CAPITOLO 6:
partenza
Dràmon uscì dalla vasca gelida completamente
riposato. I suoi addominali decisamente tonici e rilassati luccicavano nella
luce fioca della stanza grazie alle minuscole gocce d’acqua che colavano sul
suo corpo muscoloso. Scosse il capo per scrollare dai capelli biondi l’acqua,
poi si avvolse in un mantello pesante ed uscì dal bagno, ritornando nella
stanza di fronte, ovverosia la sua camera. Chiamò a far accendere il fuoco e,
dopo essersi rivestito semplicemente, fece asciugare i capelli avvicinandoli al
fuoco per qualche minuto, poi si adagiò mollemente sulla poltrona, appoggiando
la testa sullo schienale.
Chiuse gli occhi per un momento, e lasciò
che il suo cervello avesse ancora un po’ di tregua: l’indomani mattina
finalmente sarebbe partito per la tanto attesa spedizione, e non stava più
nella pelle. Doveva riposarsi, perché non sarebbe stato semplice, ma non
avrebbe deluso il padre. Sapeva quello che doveva fare, e non avrebbe esitato
un attimo a farlo.
Controllò un’ultima volta la mappa e il
foglio delle indicazioni scritto con la calligrafia chiaramente paterna. Il
viaggio che andava fatto era piuttosto lungo, c’erano diverse tappe da
affrontare, diverse cose da fare. L’ultima faccenda da sbrigare- l’ultima ma
non certo la meno importante- era il Capo Supremo dei Celebranti: Dràmon era
incuriosito di sapere come era fatta, di vedere come parlava, come si muoveva,
i suoi pensieri. Voleva prenderla e interrogarla di persona, capire come
funzionava essere dall’latra parte, come doveva essere far parte dei “buoni”,
cosa che lui, coscientemente, non era mai stato.
Non vi erano praticamente state donne
nella sua vita, e questo rendeva anche abbastanza giustificata la sua smania in
più nel voler vedere e toccare quella donna : sua madre era svanita quando lui
era sufficientemente grande da non aver bisogno del latte materno, ma ancora
troppo piccolo per potere avere dei ricordi di lei. Non aveva intenzione di
sposarsi, e comunque per cercare di dare un’erede al trono per il regno del
padre c’era tempo, e forse non ce n’era nemmeno veramente bisogno, perché suo
padre sarebbe vissuto per sempre. Forse avrebbe dovuto avere un figlio se
Lucifero avesse deciso di dare una parte di terreno o addirittura tutto il
Regno della Luce a lui, Dràmon, il giovane demone dalle doti straordinarie e
l’aspetto umano, troppo bello per essere mortale, troppo sfuggente e troppo
diabolico per essere solo un semplice uomo, un semplice essere di quella
maledetta terra.
La mattina dopo si alzò molto presto, per
riuscire a preparare con calma tutto il necessario: in una grande sacca infilò
alcuni suoi vestiti, la cotta di maglia di riserva, dei pugnali, una mappa
molto dettagliata del territorio, gli appunti su cosa doveva fare ed infine
avvolse la sua arma nell’apposita custodia. Si rimirò nello specchio, e fu
contento del risultato, si convinse che la fierezza che il suo viso stava
esprimendo in quel momento fosse la cosa più giusta e naturale del mondo. Si
avvolse il mantello sulle spalle, e a passi decisi e molto ampi, insieme a
tutto questo armamentario, uscì per dirigersi verso i suoi uomini.
***
Il primo
paese che dovevano distruggere non era molto lontano dalla capitale: era grande
abbastanza da poter avere una piccola cinta di mura controllate dalle guardie,
ma troppo piccola per poter sostenere, per esempio, un assedio sistematico e
ben organizzato.
Nell’ultimo
periodo quel paese sembrava essersi messo in contatto, per mezzo di vie ignote
ma per il Diavolo irrilevanti, con il re Krèston, e ciò non andava affatto bene,
perché significava ribellione. Dràmon aveva il compito di raderlo completamente
al suolo, né più né meno.
Fece cenno
ai suoi uomini di seguirlo a distanza, poi si calò il cappuccio sul capo,
schioccò le dita e i soldati dietro di sé scomparvero dalla vista, anche se
continuavano a seguirlo. Il biondo si avvicinò alle porte del paese, e vi trovò
una guardia appostata davanti.
-Vorrei
entrare- domandò gentile all’uomo.
-Non si può-
replicò risoluto la guardia, scuotendo la testa come per rimarcare e confermare
la risposta negativa.
-perché mai
no?-
-Ordini del
capo!non possiamo far entrare nessuno-
-Non
potresti fare una piccola eccezione per me? Ho da sbrigare una questione
piuttosto urgente in paese-
-mi dispiace
ma no!-
-la prego!-
-Signore, io
sono qui da solo da due ore al freddo; ho degli ordini ben precisi e non ho
intenzione di disobbedire!-
-potrei
almeno provare a parlare con il suo “capo”….penso capirebbe l’urgenza della
situazione-
-No, non
posso lasciarla passare….e poi che cosa deve fare di così urgente?-
-questo non
le deve interessare!- sentenziò Dràmon, accennando un sorriso poco rassicurante
e, nonostante il diniego della guardia, non si mosse per un po’.
La guardia
scrutò il suo interlocutore con sospetto, poi cercò di dire qualcosa, ma non
ebbe il tempo di pronunciare una sola parola in più perché un pugnale gli
trafisse lo stomaco, uccidendolo all’istante. L’uomo cadde a terra con un tonfo
sordo, in un piccolo lago di sangue. Dràmon lo scavalcò senza problemi, aprì
lentamente le porte e, vedendo che aveva completamente campo libero, schioccò
due volte le dita e i suoi uomini ricomparvero. Si voltò verso di loro,
sorridendo leggermente: era molto bello, ma anche molto diabolico, come era
naturale del resto; con un gesto molto esplicito indicò la porta aperta:
-Ragazzi,
quando volete-
E iniziò la
strage.
