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Autore: Noony    31/01/2011    1 recensioni
"Una volta nella sua stanza sedette sul letto, accanto alla valigia già piena ma ancora aperta. Stava facendo la cosa giusta? Stava scappando da un padre troppo apprensivo e da delle pessime amiche, tutte cose che invece avrebbe dovuto affrontare. Non aveva altri motivi per andare dove stava andando."
Quando Cecilia decide di andare in vacanza da degli amici di famiglia ha solo diciassette anni e ha già bisogno scappare e ritrovare se stessa. Quanto è invitante la prospettiva di poter godere dello splendido mare della Sardegna e di quel po' di pace spirituale che possa portarla a compiere quella svolta di cui la sua vita sembra avere tanto bisogno? Troppo per lasciarsi sfuggire l'occasione. Sfortunatamente fin dal primo istante capisce che sulla sua strada non troverà la tanto agognata tranquillità ma... Troverà Alberto... E la sua scatenata famiglia!
Complice il caldo, il mare cristallino, amiche pazzerelle e una famiglia fanatica dei musical, le cose prenderanno una piega che Cecilia non avrebbe mai potuto prevedere.
"Sarà gioco o amore chissà"? Volete scoprirlo insieme a me? Sì? Allora cominciate a leggere!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SummerLoving







 Summer Loving 

"Sarà gioco o amore chissà? Nelle sere d'estate si fa!"
                                                                                         Cit. da Grease
                                                   "Summer Nights" nella versione italiana "Sere d'Estate"


Prologo
Giovedì. 
-Mi raccomando!- ripeté Giulio per l'ennesima volta. - Ti vengo a prendere a mezzogiorno, che abbiamo il pranzo dai nonni. Sai che ci tengono a salutarti prima che tu parta.- Cecilia fissò il paesaggio sfuggire via alla sua vista, attraverso il finestrino dell'auto.
-Okay, papà.- mormorò con voce atona. L'auto cominciò a rallentare, permettendole di afferrare tutti quei particolari del paesaggio metropolitano che prima non erano altro che pennellate indistinte di grigio, con qualche sbavatura di colore qui e là, apparentemente priva di senso. Sospirò sollevata quando infine si fermò, permettendole di scorgere con chiarezza il grigiore della città che faceva risaltare l'insegna colorata del piccolo bar dove aveva appuntamento con le sue amiche. Scoccò un bacio sulla guancia di suo padre e scese il più velocemente possibile dall'auto. A pochi metri da loro, Claudia l'aspettava, le braccia incrociate al petto, il suo solito sorriso sprezzante sul volto. "Sei in ritardo", sembrava dirle, "come sempre". Non è che Cecilia fosse una ritardataria cronica. Era Claudia che arrivava in anticipo, per il puro gusto di farla sentire inadeguata.
-Pronta per il trasferimento in Burundi? Ah no scusa, è a Cagliari che vai.- disse Claudia con sarcasmo, storcendo il naso e calcando le ultime parole con tono disgustato. - Ma che hai fatto per farti mandare in esilio? Dai, tuo padre ti deve aver beccato con uno! Con Simo, è così! Cioè, può essere solo questo il motivo, se no tuo padre ti avrebbe mandato tipo in Costa Smeralda, non a Cagliari. Non c'è niente lì! Neppure le pecore.- Cecilia evitò di rispondere riempiendosi la bocca con una cucchiaiata di gelato.

In realtà lei ricordava Cagliari come una bella città, anche se i suoi ricordi erano vaghi. Ricordava che suo padre la portava a passeggiare tra le stradine della marina, tanto strette che una sola automobile ci passava a stento. Lui la prendeva sulle spalle mentre qualcuno, non ricordava bene chi, arrancava dietro loro,e suo padre per far loro dispetto quasi correva, facendola sobbalzare come se si trovasse su una giostra. Ricordava i gelati mangiati sotto il sole cocente d'agosto, il mare, e quel costumino tutto fronzoli e fiocchetti che sua madre le aveva comprato per l'occasione, e i complimenti che il padre le faceva quando lo indossava.

