Capitolo: 6
Personaggi: Lady Amanda, Spock
Musica: Lullaby For a Stormy Night,
Vienna Teng
Note: Non sono io ad essere
in ritardo, ma il mondo ad essere in anticipo! LOL! Ultimo capitolo ambientato
su Vulcano!
Uhm..questo
è visto secondo Amanda più che secondo Spock. L’orso di pezza è molto più
simbolico che in altri capitoli. Appare pure poco. Ehm. Spero che apprezzerete
comunque ^^ E’ molto strano come capitolo, vi avverto! Grazie a tutti!! (Risponderò
alle recensioni, giuro, prometto, parola di lupetto!)
Capitolo numero 6
ShirKhar, Vulcano, Anno: 2250
Age: Eighteen
Io Sarò
Ancora Qui, al Mattino
[C’è il sole, la tempesta è passata.
Ma il dolore ha scavato nell’animo della
madre,
come la pioggia fa con la pietra]
La stanza non è vuota.
Una donna siede poco distante dalla
finestra e la luce del mattino che filtra dai vetri le circonda i capelli
chiari come un’aureola. Tiene il capo abbassato, quasi stesse dormendo, e una mano
sul ventre. Le labbra si muovono appena, un lampo scarlatto attraverso le
ciocche castane, e la voce è bassa, il sussurro di una limpida sorgente.
La stanza è piena del vagito di un
neonato.
La donna è affianco la finestra, i
raggi del pomeriggio che disegnano lacrime d’oro sul suo volto sorridente: con
le dita accarezza le orecchie a punta del bambino che tiene tra le braccia. La
sua voce è melodiosa, dolce come solo la voce di una madre sa essere.
Il canto parla di pioggia, di boschi,
di fiumi.
In questo mondo creato dalle parole
della madre, il neonato chiude gli occhi e si addormenta, le manine strette al
vestito di lei.
La donna posa un bacio leggero sulla
fronte del figlio, e il suo canto si abbassa solo di intensità.
Uno sbuffo di nubi copre appena il
volto del sole.
La stanza sa di fiele.
E’ il far della sera e la figura di un
bambino nascosto sotto le coperte si staglia contro la finestra, sfumata nella
luce del crepuscolo. La zampa bruna di un orsetto di pezza spunta appena dal
fianco del letto, nascosto dalle lenzuola.
La donna gli è accanto, gli accarezza
il profilo della schiena, una lacrima appesa alle ciglia. La voce trema, mentre
le prime gocce di pioggia cominciano ad infrangersi sul vetro con un pigolio
appena sussurrato.
Ma il loro battere lieve è abbastanza
forte da coprire il canto grave di tristezza di una madre per il proprio
figlio.
La stanza è velata di silenzio e di
lacrime non versate.
La notte l’ha coperta con la sua luce
nera, ma la figura del giovane, teso, rigido anche sotto le coperte, è una
macchia ancora più scura. Una figura sottile scivola attraverso il buio,
nemmeno si siede sul letto, rimane in piedi ad osservare quel volto amato, che
anche nel sonno si fa violenza per trattenere quanto di umano dimora in lui. La
madre ne coglie ogni particolare, perché rimanga per sempre nel suo cuore,
anche quando il figlio non sarà più lì, ma lontano, in un mondo sconosciuto e
freddo, dove sarà solo, nel silenzio di una folla confusionaria.
L’orso di pezza, roso dagli anni, è
una macchia nera, riversa sul pavimento. La donna lo raccoglie, quasi con
pietà, e lo posa sul comodino accanto al letto.
La madre non canta, ma con parole
silenziose sfiora il volto del figlio addormentato, col pensiero gli accarezza
la testa e lo tiene stretto a sé, in un ultimo, straziante abbraccio.
Dietro la finestra, la tempesta
infuria.
La stanza è vuota.
Una donna siede distante dalla
finestra e la luce del mattino che filtra dai vetri circonda l’orso di pezza
che ha fra le mani. Tiene capo abbassato, quasi stesse dormendo, ed una mano
sul volto. Le labbra non si muovono, solo il lampo di una lacrima d’argento
attraverso le ciocche castane, e la voce è un singhiozzo strozzato, il singulto
del fiume accerchiato da rapide labirintiche e violente.
C’è il sole, la tempesta è passata, ma
il dolore ha scavato nell’ animo della madre come la pioggia fa con la pietra.
L’orso di pezza è lì, dimenticato sul
letto. Silenzioso e lontano da colui cui appartiene, come solo un ricordo può pensare
di esistere.
Ma la madre sarà sempre lì, al
mattino.