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Autore: Roxe    06/02/2011    15 recensioni
Il dottore cercò di sostenere quello sguardo più a lungo possibile, rinunciando a chiedersi il perché di quella sfida non verbale, finchè non perse la battaglia ed abbassò gli occhi sulla sua tazza di tè, portandola alla bocca e sorseggiandone qualche goccia, nell’inutile tentativo di sembrare distratto.
- Vuoi sposarmi, John?

[ Pairing: Sherlock/John ] [ Pre-slash, Azione ]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d'inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so e se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

 

 

 

Epilogue

 

 

 

Alle ore quattro, zero minuti e undici secondi Mrs Hudson salì l’ultimo gradino ed approdò sul pianerottolo, fermandosi di fronte all’appartamento di Sherlock Holmes.

Si schiarì la voce, preparandosi spiritualmente alla dura prova che l’attendeva, ed accostò il dorso della mano alla porta, pronta a bussare per l’eternità e oltre, se fosse stato necessario. Ma qualche istante prima di toccare il legno si fermò, accorgendosi dello spiraglio di luce che filtrava dall’anta appena accostata.

-Sherlock, John, siete in casa?...

Attese per qualche istante una risposta, poi spinse la porta con delicatezza, cercando d’intravedere qualche segno di vita attraverso la fessura che si allargava lentamente davanti ai suoi occhi.

D’improvviso qualcosa cadde dall’alto, direttamente sulle sue mani.

- Ah!...

Mrs Hudson trasalì, tirandosi indietro di scatto, ma i suoi riflessi, ancora ottimi nonostante l’età, furono più rapidi del suo pensiero, ed istintivamente allungò una mano in avanti, intercettando l’oggetto non identificato prima che cadesse a terra.

Nell’instante in cui le sue dita si chiudevano attorno a quella cosa maledisse la sua prontezza.
Chissà quale orrore stava toccando.
Conoscendo il proprietario dell’appartamento sarebbe stata fortunata se si trattava di una testa di cane o di un ratto essiccato.

Non appena ebbe l’oggetto tra le mani e poté osservarlo da vicino fu evidente la sua natura innocua, e la donna sembrò tranquillizzarsi.

Era una busta.
Una busta bianca, formato classico, un po’ spiegazzata.

L’indiscrezione prese rapidamente il posto della preoccupazione, mentre Mrs Hudson iniziava a pontificare sul contenuto di quella che sembrava a tutti gli effetti essere una lettera, passando mentalmente in rassegna il reato di violazione della privacy.
Girò la busta sul dorso, alla ricerca di un eventuale destinatario, e vi trovò una scritta a penna, in corsivo, tracciata dall’inconfondibile calligrafia di Holmes.

 

Per Mrs Hudson

 

- Oh, ma guarda…

Completamente catturata dalla curiosità, la donna fece qualche passo nella stanza aprendo completamente la porta, con gli occhi fissi sulla busta.
Le sue dita sollevarono agilmente e con una certa dose di fretta un lembo del plico, rivelandone il contenuto.
Era piena di sterline di grosso taglio, infilate dentro alla rinfusa, tutte spiegazzate ed accartocciate nei più vari modi, come pezzetti di carta privi di valore.

Sul volto rugoso di Mrs Hudson comparve un tenero sorriso.

- Ero certa di poter contare su di voi, Sherlock. Mi rincresce d’ essere stata così rigida, ma dovete capirmi… con questa crisi si deve tirare la cinghia… Solo i ricchi possono permettersi di essere pazienti…

Mentre parlava i suoi occhi scorrevano tra le banconote, iniziando a sommarle rapidamente.

Cinquanta. Cento. Duecento.

- A proposito di ricchi! La sapete l’ultima? L’ho appena sentita alla radio! Il duca di Westminster ha annunciato le nozze di Lady Viola con Howard Warren Buffet! Quel supermiliardario americano!
Cioè… non proprio lui, è il nipote. Ma non c’è molta differenza, credo.

L’operazione  di conteggio era meno semplice del previsto.
Ogni volta che individuava un foglio da 50 doveva liberarlo dalla matassa degli altri, lisciandolo tra le dita ed inserendolo nuovamente nella busta in posizione più acconcia.

Trecento. Trecentocinquanta. Quattrocento. Quattrocentocinquanta.

