Let my
heart come in touch with your soul
• Iniziata il 03.11.2010
•
Attrazione
Soul
guardava spesso le gambe di Maka. Erano sottili, anche se a volte si divertiva
a sbeffeggiarla, dicendole di trovarla tozza e con due cosce di prosciutto che
non sarebbero mai state attraenti per nessuno. Quella era una bugia bella e
buona, e lui lo sapeva benissimo.
Non
si sentiva particolarmente cool
quando allungava il collo e sbirciava Maka, catturando con le iridi rosso sangue
ogni centimetro che le minigonne che sempre indossava lasciavano scoperto. Si
leccava le labbra, seguendo la sinuosità di quelle lunghe linee dritte, più
nude che mai quando si chinava a raccogliere qualcosa a terra, oppure quando si
sollevava sulle punte per afferrare qualcosa dallo scaffale più in alto.
Beh,
si diceva Soul ignorando il gorgoglio di piacere scatenatosi nel suo
bassoventre, in fondo anche Maka poteva risultare attraente se un po’ più
spogliata e se le si toglieva la faccia. Il problema, però, arrivava nel
momento in cui incrociava i suoi occhi verdi, e le gambe diventavano solamente
un ricordo. Soul doveva mordersi forte le labbra per non alzarsi sul divano e
prendere Maka in braccio, in modo da poterne fare qualsiasi cosa ne volesse.
•
Bisogno
A
volte capitava che Maka non riuscisse a dormire. Le accadeva da quando Soul se
n’era andato, due anni prima, salutandola con il solito sorriso beffardo e con
un buffetto sulla testa. Nessun abbraccio, nessun bacio, solo una lacrima nel
momento in cui le aveva voltato le spalle per sempre.
Quando,
al buio della sua stanza, pensava a come sarebbe stato avere di nuovo Soul
nella stessa casa, si sentiva una stupida sentimentale. Stupida, perché lui non
sarebbe più tornato. Era divenuto una Death Scythe ed
era stato trasferito lontano, in modo da risultare utile ad altri artigiani.
Sentimentale, perché non riusciva ad accettare il fatto che non fossero più
insieme.
Aveva
bisogno di sentire la risata di Soul, la sua voce arrochita dal sonno che le
diceva che avrebbe potuto dormire con lui solo
per quella notte, che poi sarebbero diventate due, tre, quattro, infinite.
Maka
necessitava il tocco di Soul sotto i suoi polpastrelli, quando lottava e quando
il letto era troppo grande per una persona sola. Chiudeva gli occhi e riusciva
a sentirlo, la prendeva in giro e le diceva che non era per nulla cool e che
era solamente una sciocca – le diceva che
sarebbe tornato.
Maka
aveva bisogno di immaginarsi quelle promesse e farle sue, inglobarle nel suo
animo e convincersi che, prima o poi, Soul sarebbe stato ancora con lei.
•
Cicatrice
Quando
le dita sottili di Maka tracciavano la linea della cicatrice sul petto, Soul
chiudeva gli occhi e sospirava. Gli piacevano quei tocchi leggeri e
inizialmente timidi, fatti con una dolcezza che sembrava non potesse
appartenere alla sua Meister. Invece, era proprio Maka che ricuciva i pezzi di
quella carne con le sue dita, a volte baciandolo leggero dove la cicatrice si
vedeva ancora perfettamente.
Chiudeva
gli occhi, Soul, e ricordava: Maka che piangeva sul suo corpo martoriato, Maka
che lo implorava di non lasciarla, Maka con gli occhi di fuoco, Maka che rideva
con tutta se stessa – Maka che lo
stringeva e diceva di amarlo.
Era
un po’ come se quella cicatrice che tanto l’aveva fatta soffrire fosse un
puzzle; ad ogni punto sfiorato dalle sue dita, Soul attribuiva un loro ricordo.
Non importava che questo fosse sanguinoso, triste o allegro. Vedeva Maka come
protagonista, e questo gli bastava per afferrarle la nuca e portarla alla sua
altezza, in modo da poter baciare meglio le sue labbra sottili.
