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Autore: NeverThink    01/02/2011    5 recensioni
Si dice che non ci sia niente di meglio dell’amore.
Si dice che l’amore elevi l’animo dell’uomo, ingentilendolo.
Si dice che l’amore ti trascina, ti travolge e ti sconvolge.
In fondo è vero, lo so perché l’ho provato.
Ma soprattutto si di dice che l’amore sia irrazionale…

[..] Poi ci sono giorni in cui, invece, non ti va di fare ciò che dovresti fare. Ed era ciò che stava succedendo a me in quel momento. Mentre con la mente mi perdevo in spazi infiniti, nel mare azzurro dei Caraibi, nella bianca e sottile sabbia della spiaggia, qualcuno bussò crudelmente alla porta. Riemersi dall’oceano di fantasia e immaginazione mi ero immerso ritornando alla realtà… che di certo non era tanto dolce ed assolata come quella dei Caraibi.
Ero steso sul piccolo divano, con la testa che penzolava dal bracciolo e spirali di fumo che si alzavano nell’aria. La luce della luna, pigra e chiara, filtrava attraverso il vetro, illuminando la piccola stanza.
Si, quello non era decisamente una spiaggia caraibica. Sospirai e spensi la sigaretta nel posacenere poggiato ai piedi del divano. [..]
[Non è Robsten... più o meno]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to 
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.

 



Capitolo undici

Giornata no

 

 

Quando rientrai in casa mi sentivo… vivo, nonostante la stanchezza. Non seppi descrivere altrimenti il mio stato emozionale. Mi sentivo vivo. Tutto, in casa, mi metteva una strana allegria, il che, dovetti ammettere, era piuttosto inquietante.
Mi sfilai la giacca e, con l’ombra di un sorriso a colorarmi il viso, mi diressi in cucina per un po’ d’acqua.
La risata di Rachel non faceva che echeggiarmi nella mente.
Scossi la testa al ricordo della serata passata con lei, delle battute, parole celate dietro profondi sguardi e sorrisi donatomi gratuitamente, come quelli dei bambini. Non c’erano perché, o ma, doppi fini. Sorrideva, e basta.
Aprii il frigorifero ed estrassi una bottiglia, portandomela alle labbra bevvi due grandi sorsate. In quel momento, con la coda dell’occhio vidi la luce della segreteria lampeggiare. Corrugai la fronte e pigiai il pulsante.
«Ehi, Rob. Mi spiace, ritorno rimandato. Mi fermerò una settimana in più. Richiamami
Nel giro di pochi istanti sentii l’irritazione montare e, stranamente spegnersi all’istante.
Scossi il capo e l’unica cosa che borbottai fu: «Va al diavolo, Kris.»

 

L’indomani mi svegliai alle cinque del mattino. Avevo sonno, terribilmente sonno. Tutta colpa di Rachel… tutta colpa mia, ne ero al corrente. Fare le ore piccole certamente non giovava.
Aveva accettato l’invito a cena di Rachel. Avevo mangiato vegetariano, fumato ascoltando i Pink Floyd e mangiato cioccolato. Avevo riso con lei, avevo giocato e scherzato con lei… l’avevo sentita e vista suonare… al ricordo, sorrisi. E quella sera sarei andato a bere qualcosa con lei e i suoi amici. Grugnai. Quanto avrei dormito?
Sospirai e scesi dal letto. Azionai la caffettiera e mentre aspettavo che il caffè fosse pronto –il bello delle macchinette automatiche- mi andai a fare una doccia calda. L’acqua parve svegliarmi in parte, ma il mio risveglio, quello definitivo, sarebbe avvenuto a caffè ingerito. Così infatti fu.
Una volta indossata una camicia a quadri ed un paio di vecchi jeans scoloriti, m’infilai il berretto e la giacca, uscii di casa e la luce del sole parve colpirmi in pieno viso, come se mi stesse crudelmente schiaffeggiando. M’infilai gli occhiali e le cose migliorarono. In certi momenti, sì, mi mancava terribilmente l’Oregon. Scesi le scale, saltellando e canticchiando. Quando fui davanti l’auto, che avevo noleggiato qualche girono prima, mi tastai le tasche in cerca delle chiavi… ma non c’erano.
Sbuffai ed alzai il capo verso il cielo. Non era possibile, così, mentre risalivo il vialetto, mi tastai ancora le tasche in cerca della chiavi di casa … ma non trovai nemmeno quelle.
Sbuffai, imprecai d’irritazione mentre sbattevo un piede per terra, come fanno i bambini per ottenere qualcosa.
«Idiota, idiota, idiota!» esclamai alzando le braccia al cielo. Mi voltai verso la strada e mi bloccai. Sul marciapiede una signora sui quarant’anni ed un bambino di circa quattro anni mi fissavano con occhi sgranati, sconvolti.
M’accigliai, guardandomi intorno e poi sorrisi imbarazzato, grattandomi la nuca. «Oh… ehm… buongiorno.» dissi facendo spallucce.
La donna non rispose e trascinandosi il figlio impaurito si allontanò quasi correndo.
«Ehi, non sono uno squilibrato!» esclamai verso la signora che si allontanava in fretta.
Scossi il capo e mi passai una mano sul viso?
Fantastico, meraviglioso, pensai.
Afferrai il cellulare e chiamai un taxi. La giornata, certamente, cominciava nel migliore dei modi.


