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Autore: My Pride    11/02/2011    13 recensioni
Potete chiamarmi spettro, diavolo, demone o figlio delle tenebre, se ciò vi aggrada. A me non importa. Chiunque sia stato a farmi questo, fosse anche il Diavolo in persona, se lo incontrassi sul mio cammino, probabilmente, lo ringrazierei.
Forse sono stato semplicemente dannato e non me ne rendo conto adesso come non me n’ero reso conto a quel tempo, ma ciò che provai durante quei primi giorni della mia nuova esistenza non lo scorderò mai: i suoni vivi, i colori nitidi, le luci e le ombre che sembravano palpabili, quasi potessi intrappolarle fra le dita... si era rivelata una situazione meravigliosa.
[ Prima classificata allo «Yaoi Contest: Citazioni di Alessandro Baricco» indetto da Ale2 ]
[ Vincitrice del Premio Miglior Originale al contest «Voglie estive di gustose letture» indetto da aturiel ]
[ Vincitrice del Premio Miglior Protagonista al contest «L'amore ai tempi di EFP» valutato da Lady Viviana ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Miglior Personaggio secondario al contest «Let's talk about a Beatle» indetto da DakotaDeveraux ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dè a tha thu_1
[ Prima classificata allo «Yaoi Contest: Citazioni di Alessandro Baricco» indetto da Ale2 ]
[ Vincitrice del Premio Miglior Originale al contest «Voglie estive di gustose letture» indetto da aturiel ]
[ Vincitrice del Premio Miglior Ambientzione al contest «Together with our feeling» indetto da Misty Eye ]
[ Vincitrice del Premio Miglior Protagonista al contest
«L'amore ai tempi di EFP» indetto da victoria; e valutato da Lady Viviana ]
[
Prima classificata e vincitrice del Premio Miglior Personaggio Secondario assegnato ad Henry al contest
«Let's talk about a Beatle. Let's talk about...The Cute One!» indetto da DakotaDeveraux ]

Titolo:
Dè a tha thu a’ cluinntinn, mo chridhe?
Autore: My Pride
Fandom: Originale 
Sovrannaturale › Nonsense
Tipologia: Racconto breve suddiviso in atti e scene
Genere: Storico, Drammatico, Romantico, Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo
Avvertimenti: Vagamente nonsense, Leggermente Slash
Rating: Giallo / Arancione
Frase scelta: Numero 15
Introduzione: Potete chiamarmi spettro, diavolo, demone o figlio delle tenebre, se ciò vi aggrada. A me non importa. Chiunque sia stato a farmi questo, fosse anche il Diavolo in persona, se lo incontrassi sul mio cammino, probabilmente, lo ringrazierei. Forse sono stato semplicemente dannato e non me ne rendo conto adesso come non me n’ero reso conto a quel tempo, ma ciò che provai durante quei primi giorni della mia nuova esistenza non lo scorderò mai: i suoni vivi, i colori nitidi, le luci e le ombre che sembravano palpabili, quasi potessi intrappolarle fra le dita... si era rivelata una situazione meravigliosa.
Nota: Nel corso della storia potrebbero essere presenti espressioni come “Aye” e “Nay”, che significano rispettivamente “Sì” e “No” in italiano, e “Och”, che è un rafforzativo del “Sì”. Esse non sono un errore, bensì una scelta personale dell’autore, ormai affezionatasi a tale dicitura. Tenendo inoltre conto del luogo in cui la storia è ambientata, esse sono un’ottima scelta linguistica.


DISCLAIMER:
All rights reserved © I personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura immaginazione. Ogni riferimento a cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale, ad eccezion fatta per le creature folkloristiche.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.


DÈ A THA THU A’ CLUINNTINN, MO CHRIDHE? 
[1]