•
Diavolo
Soul
aveva preso Maka tra le braccia; aveva sentito che quello era il momento adatto per ballare con lei, per sentirla
vicina e captare i battiti accelerati del suo cuore contro il petto.
Stringere
l’esile corpo della Shokunin tra le braccia l’aveva
emozionato; si era dato mentalmente dell’idiota, dicendosi che abbracciare una
tavola da stiro come Maka e provare simili sensazioni era poco adatto ad un
tizio cool come lui. Tuttavia, non
aveva potuto far altro che sorridere.
Poi,
però, lui, quell’essere minuscolo
dal sorriso sadico, aveva distrutto tutto. Gli aveva tolto Maka dalle mani,
l’aveva allontanata da lui per poterla immergere nella follia – l’avrebbe
condotta in un luogo di non ritorno, da cui Soul non sarebbe riuscito a
liberarla.
In
quel momento, la buki aveva fatto una scommessa con se stesso: riportarla
indietro a costo della vita. Non per vincere contro quel diavolo dannato, ma
perché Maka era la persona più importante della sua intera esistenza.
•
Eccezione
C’erano
un sacco di ragazze alla Shibusen che andavano pazze
per il sorriso di Soul. Sospiravano quando la buki gettava loro un’occhiata
disinteressata, o semplicemente quando schioccava la lingua contro il palato
seccato.
Soul
era popolare, e Maka l’aveva notato. Era una ragazza attenta: vedeva come le
ragazzine allungassero la mano per salutarlo, pur trovandosi da tutt’altra
parte del corridoio; vedeva come si toccavano i capelli, ansiose di ricevere
uno sguardo.
Una
ragazza normale, si sarebbe sentita gelosa di tutte quelle attenzioni. Una
ragazza normale, non Maka, e questo a Soul piaceva. La Shokunin
si limitava a sospirare e mormorare quanto fossero fastidiose, ma solamente perché non riusciva a studiare;
Soul non si era mai illuso, non aveva mai creduto che le attenzioni di Maka nei
suoi confronti fossero celate da un interesse sentimentale.
Erano
arma ed artigiano e lei, in quella scuola, era l’unica a non sospirare al suo
passaggio – a Maka batteva semplicemente il cuore.
•
Furia
L’artigiana
abbassò le palpebre ed inspirò, contando mentalmente fino a dieci e
ricordandosi che la rabbia non le donava per niente. Di fronte a lei, Soul se
ne stava seduto scompostamente sul divano di pelle nera, le scarpe sporche di
terra appoggiate sul tavolino del salotto e lo sguardo totalmente fisso sulla
televisione.
«Soul,
hai preparato la cena?» La vena sulla tempia iniziò a pulsare nel momento in
cui l’arma le intimò di stare zitta con un gesto delle mani, dimostrandole
quanto la trovasse poco interessante rispetto al programma di moto che stava
guardando.
La
Buki avrebbe dovuto capirlo dal rumore dei passi di Maka che era in pericolo;
avrebbe dovuto esserci abituato, eppure non aveva minimamente pensato che lei potesse
colpirlo con un Maka-chop solo per la cena!
Cacciò
un urlo di dolore, imprecando poi sottovoce. Quando guardò Maka, lesse la furia
nei suoi occhi.
Non
trovò particolarmente cool quello che
fece, ma scattò in piedi e si diresse in cucina senza obiettare. Non era aria,
quella sera.
• Gatta
«Lui
ti piace, ecco perché sei così preoccupata.»
Maka
distolse lo sguardo dalla finestra, in modo tale da poterlo puntare su Blair,
comodamente seduta sulle sue gambe, che faceva le fusa ad ogni carezza della Shokunin.
Quest’ultima
gonfiò le guance e mise il broncio, lasciando che un leggero rossore le
colorasse le gote: «Quell’idiota non
mi piace affatto. È solo che ho paura che la cena si raffreddi!»
