Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Phantasmagoria    05/02/2011    6 recensioni
Blaine cerca nuovamente di convincere Karofsky a fare outing.
[ Blaine A. & D. Karofsky; Kurtofsky ]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Kurt Hummel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Allucinazioni
Fandom: Glee
Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky
Pairing: accenni Blaine/Flint, Dave/Kurt (Kurtofsky)
Rating: Giallo
Info: Probabilmente è la cosa più strana che io abbia mai scritto °__° Perdonatemi, la febbre mi fa delirare più del dovuto, a quanto sembra. Anche se, parte del merito va anche allo spezzone della 2x12 di “When I Get You Alone” uscito giusto ieri. Spero anche di non portare Klaines e Kurtofskyer al suicidio, con questa cosa (:
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, scritta per puro divertimento… le solite cose.


Dio, non era possibile.
E dire che Dave credeva d’essere solo.
O meglio, sostanzialmente lo era, considerando il fatto che per gli svariati metri del verde campo da football sul quale si stava allenando in quel pomeriggio, ad eccezione della sua sudata ed ansimante ed imponente figura, non vi era anima viva. Ed in effetti, la cosa che stava rendendo complicato compire il trentesimo giro del suddetto campo, se ne stava immobile al di là della recinzione, ad osservarlo pacatamente in una posa altrettanto serena, come se spiare un atleta del calibro di Dave Karofsky durante i suoi allenamenti extra fosse la cosa più naturale di questo bizzarro mondo.
Si passò la mano destra sulla fronte, liberandola da una considerevole quantità di sudore. Aveva sentito dire da Azimio e dagli altri ragazzi della squadra di allucinazioni date dal troppo allenamento (come la Beiste in bikini), ma strizzando gli occhi un paio di volte in quella direzione – e sentendosi un gran cretino nel farlo – capì che sole e fatica, in tutto quello, non c’entravano affatto.
Che l’intenso blu della divisa delle scuola delle checche canterine non era un miraggio.
E che nonostante un ciuffo o due fosse sfuggito al gel, ricadendo in minuscoli e altrettanto gay ricciolini sul viso, si trattava proprio di lui. Sì, della signorina dal sorriso bonario ed irritante, che aveva spintonato con gioia e violenza la prima volta che si era incontrati. La fatina buona dalla quale Kurt Hummel s’era rifugiato senza un attimo di esitazione per sfuggire al lupo cattivo, e alla quale, come se non bastasse, aveva pure spifferato ogni cosa, sperando che, dall’alto della sua imbarazzante bassezza, questi sarebbe riuscito veramente a sistemare ogni cosa.
O almeno, a sistemare lui pensò Dave sfilando dal capo e lasciando cadere a terra il casco bianco coordinato alla divisa, rallentando l’andatura fino a fermarsi, lasciando correre sospettoso lo sguardo nella sua direzione. Sembrava di marmo. Mani in tasca e schiena dritta.
Una checca così perfetta da dargli il voltastomaco.
Perciò non si stupì più di tanto nell’avvertire uno strano formicolio all’altezza di entrambe le mani aumentare man mano che i piedi – quasi involontariamente – lo conducevano verso di lui, tutt’ora rimasto incredibilmente a bocca chiusa. Nell’avanzare, tanto per non alimentare l’improvvisa e malsana fantasia che aveva invaso la sua mente e che gli suggeriva di spingerlo contro la recinzione, distolse lo sguardo dal sorrisetto che questi pareva rivolgergli a causa della lontananza, concentrandosi su dettagli insignificanti quali il fango incrostato sulle punta delle proprie scarpe per il quale era stato costretto a duecento flessioni durante l’ultimo allenamento.
Solamente quando gli fu esattamente davanti, bensì dalla parte opposta dell’arrugginita recinzione in ferro che Figgins non si decideva a sostituire perché in realtà non gliene importava nulla, Dave si costrinse ad abbassare di malavoglia lo sguardo in quel paio di occhi che sì, molto probabilmente, detestava quasi quanto l’espressione da finocchio zelante sul suo viso.
- Ciao, Dave. – il cantante ruppe il ghiaccio senza preavviso, affatto intimidito dal suo sguardo.
La Furia grugnì.
