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Autore: Lacus Clyne    06/02/2011    8 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria. Non c’era un luogo, non c’era un tempo che riuscissi a definire, solo un susseguirsi di passi e di respiri, incalzanti, sempre più, nell’oscurità. Non ero mai riuscita a capire quante persone ci fossero, due, o forse tre, forse non erano nemmeno persone, ma erano indiscutibilmente terrorizzate, in fuga da qualcosa o da qualcuno, un nemico ignoto di cui non conoscevo l’identità. Le prime volte l’incubo non mi dava altre sensazioni che non fossero terrore assoluto e preoccupazione. E anche quella volta, non era diverso. Sentivo crescere l’ansia, sentivo qualcosa di pungente, un dolore forte al petto, tangibile tanto quanto la percezione del vento sulla pelle. Avevo i brividi, sapevo, ormai fin troppo bene, che il momento stava arrivando. E poi, crescente, come la marea montante durante le burrasche, arrivava. Inciampavo, rovi taglienti mi laceravano la carne: una sofferenza acuta pervadeva ogni singola cellula del mio corpo e desideravo con tutte le mie forze di rialzarmi, di porre fine al tormento, una volta per tutte. Nell’oscurità più completa, un guizzo improvviso, dita oscure che si protendevano minacciose verso di me. Chiusi gli occhi, li strinsi più forte che potei, prima di abbandonarmi alla sola reazione umana che potevo permettermi. Urlare.

- Aurore.

Una voce, una voce rassicurante che chiamava il mio nome. Aprii gli occhi, il mio sguardo ricadde verso la luna che era proprio lì, di fronte a me, splendente nel suo candido pallore, enorme sfera luminosa in grado di rischiarare le tenebre più potenti e rendere limpida la notte più buia. Sentivo gli occhi pungermi, la vista della luna, così nitida, cominciò a incrinarsi, lentamente, fino a che non trovai il coraggio di trarre un profondo respiro e mi voltai.

Misi a fuoco lentamente, due figure mi osservavano preoccupate.

- Un’altra volta.

- Va tutto bene, tesoro.

Guardai meglio, mentre le forze tornavano e le lacrime, che erano prepotentemente sgorgate dai miei occhi, tracciarono due solchi umidi lungo le mie guance.

- Sto… sto bene.

Un sospiro di sollievo, mentre la mano gentile di un’affascinante donna dall’età indecifrabile mi accarezzava la fronte, tranquillizzandomi e quella sensazione che poco prima attanagliava il mio cuore svaniva, lasciando il posto a una rinnovata serenità.

- Mamma.

Pronunciai in un soffio. Troppe volte la facevo preoccupare, sin da quando avevo cinque anni e memoria di quel visitatore ricorrente.

Sorrise, i suoi occhi cerulei si ravvivarono, un sorriso riaccese il viso di porcellana che mi squadrava. Era bellissima, la mia mamma. Risposi al sorriso, sinceramente sollevata e mi sollevai, notando che una mano calda stringeva la mia, ma non era quella della mamma. Accanto a lei, la voce che mi aveva riportata alla realtà della mia vita sicura mormorava parole di disappunto. Evan, mio fratello maggiore. La solita storia, fine dell’idilliaco momento di ritrovo familiare.

- Sempre la solita. Ma è mai possibile che tu non riesca a dormire normalmente? Non ci vuole tanto, sai? Sarà il caso che ti porti una camomilla.

Istintivamente, gli strinsi la mano. Mi guardò, i ciuffi castani ribelli che gli ricadevano sulla fronte ebbero un sussulto, i suoi occhi, di una singolare tonalità amaranto, mi guardavano, rispecchiandosi nei miei, singolarmente ametista. Una discendenza di mio padre, mi era stato detto.