Nessuno dei
soldati si risparmiò, nessuno degli abitanti fu risparmiato; Dràmon fu il primo
a non avere pietà nemmeno del più piccolo oggetto.
Appena
entrati, gli uomini si divisero in piccoli gruppi e iniziarono a bruciare ogni
cosa infiammabile che ci poteva essere in giro: porte, finestre, impalcature,
banchi, e anche i vestiti, vestiti che stavano in dosso alle persone vive.
Alcuni riuscivano a liberarsi delle fiamme in tempo, ma spesso coloro che incappavano
nelle fiamme morivano velocemente per le ustioni troppo forti. Al figlio di
Lucifero spettò il compito di sventrare ancora di più ,con la sua tremenda arma,
i corpi già precedentemente devastati: se già divenivano poco riconoscibili con
il rogo fatto su misura per via degli abiti incendiati, dopo il suo passaggio
non parevano neanche più lontanamente dei corpi, ma solo un ammasso indistinto
di cenere e brandelli di carne che non erano facilmente riconoscibili come
umani; le carni bruciate e spezzettate furono man mano raccolte e messe da
parte, per essere poi utilizzate come provviste. Non si contennero: né uomini,
né donne, e nemmeno bambini sfuggirono dalle mani degli assedianti; ogni casa disponibile
fu rasa al suolo, devastata, depredata, e trattata con il minor rispetto
possibile. Quello che resisteva agli attacchi fu preso e portato fuori dalle
mura, in modo da poterlo utilizzare al momento giusto e nel modo giusto. Dopo
un po’ gli edifici rimasti integri e le persone vive erano veramente pochi.
***
Era una casa
senza dubbio poco appariscente quella che Dràmon stava per visitare e
distruggere: era piccola ed anonima, senza nessuna caratteristica particolare
che la facesse risaltare su tutto il resto. L’uomo entrò cautamente, con l’arma
in mano e una flebile luce sospesa davanti a sé, che prontamente aveva creato
con la magia. La magia era un’altra dote che aveva ereditato da demone, e
poteva fare tante cose interessanti quanto oscure e sconcertanti: era una cosa
naturale per lui fare del male senza uso delle armi. La stanza iniziale era una
piccola e spartana cucina, messa a soqquadro da cima a fondo: non vi era però
nessuno. Delle scalette piuttosto buie portavano al piano superiore, composto
solo da una grande stanza da letto, ornata molto semplicemente, proprio da villaggio
non poverissimo ma neanche ricco. Su un materasso posto in un angolo della
stanza c’era una donna impaurita, che se ne stava rintanata con le gambe
contratte verso il petto.
-Chi sei?-
chiese flebilmente.
-Non ti deve
interessare, dal momento che tra qualche secondo non te ne farai più di nulla-
-Non mi
uccidere, non lo fare-
-perché non
dovrei?sono quasi tutti morti qui, devo uccidere anche te-
-La prego,
mi risparmi, non ho fatto niente che non vada-
-Tu forse
no, ma il tuo villaggio sì, e per questo c’è un prezzo da pagare-
-per favore,
non lo faccia, è inguisto che io paghi per qualcosa che il mio villaggio ha
fatto- la donna ora stava piangendo, parlando a singhiozzi: era molto giovane,
non doveva avere più di una ventina d’anni, a occhio, e non era neanche brutta.
-Credo
invece che lo farò. Non mi importa niente se mi preghi e se non è colpa tua….il
Diavolo non pedona nessuno-
E con un colpo secco della lama le tagliò la
testa completamente.
Il sangue colò sulle sue dita copiosamente,
senza nessun blocco, e la testa mozzata della donna rotolò per terra, inerte. Improvvisamente
il giovane si sentì svenire, la testa gli girò vorticosamente, la nausea gli
salì fino all’esofago. Dràmon cercò di controllarsi, incapace di capire il
perché di questo improvviso malessere; corse fuori dalla casa pensando che
forse era solo questione di aria, ma non appena respirò una boccata di aria
esterna, la sua condizione non migliorò. La tesa incominciava a girargli
vorticosamente, sempre più velocemente, sempre più velocemente, poi cadde a
terra, svenuto.
***
Il risveglio
non fu proprio dei migliori: non ricordava più niente dei momenti precedenti e
si sentiva estremamente confuso. Il biondo strizzò gli occhi, e focalizzò
davanti a sè il suo lungotenente, piegato su di lui, che era disteso su un
materasso.
-Si è
svegliato finalmente, mio signore-
-Ma che è
successo?- Dràmon si puntellò con i gomiti e si tirò leggermente su.
-Veramente,
mio signore, non lo so…l’abbiamo trovata in mezzo alla strada che era già
svenuto- fu la risposta.
-da quanto
sono qui?-
-Tre o
quattro ore, signore….l’abbiamo portata non lontano dal paese, un paio di
chilometri più a nord, perfettamente nell’itinerario previsto da suo padre-
-va bene,
grazie, grazie-
Poi le immagini della donna che gli chiedeva di risparmiarla gli tornarono alla mente, insieme al dubbio. Si lasciò andare nuovamente sul materasso, chiedendosi il perché di una tale reazione per un fatto così naturalee non riuscendo affatto a trovare una risposta; con un interrogativo lasciato a metà, si riposò ancora per un paio di ore, prima di uscire a riprendere il suo compito.
***
Note autrice:ebbene sì, vi ho fatto di nuovo aspettare troppo e di sicuro avrò deluso, almeno in parte, le aspettative....scusate!!!
un abbraccio a tutti