- E così ora tu e quella signorina di Hummel mi chiamate per nome? - rispose, stringendo i pugni all’estremità delle braccia da gorilla lasciate ciondolare lungo i fianchi. Nel pronunciare tale frase, non seppe se a dargli più fastidio fosse stata la sola presenza di Blaine o il fatto d’essere stato costretto a menzionarlo assieme alla sua signorina.
L’espressione dell’Usignolo rimase la stessa. – In realtà, è stato involontario. Non ho l’abitudine di chiamare gli altri per cognome. Ma posso tornare al consueto Karofsky, se ti fa sentire più sicuro. –
- Va al diavolo. – mugugnò l’atleta crucciando appena le sopracciglia , per poi tirare dritto in direzione degli spogliatoi senza degnare l’altro d’un ulteriore sguardo, ripetendosi che picchiarlo, per quanto liberatorio, sarebbe stato razionalmente inutile. Nemmeno pochi istanti, e tale pensiero venne messo alla prova da un secondo rumore di passi che si sovrappose al suo.
- Se mi volto e comincio a picchiarti, fammi il favore di non scoppiare a piangere come una ragazzina! – ringhiò dando voce ai suoi pensieri, sperando di riuscire a seminare quelle gambette da ballerino con le proprie cosce toniche, senza nemmeno voltarsi, lasciando che le ginocchiere sporche d’erba sfregassero l’una contro l’altra ad ogni passo.
- Se può rassicurarti, anche il fatto che i ragazzi gay piangano come le ragazze è un’altra leggenda metropolitana priva di qualsiasi fondamento. -  replicò pacatamente il riccio, costretto però a correre per stargli dietro.
Allorché Dave, sospirando pesantemente, smise di camminare all’improvviso, cogliendo l’altro talmente di sorpresa che, non riuscendo a fermarsi, gli finì contro come il protagonista d’una vecchia gag comica. – Senti, mettiamo le cose in chiaro. – affermò poi furioso, voltandosi e strattonandolo per il colletto della giacca della divisa, portandoselo a due centimetri dal proprio viso. - Non ho la benché minima idea del perché tu sia qui, dal momento che a quest’ora non ci sono più nemmeno Hummel e i suoi amichetti canterini. Ed odio i guardoni, in particolare i finocchi guardoni, perciò a meno che tu non abbia intenzione di prenderle seriamente, ti conviene smetterla con questa patetica messa in scena. –
La reazione di Blaine fu strana.
Certo, nel profondo Dave dubitava che avrebbe cominciato a squittire istericamente come uno scoiattolo, ma neppure rimanere a fissarlo a bocca aperta, per poi scuotere con violenza il capo alzando le mani in segno di resa, poté definirlo normale.
- Va bene Da-… Karofsky. – asserì quest’ultimo, per poi concedersi un’enorme boccata d’aria un istante dopo che le mani del giocatore l’ebbero lasciato andare, riportandolo con i piedi a terra.
- E comunque, questa volta non sono qui per conto di Kurt. –
Dave si ritrovò a strabuzzare gli occhi incredulo, mentre nel fissare il ragazzo in divisa pettinarsi all’indietro i ricci scuri con le dita, una nuova ondata di rabbia lo invase completamente da cima a fondo. No, non ci credeva neanche un po’ che la checca in blu, il fulgido cavaliere senza macchia e senza paura, fosse lì di sua spontanea volontà. Per spiarlo, tra l’altro. O per convincerlo di come tre quarti di ciò che gli etero dicevano sui gay fosse falso. E nel breve lasso di tempo che l’Usignolo gli concesse per aprir bocca e replicare, finì col rimanere in silenzio, portando invece la propria mente a chiedersi perché il damerino, anziché perdere tempo lì con lui, non fosse in qualche locale dal profumo zuccheroso e le poltroncine soffici assieme al soprano dai grandi occhi cangiati, intento a sussurrargli tenere paroline da gay all’orecchio, che avrebbero tinto all’istante quelle guance chiare d’un vivido rosso rubino, e magari aperto un sorriso su quel viso che… poteva bastare.
