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Autore: Quintessence    15/02/2011    6 recensioni
Il suicidio. La vita. La sproporzione dell'amore. Questi sono i miei temi, quali sono i tuoi?
~
Cosa è successo ad Alessandra, perché Matteo decise di non amarla, come questo la uccise e come il contorno cambiò all'improvviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Prologo ~ Cosa è successo ad Alessandra

 

"Prendi nota: ammazzarlo alla fine dell'intervallo!"
"E su, calmati, in fondo è inutile fare così. Ti fai solo più male" -Federica prese la sua amica per un braccio e la tirò indietro. Alessandra però sembrava più che intenzionata a fare una di quelle cose stupide che solitamente la facevano piangere, alla fine. Si divincolò, e si diresse verso il tavolo da ping-pong posizionato al centro del corridoio della scuola, e puntò uno dei due ragazzi che stava giocando.
"Matteo!" -Gli stava puntando il dito contro. Ma lui non sembrò farci caso.
"MATTEO!" -Gridò più forte, al punto che sentì la sua voce diventare stridula. Si fermò a pochi centimetri da lui.
"Hey, Andre, hai mica sentito qualcosa? Tipo una zanzara...?" -Fece lui al suo amico, rispondendo al tiro. Il ticchettio della pallina si diffuse per l'atrio vuoto. Alessandra perse la calma.
"Brutto scemo, perché non mi parli?" -Sibilò allungando un braccio e pestando un pugno leggero sulla sua spalla, che non dovette fargli più che il solletico.
"CAZZO, hai rotto! Sto giocando, non lo vedi?!" -Lei si spaventò e arretrò di un passo ritraendo subito la mano che aveva allungato, mentre Matteo perdeva il punto e sbuffava di rabbia. Lei pensò che così era ancora più carino, ma tanto lui non l'avrebbe mai saputo. Sorrise leggermente.
"Senti, mi hai mandato un messaggio con scritto che ti piacevo, perché ora stai facendo finta di niente?" -Domandò con schiettezza. La storia di quell'sms era decisamente tormentata, si disse. Perché mandarlo e poi ignorarne tutte le conseguenze? Matteo non sembrava un tipo irresponsabile.
"Avrò sbagliato numero" -Lanciò la pallina e il tok secco sul tavolo annunciò la ripresa del gioco.
"Sai che non è vero" -Che insistenza. Riprese la pallina con forza e quella andò a posarsi sulla rete. Andrea si lamentò seccamente, "Ma che diavolo stai facendo? Vorrei giocare, Teo!"
Matteo si rivolse verso Alessandra, poggiando per un attimo la racchetta. La fissò negli occhi duri. Vide che non aveva intenzione di arrendersi, voleva solo sapere quel motivo. Quel perché. Lui Sospirò e Lei incrociò le braccia.
"Adesso lasciami in pace, di Te non mi importa niente" -Si voltò di nuovo verso il tavolo e Andrea, e stava per riprendere in mano la racchetta. Aveva allungato le dita. Ma lei allungò il tono e lo costrinse a girarsi di nuovo.
"Bugiardo" -Lo guardava negli occhi in modo da provare imbarazzo per trattenere una lacrima, o due, o mille per quei quattro anni d'amore che finalmente, in un attimo breve in una sera di solitudine su un display male illuminato erano apparsi ricambiati. Ma perché Matteo non si assumeva ogni responsabilità del suo gesto? Perché fare così e poi fingere il nulla assoluto negli occhi cerulei? Perché non le parlava? Qual era il suo recondito motivo di esilio? Perché la trattava così? Solo perché...
"Senti, sei una sfigata" -Eccolo.
"E'... solo questo?" -Domandò leggermente spiazzata. Una smorfia di dolore si dipinse sul suo viso- "Allora lo sfigato sei tu" -Puntò ancora il dito verso di lui in segno di accusa- "Se hai paura dei tuoi sentimenti solo perché sono una..." -Esitò su quella parola. Le faceva male come vetro in gola pronunciarla- "Sfigata".
Nel frattempo lui si era voltato ancora. Schiacciò con forza la pallina nel campo avversario, tanto che Andrea non ebbe nemmeno il tempo di spostarsi a sinistra. E poi prese la ragazza per il bavero della giacchetta azzurra.
"Adesso ascolta bene" -Sibilò- "Non voglio mettere le mani addosso ad una ragazza, ma se continui a seccarmi in questo modo mi vedrò costretto a farlo. Mi hai stufato, è chiaro?"
Lei lo guardò negli occhi. Davvero non mentiva.
Lui la lasciò andare. Lei annuì con gli occhi pieni di terrore.
"Cristallino"