Blair
aprì un occhio, fissando Maka con ovvietà. Non era nata ieri, sapeva di per
certo che gatta ci covava tra quei
due. Li aveva sentiti i passi della ragazza, la notte, quando entrambi
pensavano che lei dormisse. Li aveva sentiti chiaramente i sospiri leggeri, i
cigolii del vecchio letto di Soul e le frasi spezzate. Soprattutto, aveva
notato i graffi sul corpo di Soul. E non erano graffi fatti in battaglia – o
almeno, non ad una delle loro solite
battaglie.
La
porta si spalancò improvvisamente, e Maka scattò in piedi, lasciando che Blair
cadesse a terra. Questa la guardò correre verso Soul, parecchio malandato e la
vide, la vide quella mano che accarezzò la guancia della Buki con una tenerezza
tale da far crollare tutti i dubbi – inesistenti – della gatta.
• Hotel
Maka poggiò il borsone sul
letto matrimoniale, le gote talmente rosse e bollenti che Soul avrebbe potuto
cuocervi un uovo. La Buki osservò le dita magre di Maka torturare i due codini
da bambina, nascondere ciocche sfuggenti dai lacci dietro le orecchie e i denti
bianchi che stringevano convulsamente la carne del labbro inferiore.
Da quando avevano iniziato
quella vita, non avevano mai dormito nella stessa camera e, soprattutto, nello
stesso letto. Maka si era sempre premurata di prenotare due camere ben distanti
l’una dall’altra, nonostante a casa vivessero a contatto ventiquattro ore su
ventiquattro. Quella volta, però, la ragazza era stata presa da impegni improrogabili,
e aveva dovuto lasciar tutto nelle mani – o zampe? – di Blair, che si era
dimostrata ben disposta di prenotare l’hotel e preparare personalmente la
valigia di Maka.
«Hai intenzione di rimanere
con la divisa tutta la notte?» domandò Soul gettando la giacca di pelle sulla
sedia e sedendosi sul bordo destro del letto, gli occhi rossi che squadravano
la Meister divertiti e, al tempo stesso, curiosi.
La ragazza afferrò il
borsone automaticamente, correndo a chiudersi in bagno prima di poter vedere
Soul scoppiare a ridere. Il giovane non poteva nascondere una certa ansia:
avevano superato da tempo gli anni dei giochi e ora, a diciannove anni
compiuti, lui e Maka erano arrivati ad una situazione di stallo. Le occhiate di
sottecchi si erano trasformate in sguardi di puro desiderio, almeno da parte di
Soul; le curve della ragazza non erano particolarmente accennate come quelle di
Blair, di Patty o Tsubaki, ma quante volte la Buki
aveva sognato di poter baciare le sue lunghe gambe, di immaginare quegli occhi
liquidi di piacere?
La sua mente avrebbe
probabilmente iniziato un altro dei soliti viaggi mentali se un urlo acuto di
Maka non l’avesse preso in contropiede. Soul si alzò di scatto dal letto, non
premurandosi di bussare e spalancando la porta del piccolo bagno della stanza.
A terra, con indosso solo
la biancheria intima e tra le mani un succinto babydoll, Maka boccheggiava
stordita, mormorando di tanto in tanto un’imprecazione contro la gatta che
viveva con loro. Si girò giusto in tempo per vedere la sua arma crollarle
accanto, prima di chiudere gli occhi e contraccambiare il bacio in cui lui
l’aveva coinvolta.
• Inguardabile (?)
Soul osservò la schiena di
Maka scomparire oltre la tenda del camerino, sedendosi sul divanetto che il
negozio indicato loro da Liz Thompson offriva.
A Maka non erano mai
interessati i vestiti, ma negli ultimi giorni aveva dimostrato un’accesa
curiosità nello shopping, un desiderio piuttosto evidente di comprare nuovi
vestiti e lui, in quanto sua arma e fidato amico, aveva acconsentito ad
accompagnarla – o meglio, Maka l’aveva minacciato in un modo talmente
convincente che Soul non aveva potuto rifiutare.
Tra tutti i vestiti che la
commessa aveva fatto vedere loro, probabilmente seguendo lo stile jeans e
maglietta della Meister, Maka ne aveva scelto uno decisamente femminile, che
Soul non le avrebbe mai visto indosso, nemmeno ad un’altra cena tra Artigiani,
Armi, Professori e Streghe infiltrate.