- È una notizia incredibile! Il Dow Jones ha già guadagnato 3 punti dopo l’annuncio ufficiale! E il Footsie addirittura 5!

Lo sguardo fisso sulle banconote, del tutto ignara di chi o cosa avesse attorno, Mrs Huson parlava senza essersi realmente sincerata di avere un interlocutore.
La sua innata dote di contabile e la sua sviscerata passione per le chiacchiere mondane le permettevano di elaborare la somma contemporaneamente al pettegolezzo.

Seicento. Settecento. Ottocentocinquanta.

- Si sposeranno il 15 di Maggio, in cima al Gherkin!
Ma non dentro eh! Proprio in cima! Si faranno portare su da un elicottero, o qualcosa del genere. E anche il prete lo porteranno lassù! E spargeranno dall’alto petali bianchi di cento fiori diversi durante tutta la funzione!
Bah! Scommetto che è un’idea dell’americano questa! Noi inglesi non organizzeremmo mai una cerimonia così pacchiana.

Mille.

- Oh che caro ragazzo! Avete aggiunto anche i soldi per la riparazione del muro! L’ho sempre detto che in fondo siete-…

La voce le morì in gola.
Quando Mrs Hudson sollevò lo sguardo dalla busta, divenendo  finalmente consapevole dell’ambiente in cui si trovata, i suoi occhi si posarono d’istinto sul divano di fronte a lei.
E allora li vide.

Sherlock Holmes e John Watson.

Seduti su quel divano. Profondamente addormentati.

 

L’uno appoggiato all’altro.

 

Per poter posare la testa sulla spalla di John, Sherlock era scivolato talmente in basso col bacino da uscire dal sedile, restando sospeso nel vuoto con metà del busto.

Era tanto più alto di lui.
Eppure adesso sembrava così piccolo, accartocciato in quella scomoda posizione. Abbandonato sul fianco di Watson con tutto il suo peso, la testa perfettamente inserita nell’incavo del collo, come se esistesse da sempre all’unico scopo di esservi ospitata.
Il suo corpo era come in bilico. Completamente sbilanciato. Costretto a schiacciare le sue membra lunghe e sottili verso il basso, pur di poter stare alla sua stessa altezza.

Pur di potersi appoggiare addosso a lui.

La testa di Watson era posata sulla sua.
La guancia affondava tra i suoi capelli, nascondendo il viso tra quelle ciocche scure e disordinate.
La fronte distesa. Il collo reclinato, come lo stelo di un fiore che si flette sorpreso da un’imprevedibile nevicata fuori stagione.
Il busto leggermente obliquo. In modo quasi impercettibile.
Appoggiato a quello di Holmes.

La frequenza del loro respiro era in perfetta sincronia.
Il loro petto si alzava e si abbassava all’unisono, seguendo un ritmo lento e regolare.
Le braccia abbandonate lungo il corpo si sfioravano delicatamente, ricadendo oltre il bordo del divano con una curva leggera.

Mrs Hudson osservò a lungo quei volti quieti, rilassati, svuotati d’ogni pensiero. Senza riuscire a definire con chiarezza il sentimento che provava guardandoli.
Un bizzarro impasto di tenerezza ed invidia, che non riusciva a controllare né indirizzare, e che lasciò infine affiorare delicatamente nel petto.

Un dolce sorriso comparve sul suo volto.

Sì, proprio quello.
Quel sorriso che affiora dall'anima solo nell’istante in cui diventa tutto chiaro.
Quello che si schiude sulle labbra soltanto il giorno in cui s’incontra qualcosa che capita di vedere una sola volta nella vita. Quando si è molto fortunati.

E non c’è più niente da chiedere. Né alcuna risposta da dare.
Perché va bene così.
Non manca niente.

Tutto è già completamente perfetto.

Mrs Hudson prese un grande respiro, scuotendo leggermente la testa, senza mai smettere di sorridere.
Poi distolse a fatica lo sguardo, e lo fece vagare nella stanza, come alla ricerca di qualcosa, finché i suoi occhi non si posarono sulla poltrona nera alle sue spalle, sulla quale Sherlock aveva lanciato il suo cappotto.
Con un gesto rapido richiuse la busta ancora aperta che aveva tra le mani e la infilò in tasca, dirigendosi verso la poltrona e prendendo in mano la giacca.