- Sebbene, in un certo senso, Kurt c’entri lo stesso. -
Ovviamente, gli suggerì la parte razionale del proprio cervello, mentre a prima vista, Dave non fece altro che scrollare con fare seccato le spalle, ricominciando a camminare verso gli spogliatoi maschili a passo spedito. Kurt era costantemente tra loro, come una presenza indiscreta eppure tangibile. Tanto che per un istante, sicuramente per la stanchezza, gli era addirittura sembrato d’intravedere un paio d’occhi plumbei in quelli scuri dell’altro.
Gli spogliatoi puzzavano di sudore e bagnoschiuma scadente, e nonostante ciò, quando varcò la porta, si sentì finalmente a casa. Al sicuro. Inspirò a lungo, lasciando che l’umidità derivata dal calore delle docce gli accarezzasse la pelle, per poi lasciarsi cadere pesantemente su una delle panchine rosso fuoco accanto agli armadietti, incredibilmente stanco.
- Potresti almeno far finta di prestarmi attenzione. -
La Furia grugnì. Di nuovo. E stritolando tra loro le mani ansiose di tappare a suon di cazzotti la boccuccia della signorina, si voltò nella sua direzione, palesemente infastidito. Non che non gli avesse dato l’impressione d’un martire masochista già la prima volta che si erano incontrati, ma cosa diavolo ci faceva ancora lì?
- Sei sordo, per caso? Ti ho detto di andartene. Devo farmi una doccia. -
Il cantante sospirò, lasciandosi finalmente la porta alle spalle. – Solo se non avessi avuto nulla d’importante da dirti. Ma in questo caso, ce l’ho. –
Dave s’alzò di scatto, raggiungendolo in meno di due passi. Livido in volto, s’accorse solamente in seguito di come quell’irritante e pacata presenza gli avesse fatto addirittura tornare il fiatone.
- Non farò alcun tipo di predica, perché so già che non l’ascolteresti. E non sono parole ciò di cui hai bisogno, bensì consigli. Perciò sono qui solo per ricordarti che continuare a nasconderti, a nascondere te stesso, è inutile. Oltre che incredibilmente frustrante. E che nonostante adesso tu sia spaventato e confuso, continuare a far finta di nulla non è la scelta migliore. – si fermò a riprendere fiato, per poi continuare. – Ti stai perdendo troppe cose, Karofsky. E segretamente, ti odi per non riuscire a venir fuori del tutto, accontentandoti di questa vita che non ti appartiene già da tempo. Di questo bullo che non sei, di questi amici idioti, di questi gesti violenti. Tu non sei così. Sei migliore. Ciò che devi fare è soltanto avere il coraggio di uscire allo scoperto e gridarlo al mondo intero. Devi darti una seconda chance. Con te stesso, con chi hai ferito… con Kurt. -
Al termine di quelle parole, qualcosa all’interno di Dave s’incrinò pericolosamente.
Ma non si ruppe.
Lo stesso qualcosa che lo portò poi ad afferrare per la seconda volta in così poco tempo l’Usignolo per il colletto bordato di rosso della divisa, sbattendolo senza alcuna grazia contro gli armadietti, armato di quella stessa furia assassina che s’impossessava di lui ogni qual’volta scendeva in campo e che gli aveva fatto guadagnare quel temibile soprannome di cui tanto andava fiero.
Lo stesso qualcosa che lo spinse a continuare a fissare il finocchio con occhi di fuoco, senza la benché minima intenzione di allentare la presa. Qualcosa che non veniva alimentato più di tanto dalla rabbia per il fatto che il più basso si fosse permesso di parlare credendo di conoscere ogni cosa. Dal fatto che ignorasse come ogni giorno fosse costretto ad abbassare il capo sotto lo sguardo d’un padre e d’una madre fieri d’avere un figlio forte e sano ed etero. Dal fatto che si sentisse così fottutamente in colpa per essere diverso. Per essere sbagliato. Qualcosa che prese ad ululare dalle profondità del proprio petto non appena il cantate pronunciò il nome di Hummel.