Fu per questo che quando
Maka uscì a piedi nudi ed il vestito che le stava divinamente, Soul non riuscì
a fare altro che aprire la bocca, stupito. Forse fu quella la prima volta che
pensò veramente a quanto Maka potesse essere carina, con qualcosa di decente
addosso – o senza, a voler ben vedere l’indole maschile.
Ammirò per un secondo di
troppo la curva dei seni ancora acerbi, per poi scendere al bacino fasciato
favolosamente, ignorando la domanda di Maka: «Non sono strana?»
Soul la guardò dapprima
come se fosse scema, imponendosi di riacquistare il suo sguardo cool e
distaccato, appoggiando il mento su una mano annoiato e alzando un sopracciglio.
«Inguardabile, Maka. Perché
non prendi i tuoi soliti jeans?»
Gli occhi verdi della
ragazza si adombrarono, e Soul si sentì leggermente in colpa. Stava giusto per
dirle il suo vero parere, quando la fastidiosa voce di Death the Kid lo interruppe.
«Oh, Maka, questo vestito
risalta perfettamente la simmetria del tuo corpo,» esalò con una vena di
rispetto nei confronti della ragazza, mentre lei arrossiva nonostante la
stramba uscita dell’Artigiano, «hai davvero fatto un’ottima scelta, non trovi
anche tu Soul?»
«Io la trovo inguardabile.»
Già, certo.
• Lento
Il soffitto della camera di
Soul aveva numerose macchie, e tra tutte, Maka ne osservava sempre una dalla
stranissima forma di coniglio. Quando i suoi occhi tracciavano il profilo delle
orecchi, la ragazza sentiva distintamente la lingua della buki raggiungere il
suo interno coscia e scivolare lenta sulla sua pelle, come una tortura che,
prima o poi l’avrebbe uccisa.
Non riusciva a chiudere gli
occhi, non voleva perdere il lume
della ragione. Desiderava rimanere cosciente, con le mani di Soul che le
sfioravano il fianco magro e le accarezzavano le cosce come se fossero la cosa
più bella che avesse mai toccato.
«Non ti piace, Maka?»
domandava sempre lui arrochito dal desiderio, gli occhi rossi che la scrutavano
dentro come nessun altro avrebbe mai potuto fare. Soul la sentiva sussultare
sotto il suo tocco, sentiva i gemiti trattenuti, ma Maka in quei momenti – e
solo in quei momenti – era come creta nelle sue mani, e poteva modellarla come
preferiva o desiderava, senza avere paura di essere respinto.
Non era rumorosa come le
altre donne che aveva avuto, né una tigre tra le lenzuola, ma a lui questo
piaceva: gli piaceva la lentezza con cui Maka baciava le sue labbra, poi il
collo, il petto, tutto di lui. Chiudeva gli occhi e non vedeva altri che lei, lei
e sempre lei.
«Stai zitta, stupida buki.»
• Morte
Maka guardò la figura di
Soul in piedi di fronte a sé, combatteva. Combatteva contro qualcosa di
indistinto, che i suoi occhi non riuscivano ad inquadrare, troppo presi dalla lucentezza
emanata dal corpo della sua buki.
Intorno a lei vi erano
suoni ovattati, le voci degli amici che urlavano, disperate, che non riuscivano
a raggiungerla. Non provava nulla Maka, nemmeno dolore dove lo squarcio
sanguinava copiosamente.
Solo quando gli occhi di
Soul furono ad un centimetro dai suoi, liquidi come solo una volta li aveva
visti, Maka sentì un bruciore accecante al petto. Lo vedeva muovere le sue
labbra sottili, capiva che stava urlando, che la stava pregando, ma tutto era sempre più sfuocato.
Chiudendo gli occhi, Maka
sperò di essere riuscita almeno a sorridere a Soul; in fondo, morire tra le sue
braccia, era sempre stato ciò che avrebbe voluto.