Lentamente, attenta a non fare alcun rumore, tornò ad avvicinarsi ai due uomini addormentati.

Si fermò di fianco al tavolino, osservandoli ancora per qualche istante.

Poi tese il cappotto tra le mani e si allungò dolcemente in avanti, posandolo addosso ad entrambi, con delicatezza.

Aggiustò appena il tessuto sui loro fianchi, per evitare che scivolasse. E si tirò subito indietro trattenendo il fiato, cercando sui loro volti un minimo segno, un aggrottarsi di ciglia, un’alterazione del respiro che tradisse il disturbo provocato dalla sua azione.

Ma niente di loro si mosse.

Mrs Hudson indietreggiò lentamente, continuando a guardarli.

Si fermò a pochi passi dalla porta, scoprendosi incapace di staccare gli occhi da quella scena. Incatenata a quell’istante di cui solo lei in tutto il mondo era testimone.

Prese un altro grande respiro.
E si decise a voltarsi.

Varcò la porta con passo leggero e si avviò per le scale, in direzione del suo appartamento.
A metà della prima rampa rallentò l’andatura, fin quasi a fermarsi.
Infilò una mano in tasca e strinse tra le dita la busta piena di sterline, scuotendo la testa con rassegnazione, mentre una vaga espressione di biasimo compariva sul suo volto.

 

- Mi chiedo come mai non si siano ancora decisi a sposarsi! Risparmierebbero un sacco di soldi sull’affitto!

 

Il suono dei suoi passi riprese ad allontanarsi, sparendo nel vano delle scale, fino a quando la stanza non ritrovò la sua calma, e la sua quiete.

Il sole ormai basso sull’orizzonte disegnava lunghe ombre dietro ogni oggetto che sfiorava, irradiandolo d’una luce calda e sottile.
Fuori dalla finestra il cielo era ancora azzurro, ma i primi accenni del tramonto iniziavano già a mescolarlo al rosso ed all’arancio.
In lontananza il sommesso latrato di un cane.
Un remoto richiamo.
Poi più nulla.

Attraverso la porta aperta il brusio della radio di Mrs Hudson giungeva dal basso, appena percettibile.

 

- La risposta è sempre no?

 

La sua voce riempì la stanza, facendo a pezzi il silenzio.

Non sapeva nemmeno a chi l’aveva chiesto.
Una seconda volta.

Probabilmente lui stava già dormendo da un’ora.

 

- Sì

 

Sherlock Holmes aprì gli occhi.

 

- Sì nel senso di… sì, la risposta è sempre no?... Oppure sì nel senso di…

 

John Watson sorrise.

 

Il flebile suono della radio diffondeva nell’aria una ballata lenta.
Melodica.

 

Un fragile canto di chitarra, e parole confuse.

 

 

Du du ruru
           Du du ruru

                                                    Du du ruru

                                      Du du ruru

 

            I'm quiet you know

                   You make a first impression


                                                  But I've found I'm scared to know I'm…

                                       …always on your mind


                                                                   Even the best fall down sometimes


                                                        Even the wrong words seem to rhyme


                      Out of the doubt that fills my mind


                                                                                    I somehow find


                                                                                                          you and I

 

                                                                                                              collide

 



                                               Don't stop here


                                  I lost my place

 


                                            
I'm close behind

 

                
                   Du du ruru
          Du du ruru

                         Du du ruru

 

                                                        Du du ruru

 

 

 

 

 

Note: (sarà una lunga notte, preparatevi…**)
1. Immagino che molte/i di voi -quantomeno quelli che stanno leggendo la fic in fieri- si staranno chiedendo…
Ma quante volte la fa ‘sta benedetta domanda Holmes? O.o
In realtà una volta sola. XD (due se contiamo quella iniziale, ovviamente)
L’avevo inserita alla fine del capitolo precedente per creare suspance, e volevo mettere la risposta nell’epilogo, ma mi sono accorta che separando la domanda dalla risposta, la risposta cambiava radicalmente di senso… **;;
Quindi mi sono limitata ad eliminare la suspance dal capitolo V.  ><
Mi dispiace per la modifica in corso d’opera! >< Spero che non vi abbia rovinato in alcun modo la lettura.