- Ascoltami bene, checca. – ringhiò, più Karofsky che Dave di quanto non lo fosse mai stato. – Il solo fatto che tu sia qui mi disgusta. E le toccanti parole che la tua bocca ha avuto il coraggio di sputare senza conoscere assolutamente nulla, mi spingono a prendere realmente in considerazione l’idea di riempirti di cazzotti fino a farti implorare pietà. Non so cosa ti sia messo in testa, ma non ho bisogno d’aiuto. Specialmente del tuo aiuto. E venire qui a sbattermi in faccia che potrei combinare qualcosa con quella fatina di Hummel è rivoltante. Specie se detto da qualcuno che probabilmente non vede l’orma di metterglielo nel cu-…-
- Per quanto ancora continuerai a negarti la felicità? Credi forse che le bugie siano migliori? Che siano più semplici da accettare? – lo interruppe finalmente Blaine, spiaccicato tra il giocatore e gli armadietti, paonazzo per l’umidità della stanza e per l’incredibile sforzo fatto per mantenere salda la voce.
Dave strinse la presa, spingendolo ancora più forte, nonostante la stanchezza.
Voleva che la smettesse di aprire quella boccaccia. Che la smettesse di ipotizzare rosei futuri per lui e Kurt quando invece lo sguardo adulante e luminoso del soprano nei suoi confronti ancora continuava a tormentare i suoi sogni, assieme a quelle aspre parole che non facevano altro che ripetergli che mai e poi mai, il ragazzino che aveva avuto il coraggio di vestirsi come LadyGaga, si sarebbe potuto innamorare di un grassone sudaccio e probabilmente calvo all’età di trent’anni.
Poi però, successe.
Forse perché si trovavano nello stesso spogliatoio.
Forse perché si sentiva tale e quale a quella volta in cui aveva fugacemente assaggiato il gusto di menta e miele della bocca di Hummel.
Forse perché Azimio e gli altri, sparando una balla colossale, c’avevano invece visto giusto sulla storia delle allucinazioni.
Forse perché era semplicemente stanco.
Fatto sta che il damerino dall’impeccabile divisa blu scuro era scomparso, e bloccato tra le proprie braccia e gli armadietti, ora stava il soprano dal corpicino efebico e i grandi occhioni spalancati.
Ed era tutto un tale turbinare di menta e miele nel suo cervello, che dopo una fugace occhiata al suo abbigliamento – pantaloni grigi incredibilmente stretti, maglioncino avorio dallo scollo a V di qualche marca e lui sconosciuta ed un foulard a righe rosso e oro –, non poté fare altro che spingere le proprie labbra contro quelle dell’altro, in una bacio disperato quanto violento, che lo escluse dal resto del mondo e gli impedì di pensare a quanto fosse impossibile che lui fosse lì.
Esistevano unicamente le sue labbra.
E quanto gli erano mancate.
Così soffici, delicate. Terribilmente giuste. Che, con estremo piacere, notò subito farsi rosse e gonfie ed ancora più invitanti sotto i suoi baci veloci ed irruenti.
Era tutto un menta, Kurt, miele e ancora Kurt.
Come una droga che, almeno per quella volta, non poteva lasciarsi scappare.
Perciò diede retta all’istinto e spostò le mani dall’armadietto al viso del ragazzo, premendo appena su entrambe le guance per far sì che aprisse abbastanza la piccola bocca scarlatta da permettere alle loro lingue d’incontrarsi, esattamente come fecero un secondo dopo, sfiorandosi in un delicato quando affatto casto gioco.
Dave doveva essere morto.
Altrimenti, in un barlume di razionalità, non seppe spiegarsi come mai quando lasciò andare il viso accaldato di Hummel per riprendere fiato, questi, anziché spingerlo via, mettersi ad urlare o guardarlo nauseato, si sporse nuovamente verso di lui ed allacciò le proprie braccia dietro al suo collo, riavvicinandolo a sé in un atteggiamento bisognoso e disperato quanto quello dell’atleta.
Le loro labbra cozzarono nuovamente.
E Kurt, Oh Kurt, non faceva che premere, e mugugnare, e sospirare, specie quando senza alcun preavviso, Dave gli torturò l’orecchio sinistro con la punta della lingua, bloccandolo contro gli armadietti con una coscia tra le gambe, facendolo trasalire.
È tutto troppo bello, continuava a suggerirgli una vocina impertinente nella sua testa che, man mano che approfondiva la conoscenza della bocca del soprano con la propria, si faceva più debole ed insignificante.