Quando arrivai al lavoro ero irritato, tremendamente irritato.
Seduto su una poltroncina in pelle nera, in attesa che uno dei musicisti arrivasse, mi presi il capo fra le mani e chiusi gli occhi.
La testa cominciava a dolermi. Non avevo richiamato Kristen. Nei gironi precedenti non avrei attesi un secondo di più, avrei colto l’occasione per sentirla, ma in quel memento, nervoso ed adirato con me stesso per la colossale disattenzione che avevo mostrato quel primo mattino, non ne avevo voglia. Esatto, non ne avevo voglia. Non avevo voglia di ascoltare le solite scuse, i soliti motivi per quel maledetto ritardo.
Sospirai e mi poggiai allo schienale della poltrona, quando aprii gli occhi sobbalzai. Immobile, dinanzi a me, con le mani inerti lungo i fianchi, Rachel mi fissava con sguardo indecifrabile. I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso, avvolgendole le spalle. Indossava una felpa sopra una  t-shirt e jeans chiari, la borsa a tracolla le scendeva su un fianco.
Inclinò il capo e corrugò la fronte.
«Che brutta cera hai, Bob.»
La fissai, senza proferire parola. Lei sospirò e roteò gli occhi, poi batté il ginocchio contro la mia coscia, aspettandosi che mi spostassi… ma ciò non accadde. Con sguardo serio continuai a fissarla.
Sbuffò e incrociando le braccia al petto si fece spazio sulla poltrona, sedendosi nello spazio angusto, fra me e il bracciolo.
«Ahi!» esclamai spostandomi un po’, per farla sedere.
Compressi l’uno contro l’altra, sulla poltroncina, ci guardammo. Mi sentivo particolarmente “stretto”.
«Non posso muovermi. Ho le mani incastrate fra i nostri sue corpi. Le mie spalle urlano pietà.»
Lei sbatté più volte le palpebre. «Ti lamenti sempre.»
Sbuffai. «Ti lamenteresti anche tu se fossi al mio posto oggi.»
Gli occhi turchese le si illuminarono e, ancora una volta, notai quanto bella fosse. «Hai pestato un escremento di cane?» chiese sorridendo.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. L’immagine del suo viso fu sostituita da quella di un cane.
«Rachel! Dio, sei disgustosa!»
Lei mi guardò con innocenza, facendo spallucce –per quanto le fosse possibile. «Non è vero!»
Grugnii e scossi capo.
«Dai, cosa ti è capitato di così terribile?» chiese sollecitandomi, muovendo ritmicamente la spalla destra.
«Smettila di fare così.»
«Perché?» rise, «Sono irritante?»
«Sì, molto.» disse fermandole la spalle con una mano.
Sbuffò. «Okay.»
«Sono venuto in taxi.» dissi dopo alcuni istanti di silenzio.
«Non avevi noleggiato un’auto?» chiese aggrottando le sopracciglia.
«Sì.»
Mi guardò con espressione interrogativa.
«Ho lasciato le chiavi in casa.» dissi mordendomi il labbro inferiore.
«E non potevi rientrare a prenderle?»
Feci una smorfia, prima di massaggiarmi la fronte. «Ho lasciato anche quelle.»
Mi voltai a guardarla. La sua espressione era imperscrutabile, mi fissava con i suoi grandi occhi turchese ed io non avevo idea cosa stesse pensando.
«Scherzi, vero?» chiese infine.
Alzai un sopracciglio. «Ti sembra che stia scherzando?»
Si morse il labbro inferiore e represse un sorriso, prima di scoppiare in una fragorosa risata. Buttò all’indietro la testa, poggiandola allo schienale e ridendo di gusto.
Mi mossi irritato. «Non ci trovo nulla da ridere, Stevens. Assolutamente nulla!» esclamai dandola una spallata.
«Oh, invece sì!» disse fra le risate.
«Oh, invece no!» esclamai facendomi in avanti col busto e liberandomi dal suo corpo compresso al mio. Mi presi il capo fra le mani e gemetti.
La mano di Rachel, piccola e affusolata, si posò sulla mia spalla, ne potei avvertire il calore. «Si risolve, Bob… non ti è crollata la casa.»
Mi voltai appena per guardarla in volto e solo allora mi resi conto di quanto fosse vicina. Si era anch’ella sporta col busto ed i suoi occhi turchese brillavano alla luce del sole che filtrava attraverso la grande vetrata, gettando luce ovunque.
«Lo so…»
Le labbra piene si distesero in un sorriso, mostrando una schiera di denti bianchi come neve. Il suo profumo di vaniglia mi colpii all’istante, come trasportato da una folata di vento improvvisa. Chiusi gli occhi, inspirando.
«Cosa c’è?» chiese lei in un sussurro. La sua mano era ancora sulla mia spalla.
«Vaniglia.»
«Cosa?»
«Profumi straordinariamente di vaniglia.» mormorai mentre un angolo delle mie labbra si sollevava involontariamente verso l’alto.
Aprii gli occhi e fui sorpreso dall’espressione sul suo volto. Gli occhi appena sgranati, le iridi scintillanti ma cupe allo stesso tempo, le labbra dischiuse tanto che il suo respirò mi colpii in pieno volto. Emise un singulto, forse voleva parlare, ma dalla sua bocca non uscì altro suono.
I suoi occhi ardenti mi scossero, mi fecero fremere come poche volte era successo.
Non seppi darmi una spiegazione.
«Robert…» mormorò con voce calda, tanto morbida da abbracciarmi.
In quel momento sentii l’irrefrenabile voglia di carezzarle il viso e stringerla a me. Ma non feci nulla di tutto ciò.
«Allora, ragazzi, pronti?» la voce di James, il compositore, mi riportò alla realtà.