2. Una promessa è una promessa… Quindi è giunto il momento di spiegare più approfonditamente il significato che do al titolo di questa fic.
Voglio crescere nel tuo giardino per me è un’espressione perfetta -poetica al punto giusto senza essere sdolcinata, ed allo stesso tempo fortemente ed accuratamente descrittiva- di quella che è la materia concreta dell’unione tra due persone.
Non ha niente a che vedere con i contratti, il sesso, gli affitti da pagare, i figli, le regole sociali, quello che dice la gente, o i giuramenti di fronte a Dio o a testimoni. Racconta semplicemente la scelta di vivere insieme a qualcuno, non tanto fisicamente, quanto mentalmente e spiritualmente. È la decisione di evolvere all’interno del ‘giardino’ dell’altro, che non è un luogo fisico, ma è quel posto astratto nel quale risiede l’essenza di una persona, la sua anima, il suo modo di essere.
Voglio crescere nel tuo giardino è voler lasciare il proprio mondo, per mettere radici in quello dell’altro, adattandosi al suo clima, e cibandosi della sua terra. Non è un semplice «voglio stare nel tuo giardino» che auspica una mera e potenzialmente brevissima vicinanza. Il concetto di crescita sottintende una volontà di lunga permanenza. Un desiderio d’improntare se stessi ed il proprio futuro sulla presenza dell’altro nella propria vita.
Voglio crescere nel tuo giardino è un Voglio sposarti libero da tutte le convenzioni contrattuali, sessuali, religiose e sociali del termine. È il modo più breve, completo e calzante di dire «voglio sposare la tua persona, voglio far parte del tuo modo di essere, voglio imparate da te ed insegnarti quello che so, voglio divenire al tuo fianco e grazie a te, in modo che ciò che io sarò in futuro non sarà mai più scindibile dalla tua presenza nella mia vita».
Che la risposa di Watson fosse no (camuffato da sì), oppure realmente sì, non ha importanza.
Non ne ha nessuna.
John può sposare Holmes, oppure Mary Morstan, o Pamela, o Rita.
Non ha una grande rilevanza ciò che avviene di fronte alla legge, sotto le lenzuola, di fronte a Dio, a Mrs Hudson, di fronte al fisco o al resto del mondo. Perché in realtà quello che succede, e che non smetterà mai di succedere, è che le menti e le anime di questi due uomini continueranno comunque a voler crescere nello stesso giardino, legate da qualcosa che non è amore e non è amicizia,  non è stima e non è ammirazione, non è rispetto e non è un rapporto di lavoro, ma è qualcosa che sta in mezzo a tutte queste cose, le comprende tutte e non ne incarna perfettamente nessuna.

La risposta alla domanda di Holmes in realtà è già stata data prima che la facesse.
Ancor prima di scrivere qualsiasi altra cosa.
Per questo ho potuto spiegarlo solo ora.

