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Autore: csgiovanna    07/02/2011    5 recensioni
Il dolore per la perdita della sua famiglia potrebbe davvero aver spinto Patrick Jane a compiere un folle gesto? E' questo il dilemma che Teresa Lisbon dovrà affrontare mettendo in discussione molte delle sue certezze.
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Rieccomi con una nuova storia di The Mentalist. Spero vi piaccia!!

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Le porte a vetri del Mercy Hospital si spalancarono permettendo alla barella e ai 3 paramedici di entrare di corsa all'interno del prontosoccorso.

“Uomo, caucasico, 41 anni. Sospetto avvelenamento” - urlò senza rallentare il passo il paramedico alla giovane donna in camice bianco che gli andava incontro.

“Convulsioni, perdita di conoscenza, crisi respiratoria seguita da arresto cardiaco. Siamo riusciti a stabilizzarlo...Almeno per ora”.

“In sala emergenze tre presto! Che cosa ha preso?” - chiese la donna seguendo la barella.

“La sua collega ha parlato di sonnifero.”- disse l'uomo facendo cenno ad una donna bruna poco distante.

Il medico si fermò sulla porta chiudendole il passaggio.

“Cosa ha preso? Quante pillole? “- le chiese senza perdere tempo.

La donna la fissò senza vederla, era agitata, confusa e cercava disperatamente di entrare nella sala emergenze. La giovane la bloccò con fermezza.

“Non può entrare qui. Lasci fare a noi.” le disse - “QUANTE pillole ha preso?” - ripetè

“Non lo so...” riuscì a sussurrare, poi scosse la testa.

“Si calmi...Come si chiama?”

“L..Lisbon...Teresa. - fiatò.

“Ok Teresa. Il flacone, ricorda il nome e se era vuoto?” - insistette.

“Diazepam...No, no. C'erano pillole ovunque e uno strano odore...di mandorla, credo” - rispose ritrovando un attimo di lucidità.

“Cianuro!” - urlo il medico è corse dentro.

Lisbon rimase immobile davanti alla porta della sala emergenze tre. Le mancava il respiro, la testa le girava e non riusciva a muoversi. Avrebbe voluto urlare ma non riusciva a fare nulla. Si sentiva annientata, tutto le sembrava ovattato, distante.

“Jane...” - pensò disperatamente - “Jane non puoi averlo fatto...” si disse riuscendo soltanto a fissare la porta.

“Non può stare qui. Venga” - uno dei paramedici le si era avvicinato e dolcemente la stava guidando verso la sala d'aspetto.

“Aspetti qui” - le sussurrò.

“Grazie...” - riuscì a balbettare e si sedette.

Lisbon respirava a fatica, non riusciva a ragionare lucidamente, si sentiva smarrita. Avrebbe dovuto fare qualcosa ma i suoi pensieri non avevano un filo logico, era letteralmente terrorizzata.

“Come quando..” - bloccò il pensiero prima che fosse troppo tardi, perchè ricordare quella notte di oltre 20 anni prima era ancora troppo doloroso.

In 45 minuti tutto era cambiato. In 45 minuti era ripiombata in un incubo.

“Oh Jane...” riusciva solo a pensare a lui e a quello che aveva visto entrando in ufficio.

Sospirò. Non poteva lasciarsi andare, doveva chiamare la squadra e capire cos'era successo.

Prese il telefono con le mani tremanti.

“Cho...sono al Mercy Hospital”- sospirò, la voce incerta – “ No, io sto bene... è per Jane”.

 

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45 minuti prima

“Ancora qui?”- lo salutò Lisbon facendo capolino in saletta mensa mentre stava uscendo. Come sempre erano rimasti solo loro due al CBI.

“Un'ultima tazza di tea”- le rispose sollevando la tazza come per fare un brindisi -“Un regalo di un ammiratore?” - le chiese poi facendo cenno al cestino di dolcetti riccamente confezionato che portava sottobraccio.

Lei alzò gli occhi al cielo “Hum...non sono affari tuoi, Jane! Comunque no, me li manda un'amica” .

“Bugiarda!” - sussurrò Jane facendole l'occhiolino “Lo sai che mi accorgo sempre quando menti, Lisbon”.

Lei sbuffò - “Dovresti andare a casa Jane, e dormire!”

Lui fece spallucce “ Ok, Mum...” scherzò illuminando il viso con il suo impertinente sorriso.

Lisbon roteò gli occhi -“Dico sul serio...Oggi sei stato più irritabile del solito. Ne deduco che tu non abbia dormito. Perciò, per il bene di tutti, prendi un po' di sonnifero, fatti una dormita e domani magari non avrò la tentazione di spararti!” - disse con tono vagamente minaccioso, sollevando un soppracciglio.

“Oh Lisbon, lo sai che non posso farlo. Altrimenti rischierei di non vedere più quella deliziosa rughetta che ti viene quando metti il broncio” - rispose sorridendo malizioso ed indicando con il dito un punto nel centro della fronte.

“E' un ordine”

“Ok” - Jane si alzò, aprì un'anta difronte a lui e ne estrasse una confezione di pillole.

“Contenta mammina?” - la prese in giro agitando il flacone.

“Buonanotte Jane” - lo salutò mentre raggiungeva l'ascensore, un sorrisetto soddisfatto sul volto.

Sorrideva ancora tra sé quando l'ascensore arrivò al piano terra.

Jane era Jane: arrogante, presuntuoso, imprevedibile, irritante e... terribilmente sexy.

“Lisbon...” - si rimproverò

Arrivata alla sua auto aprì la borsa per prendere le chiavi e - “Acc...” - a forza di pensare al suo affascinante e incorreggibile consulente aveva dimenticato di prendere le chiavi.