«Okay, ragazzi, pausa pranzo.» esclamò James con un battito di mani.  Sospirai di sollievo, mentre Rachel accanto a me esultò agitando le braccia in aria.
«Signorina Stevens, se questa è la sua voglia di lavorare…» esordì James recuperando i suoi spartiti.
Lei spalancò gli occhi e balzò in piedi. «Oh, no, no. Non intendevo dire questo! E’ solo che ho fatto tardi questa mattina e ho mangiato solo un toast.»
«Cerchi di svegliarsi presto allora… se vuole fare questo lavoro…» continuò avviandosi alla porta.
«Oh, ma… io… non…» farfugliò lei mentre James usciva dalla stanza.
Il resto delle persone presenti nella stanza, circa cinque, uscirono lasciando me e Rachel soli.
Lei fissava ancora sbigottita la porta, gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Io soffocai una risata. All’istante si voltò, fulminandomi con lo sguardo.
«Stai ridendo?» chiese riducendo gli occhi a due fessure.
Serrai la bocca e scossi il capo. «Non mi permetterei mai, Racky.» dissi facendo spallucce.
«Oh, al diavolo! Ma lo hai visto? Ha messo in dubbio l’amore per ciò che faccio!» sbraitò afferrando la borsa.  «Non è possibile!» ringhiò dirigendosi a lunghe falcate verso la porta, facendo oscillare i lunghi capelli color della pece.
Sorrisi accorgendomi che indossava solo la t-shirt bianca, così mi voltai verso la sedia sul quale era seduta e notai la felpa. L’afferrai e la chiamai. Rachel, oramai sulla soglia si voltò di scatto.
«Che c’è?» ringhiò.
Alzai la felpa e l’agitai in aria, sorridendo flebilmente.
L’espressione sul suo viso mutò. I muscoli contratti per la rabbia si rilassarono. Si ricompose, portandosi la tracolla della borsa sulla spalla e sistemandosi la maglietta, passandoci le mani sopra.
«Oh. Grazie.» disse con voce risoluta avvicinandosi e afferrando la felpa, ma, mentre si girava per uscire dalla stanza, l’afferrai per un braccio e la costrinsi a voltarsi.
«Cosa…» mormorò confusa. Sorridendo le scompigliai i capelli e le schioccai un bacio sulla guancia.
«Andiamo, Stevens, ti offro un pranzo vegetariano.»
Lei sospirò e scosse il capo, abbracciandomi la vita. «Cosa farei se non ci fossi tu a rallegrarmi le giornate?» disse in un risolino, alzando lo sguardo sul mio viso.
Le circondai le spalle con un braccio e feci spallucce.
«In questo momento staresti viaggiando per il più vicino ospedale psichiatrico.»