Tra l’altro il tema ‘ortofrutticolo’ è a mio avviso particolarmente azzeccato per un’altra ragione:
Avrete sentito parlare della teoria secondo cui ogni coppia riuscita (d’innamorati come di amici) è sempre composta da un fiore e da un giardiniere. Il rapporto in sostanza per funzionare non può essere paritario, ma deve essere guidato da un ‘curatore’ (il soggetto preponderante del rapporto, cioè il giardiniere) che si occupa  del ‘curato’ (il soggetto più debole, che necessita della guida dell’altro, cioè il fiore).
Tra Holmes e Watson l’ovvio è considerare Sherlock il giardiniere, il ‘conduttore’ indiscusso del rapporto. Lui decide, lui fa, lui disfa, lui trascina la mente di John nella sua, costringendolo a corrergli sempre dietro, sconvolgendo la sua vita, educando il suo intelletto, mostrandogli ciò che non conosce ed insegnandogli quello che non sa. Sin dal primo momento in cui s’incontrano Watson viene letteralmente trapiantato nel giardino di Holmes, mette radici nel suo mondo, e cresce nutrendosi della sua eccezionalità.
Questo è sicuramente vero, ma è vero anche l’inverso.
Perché se è innegabile che sia Sherlock Holmes a guidare Watson, immergendolo nella sua genialità, è vero allo stesso modo che John si prende cura di Holmes, curando l’aspetto ‘umano’ della sua vita, di cui Sherlock ha scarsissimo controllo. Sotto questa luce è Holmes ad essere un fiore raro e prezioso che necessita di cure del tutto particolari, e Watson è il diligente giardiniere che si occupa di zappettare intorno alle sue radici e fornirgli la giusta quantità di acqua.
E non solo questo.
Mi dispiace un po’ che la serie BBC, seppur splendida e straordinariamente fedele all’originale nella sua attualizzazione, non abbia avuto il coraggio di andare fino in fondo (almeno per ora) portando a galla un tema che sarebbe adattissimo al ventunesimo secolo.
Quando Holmes incontra Watson, è un drogato.
Ma non un drogato leggero, è un uomo che s’inietta in vena cocaina ed eroina TRE VOLTE AL GIORNO. Ha le braccia piene di buchi. Nei periodi in cui non lavora su un caso cade in uno stato depressivo cronico, che tenta di combattere con le sostanze stupefacenti.
Quando Holmes incontra Watson, sta camminando sull’orlo di un precipizio. La sua vita (come quella di molti geni) è totalmente sbilanciata dalla sua genialità, che da un lato lo rende superiore agli altri, ma dall’altro lo porta all’autodistruzione.
È Watson che inconsciamente lo afferra per il bavero della giacca e piano piano lo allontana da quel precipizio, divenendo il suo ‘aggancio’ alla normalità.
La potenza è nulla senza controllo.
E John Watson in qualche modo diventa il controllo di Sherlock, il suo contrappeso, quel qualcosa che lo mantiene in equilibrio.
Così com’è avvenuto per Watson quindi, allo stesso modo anche Holmes viene lentamente trapiantato nel giardino del dottore, mette radici nel suo mondo, e cresce nutrendosi della sua normalità.
Entrambi sono il fiore ed il giardiniere, a seconda del punto dal quale li osservi.
Per questo il loro rapporto, apparentemente sbilanciatissimo, in realtà è perfettamente equilibrato.
Sono come le due braccia di una bilancia. Entrambe tirano dal lato inverso l’una all’altra, e se fossero separate cadrebbero in direzioni opposte, ma finchè saranno unite, resteranno in perfetto equilibrio.

3. Nella serie BBC, quando Watson (scambiato per il fidanzato di Holmes) visita Baker Street per la prima volta, Mrs Hudson parla di un’altra affittacamere della zona, tale Mrs Turner, la quale a suo dire ‘prenderebbe anche coppie gay sposate’. La precisazione lascia intendere che Mrs Hudson NON lo fa (chissà.. magari proprio perché pagherebbero troppo poco d’affitto! XD), e ciò sarebbe in apparente contraddizione con la frase che pronuncia alla fine della fic, in cui auspica un matrimonio tra Holmes e Watson.
Ma io sono certa che per Sherlock farebbe un’eccezione. ;)

4. Il Dow Jones e il Footsie (FTSE in realtà, che sta per Financial Times Stock Exchange, ma si sa…gli inglesi sono spiritosi…) sono i due indici di borsa ragionevolmente più attendibili per valutare il benessere economico rispettivamente degli Stati Uniti e dell’Inghilterra.
Come aveva giustamente predetto Holmes, l’annuncio di un matrimonio tra due delle famiglie più ricche del mondo ha creato scompiglio.

5. La canzone che manda la radio di Mrs Hudson è Collide di Howie Day.

 

Ed eccoci arrivati alla fine…
Ringrazio un milione di volte tutte le coraggiose -e gli eventuali coraggiosi- che hanno osato spingersi fin qui, non solo per la pazienza di aver letto questa roba interminabile (16mila caratteri, cavoli… mi sorprendo di me stessa XD), ma soprattutto per la gentilezza dimostrata nei commenti e negli apprezzamenti, tutti davvero bellissimi e immeritati.
Vi ringrazio soprattutto perché avete accolto me e il mio ‘lavoro’ con gentilezza e calore, nonostante fossi un’emerita nessuna che è entrata nella sezione ‘a gamba tesa’, sparando lì una long senza troppi complimenti. ><
Questo fandom è davvero accogliente, e sono molto felice di aver avuto il coraggio ed il tempo di condividere con voi la mia folle idea.
Grazie a tutte/i!
**

  
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