• Nettare
Maka cacciò uno strillo
leggero quando le labbra di Soul si impossessarono prepotenti del suo collo,
subito raggiunte dai denti aguzzi della buki.
Socchiuse gli occhi per
osservarlo sopra di sé, mezzo nudo e mezzo vestito, proprio come piaceva a lei,
prima di mollargli un calcio in mezzo alle gambe.
La ragazza godette dello
spettacolo inginocchiata sul letto e con un cipiglio soddisfattissimo negli
occhi, le braccia incrociate contro i seni. Era passato il tempo in cui si imbarazzava
nel rimanere nuda davanti a Soul; era passato quando lui le aveva dimostrato di
amare ogni parte del suo corpo, pur non rinunciando alle solite battutine
sarcastiche, di tanto in tanto.
«Che diavolo ti prende,
pazza isterica?!» ansimò la buki con le mani strette alla sua virilità, una
lacrima che lentamente scivolava dagli occhi.
Maka all’epiteto sollevò un
sopracciglio, lasciando però scorrere magnanima: «E tu, allora? Mi stavi
succhiando il sangue?!»
Soul spalancò gli occhi
stupito, prima di scoppiare a ridere.
«Mh,» avvicinò il naso al
collo della ragazza, sospirandovi addosso e sentendola rabbrividire con
crescente piacere, «sì, il tuo sangue rappresenta il mio nettare vitale.»
La ragazza non ebbe la
forza di ribattere, perché le mani di Soul erano già tra le sue gambe e la
lingua tra i denti.
• Ovvietà
«Perché oggi sei uscita con
quello sfigato di Chrona?» domandò Soul senza alzare
gli occhi dal giornale, mentre Maka appendeva la borsa al muro e canticchiava
stonata un motivetto che aveva sentito per la strada, quel pomeriggio.
La ragazza gli si avvicinò
incuriosita dal tono affilato che la buki aveva utilizzato, mentre un sorriso
di vittoria iniziava ad incresparle le labbra.
Inclinò il capo, lasciando
che i codini cadessero leggermente sul collo magro. Quando Soul alzò lo
sguardo, Maka parlò: «Mi fa la corte.»
Quelle furono le quattro
parole più brutte che Soul avesse mai sentito nei suoi diciassette anni di
vita. Si sollevò in piedi di scatto, afferrando la Meister per le spalle e
strattonandola duramente.
«Ti sta solo prendendo in
giro! Ha decine fiche pazzesche attratte dal suo carattere cupo, non
prenderebbe mai una ragazza così priva di sensualità come te!»
Capì di aver detto la cosa
sbagliata nel momento in cui il Maka-chop gli arrivò
dritto in testa, doloroso e preciso come sempre. In quello, Maka non si
smentiva proprio mai.
«A discapito dei tuoi
gusti, ci sono ovviamente ragazzi che adorano i tipi intellettuali come me. E Chrona si è dimostrato un gentiluomo, oggi pomeriggio!»
strillò oltraggiata dall’insulto appena subito, girando i tacchi e dirigendosi
con ampie falcate verso la sua stanza.
Fu la voce di Soul a
bloccarla, sulla soglia della porta: «Uscirai ancora con lui?»
Lo sguardo di ovvietà che
Maka gli lanciò fu sufficiente a farlo sprofondare tra i cuscini del divano,
deluso.
«Tu sai che la gelosia non
è per niente cool, vero?»
• Porco
Maka scavalcò con facilità
il bordo della vasca da bagno, lasciando che buona parte dell’acqua
fuoriuscisse e andasse ad inondare il pavimento. Non vi badò, canticchiando ad
alta voce l’ultimo successo passato alla radia quella mattina presto, durante
la pausa dallo studio.
Improvvisò una giravolta e
quasi non scivolò a terra, rischiando di rompersi il collo. Fortuna che i suoi
riflessi da Artigiana non la tradivano nemmeno durante le ore di relax.
Prendendo un profondo
respiro, salì sulla bilancia e con un sorriso constatò di essere aumentata di
ben due chili. Forse, ora, guardandosi allo specchio non avrebbe visto solamente
le ossa del suo bacino, ma anche un po’ di sanissima carne.
