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Autore: Chamomile    01/02/2011    2 recensioni
[Guerra e Pace]
La stanza si trovava nel buio, e la figura di Natasa era distesa sul letto, sottile che quasi sembrava perdersi tra le pesanti coperte invernali. Il viso scarno e contratto e i capelli che ricadevano in ciocche spettinate apparivano ancora più desolanti del solito al lume di quell’unica candela.
“Mammina, è tardi. Che fate qui?” chiese Natasa con un fil di voce, cercando di trattenerla dal tremare.
E’ tardi, è tardi. Non avete più niente da fare con me.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il grande pendolo batté le dieci, e la contessa si alzò stancamente dallo sgabello di fronte al tavolo di toletta.

Era ora di dormire, ma quella notte, come tutte le precedenti da un mese a quella parte, non riusciva a prendere sonno.

Lanciò un’occhiata al letto, e poi cominciò a camminare per la stanza, avanti e indietro, in camicia da notte e con la piccola treccia grigia che fuoriusciva dalla cuffia.

Il medico era andato via più tardi del solito, quel giorno, e anche se aveva prescritto le solite pillole, i soliti rimedi, senza aggiungere nessun commento oltre a un sospiro stanco, la contessa si era accorta del modo in cui aveva scosso il capo uscendo dalla camera della figlia, e della velocità con cui aveva percorso il corridoio, come se avesse voluto allontanarsi da uno spettacolo sgradevole.

Eppure non era indispettita, no.

Perché se non voleva sentire parlare che di miglioramenti, e se quel giorno aveva quasi schiaffeggiato Petja per aver detto che la sorella sembrava stare peggio del solito, in realtà sapeva meglio degli altri come stavano le cose.

Lo sapeva meglio dei dottori, anche se non conosceva i nomi delle malattie che pronunciavano con tanta soddisfazione, come dei bambini contenti di sapere la lezione.

Conosceva la verità, e la verità era che Natasa stava morendo.

La sua bambina si stava lasciando morire come una novantenne, senza lottare e senza dare nemmeno l’impressione di accorgersene.

Se la mattina dopo, entrando nella sua stanza per portarle le pillole, l’avesse trovata con tutti i capelli bianchi, non si sarebbe stupita.

Guardando il grande letto in mezzo alla stanza, la contessa soffocò un singhiozzo.

Solo qualche mese prima, a quella stessa ora, lei e sua figlia erano in quel letto, l’una accanto all’altra, a parlare di giovani ufficiali e di antiche fiamme.

Lei rideva forte, scuotendo il grande materasso, mentre Natasa ridacchiava, rotolandosi tra le coperte ed esibendosi in capriole improbabili, contenta e vivace come era sempre stata e come, la contessa pensava allora, sarebbe stata per sempre.

Ora il pensiero di mettersi a letto senza dover aspettare la visita della figlia era insopportabile.

Per questo, durante il periodo di malattia, la contessa non si era coricata se non quando era proprio sul punto di crollare.

Per non pensare, per non avere il tempo di accorgersi che anche quella notte - come quella prima, e come quelle a venire - era sola.

Ma la pioggia batteva troppo forte, stasera, e il vento ululava scuotendo implacabile le chiome degli alberi e facendo sbattere le imposte di legno.

Dormire era davvero impossibile.

Così, senza sapere bene perché, la contessa uscì dalla camera da letto e si diresse verso quella della figlia, in fondo al corridoio.

Le avrebbe chiesto se aveva bisogno di qualcosa, si disse, come per giustificarsi di quel gesto inconsueto.

Avrebbe controllato se dormiva già, o se aveva freddo.

Bussò.

Nessuna risposta dall’interno, ma questa non era una novità. Natasa ormai non rispondeva più neanche di giorno.

La contessa aprì la porta ed entrò silenziosamente, facendo schermo alla candela con la mano.

La stanza si trovava, infatti, nel buio, e la figura di Natasa era distesa sul letto, sottile che quasi sembrava perdersi tra le pesanti coperte invernali.