 
    Alcuni dicono che la vita sia una strada a senso unico, un grande binario che procede sempre dritto senza svolte significative.
    Anch’io l’avevo pensata così, al principio, condizionato probabilmente dalla piattezza che mi circondava e di cui erano intrise le idee delle persone che solitamente frequentavo. Prima della battaglia di Culloden [2], il mio era stato uno dei più potenti clan di tutta la Scozia, se proprio si voleva esagerare: il nostro nome era capace di provocare mormorii concitati e di richiamare sguardi sgomenti, incutendo terrore in chiunque avesse anche solo pensato di pronunciarlo. O almeno così mi era stato raccontato. Ero difatti troppo piccolo per ricordare con esattezza quei particolari, a quel tempo. Capivo ciò che mi succedeva attorno, certo, ma non coglievo appieno il significato di ogni singolo gesto o parola. Quelle che mi erano rimaste impresse, erano le idee e i pensieri sbagliati di quella società ormai in declino, concetti che non ero stato in grado di scacciare nemmeno crescendo. E così era stato fin quando la battaglia non aveva portato alla nostra disfatta. Vinto lo scontro, il governo britannico sottomise noi tutti e la nostra amata Scozia, privandoci d’ogni nostra libertà, dei nostri usi e costumi, togliendo inoltre qualsiasi autorità ai capi d’ogni clan. Non c’era libertà nemmeno nell’indossare il kilt.
    Quella fu una situazione che andò avanti per anni, durante i quali la salute di mio padre, già da tempo cagionevole come quella della mia scomparsa madre, s’aggravò. Morì ancor prima di veder abolito il bando precedentemente imposto dai britannici, lasciando a me, suo unico erede, una modestissima somma di denaro che non toccai mai, nemmeno negli anni avvenire. Utilizzai solo quel poco che ero riuscito a mettere da parte da me per seguire l’esempio di molti altri scozzesi: salpare verso le colonie del Nuovo Mondo. Ma il mio viaggio, almeno come l’avevo immaginato io, non cominciò mai. Chiamatela volontà divina, chiamatelo scherzo del destino, ma la notte prima della mia partenza, beh... io morii. Sembra assurdo da raccontare, e non vi do assolutamente torto. Se qualcuno si presentasse dinanzi a me, blaterando cose del genere, gli riderei in faccia senza tante pretese. Eppure è esattamente quello che è successo. Forse se non avessi incontrato sulla mia strada quei banditi e il mio cavallo non si fosse imbizzarrito, disarcionandomi, le cose sarebbero anche andate diversamente. Se non avessi sbattuto la testa contro le rocce sottostanti, però, con molta probabilità adesso non sarei qui a raccontarvi tutto questo.
    Ricordo fin troppo bene ciò che accadde, quella notte. Non persi immediatamente conoscenza, anzi, sentii distintamente il furente scalpiccio degli zoccoli del mio destriero sull’erba umida, i sussurri concitati dei due uomini che mi avevano assalito e il terrore nel tono della loro voce, persino il momento in cui corsero via ed intorno a me non restò altro che il silenzioso, ma presente, mormorio della notte. Vagamente consapevole che quella trapunta di stelle che avevo iniziato ad osservare altro non era che la volta celeste, ci avevo messo non poco a capire che il pulsare che avevo cominciato a sentire nelle orecchie era il sangue che tamburellava in esse, seguendo il ritmo sempre più lento del mio cuore e rendendo ovattato tutto il resto.
    Sarebbe difficile tentare di descrivere la bizzarra sensazione che provai nel sentire tutto il mio essere morire: vi siete mai ritrovati a svegliarvi di soprassalto durante la notte, dopo aver sognato di precipitare nel vuoto, provando quella sgradevole sensazione di caduta ancor prima d’aprire gli occhi? Ecco, quel che avevo vissuto io sarebbe potuto essere comparato a quella stessa percezione, con la sola differenza che il mio non era un sogno dal quale mi sarei svegliato. E forse fu proprio per quello che, quella lontana notte, provai un attaccamento morboso alla vita, rifiutandomi d’accettare quel fato senza lottare e d’incamminarmi su per quella strada a senso unico che avrebbe segnato la mia morte. La mia vita non doveva finire lì, non era ciò che volevo: fra le ombre della notte, con i richiami dei rapaci che contrastavano nettamente con il debole pulsare del mio cuore, supplicai di non morire. Da chi fu accolta quella mia supplica non lo seppi allora e temo non lo saprò mai. Ciò che so per certo è che sentii solo il dolore lancinante alla testa serpeggiare finalmente in tutto il mio corpo. Mi fece contrarre i muscoli delle braccia e delle gambe, mi serrò la mascella e mi mozzò quel poco fiato che mi era rimasto nei polmoni ormai compressi. Nemmeno mi ero reso conto, in un primo momento, che i lampi che mi passavano fulminei dinanzi agli occhi non provenivano dal cielo, ma dalle fitte provocate dal mio cervello contro le pareti del cranio, e che danzavano sulle palpebre che non ricordavo d’aver abbassato.
    Fu in quell’istante che smisi di lottare. Ma un alito gelido come il vento d’inverno, gorgogliante come un ruscello, parve capace di farmi restare ancorato a quel mondo, sollevandomi dall’abisso in cui ero sprofondato e artigliando la mia anima. Divenne un sussurro, una domanda che martellava le pareti del mio cervello e le mie carni ancora e ancora, insistentemente, senza darmi scampo o lasciarmi un attimo di respiro.
    I miei tentativi per scacciarla dalla mente furono vani, e mi abbandonai completamente a quel mormorio che prometteva più di quanto io stesso avessi mai potuto sperare. Esattamente non seppi cosa successe, e forse anche questo sarà un avvenimento senza risposta alcuna, ma quando finalmente i miei occhi si riaprirono, fu come se avessi trattenuto il fiato fino a quel momento. La gola era riarsa, le labbra secche, respirare con regolarità era una fatica enorme. Pensai d’esser morto, ma la sensazione che provai nel sentire fra le dita l’erba bagnata dalla rugiada fu così reale che piansi, con lo sguardo rivolto a quel cielo che man mano diveniva perlaceo. Odori, suoni, persino il sapore del sangue sulle labbra mi diede la certezza che ero ancora lì, vivo, sebbene sentissi in me qualcosa di diverso che nutriva però la mia speme.
    Non domandatemi cosa fosse quel qualcosa, non saprei rispondervi tuttora. Potete chiamarmi spettro, diavolo, demone o figlio delle tenebre, se ciò vi aggrada. A me non importa. Chiunque sia stato a farmi questo, fosse anche il Diavolo in persona, se lo incontrassi sul mio cammino, probabilmente, lo ringrazierei. Forse sono stato semplicemente dannato e non me ne rendo conto adesso come non me n’ero reso conto a quel tempo, ma ciò che provai durante quei primi giorni della mia nuova esistenza non lo scorderò mai: i suoni vivi, i colori nitidi, le luci e le ombre che sembravano palpabili, quasi potessi intrappolarle fra le dita... si era rivelata una situazione meravigliosa.
    Come? Pensate che io sia un vampiro? Nay, non so se sia la parola esatta per definirmi, non chiedetemelo con quel tono di referenziale timore. Forse lo sono, forse no. Non bevo sangue, ma, se qualche volta mi capita di assaggiarlo, il suo sapore non mi disgusta. Lo trovo anzi abbastanza piacevole. Evito qualche volta il sole, certo, ma non per paura che esso possa ridurmi in cenere.
    Se dovessi scavare nei miei ricordi, cercando il momento esatto di quella mia alquanto bizzarra trasformazione, non riuscirei a rammentare nulla di concreto. Forse sono davvero una sorta di demonio, chi può dirlo. Forse quello sprazzo d’erba su cui fui abbandonato era un nugolo di presenze malvagie che avevano approfittato della mia debolezza d’animo per impossessarsi di me. Per quanto possa saperne, può anche essere stato il Demonio stesso ad aver accolto la mia supplica e ad avermi reso quello che sono adesso, qualsiasi cosa io sia realmente. Ma mai come in quei primi momenti avevo sentito tutto il mio essere nel pieno delle forze, nel vigore della gioventù, con la consapevolezza che sarei potuto andare ovunque volevo senza sforzo alcuno. Fu proprio grazie a quei pensieri che decisi d’intraprendere quel mio viaggio che era stato così bruscamente interrotto, ma non per dirigermi nel Nuovo Mondo, nay, bensì verso quella stessa nazione che ci aveva così brutalmente sottomessi: l’Inghilterra.
    La ragione che mi spinse a farlo non la saprò mai spiegare, così come tante altre piccole cose che resteranno per sempre senza risposta, ma sentii una strana forza, una bassa melodia che ancora oggi sembra risuonarmi nelle orecchie, che mi incitò a mettermi in viaggio verso Londra. Ed è esattamente qui che ha inizio la mia storia, la mia vita tramutata in atti che sparisce poi quando si chiude il sipario.