Pulì il vetro con una mano,
trovandolo appannato come sempre, e nel momento in cui i suoi occhi ne
incontrarono un paio di tutt’altra tonalità, strillò. Strillò così forte che
Soul cadde all’indietro, dritto nella vasca da bagno completamente vestito.
«STUPIDO PORCO!»
Soul boccheggiò guardando
Maka coprirsi il corpo con un asciugamano di dimensione spropositate, prima di
parlare in suo favore: «PENSAVO FOSSI MORTA! SONO DUE ORE CHE STAI IN BAGNO!
Dovevo pisciare!»
A Maka non interessarono
molto le sue motivazioni, afferrò un barattolo dal nulla e glielo tirò dritto
in faccia.
«PORCO, PORCO, PORCO! FUORI
DI QUIII!»
«Nessuno vorrebbe vedere
una tappetta come te nuda, quando ha Blair che gli
gira per casa!»
Quella sera, Soul iniziò ad
avere paura della sua Meister.
• Quadrato
Soul Eater
Evans non era mai stata un’arma pronta a parlare del gentil sesso come il resto
dei suoi compagni di classe. A differenza di molti, lui non aveva problemi di
donne e, solitamente, quando desiderava compagnia c’erano sempre le lunghe gambe
affusolate dell’insopportabile ventenne che viveva con lui.
«Ehi, Evans, com’è stare
con una come la Albarn?» domandò un ragazzo nerboruto
al suo fianco, sporgendosi un poco per meglio poter osservare la buki negli
occhi.
Soul notò come anche gli
altri ragazzi avevano iniziato a prestare attenzione a loro, quindi capì che
non poteva permettersi il lusso di ignorarli – e poi, vantarsi un po’ delle sue
prodezze con Maka l’avrebbe reso ancora più cool.
Appoggiò la schiena al
muro, schioccando la lingua contro il palato: «Maka a letto è fantastica. Ha le
gambe lunghissime, quindi perdi minuti interi a baciarle. E, ovviamente, quando
lo facciamo quelle gambe non rimangono di certo ferme.» Fece l’occhiolino
allusivo, scatenando così una serie di risa divertite ed eccitate tra i vari
ragazzi.
«Urla?» domandò un biondino
dalla falsa aria timida, ignorando due figure femminili che si avvicinavano
alle loro spalle.
«Quanto basta per farmi
eccitare. Sembra una povera verginella mancata, ma in realtà ne sa molto di più
di tutti noi.»
Un’ombra calò su Soul, che
però non si premurò di controllare chi fosse, troppo dedito al suo racconto
scabroso sulle notti trascorse in compagnia di Maka.
«L’unico suo problema è il
sedere. È quadrato, perché è magra come un chiodo e non ha forme. Quindi
vederla vestita non mi eccita per niente e...»
Il silenzio tombale dei
suoi amici gli fece comprendere di essersi cacciato in un brutto guaio. Ancor
prima di girarsi, Soul Eater Evans capì che avrebbe
dovuto fare come sempre, e non parlare della sua compagna di avventure notturne
davanti a tutti, soprattutto se la suddetta compagna apparteneva al nome di
Maka Albarn e possedeva una forza inumana.
• Rumore
Maka osservò il legno scuro
della porta di fronte a sé. Al di là di essa, poteva sentire lo scricchiolio
del letto vecchio di Soul e l’ansito di due respiri irregolari, probabilmente
guidati da una danza che non aveva nulla di romantico.
Erano tre notti che Maka
sentiva Blair sgattaiolare fuori dalla propria stanza per intrufolarsi in quella
di Soul, insistente. Dapprima c’era la voce riluttante del ragazzo, quella
sensuale della gatta, ed infine il silenzio. Era solamente dopo che il rumore
inondava l’appartamento, impedendole di dormire – e di guardare in faccia la
sua buki, il mattino seguente.
Cadde a terra in ginocchio
ad un miagolio più acuto di Blair, mentre qualcosa oltre la porta sbatteva
ripetutamente contro il muro. Faceva male, tutto quel rumore. Infastidiva il
suo sonno, inumidiva i suoi occhi di lacrime salate che le facevano arrossare
il viso.