Sospirò, adesso sarebbe dovuta tornare di sopra e giustificarsi con Jane. L'avrebbe presa in giro chissà per quanto. Anzi, prima avrebbe cercato di studiarla per capire come mai si era scordata le chiavi e poi l'avrebbe presa in giro!

Le porte dell'ascensore si aprirono e lei si precipitò fuori sperando di riuscire ad evitare Jane.

“Lo so, lo so...sono ancora qui! “ - disse schernendosi mentre attraversava l'atrio a testa bassa.

Si bloccò di colpo.

Jane era riverso sul pavimento, la tazza in frantumi, il flacone di pillole a terra.

“J..Jane?”-

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Dopo ore d'interminabile attesa in cui aveva rischiato di andare in pezzi, aveva sperato, poi temuto e infine ricordato ogni singolo istante da quando Patrick Jane era entrato nella sua vita, finalmente un medico uscì dalla sala emergenza.

Non era la giovane che aveva incontrato al suo arrivo ma un uomo sulla cinquantina, dall'aria rassicurante. Lisbon si alzò.

“Sig.ra Jane?”

“Si...No...Sono un'amica. Come sta?”- era agitata.

“Beh...siamo riusciti a stabilizzarlo e ad intervenire prima che il veleno facesse danni irreparabili. Grazie a Dio aveva lo stomaco pieno e il veleno non è stato assorbito completamente...è arrivata giusto in tempo”

Era vivo. Patrick Jane era vivo, urlò tra sé.

“Ma...”- continuò il medico.

C'era un “ma”, si disse. Il suo cuore perse un battito. Perchè doveva esserci sempre un “ma”?

“Ha avuto un paio di arresti cardiaci... E per quanto riguarda le possibili conseguenze...dovremmo aspettare che si risvegli...”

“Oh” - riuscì solo a dire.

“Sa come possiamo contattare i familiari... la moglie?”

Lisbon scosse la testa senza alzare lo sguardo.

“Ha perso la sua famglia anni fa...” - disse asciutta - “In un certo senso il CBI è la sua famiglia”.

“Capisco...Dovrei farle alcune domande... Recentemente ha dato segni di irritabilità, stanchezza, problemi del sonno, depressione?” - chiese.

Lisbon trasalì - “Non capisco... che intende dire?”

L'uomo la fissò intensamente senza aggiungere altro.

“No...no...No! Lui non ha...lui non può...! “ - urlò Lisbon.

“Ok. Certo. Capisco, si calmi...” - il medico le mise una mano sulla spalla.

“Venga...”- le disse guidandola con dolcezza.

“Questa è la sua stanza. Può restare con lui se desidera”

Lisbon annuì, sbirciando tra le tendine.

“Quando pensa si risveglierà? - Lisbon aveva le lacrime agli occhi.

“Non lo sappiamo” - le strinse nuovamente la spalla e si allontanò.

Lisbon varcò la soglia, si avvicinò al letto con timore. Non riusciva a staccare gli occhi dal suo volto. Era pallido, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, i capelli biondi appiccicati alla fronte.

Non era intubato ma aveva una flebo al braccio destro ed una macchina monitorava i suoi segni vitali.

Lisbon rimase davanti al letto senza il coraggio di fare altro se non guardarlo.

Patrick Jane poteva davvero aver tentato il suicidio? Si chiese, ma non volle darsi una risposta.

Era semplicemente assurdo. Perchè ora? Perchè in quel modo?

Ultimamente era spesso irritabile, era vero, non dormiva regolarmente da chissà quanto tempo, stava troppo spesso solo nella soffitta del CBI, ma...non riusciva a pensare che potesse averlo fatto davvero.

“Perchè?” - si domandò per l'ennesima volta.

Il suo telefono iniziò a vibrare.

“Lisbon” - sussurrò - “Si.” - disse dopo un po' - “E' privo di conoscenza. I medici non sanno dire quali conseguenze potrebbero esserci” - la voce le tremava.

“Ok” - sussurrò chiudendo la conversazione.

Si sedette sulla poltroncina accanto al letto. Sospirò esausta.

Cho le aveva detto che avevano esaminato il bullpen, raccolto e imbustato le pillole e la tazza e spedito il tutto alla scientifica. Stavano facendo un controllo sul personale che aveva avuto accesso al CBI nelle ore precedenti l'incidente.

L'incidente, lo aveva definito Cho. Era veramente così?

“Jane” - sussurrò avvicinando il volto a quello del consulente - “Hai promesso che mi avresti salvata sempre, ricordi?” - una lacrima le rigò il volto.

Gli accarezzò i capelli e posò la testa sulla sua spalla.

“Devi mantenere quella promessa” - sussurrò disperata asciugando le lacrime con il dorso della mano - “Altrimenti giuro che ti sparo!” -

Sospirò e si resse la testa con le mani. Si rese conto solo allora che in grembo aveva ancora la giacca di Jane. L'aveva tenuta tutto il tempo tra le braccia come fosse un'ancora di salvezza. L'avvicinò al volto per sentire il suo odore e illudersi per un momento di essere al sicuro, lontana da quell'incubo.

Sentì qualcosa nella tasca destra, era un foglio di carta piegato. Non se n'era accorta prima.

L'estrasse e l'aprì delicatamente. Rabbrividì.

“Caro Sig. Jane,
il tempo scorre e il nostro gioco continua. Anno dopo anno.
Divertente non trovi?
Sono sempre un passo avanti a te. So chi sei, dove sei...
Vuoi essere Tigre o Agnello Sig. Jane?
Buon 7° anniversario”

Come firma l'inconfondibile smile.

“Oh mio Dio...” - aveva trovato un perchè.

   
 
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