Ma Claudia come poteva capire, come poteva riuscire a grattare la superficie e vedere la sua tristezza, a captare il suo bisogno disperato di sincerità e conforto? Lei viveva in un mondo di veline e tronisti, dove se non ti adegui, se non frequenti i posti giusti e la gente giusta non sei nessuno.Non c'era spazio per le amicizie sincere, non c'era spazio per lei in quel mondo. Cecilia aveva desiderato disperatamente farne parte, come se questo avesse potuto cambiarla, cambiare l'immagine che aveva di sé perché fosse adeguata a ciò che gli altri volevano lei fosse. Si era sbagliata. La faceva sentire ancora più diversa, in qualche modo inadeguata.

-Già... Non so che gli prenda...- borbottò avvilita. - Come mai le altre non sono venute?- Chiese poi, cercando di sviare la conversazione verso argomenti meno compromettenti. Se le avesse detto che era stata lei a chiedere a suo padre di lasciarla partire, ma che Cagliari era stato l'unico posto in cui l'avrebbe lasciata andare da sola, perché solo lì sarebbe stata controllata a vista, Claudia avrebbe sottolineato come fosse sempre stata così codarda, e che se fosse stata al posto suo avrebbe fatto quello che voleva, se le andava.

-Non avevano tempo, partono anche loro la prossima settimana, non te lo ricordi?- E come poteva dimenticarsene dopo che avevano organizzato una vera e propria festa d'addio con tanto di regali e lacrime di commozione, come se stessero partendo per la guerra per non far più ritorno? Invece Cecilia poteva pure sparire nel nulla e nessuna di loro se ne sarebbe preoccupata, a dimostrazione che non la ritenevano abbastanza importante. - Loro sì che vanno in dei posti fantastici. Laura va a Sharm, e Mara in Costa Azzurra. E tu dove vai? Tra le pecore! Che schifo!-

Cecilia mise su un sorrisetto di circostanza. Non lo sapeva perché le era amica. Se lo chiedeva ogni giorno e ogni volta le era impossibile trovare una risposta. Non si ricordava per quale motivo l'avesse ritenuta simpatica, perché aveva desiderato entrare a far parte della sua ristretta cerchia di amicizie. Ora capiva perché era tanto ristretta: Claudia era odiosa, stupida e ignorante, ma lei non aveva abbastanza forza per allontanarsene. Come la falena non riesce ad allontanarsi dalla fiamma, attirata e intrappolata dalla sua luce, splendida e letale, evanescente ma capace di segnare la pelle indelebilmente. L'aveva attirata la sua sicurezza, ma con quella la feriva ogni qualvolta poteva, rimarcando sempre con l'evidente intento di farle del male quanto manchevole fosse in ogni cosa facesse.

Cecilia mise giù la coppetta del gelato. Aveva preso una piccola, misera coppetta da un gusto, mentre Claudia una cialda da tre gusti con le immancabili decorazioni di biscotto che probabilmente avrebbe dovuto pagare lei. Buttò un'occhiata all'orologio al suo polso. Le undici. Era passata solo mezz'ora e lei non poteva resistere un minuto di più, doveva andarsene, era questione di sopravvivenza: un altra ora con lei e avrebbe detto addio alle sue facoltà intellettive. - Accidenti, è tardi!- disse con una vocetta nervosa, alzandosi in fretta.- Devo proprio andare, mio padre mi aspetta a casa, lo sai che se tardo un minuto gli prende una sincope.- mentì spudoratamente.

-Sì, sì certo, divertiti nel profondo sud.- le disse l'altra, ridendo con quella sua risatina acuta e frivola che Cecilia detestava. Le sembrava, a volte, che ridesse solo nel tentativo di perforarle un timpano. -... e grazie per il gelato. Non dovevi proprio!-

Come volevasi dimostrare. Come se avesse potuto rifiutarsi.