Il rumore di quel letto,
misto a quello prodotto dal suo cuore, che batteva ripetutamente contro la
cassa toracica, creava un boato che aveva il potere di ucciderla. Non capiva a
cosa fosse dovuto, se alla consapevolezza che Soul e Blair avevano un rapporto
in cui lei non era la benvenuta, o il fatto che Soul stesse sincronizzando la
propria anima con qualcuna che non fosse lei. Maka proprio non lo capiva,
eppure quel rumore le dava terribilmente fastidio.
• Silenzio
Accadeva spesso a Maka e
Soul di rimanere a casa soli, un po’ come ai vecchi tempi, quando Blair non
girovagava mezza nuda per le stanze e Black*Star che
entrava ed usciva con un balzo dalla finestra.
In quei momenti, Soul era
sempre rimasto sprofondato tra i cuscini morbidi del divano, a fare zapping tra
i vari programmi alla televisione, mentre Maka al suo fianco rigirava
fiaccamente le pagine di un libro, senza mai leggere veramente.
«Mi piace stare così,»
diceva la ragazza interrompendo il profondo silenzio che si era venuto a
creare, mai troppo pesante ed imbarazzante. Era il silenzio tipico dei momenti
in cui si stava in pace, rilassati, a
proprio agio.
Entrambi sapevano che quei
momenti potevano viverli solamente l’uno con l’altra; perché Soul amava il
rumore delle pagine girate da Maka quasi quanto quest’ultima amava il
tamburellare delle dita della buki sul divano, al ritmo di una canzone che non
conosceva quasi mai.
Maka sollevava gli occhi
spesso, per incontrare lo sguardo di Soul e li riabbassava solo quando lui, con
voce sicura, parlava e confermava i suoi pensieri: «Anche a me.»
• Tenerezze
Maka provò per l’ennesima
volta a piegarsi di novanta gradi, mirando alla penna che le era caduta a
terra. Era la quarta quel giorno, e il pancione ingombrante non le rendeva
facile nulla. Come se non bastasse, lui
aveva iniziato a scalciare divertito, quasi come se la Meister fosse un pallone
da calcio e non la sua mamma.
Proprio nel momento in cui
gli occhi di Maka iniziarono a riempirsi di lacrime, due braccia la riportarono
in posizione eretta con decisione, abbracciandola poi forte.
«Sono tornato,» disse Soul
asciugandole per la sedicesima volte le lacrime, in quella settimana, ormai
nemmeno più sorpreso di trovarla in quello stato dopo nemmeno dieci minuti di
assenza. «Cos’è successo questa volta?» le domandò con dolcezza, accarezzandole
il pancione e mandando un saluto alla creaturina che dava così spesso “fastidi”
alla sua mamma.
«Non riuscivo a prende una
penna, lui...lui ha iniziato a scalciare e io...io...»
Inutile dire che finirono
nuovamente sul pavimento, con Soul che stringeva Maka e le sussurrava che
andava tutto bene all’orecchio, e lei che singhiozzava sommessamente contro il
suo petto. Di certo se qualcuno gliel’avesse detto, Soul sarebbe scoppiato a
ridere: chi avrebbe mai immaginato Maka Albarn
distrutta e in quello stato? Nessuno. Eppure, eccola lì con i lacrimoni sulle guance, alla ricerca di tenerezze come una
bambina viziata.
Soul la strinse più forte,
soffocando una risata. Forse sarebbe diventato un padre ed un marito cool.
• Urlo
Maka guardò la figura di
Soul cadere di fronte a sé, il viso terreo come non lo era mai stato.
I rumori scomparvero, e
l’unica cosa che Maka sentì fu il tonfo sordo del corpo della buki, che
finalmente, dopo quelli che le erano parsi decenni, aveva toccato terra.
Lo raggiunse subito,
inginocchiandosi al suo fianco e scuotendo il corpo magro dell’arma, nessun
suono che usciva dalla bocca. Fu quando poggiò l’orecchio al petto di Soul ed
udì il nulla che gridò. Gridò di disperazione, considerando quel silenzio come
un urlo.
