colleghe ridono e le dicono che non è vero, che sono perfetti. Tende sempre a ravviarli dietro un orecchio, anche se pensa le stiano male in quel modo. E’ sempre tentata di ordinare uniformi di una taglia più piccole, per sperare di riuscire ad entrarci. E’ tutto come prima, i suoi occhi si fermano ancora sulla porta di quell’edificio enorme prima di camminarci dentro, le viene sempre da pensare che è assurdo, farne parte.
Eppure è diverso. Oggi Elena è un Turk.
Ed è incredibile, incredibile che sia successo così in fretta, per caso, solo perché uno di loro aveva bisogno di essere sostituito per un po’. Non potranno buttarla fuori, dopo. Lo sarà per sempre, perché poi non se ne esce. Non ne uscirà mai. Ne uscirà morta. Lo sperava, di diventarlo. Sperava che sarebbe successo, in qualche modo. Avrebbe voluto che fosse diverso, sì, che le riconoscessero qualcosa, ma Elena sa bene che non c’è molto da riconoscere, in lei. E quindi si accontenta.
Le sembra di essere altissima, mentre torna con in mano una busta di plastica. Si ferma, ancora una volta, di fronte all’ingresso. Oggi è diverso, e per quello ha comprato qualcosa da bere, da offrire agli altri. Avrebbe potuto bere lì dentro, ma voleva che fosse speciale. Visto che nessuno ha voglia di festeggiare per lei, lo farà di sua iniziativa. Forse sarebbe meglio farlo da sola, non mostrare a nessuno che vorrebbe qualcosa. Forse lo farà da sola.
E le viene da ridere. E’ un successo, non è mai stata così felice. Evviva. E non si è mai sentita così male. Forse è così, che si sentono loro. Forse sta iniziando ad entrare nel personaggio, dovrebbe imparare ad essere più seria, a darsi un tono. Dovrebbe provare a farcela, almeno. Sì, ci proverà. Annuisce seria, perché vuole provarci. Sa bene che non ci riuscirà. Immagina di morire durante la prima missione, immagina gli altri che ne rideranno e la prenderanno per un’idiota. Sarà divertente. Ma ci proverà. Può solo provare.
E poi entra, e i pensieri sono troppo pesanti per portarli dietro sul serio.



10 - Compagni

Corre. Il tappeto ruota sotto i suoi piedi, l’asciugamano sulle spalle continua a scivolare via. Ancora cinque minuti. Ancora qualche passo.
“Ma non ti stanchi mai?” gli chiede un collega, ridendo. Rude lo guarda, tenta di rispondere al sorriso. Non è necessario parlare. Quell’uomo non vuole che parli, vuole solo fingere che si possa farlo, che si possa chiaccherare mentre si allenano per essere capaci di non morire come mosche.
Corre, e i suoi passi sono pesanti. Inizia a non farcela più. Guarda l’orologio. Due ore. Sta correndo da due ore esatte. Preme un pulsante e il tappeto rallenta, gradualmente. Si ferma. Rimane con le mani sulla macchina, il respiro torna normale, ma ci mette troppo, non dovrebbe.
Quanti anni ha, oggi? Quanto manca?
“Ti va un gelato?” chiede Reno alle sue spalle. “Però fatti prima una doccia, mi fai veramente schifo.”
E quell’aria idiota di Reno che lo guarda con le mani incrociate dietro la testa lo fa ridere. Il respiro ansante non aiuta, e si china sul tappeto tenendosi la pancia.
“Che c’è?”
“Niente, niente. Arrivo, aspettami fuori.”
Reno fa spallucce, esce senza dire altro.



11 - Estate e inverno

“Fa caldo.” dice Reno, dondolandosi sulla sedia. Ha tolto la giacca e sbottonato la camicia. E’ ridicolo, dice sempre, che pretendano da loro quell’uniforme anche nelle giornate estive di Midgar. Andiamo, fa un caldo assurdo.
“Questi sono gli ordini per oggi.” Rude sbatte un fascicolo sulla scrivania, e Reno sbuffa.
“Fa troppo caldo per gli ordini. Andiamo al mare?”
”Non possiamo andare al mare.”
Oh, il buon vecchio Rude. Sempre così serio. “Lo so, idiota. Era per dire. Allora, cosa dobbiamo fare?”


“Fa freddo.” dice Reno, dondolandosi sulla sedia. Si stringe nella giacca, dice sempre che quelle uniformi sono troppo leggere e che dovrebbero proprio darne loro delle altre.
“Questi sono gli ordini per oggi.” Rude posa un fascicolo sulla scrivania, e Reno sbuffa.
“Fa troppo freddo per gli ordini. Torniamo a letto?”
”Non possiamo tornare a letto.”

Reno sorride, sfiora il fascicolo con le dita.
   
 
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