Quando suo padre la vide tornare, per poco non gli prese davvero una sincope.
-Mi hanno accompagnato i genitori di Clà.- liquidò così la questione, prima che gli venisse una crisi di panico. Cecilia aveva imparato che a volte era preferibile mentirgli, se non altro per la sua salute. - Vado a finire le valigie.- e corse a chiudersi in camera prima che suo padre potesse farle qualche domanda a cui non poteva o non voleva rispondere.
Una volta nella sua stanza sedette sul letto, accanto alla valigia già piena ma ancora aperta. Stava facendo la cosa giusta? Stava scappando da un padre troppo apprensivo e da delle pessime amiche, tutte cose che invece avrebbe dovuto affrontare. Non aveva altri motivi per andare dove stava andando.
Si guardò intorno. Le pareti della sua camera erano rosa pallido e ricoperte di poster di quegli stupidi musical disneyani che facevano impazzire le sue amiche ma che lei trovava detestabili, intrisi com'erano di finto perbenismo all'americana, dove tutti sono perfetti e felici. Il suo letto aveva la testiera in ferro battuto bianco, così come bianco era il resto del mobilio. Tutto era così pieno di ghirigori che non l'aveva sorpresa quando Claudia l'aveva rinominata “la stanza della principessina di papà”.
Si alzò e si avvicinò ad uno dei poster: il bello di turno le sorrideva vacuo e immobile, con la tipica espressione vuota che lascia alle adolescenti la libertà di illudersi che in quegli occhi fissi ci sia un po' d'amore anche per loro, o solo per loro. Ma lei lo sapeva che non era così, che quello non era che un pezzo di carta e che lei quell'attore non l'avrebbe mai incontrato. Non le importava neppure. Sollevò le mani e le posò sul poster, facendo scorrere i polpastrelli sulla carta lucida e liscia fino ai bordi superiori, dove artigliò la carta e...Strap! Un colpo secco e strappò via il poster.
Gli angoli rimasero incollati alla parete, tenuti su dal nastro adesivo che fu quasi liberatorio rimuovere pian piano con un unghia. Altrettanto liberatorio e terapeutico fu vedere nuovamente la parete pulita e libera da quella spazzatura. Uno dopo l'altro, questa fu la sorte che toccò ad ognuno di quei poster. Tutto venne appallottolato e scalciato sotto il letto. "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.", si disse. Fu entusiasmante, il rumore della carta strappata quasi era riuscito a rilassarla. Si stava riprendendo i suoi spazi. Era come svoltare pagina e cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua vita.
Quando tornò a guardarsi intorno i muri di nuovo immacolati le diedero l'impressione che la stanza si fosse fatta più ariosa e luminosa, e fu certa di stare facendo la cosa giusta, per il momento. Sarebbe tornata in un posto dove aveva vissuto dei momenti speciali con suo padre, quando ancora non la soffocava con la sua apprensione, quando sua madre non se n'era ancora andata e loro erano una vera famiglia, dove l'avrebbero accolta (sperava) con sincera gioia. Nessun altro l'avrebbe accudita meglio di come avrebbe fatto Clelia Marongiu, amica di vecchia data di suo padre. La ricordava vagamente, ma le era rimasto impresso il ricordo di lei che la riempiva di dolcetti alle mandorle avvolti in carta colorata. Aveva quindi per istinto un'ottima opinione della donna, anche se questa si basava su un momento tanto lontano nel tempo che probabilmente non aveva senso alcuno credere che l'idea che si era fatta di lei potesse avere fondamento.
L'unica pecca? Lei aveva due figli: uno di diciannove anni e una di diciassette, sua coetanea, con cui, costretta da sua padre, aveva scambiato qualche email. Tale Bianca Marras sembrava un tipino esuberante, fin troppo per i suoi gusti, una di quelle ragazze che non te la manda a dire, ma aveva avuto anche l'impressione fosse, a modo suo, una ragazza a posto, una di quelle di cui ci si può fidare. Odiava essere forzata a socializzare però, e avrebbe dovuto farlo visto che i Marras l'avrebbero ospitata in casa loro per ben cinque settimane. Aveva quindi deciso di essere molto gentile con tutti loro, ma senza aspettarsi nulla e sperando loro non si aspettassero nulla da lei. Che serà serà, insomma.
Suo padre invece credeva le avrebbe fatto bene avere un'amica della sua età che non fosse Claudia o Laura o Mara, e non sembrava essere preoccupato della presenza del ragazzo. Di solito il solo pensiero che un ragazzo potesse interessarsi a lei lo mandava in escandescenze. Di questo Alberto però non si preoccupava affatto. Lui credeva che, siccome avevano giocato insieme quando erano dei bambini, dovessero considerarsi l'un l'altro come fratello e sorella. Lei non si ricordava neppure il suo volto, figurarsi se l'avrebbe potuto considerare come un fratello.
Cecilia diede un'ultima occhiata alla sua stanza, ripulita dalla spazzatura, infilò alcune maglie che suo padre le aveva lasciato, ben piegate e stirate, sul letto e le infilò in valigia. Ormai vi aveva messo tutto il necessario. La chiuse e la tirò giù, posandola sul pavimento. Tornò a sedersi sul letto. Aveva bisogno di occupare il tempo, altrimenti non sarebbe passato mai. Si alzò nuovamente solo per andarsi a sedere alla scrivania. Accese il suo nuovo notebook, regalo di sua madre. Era rosa. Bastava questo particolare a farle comprendere quanto poco sua madre la conoscesse: lei odiava il rosa. Ma non si aspettava nulla di meglio da lei.
Non sapeva cosa fare. Non era mai stata una grande amante della tecnologia, che riteneva una scomoda necessità. Stare davanti ad uno schermo era una perdita di tempo, ma considerando il fatto che ne aveva a iosa quello poteva essere un modo accettabile di occuparlo. Pensò di dare un'ultima controllata al suo account di posta elettronica nella speranza vana di ricevere un'email da Mara o Laura, o meglio nella speranza di scoprire che qualcuno si era ricordato di lei. E un'email c'era, ma non era né di Mara né di Laura: era di Bianca. “Buon viaggio. Soldato!” diceva l'oggetto del messaggio. Le pareva incredibile che una ragazza che quasi non la conosceva le avesse davvero scritto solo per augurarle buon viaggio. In tutto quello che Bianca le scriveva, email lunghissime e piene di faccine sorridenti, c'era qualcosa di autentico. Sembrava sincera e molto ben disposta nei suoi confronti. Quando l'aprì sorrise nel notare lo stile in cui le aveva scritto quella volta.