• Voglia
Inutile, ecco cosa
pensava Soul guardando il bordo della gonna striminzita che Maka indossava quel
pomeriggio.
Quella gonna era inutile.
Gli occhi di tutti erano
posati su quelle gambe lunghe, e Maka non era mai stata una ragazza che
attirava facilmente gli sguardi degli uomini. In effetti, Soul pensava di essere
l’unico ragazzo sulla Terra a potersi innamorare di una ragazza con il fisico più
infantile che avesse mai visto.
Che sciocco a pensarlo.
Era ovvio che una gonna che lasciasse così spazio all’immaginazione maschile
risultasse attraente. Unitamente a quelle gambe, poi, così lunghe e...
Soul sbuffò sonoramente,
infilando le mani nelle tasche e borbottando l’ennesima imprecazione quando un
ragazzo fischiò in direzione di Maka.
«Quando hai preso quella
gonna?» domandò senza guardarla, ben sicuro che poi non sarebbe più riuscito a
levarle gli occhi di dosso. Ancora.
Maka alzò lo sguardo su di
lui, prendendolo poi a braccetto e lasciando che i seni ancora piccoli
aderissero perfettamente al suo braccio. Soul pensò che quello fosse troppo.
La baciò afferrandola
violentemente per la nuca, le labbra premute contro quelle di Maka, e le lingue
che già ingaggiavano una battaglia sensuale ed erotica.
Quando si divisero, Maka
aveva gli occhi vitrei: «Che ti è preso?»
La buki sorrise mestamente,
leccandole il labbro: «Mi è venuta voglia. Sai, quella gonna ti copre a
malapena le mutande.»
• Zanzara
Maka spalancò gli occhi
nella notte, l’ennesima zanzara che riprendeva il volo e ricominciava a
ronzarle attorno alle orecchie, nell’attesa che lei si riaddormentasse per
poter tornare a succhiare quel sangue dolce da qualsiasi centimetro di pelle
lasciato nudo.
La stanza della Meister era
sempre invasa da quegli insetti fastidiosi, a differenza di quella della sua
buki. Fu per quel motivo che, abbassandosi la camicia da notte bianca, zampettò
fuori dalla propria camera e si diresse verso la porta in legno scuro di Soul.
Non si premurò di bussare,
ma abbassò la maniglia lentamente, sicura che il ragazzo l’avrebbe comunque
udita – come tutte le volte.
«Cosa c’è, stasera?»
domandò infatti la voce di Soul arrochita dal sonno, senza nemmeno voltarsi a
guardarla. Si scostò di qualche centimetro sul materasso, lasciando poi che il
corpo di Maka aderisse perfettamente al proprio, come gli piaceva sempre.
«Zanzare,» mormorò Maka
nascondendo il volto nel suo petto e abbracciandogli la vita. Udì il sospiro
divertito ed esasperato al tempo stesso di Soul, che le rubarono una risatina.
«Solo per questa notte,»
specificò chiudendo gli occhi l’arma. Il capo di Maka andò su e giù in un cenno
d’assenso, e lui le abbracciò le spalle.
«Comunque, le zanzare ci
sono pure qui.»
«Lo so.»
Finita
il 4.02.2011
N/a
Credevo che questa raccolta
non dovesse finire mai. Ho mollato, ho gridato, ho buttato la tastiera sul
letto e ho detto talmente tante parolacce che forse se andassi a confessarmi
non sarebbe male.
La verità è che, leggendola
e rileggendola, non saprei dirvi se è un lavoro buono o orrendo, mi ha
succhiato via praticamente tutta la forza, visto che sono due giorni che scrivo
solamente di Maka e Soul.
Io spero di aver messo
davvero qualcosa di loro – e di mio – in queste ventuno flash!fic. Vi prego, vi
supplico, lasciatemi un commento. Sapete, quando inauguro la mia entrata in una
nuova sezione, ho sempre un sacco di dubbi. :D
Enjoy it!
Mì.