Ma quando fu abbastanza vicina da scorgere il viso della figlia, la contessa vide che i grandi occhi scuri erano spalancati.

Il viso scarno e contratto e i capelli che ricadevano in ciocche spettinate apparivano ancora più desolanti del solito al lume di quell’unica candela.

Natasa non fece segno di aver notato la presenza della madre, e continuò a fissare un punto dritto davanti a sé, immobile e pallida.

“Natasa”

La contessa accese con la sua la candela sul comodino della figlia, e si sedette sul bordo del letto, facendolo cigolare appena.

La ragazza non si mosse, ma gli occhi si spalancarono ancora di più, senza spostarsi a guardarla.

“Anima mia, colombella” disse la contessa spostandole con delicatezza i capelli dal volto e carezzandole la guancia scarna con la sua grossa mano.

“Anima mia” ripeté, prendendole la mano e baciandola sulle nocche.

Gennaio, Febbraio, Marzo.

A questo tocco Natasa si voltò e fissò i grandi occhi sulla madre.Aprile, Maggio, Giugno

Mammina, è tardi. Che fate qui?” chiese Natasa con un fil di voce, cercando di trattenere la voce dal tremare.

E’ tardi, è tardi. Non avete più niente da fare con me.

“Ma come, se non sono neanche le undici” rispose la contessa con il suo tono più allegro, come se non si fosse accorta di cosa aveva voluto dire la figlia.

Non poteva essere tardi.

Diciott’anni erano troppo presto per parole così amare.

“E’ tardi, dovreste dormire” tentò di nuovo Natasa.

Cosa era venuta a fare? Lei non voleva niente, niente, voleva solo che la lasciassero in pace.

La contessa strinse forte la manina della figlia e la baciò di nuovo. “Basta, Natasa. Ti prego, anima mia, basta” disse piano, guardando seria la figlia.

Natasa quasi sobbalzò. Era la prima volta che la madre le parlava come se la malattia dipendesse da lei.

“Non capisco cosa intendete” mormorò, voltandosi di nuovo e ritirando la mano.

Lei non aveva fatto niente. Stava male, dovevano curarla. Non poteva farci niente se moriva.

“Natasa, sei giovane” continuò la contessa, ignorando i modi bruschi della figlia “Devi farti forza. Fallo per Nikolen’ka, per tuo padre. Tutto questo non ha senso, hai tutta la vita davanti”

“Non è vero” Natasa si tirò a sedere bruscamente. Aveva gli occhi stralunati, pieni di lacrime.

“Non fate che ripeterlo, voi e Pierre. Ieri l’ha detto di nuovo, e anche Sonja l’ha detto” respirava affannosamente “Ma davvero non capite che è tutto finito? Davvero non vi rendete conto che per me non c’è più niente?” le ultime parole andarono quasi perdute tra le lacrime.

“Natasa”

“Andate via, vi prego, lasciatemi in pace” singhiozzò Natasa con rabbia.

Aveva ferito lui, aveva ferito loro, perché non la lasciavano perdere?

“Natasa non ti lascerò mai in pace” disse la contessa con tono deciso “Tu devi rimetterti. Mia figlia non si comporterebbe mai così, seguirebbe i consigli di sua madre e della sua famiglia. O forse pensi di essere più saggia di noi?”

Natasa sorrise debolmente, con le guance bagnate “Mi sento vecchia, ma non molto saggia”.

 

 

 Spazio Autrice

Dopo secoli di indecisione l'ho fatto. Ho dissacrato Tolstoj e Guerra e Pace.  Ma non si può leggere un capolavoro del genere senza finire con l'amare i personaggi, e non ho resistito alla tentazione di scriverci su.  Credo che tra una mezz'ora al massimo ci ripenserò, per ora eccola qua.  Piccolo missing moment del periodo di malattia di Natasa dopo la tentata fuga con Anatole e la rottura del fidanzamento con Andrej. La frase finale è una citazione del film del 2010 An Education .

Spero non sia un insulto alla letteratura russa, e che Lev non me ne vorrà. Ditemi cosa ne pensate se vi va :)

 

  
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