Soldato, attenti! U_U7
Mancano un giorno e tredici ore all'ora X. Qui è tutto pronto per la missione.
Il campo base è stato allestito, ed è pronto per essere occupato.
Si attende il Suo arrivo.
Alcuni avvenimenti importanti sono accaduti, eccoli riassunti: mamma sclera, non sa dove fare l'uovo, continua a pensare a cosa possa piacerti, e se dividere la camera con me sarà un problema. Urgono misure drastiche ma rassicuranti.
Insomma, siamo tutti in fibrillazione! XD Sarà divertente averti qui! :-)
Mamma mi ripete di continuo che dovrò essere gentile con te (come se non fosse scontato U.U ) e non farle fare brutta figura.
Mi ha raccontato che l'ultima volta che sei venuta in vacanza da noi io giocavo con il fango e tu mi guardavi inorridita... Oh... Improvvisamente capisco perché ha paura di fare una figuraccia! ^_^” Tranquilla, ho smesso di giocare con il fango... Sono passata alla plastilina! XD
Ehm ehm... Comunque... Si aspettano comunicati dal fronte.
Tenente Bianca a rapporto, soldato! U_U7
P.S. Buon viaggio, Cecilia! :-) Ci vediamo domani all'aeroporto.

***

-Ripetimelo un'altra volta: perché non puoi venire alla mia festa domani?- Chiese Giorgia per la terza volta. E ogni volta che lo costringeva a ripetere le sue motivazioni, il suo volto sembrava somigliare sempre più alla maschera di un merdules: deformato dalla rabbia più che dalla fatica, più simile ad un demonio che ad altro, buono solo a far prendere paura. Perché Giorgia era così, buona e cara quando le faceva comodo, ma guai a contraddirla. Era la ragazza più viziata che avesse mai conosciuto. Ad Alberto pareva insopportabile.
-Ancora? Te l'ho detto, ho un impegno con i miei.- replicò sospirante, stanco di doverlo ripetere per l'ennesima volta.
-Certo! Ti aspetti pure che ci creda, quando non mi dici neppure cosa devi fare!- sbuffò la ragazza, incrociando le braccia sotto il seno, sempre ben messo in evidenza da esagerate scollature e probabilmente da dei push-up. Non che ad Alberto dispiacesse quel “panorama”. Ciò che non gli piaceva era il modo in cui Giorgia ostentava le sue belle curve.
-Devo andare in aeroporto a prendere la figlia di un amico di mia madre che, prima che tu me lo chieda, si chiama Cecilia e arriva da Milano. Contenta ora?- disse esasperato, mentre cercava di concentrarsi intensamente sulla guida e la strada davanti a lui, illuminata dai fari dell'auto, per non pensare a quanto lei riuscisse a irritarlo oltre il sopportabile ogni volta che apriva la bocca.
-Ah, certo! Ti pareva! Se non ci fosse stata di mezzo una ragazza non avresti mai mosso il culo da casa! Una continentale del cavolo, poi! E scommetto che è bionda e ha gli occhi azzurri, ovvio! Se non fosse così, ovviamente, non ti scomoderesti di certo. Mi fai schifo e basta, Alby!-
Alberto sbuffò. Le prime avvisaglie di un brutto mal di testa cominciavano a farsi sentire. - Lo faccio perché mi costringe mia madre. Se non lo facessi non mi presterebbe la macchina nuova, e sul vecchio catorcio che i miei mi hanno passato tu non saliresti mai.- aggiunse in tono accusatorio, mentre svoltava l'angolo in una stradina del centro di Cagliari e parcheggiava davanti dal portone della ragazza.