Gli occhi di Kurt luccicarono per un istante, e poi Dave avvertì l’esiguo peso delle sue mani sul proprio petto, e poi più giù, fino al all’inizio della sudata t-shirt che s’era messo per correre, sollevata in poco tempo nonostante nessuno dei due avesse mai smesso di accanirsi sulle labbra dell’altro per prestare attenzione alla mossa successiva. Le mani del cantante erano esperte – troppo esperte, continuava a ripetergli la voce – e con un profondo sospiro, Dave si abbandonò a quelle carezze delicate e tuttavia eccitanti, dirigendo le proprie mani a sciogliere il ridicolo foulard rosso e oro che impediva al collo del giovane Hummel d’essere completamente marchiato di baci.
- O-Oh, Kurt… - si ritrovò a mugugnare quando, nella foga di spogliarlo ulteriormente, le dita del soprano sfiorarono il suo membro al di sopra dei calzoncini della divisa.
- F-Flint… - udì gemere in risposta, tra svariati sospiri.
Cosa?
Dave sbatacchiò le palpebre un paio di volte, mentre la realtà – e la stanchezza -, così come s’era fatta da parte, tornava ad occupare il posto che le spettava di diritto, rendendolo finalmente cosciente d’ogni cosa.
Chi diavolo era Flint?
Il viso di Kurt – del suo imbarazzato ed invitante Kurt – svanì lentamente, lasciando riemergere al posto di quei contorni delicati un altro viso. Non più menta e miele sulle sue labbra, bensì qualcosa di molto simile alla vaniglia. Le mani sul suo petto smisero di muoversi, e solamente quando alzando lo sguardo, anziché incontrare un paio di languidi occhioni cobalto, si scontrò con due iridi nocciola sorprese e mortificate, il suo cervello fece rapidamente due più due, focalizzando finalmente la figura in rosso e blu della granitica checca canterina dai capelli scarmigliati, il respiro affannoso e il cravattino slacciato.
Dave si staccò immediatamente da lui, sentendosi sporco e confuso.
È stata tutta una fottutissima allucinazione, gli suggerì la vocina di prima.
Il viso di Hummel, il corpo magro di Hummel, le labbra di Hummel.
E se solo non si fosse sentito così stanco e svuotato, molto probabilmente, avrebbe sfogato la propria frustrazione prendendo a pugni qualche armadietto. O la stessa checca che, sconvolta tanto quanto lui, ancora non era riuscita a muoversi dall’armadietto contro il quale era stato sbattuto.
Non poteva aver confuso quell’irritante damerino ben vestito con Kurt.
Averlo baciato, stretto, desiderato che continuasse.
Poi Blaine, ancora tremante, alzò lo sguardo. E per una volta, fu Dave a leggergli dentro.
A capire di non essere stato il solo ad aver avuto un’allucinazione e di esserne rimasto completamente sconvolto. Perché – dannazione! – quelle allucinazioni sembravano così reali.
Solo in seguito, rendendosi conto d’essere a petto nudo, Dave si precipitò alla ricerca della propria maglietta per il pavimento umido degli spogliatoi con la stessa velocità con la quale l’Usignolo, sistematosi capelli, cravattino e divisa, e riacquistando quell’aria pacata e professionale, si diresse verso la porta e, con un ultimo sguardo, scomparve alla vista dell’atleta.
Dave, a quattro zampe sul pavimento e con la maglietta puzzolente tra le mani, non riuscì a dire nulla. Si limitò ad alzarsi in piedi, e rivestirsi e poi, ciondolando il capo alla stregua d’un automa, si ricordò che prima di tutto ciò, il suo ultimo pensiero concreto era andato ad una bella doccia calda.
Già, una doccia.
Magari sarebbe servita a scacciare l’idea di non essere il solo, a perdersi un po’ troppe cose.


ps. Il foulard rosso&oro di Kurt/Blaine è un sottile omaggio a “A Very Potter Musical” e alla passione di Darren Criss per il mondo di Harry Potter èwwé (tra l’altro, oggi è pure il suo compleanno!)
ps.s.
Per il sapore delle labbra di Kurt mi sono ispirata a quello scritto nelle centinaia di fanfictions in inglese che mi sono letta in questi giorni – “mint and honey” per l’appunto. Mi è sembrato particolarmente adatto, anche se non saprei spiegarne il motivo o_ò

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Phantasmagoria