Erano le otto di sera quando la mia giornata lavorativa finì. Ero stanco, ero stremato ed avevo urgentemente bisogno di una doccia per rigenerarmi… oltre ad una pizza gigante. Dire che avevo fame era davvero poco. Mi alzai dal tavolo e riposi gli spartiti in una cartellina di carta gialla, mi alzai a mi sgranchii le gambe e sbadigliai.
«Allora ci vediamo domani, gente. Ottimo lavoro.» disse James. Sorrisi ed annuii col capo, prima di sedermi e lasciarmi andare sul tavolo, incrociando le braccia.
Un leggero mormorio inondò la stanza e piano sentii le sedie strisciare sul pavimento e la porta aprirsi e chiudersi.
Chiudendo gli occhi pensai a Kristen. Non l’avevo chiamata ed in quel momento desiderai farlo, così mi misi eretto per recuperare il cellulare dalla tasca, ma quando alzai il capo dal tavolo sobbalzai. Rachel era seduta di fronte a me, le mani giunte sul tavolo, le spalle diritte, un espressione imperscrutabile sul giovane viso.
«Dio!» esclama passandomi una mano sul viso. «Potresti fare anche un po’ di rumore quando entri.» dissi poggiandomi allo schienale della sedia e rinunciando alla telefonata. Avrei chiamato Kristen a casa, con tranquillità.
«Scusa.» disse senza cambiare espressione.
Per alcuni istanti rimanemmo in silenzio, l’uno immergendosi negli occhi dell’altro.
«Cosa c’è?» chiesi infine esasperato.
«Niente. Volevo assicurarmi che stessi bene. Sai, la serata.»
Sospirai e feci un risolino, scuotendo il capo. «Certo.»
Fu allora che ricordai di aver lasciato le chiavi dentro casa. «No!» esclamai prendendomi il viso fra le mani.
Rachel sobbalzò e si sporse verso me. «Cosa c’è?» chiese allarmata.
«Le chiavi!» sbuffai.
Lei mi guardò un momento, poi scosse il capo ridendo. «Vigili del fuoco, Bob. Chiamali ora.»
Sbuffai. «Non è possibile. Idiota, Robert, idiota!» mi dissi alzandomi in piedi e afferrando il cellulare dalla tasca. «Devo chiamare un taxi.»
«Taxi? Scherzi? Ti ci porto io!» esclamò lei balzando in piedi.
«Ci tengo alla mia vita, Rachel.» dissi cercando di reprimere un sorriso.
Lei mi fisso con sguardo indecifrabile, poi fece il giro del tavolo e si avvicinò a me. Mi guardò un’ultima volta poi mi diede uno scappellotto. «Idiota!»
«Ahi!» protestai massaggiandomi le testa.
«Te lo meriti. Ora chiama i vigili del fuoco, genio. Ti aspetto all’uscita. Ho bisogno di un brik di latte ad cioccolato.» disse seria passandosi una mano fra i lunghi capelli e voltandosi con fare teatrale.
Scossi il capo e sorrisi. Quella ragazza, sì, era una forza della natura.