-Si, come no! Fattela comprare la macchina, i tuoi sono ingegneri, mica dei poveracci! Sei... Sei proprio uno stronzo! Sai che ti dico, con te non ci esco più!- si slacciò la cintura di sicurezza con uno scatto furioso, tanto che sembrava volesse strapparla e portarsela via, magari per appenderla al muro della sua camera come trofeo di guerra dato che, per ovvi motivi, non poteva prendere il suo scalpo. Aprì lo sportello con tanta forza da farlo quasi sbattere contro il muro accanto, e Alberto rabbrividì al pensiero che per la rabbia avrebbe potuto pure ammaccare intenzionalmente l'auto nuova dei suoi genitori. La ragazza invece si militò a scendere senza neppure salutare, sbattendo la portiera con tutta la forza di cui era capace, tanto da far vibrare i vetri dei finestrini. Alberto attese che avesse attraversato la porta di casa e l'avesse richiusa alle sue spalle, più per educazione che per sincero riguardo nei suoi confronti. Solo quando finalmente fu lontana dagli occhi (e ancor di più dal cuore) poté rilassarsi. Posò la testa contro il volante e mormorò - Grazie Signore, grazie! Questa ragazza mi fa venire voglia di farmi prete! Ma chi me l'ha fatto fare?- si chiese e subito rispose – Stefano, ecco chi me l'ha fatto fare!- sbotto, maledicendo mentalmente l'amico, fratello di Giorgia, che l'aveva dipinta come una “ragazza dolce e tenerosa”. Sì, Giorgia era dolce... Come una tigre pronta a divorare la sua preda.
Una come lei non l'avrebbe augurata neppure al suo peggior nemico. Era una bella ragazza, ed era stato questo ad attirarlo, più delle immeritate lodi con cui Stefano l'aveva imbottito e rabbonito, come la fiamma attira la falena prima di bruciarne le ali. E come se fosse fiamma era rimasto scottato. Carbonizzato, avrebbe più propriamente detto Alberto.Giorgia era tutto ciò che più detestava: immatura, viziata, arrogante e permalosa, e saccente oltre ogni sopportazione. Erano usciti insieme sporadicamente nell'arco di qualche mese, ma lei dopo il primo appuntamento aveva cominciato a comportarsi come una moglie gelosa. E cosa peggiore, era appiccicosa e possessiva come se Alberto avesse tatuato su una natica "proprietà di Giorgia Perra". Aveva provato a farle capire che non aveva alcun interesse a proseguire quella frequentazione, ma lei faceva finta di non aver afferrato l'antifona. Trovava, invece, sempre il modo di costringerlo a uscire da soli, senza farsi alcuno scrupolo a mentire. Ormai cominciavano a essere tante le volte in cui si sarebbero dovuti vedere con il solito gruppo di amici e che stranamente tutti davano forfait, esattamente come quella sera.
Le sue parole, quindi, suonavano piacevoli, così desiderabili alle sue orecchie. "Speriamo si trovi un altro povero idiota in fretta" si disse mentre ingranava la prima e ripartiva, commiserando il povero diavolo a cui sarebbe toccata in sorte una ragazza come lei.