[1] La traduzione letterale è “Cosa stai ascoltando, cuore mio?” ed è gaelico scozzese.

[2] Battaglia combattuta il 16 aprile del 1746 nei pressi di Inverness, che vide sconfitti i giacobiti, sostenitori di “Bonnie Prince” (Charles Edward Stuart), dalle forze lealiste guidate da William di Cumberland, figlio del re Giorgio II.
Lo scontro si concluse in una disastrosa sconfitta, soprattutto a causa delle scarse innovazioni belliche di cui l’esercito scozzese era dotato; gli Highlanders, difatti, s’ispiravano ancora a strategie e concetti risalenti al medioevo. La fine della battaglia impedì del tutto agli Stuart di riconquistare il trono inglese, ponendo fine al sogno della Scozia di rendersi ancora una volta indipendente dall’Inghilterra.
Dopo la disfatta furono molti i prigionieri, sia giacobiti che sostenitori: una stragrande maggioranza fu deportata nelle colonie, mentre i restanti vennero condannati, tenuti in carcere o mandati in esilio.
Per sottomettere definitivamente la Scozia, tra l’altro, il governo britannico ne annientò costumi e tradizioni, proibendo ai civili scozzesi di indossare il kilt o di suonare la cornamusa, fatta eccezione per i reggimenti facenti parte dell’esercito inglese. A ciò si aggiunse inoltre l’abolizione dell’autorità che i capi avevano sui propri clan.
Il bando venne abolito solo nel 1782, periodo in cui l’immagine del mondo celtico andava pian piano estendendosi.



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