«Rachel rallenta!» urlai quando lei imboccò la strada di casa a tutta velocità.
«Nah!» rispose con un ghigno prima di inchiodare davanti casa. La cintura di sicurezza parve segarmi in due il torace.
Con occhi sgranati, con la schiena che aderiva totalmente allo schienale, aggrappatomi al sedile con le mani, cercai di rallentare il mio respiro, il mio povero cuore spaventato.
«Tu sei pazza.» soffiai a corto di voce. «Sei pazza.» ripetei voltandomi a guardarla, scioccato.
Lei schioccò la lingua. «Ah, com’è divertente!» disse in un gridolino dondolando il capo.
«Sei pazza!» esclamai slacciandomi al cintura e uscendo dall’auto. M’inginocchiai sul vialetto di casa e tesi le mani verso essa. «Casa… terra!» esclamai alzando lo sguardo al cielo.
«Come sei melodrammatico.» sbuffò lei.
Mi voltai fulminandola con lo sguardo. Alzò gli occhi al cielo e, sospirando, si poggiò all’auto, incrociando le braccia al petto.
«Potevamo fare un incidente!»
«Andavo pianissimo!» disse alzando un sopracciglio.
«No, invece! Ho rischiato un infarto!» dissi alzandomi e andandole incontro.
Lei si morse l’interno della guancia, reprimendo un sorriso.
«Cosa c’è, ora?» chiesi alzando le braccia al cielo e facendola poi ricadere lungo i fianchi.
«Sei divertentissimo quando ti arrabbi. Scusa, Bob, ma non hai credibilità.» sorrise facendo spallucce.
«Oh, beh… sentiamo perché?»
Non rispose subito, rimase per attimi infiniti, immobile a guardarmi negli occhi, con espressione indecifrabile.
«I tuoi occhi parlano.» mormorò ed il suo sguardo era un misto di cielo e miele, i lineamenti del viso parevano esser scolpiti nella seta, sotto la debole luce di un lampione.
«Cosa?»
Le labbra le si distesero nuovamente in un sorriso sghembo, abbassò un attimo lo sguardo. «Ciò che esce dalle tue labbra differisce da ciò che si legge nei tuoi occhi.»
In quel momento mi chiesi chi fosse in realtà Rachel Stevens. Mi chiesi come potesse leggermi con una tale facilità, come potesse coinvolgermi nelle sue congetture, avvolgermi con le sue risate, risanarmi il cuore con parole cariche si significato, abbracciarlo con un solo sguardo. Per quale grazie divina ella mi fosse stata inviata, come a… permettermi di ritrovare quella giovinezza scemata.
Apparentemente era un ragazza normale eppure… eppure per me non lo era. Rachel non era una ragazza, era la ragazza.
Sorrisi ed allungai una mano verso il suo viso, accarezzandole una ciocca di capelli scuri, morbidi come seta.
«Ha chiamato lei per una porta bloccata?»
Ritrassi immediatamente la mano e mi voltai verso destra dove, un paio di uomini nerboruti, aspettavano una mia risposta.
«Sì. Salve, è questa qui.» risposi indicando l’abitazione alle mie spalle.
I due annuirono ed imboccarono il vialetto.
«E’ meglio che vada, ora.» disse Rachel raddrizzandosi.
Annuii col capo. «Sì.»
«Passo fra un’oretta, okay?» chiese aggirando l’auto.
«No, passo con la mia macchina questa volta.»
Sbuffò. «Idiota. Non sai muoverti come me a Los Angeles.»
Feci spallucce. «E’ il momento d’imparare, non credi?»
«Certo, certo.» rispose lei agitando una mano a mezz’aria, come a voler dar poca importanza alle mie parole.
«Non fare tardi!» esclamò prima di entrare in auto.
Sorrisi. «A dopo, Rachel.»
Il sorriso che le distese le labbra piene illuminò gli occhi che, in quel momento, parvero zaffiri al sole.

 

*

Salve, gente! Eccomi qui, dopo una lunga assenza… ma le idee scarseggiavano. D’ora in poi dovrei essere più… “presente”.
Voglio ringraziare di cuore coloro che hanno recensito l’ultimo capitolo:
Nessie93,
uley,
Ryry_,
Elly4ever.

Alle recensioni risponderò man a mano. :)

Grazie di cuore, davvero!

Mi scuso per l’affrettato saluto, ma Dickens è lì sul tavolo che mi reclama.

Un bacio, Panda.

   
 
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