-Allora, l'hai mollata, quella?- chiese sua madre, ancora prima che si fosse chiuso la porta di casa alle spalle.

-Ciao mamma! Sì tutto bene, grazie per avermi salutato così affettuosamente!- Alberto si affacciò in salotto, dove i suoi genitori, sdraiati su un divano e abbracciati come due fidanzatini, guardavano un documentario alla T.V. Era una delle loro serate tipo: documentario, coccole, una coppa di gelato e poi via a dormire. Da quel che poteva vedere, due coppette in plastica vuote e abbandonate sul tavolino del salotto, avevano già concuso la fase dell' “ingozziamoci di gelato fino a star male”. - Vi avverto... Non voglio altre sorelline in mezzo alle scatole, eh! Mi raccomando, le precauzioni!- Suo padre si limitò a lanciargli un cuscino, senza degnarlo di ulteriore risposta.
-Ma che scemo che sei!- disse invece sua madre, alzando appena il capo dal petto del marito. - Comunque non hai risposto: l'hai mollata sì o no?- Era chiaro che sua madre non aveva preso in simpatia Giorgia. Ma chi avrebbe mai potuto trovarla simpatica?
-No... Ma mi ha mollato lei!- rispose il ragazzo, ridendo. Suo padre scosse il capo e rise con lui, dicendo alla moglie: - Clelia, é uno che si riprende in fretta, meno male!-
-Meglio così! Non dovrai neppure sentirti in colpa! - rispose Clelia. - Sono contenta. Quella là non ti merita proprio.- si preoccupò di sottolineare. Era sua opinione che non esistesse donna al mondo che potesse meritare un ragazzo come il suo Alberto, che era così affettuoso, intelligente, altruista e ancora una lista quasi infinita di pregi che il suo cuore di mamma le faceva credere suo figlio possedesse. Bisogna dire che non erano lodi del tutto immeritate, ma la donna non era disposta ad ammettere che il suo bambino adorato potesse avere anche dei difetti. Ben diversa era l'opinione di suo marito Angelo, che nel loro Alberto vedeva un buon miscuglio di pregi e di difetti che se mantenuti in costante equilibrio l'avrebbero portato lontano, ovunque volesse andare.
Il ragazzo non rispose se non con un sorriso e un rotear degli occhi. Inutile discutere con sua madre, che non si rendeva conto che a diciannove anni non era più il suo bambino. Non avrebbe potuto tenerlo segregato in casa per tutta la vita. Presto, molto presto avrebbe spiccato il volo, doveva solo trovare il momento giusto per parlarle. Ma quel momento sembrava non arrivare mai.
-Va bene, vi lascio soli prima che mi facciate altre domande imbarazzanti. Tu...- puntò l'indice contro suo padre, per poi portarlo a un occhio. - Giù le mani da mia madre, ti tengo d'occhio.- Le sorrise e salì in camera sua.







L'angolo dell'autrice:
Ebbene si, sono tornata con una nuova storia, un poco più leggera di Hopelessly devoted to you, che per ora è in pausa (non vi preoccupate non vi farò aspettare mesi per un capitolo :-) ). Posto il primo capitolo a mò di valutazione, come mio solito, ma in ogni caso man mano che li scriverò pubblicherò anche il resto della storia. Spero vi piaccia, e in caso, vogliate dare uno sguardo anche alle mie altre storie. :-)
Piccole precisazioni: un merdules è una tipica maschera sarda:
Merdules
Mentre con il termime "continentale" noi sardi indichiamo chi vive in continente, ovvero nella penisola italiana. Non è un termine usato con valenza negativa o come dispregiativo, ma semplicemente lo usiamo per differenziare noi isolani da chi abita nella penisola.
Detto questo, se ci sono altri dubbi, chiedete pure.
Un salutone! ^.^








  
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