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Autore: 9Pepe4    12/02/2011    8 recensioni
Quillsh Wammy sapeva bene quanto i bambini piccoli tendono a spaventarsi anche per una lieve influenza, per il semplice fatto che non capiscono a fondo cosa stia succedendo, perché il loro corpo si comporti in maniera diversa rispetto al solito, perché la loro testa si faccia più pesante e la loro fronte inizi a bruciare.
L, però, non sembrava minimamente inquieto. Ciuffi corvini dei capelli scompigliati gli ricadevano sugli occhi d’inchiostro, sul visetto che presentava un’espressione evidentemente indifferente, se non per una traccia di fastidio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Watari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Dolceamara medicina

L era seduto sul letto, le ginocchia strette al petto come suo solito. Un braccio esile, coperto dalla manica di una maglietta bianca troppo larga, nella quale il bambino sembrava scomparire, cingeva distrattamente le sue gambe.
Watari entrò nella stanza – l’ennesima camera d’albergo in cui toccava loro sostare – con un vassoio ricolmo, e gettò un’occhiata quasi penetrante al ragazzino. Viaggiavano senza tregua da un bel po’ di tempo, costretti dall’insaziabile necessità di L di occuparsi di casi sempre più difficili, ma questa era la prima volta in cui il bambino si ammalava.
Nonostante l’aspetto gracile e l’aria smunta, infatti, aveva un sistema immunitario davvero formidabile.
Il freddo delle cinque del mattino nell’aeroporto, però, non aveva risparmiato nemmeno lui.
L si raddrizzò vivamente all’entrata dell’uomo.
Quillsh Wammy, come fondatore di numerosi orfanotrofi, sapeva bene quanto i bambini piccoli tendono a spaventarsi anche per una lieve influenza, per il semplice fatto che non capiscono a fondo cosa stia succedendo, perché il loro corpo si comporti in maniera diversa rispetto al solito, perché la loro testa si faccia più pesante e la loro fronte inizi a bruciare.
L, però, non sembrava minimamente inquieto. Ciuffi corvini dei capelli scompigliati gli ricadevano sugli occhi d’inchiostro, sul visetto che presentava un’espressione evidentemente indifferente, se non per una traccia di fastidio.
Con l’emicrania che sembrava scavare le sue tempie, infatti, non riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto sulla ricerca del colpevole.
Watari camminò sino al tavolino posizionato poco lontano dal letto, e vi posò sopra il vassoio. Con la coda dell’occhio, notò che L tendeva il collo per controllare i suoi movimenti, forse desideroso di ricevere al più presto uno di quei dolci che tanto gli piacevano.
L’uomo non riuscì ad impedirsi un lieve sorriso al pensiero del bambino che affondava i denti in una fetta di torta al cioccolato, al ricordo della maniera con la quale afferrava – lestamente ma anche con una certa cautela – i bastoncini dei lecca-lecca.
Tese la mano a prendere la pastiglia bianca appoggiata accanto al bicchiere pieno d’acqua che torreggiava sul vassoio, e la fece cadere nel liquido. Immediatamente, la pillola iniziò a frizzare e a sciogliersi, vorticando nel bicchiere.
Watari lo afferrò e si voltò, per poi dirigersi in direzione di L.
Il bambino fissò quel che rimaneva della pastiglia senza dire nulla, ma la sua espressione la diceva lunga sulla sua voglia di mandar giù quell’amara soluzione.
Quando Watari gli allungò il bicchiere, strinse maggiormente il braccio attorno alle gambe, senza dar cenno di voler prendere quel calice.
«Immagino che tu voglia tornare a lavorare al più presto» commentò Watari, con gentilezza, di fronte all’aperta reticenza del bambino.
L tentennò, nell’evidente lotta tra la sua razionalità che gli suggeriva di prendere l’aspirina e l’infantile rifiuto di assaggiare quella sostanza così biancastra e scoraggiante.
«Lo sai che con il mal di testa è più difficile ragionare» aggiunse Watari, sempre con lo stesso tono incoraggiante e cortese.
Il bambino spostò sull’uomo i propri occhi neri, quindi dovette riconoscere la verità in quelle parole. Tra l’altro, l’alta temperatura corporea con la quale si trovava a dover fare i conti lo stordiva, cercando di convincerlo a lasciare il capo ciondoloni su una spalla e a chiudere le palpebre, abbandonandosi al sonno.
Ma L non voleva dormire.