- Non… non lasciarmi, per favore…

Mi osservò, scrutandomi per un lunghissimo istante. In quel frangente realizzai che dovevo avere una faccia davvero sbattuta. Se avessi avuto l’umorismo giusto mi sarei fatta i complimenti da sola, nel cuore della notte, svegliarsi urlando e svegliare l’intera casa era davvero un gran bel colpo. Eppure, era sempre stato così, mai una volta ero stata abbandonata a quell’incubo, ma al contrario, prima di venire catturata, la voce di Evan mi salvava. Gli ero grata, ma per una sorta di reverenziale timore non osavo dirglielo. Evan non amava esporsi particolarmente, non aveva mai legato con nessuno tranne che con noi, nella sua vita. Da che ricordo, siamo sempre stati in viaggio, dunque non facevamo in tempo a stabilirci in un luogo che già dovevamo cambiarlo. Penso che gran parte della mia paura in quell’incubo fosse la materializzazione della mia sofferenza. Vivevamo la nostra vita come se perennemente inseguiti da qualcuno, costretti a fuggire e a nasconderci. Era una sensazione, sapevo che non era la realtà, ma spesso la finzione supera la realtà stessa. Lo vedevo nella vaghezza delle spiegazioni di mia madre. Avevo smesso di porle domande, le sue risposte ai miei perché sfumavano nell’ignoto, ma negli stessi momenti, scorgevo nei suoi occhi una traccia di antica tristezza. Non avevo il coraggio di domandarle il motivo. Mio padre, forse. Una figura avvolta dal mistero, né Evan né io l’abbiamo mai conosciuto, di lui so soltanto che ci ha voluto bene, ma la mamma non ci ha mai detto altro. Chissà, forse è un ricordo per lei troppo, infinitamente doloroso. Ho già detto di quanto sia bella mia madre. E’ un enigma, meravigliosamente perfetta nonostante lo scorrere del tempo, che sembra non toccarla particolarmente se non nel rendere più accentuata la sua bellezza. E’ saggia, arguta e spiritosa, ma anche molto dolce e piena di premure. Non ci ha mai fatto mancare nulla, ha orgogliosamente, a volte anche testardamente, cresciuto me e mio fratello, senza farci pesare mai, più di tanto, l’assenza di nostro padre. Evan, del canto suo, non ha mai chiesto spiegazioni. Procedo per supposizioni, in realtà non abbiamo mai affrontato direttamente l’argomento, ma credo che a suo modo, provi verso di lui risentimento, se non odio. E’ sempre stato l’uomo di casa, colui che doveva proteggere me e la mamma. Una sorellina che sin da piccola era una gran rompiscatole e una mamma che a volte mandava al diavolo la saggezza per scelte scriteriate, aveva detto una volta, precisamente quando lasciammo la Francia per recarci in Patagonia. Mia madre ha sempre adorato viaggiare, così come adora le leggende che popolano i posti in cui abbiamo abitato. Da circa un paio di mesi ci eravamo trasferiti in una nuova città, Darlington. Una bella cittadina, molto curata ed elegante. Devo dire che è sicuramente uno dei migliori posti in cui abbiamo mai vissuto. Non gliel’ho detto, ma mi piacerebbe davvero poterci restare.

Guardai Evan, che continuava a fissarmi.

- Scusami, sono la solita egoista. Dovrei ricordarmi che non ho più cinque anni, vero?

- Soltanto se questo implica non chiedermi di portarti in spalla fino a che non ti addormenterai. Senza offesa, ma stai diventando davvero pesante.

Sorrise beffardo.

Gli strinsi più forte la mano, desiderosa di fargliela pagare, ma l’unico risultato che ottenni fu quello di vederlo storcere la bocca in un ghigno. Mi faceva ridere quando faceva così, assumeva una strana espressione che sembrava deformargli il volto in una maschera divertente. Scoppiai a ridere, la tensione svanì completamente e la mamma mi accarezzò i capelli, corvini come la notte più profonda, e si rialzò.

- Credo che per stanotte sarà meglio che tu rimanga con lei, Evan, così non ci sarà bisogno di farti venire il colpo della strega.

Sorrise divertita, mentre si dirigeva all’armadio, non esattamente il massimo dell’ordine, e facendosi largo tra i miei vestiti, recuperava una coperta.

Evan la guardò di sottecchi. Si arrabbiava davvero quando la mamma lo prendeva in giro. Era orgoglioso, mio fratello. Eppure, nel broncio che ne seguì, rividi il suo volto di bambino, un volto che avevo sempre amato, pervaso di una dolcezza unica sotto quello sguardo accigliato. Un tempo, sorrideva più spesso, ma da qualche tempo, riservava i suoi sorrisi sinceri soltanto a sporadiche occasioni, limitandosi, nella maggior parte dei casi, a sorrisi di sufficienza e di circostanza, che attiravano l’antipatia dei suoi compagni di scuola. Ma la cosa, in fin dei conti, non lo toccava, Evan era sempre stato immune alle reazioni altrui, non si scomponeva, né si lasciava coinvolgere. La sola occasione in cui l’avevo visto perdere il controllo, mostrando un lato di sé che normalmente non lasciava mai emergere, era stata quando Damien Warren, figlio del professore di storia della sezione di Evan, nonché Responsabile delle classi del terzo anno, l’aveva canzonato, facendogli notare che non avevo bisogno di una balia (ovviamente, in una nuova scuola, senza alcun punto di riferimento, era il solo a cui potessi affidarmi). Quella volta, vidi per la prima volta uno sguardo estremamente freddo, tagliente, udii la sua voce abbassarsi in un tono di minaccia, mentre gli intimava di girare al largo da noi. Odiavo Warren per questo. Non soltanto si era permesso di speculare sulla nostra vita, ma per giunta, cosa non meno grave, aveva permesso che emergesse un lato di mio fratello che, ne ero sicura, lui stesso non desiderava lasciare uscire. Evan non era mai stato crudele, lo sapevo e l’idea che un signorino so-tutto-io lo attaccasse in quel modo, mi faceva male. Era mio fratello, nessuno avrebbe mai dovuto insinuare che fosse qualcuno che non era. Da allora, evitavo quel ragazzo che con aria sprezzante e superiore si era permesso di criticarci. Non era male, devo ammetterlo, anzi, sapevo che era considerato uno dei più promettenti ragazzi della scuola, ma intelligenza e superbia non sono un connubio destinato a durare particolarmente, a meno che non ci sia una buona dose di furbizia e Warren… lo conoscevo troppo poco per individuare con certezza quale dei due casi fosse, ma per quel poco, ci avrei messo la mano sul fuoco.

- Aurore, rimettiti giù, è tardi e abbiamo bisogno di dormire.

Disse Evan, distogliendomi dai miei pensieri. Chissà, forse aveva intuito qualcosa, ma il suo tono era cambiato, tornando gentile.

- Vi porto la camomilla, ragazzi.

Gli fece eco la mamma, posando la coperta sulle spalle di Evan e uscendo dalla mia stanza. La luce della luna che aveva rischiarato la stanza al mio rapido e traumatico risveglio, aveva lasciato il posto alla luce della mia abat-jour, regalo che la mamma mi aveva fatto durante una permanenza a Parigi. La mia stanza era un festival di souvenir, pensai. C’era di tutto, dai peluche alle lampade, dai libri ai vestiti, ma la cosa che più preferivo era il mio angolo delle foto. Le osservai, ripensando velocemente ai nostri viaggi. L’Europa era sempre stata la nostra meta preferita, ma le ultime erano quelle che preferivo, perché accanto a noi tre compariva finalmente una persona, la mia migliore amica, Violet. Ogni mattina non vedevo l’ora di rincontrarla, era davvero simpatica, ed era stata la prima, nella mia nuova classe, ad accettarmi, aiutandomi ad ambientarmi. Sorrisi e guardai Evan, poi ripresi posto sotto le coperte.

- Pensi che tornerà?

- La mamma? A meno che non si addormenti in cucina, penso proprio di sì.

Commentò.

- Non prendermi in giro!

Protestai.

Sorrise.

- Non lo permetterò. Ti terrò la mano stretta per tutta la notte, così se accadesse, sarei lì pronto a combatterlo.

- Mi dici sempre così…

- Non è forse mio dovere proteggere la mia sorellina così facilmente soggetta alle suggestioni?

Lo guardai, una sensazione di delusione immotivata mi pervase.

- Secondo te sono suggestioni?

- E’ scientificamente dimostrato. La mente umana gioca brutti scherzi. Puoi immaginare di avere una moneta in tasca, ma non è detto che tu ce l’abbia davvero, no?

- Odio la tua razionalità.

- Non è razionalità, Aurore. E’ soltanto un dato di fatto. Ma ciò non toglie che nel momento in cui si manifestano, sono la cosa più reale che tu stia vivendo. Per questo motivo, non avere paura, io ci sono e ci sarò sempre.

Annuii, era sempre stato così e quella conferma mi calmò. Chiusi gli occhi, desiderosa di sonno. Sentivo la stanchezza che mi riprendeva, le membra si rilassavano, le palpebre diventavano pesanti.

La voce di Evan, un sussurro.

- Non… dimenticarlo mai… io… sarò sempre con te…

 

 

 

NDA:

Con un giorno di differenza... XD Approfittando di un piccolo edit (word a volte non è il massimo dell'aiuto)... son curiosa di sapere qualche opinione, se vi va, le aspetto! P.S. Nel capitolo 34 c'è lo speciale disegni, con alcuni disegni dei personaggi, che aggiornerò man mano che farò gli altri! <3

  
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