C’era troppo lavoro da fare, ancora.
«D’accordo» accettò quindi, dopo qualche istante. «Però, Watari» aggiunse, con quell’inflessione ragionata e tremendamente adulta che si insinuava sempre nella sua voce infantile, «sai bene che è meglio avere la pancia piena, prima di prendere un’aspirina». E i suoi occhi andarono a cercare con inequivocabile insistenza verso i dolci posati sul tavolo.
Wammy sorrise di nuovo. Non poté farne a meno.
Con altri infanti sarebbe stato facile optare per un ricatto del genere “manda giù la medicina e poi potrai avere tutte le caramelle che vuoi”, ma con L non era possibile dettare condizioni. Era il bambino che, con autorità spiazzante, stabiliva i termini del gioco.
Per un attimo, l’uomo si domandò se fosse così a causa dell’indiscutibile intelligenza che brillava nei suoi occhi neri o a causa del profondo affetto che lui provava nei confronti di quello scricciolo dallo sguardo impenetrabile.
«Hai ragione» commentò, con una nota divertita che gli guadagnò un’occhiata curiosa da parte del piccolo.
Andò a prendere il vassoio e tornò presso L, posando il piatto di portata sul materasso. Il braccio del bambino scivolò via dalle ginocchia, mentre L si voltava a guardare i dolci ora accanto a lui. Allungò una mano, afferrando senza esitazione un krapfen ricoperto di zucchero. Lo portò velocemente alla bocca, dove il dolce sparì in pochi bocconi, lasciando una traccia di crema sulle labbra del bambino.
Watari si disse che, se non altro, l’influenza non l’aveva privato dell’appetito.
Quando una brioche e una ciambella ebbero subito la stessa sorte del krapfen, l’uomo domandò, pacato: «Credi che adesso la pancia sia abbastanza piena?»
L rifletté un momento. «Non ancora» decise infine, chinandosi a prendere un pasticcino, per poi passare ad un cannolo e all’unica fetta di torta ai mirtilli presente sul vassoio.
Quando anche una sfogliatina e un croissant furono andati ad allietare lo stomaco del bambino, L poté dirsi soddisfatto. «Adesso sì» dichiarò, alzando gli occhi indecifrabili – così diversi da quelli di un fanciullo normale – su Watari.
L’uomo, per tutta risposta, gli porse il bicchiere che aveva ripreso in mano.
L lo ricevette con un gesto che male celava la sua diffidenza, una lentezza forse dovuta alla sua natura schiva, o forse all’improvviso dubbio riguardante il suo effettivo desiderio di mandar giù quella roba.
Scrutò attentamente la superficie dell’acqua, soffermandosi sulla polverina biancastra che galleggiava lì in alto, esaminando le minuscole bollicine che la riempivano.
Infine, però, avvicinò il bicchiere alle labbra e ne bevve il contenuto a sorsi energici, senza indugiare.
Watari riprese il bicchiere nella mano sinistra. L guardò l’uomo dritto in volto. Le sue labbra si incresparono.
«Bleah» disse, con indifferenza e una chiarezza assurda, prima di aggiungere, serio: «Le medicine sono troppo amare, Watari».
L’uomo rise. Forte, di cuore, sotto gli occhi un po’ oltraggiati del bambino, che aveva unicamente voluto constatare un dato di fatto.
Quando la sua risata si spense, Quillsh Wammy conservò nello sguardo una vena di divertimento.
Allungò la mano destra verso L – la prima reazione del bambino fu d’irrigidirsi istintivamente – e diede una carezza a quella selva di capelli neri e disordinati.
«Se anche questa fosse una medicina, un augurio di guarigione, come la mettiamo?» si informò, una volta ritirato il braccio.
L non esitò, prima di rispondere. Lo fece con sicurezza, come risolvendo uno di quegli enigmi in cui amava perdersi. «Allora non tutte le medicine sono amare».












Spazio dell’Autrice:
Okay. Questa storia non ha senso ._.
Era da un po’ che volevo scrivere una storia su L bambino con la febbre. Poi un pomeriggio ho avuto un’emicrania allucinante, e mentre fissavo l’aspirina che avrei dovuto scolare è nata l’idea per questa One-Shot.
Perché, anche ammettendo che non tutte le storie vanno in profondità, questa non ha nemmeno un briciolo di significato… (titolo compreso).
Sono solo L e Watari, e non so nemmeno se sono venuti fuori verosimili (la classica OOC-fobia, immagino).
Grazie a chi leggerà e a chi eventualmente recensirà =)
[Sì, oggi la mia autostima è a livelli sorprendenti]
  
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