*

Alessandra era bionda. E aveva dei lineamenti molto dolci. Era una ragazza intelligente ma non troppo, una chiacchierona e una persona all'apparenza decisamente spensierata. Nessuno l'aveva mai sentita parlare dei suoi problemi. Ma ne aveva, di problemi. Parecchi. Era una persona molto emotiva, e probabilmente, tutti dicevano, questa sua emotività veniva da una mai estinta mancanza di affetto. Suo padre era morto parecchio tempo prima, nessuno se lo ricordava di preciso, probabilmente perché tutti avevano cercato di tacere, e sua madre da allora era impazzita. Completamente. Non la guardava nemmeno più come una figlia. Ritenendola responsabile dell'incidente accaduto al marito -cosa di cui, fra parentesi, molta gente era convinta. Alessandra chiacchierava molto, e gesticolava molto. Chissà come erano andate le cose in macchina. Magari aveva espanso la sua esuberanza al cambio, o al volante. Insomma, uno schianto secco. Non aveva comunque perso la voglia di chiacchierare, e con grande coraggio aveva continuato la sua vita come se nulla fosse accaduto.
Stoica, dissero tutti. Davvero coraggiosa.
Ma non lo pensavano davvero, insomma, Alessandra era sempre stata considerata strana, un po' da evitare, a causa di questi boccoli biondi mal raccolti e del sorriso infantile, e della voglia di parlare sempre di tutto, e della sua particolare caratteristica di dir sempre la verità. Odiava le bugie, ma non capiva che alcune verità bisogna ometterle.
Una di queste, un giorno le spiegò Matteo, erano certi sentimenti. Non poteva sbandierare così il suo amore per lui. Perché no? Aveva chiesto. Perché è strano, non bisogna esagerare. Perché no? Perché è strano e basta, alcune persone come me sono timide. Perché? Perché di sì! -Non posso mai avere risposte chiare, aveva concluso.
Sua madre evidentemente era carente in quanto a risposte, almeno per quanto riguardava il comportamento. La ragazza aveva tendenze socialmente suicide quali mettere gonne a pois gialli con magliette a quadri verdi, e ben peggio.
La maggior parte della gente sapeva che sua madre beveva un tantino troppo, e sarà forse quello il motivo per cui si veste così? Per cui fa così?
Alessandra era dolce con tutti. Più la si trattava male, più diventava benevolente. Qualcuno disse è la benevolenza che non ha avuto dalla madre. Probabilmente anche qui vero a metà come tutte le voci. Sua madre aveva una propensione per i manganelli e i tubi dell'aspirapolvere, e le frequenti slogature, botte in testa, lividi e maglioni a collo alto anche d'estate parlavano chiaro su quanto tormentato dovesse essere il loro rapporto.
E Alessandra? Alessandra pregava e basta.

*

4 in Storia. Ma tanto la stanchezza le impediva comunque di studiare. E i dolori al collo erano terribili. Poteva farlo solo da sdraiata. L'ultima volta, in effetti, la tempesta era arrivata di sorpresa. Alle sue spalle. Una spranga di ferro, si era detta. Invece no, era solo una borsa molto pesante.
Torniamo al 4 in Storia.
"Dai, non prendertela, ti rifarai presto. Poi la prof Giani ti stima, recupererai" -Tipico dei secchioni parlare così.
"Facile parlare, per te che hai preso 9" -Alessandra si alzò e si allontanò da Giovanni per andare a guardare giù dalla finestra. Quella finestra. Sospirò. Quel bastone. Sospirò ancora. Quel tubo di metallo. Quel sangue rappreso. Per giorni. Non era potuta andare al pronto soccorso. Quanto tempo avrebbero impiegato i vermi a mangiarsi quella ferita sulla schiena...? Magari poteva evitare una morte così lenta. Si sporse dalla finestra. Forse poteva...
"Ale, andiamo a mangiare?" -Si scosse improvvisamente voltandosi verso Federcia che agitava la mano.
"Arrivo" -Ultimo sguardo. Quinto piano. Dovrebbe essere sufficiente. Uscì dalla classe soffocante.

*

Incontrò Matteo mentre era per le scale con Federica. Per la precisione lo scontrò. Sulla spalla. Con forza. Senza volerlo.
"Ah, cazzo, ma allora sei TESTARDA!" -Imprecò lui fermandosi e tenendosi il punto colpito. Alessandra aveva barcollato per la sorpresa, visto che camminava a testa bassa.
"Io non... apposta..." -Aveva balbettato.
"E almeno non prendermi per il CULO!" -Sottolineò con cura la parolaccia. Lei strinse i pugni fino a farsi male. I lividi, le ferite. Il cuore spezzato. Tutto le sembrò inondato di alcool etilico. Abbassò la testa.
"Ma..."
"Ma un cavolo! Smettila di pensare a me, e fatti una Vita!"
Federica cercò di fermarli, ma era troppo tardi.
"Non posso..." -E avrebbe voluto aggiungere non dopo ciò che è successo ma non lo fece.
"Sei una Rompipalle! Una Sanguisuga! Se potesse la gente ti ostracizzerebbe dallo stato!" -non si fermò- "Sei una pazza, pazza, odiosa e-"
"Zitto! Stai zitto!" -Doveva fermare quel vomito di parole. O sarebbe morta troppo presto. Si tappò le orecchie, scoppiò in lacrime e si gettò di corsa giù per le scale. Federica la seguì chiamandola forte.
"Lo odio... Lo odio... Perché non posso essere come mi vorrebbe... Perché ho fatto quel... Quella... cosa... Perché non può accettarlo? Perché non posso dirglielo?" -Federica le accarezzò la testa dolcemente, cullandola.
"Sii paziente. Si accorgerà prima o poi. L'amore che provi e quello che hai fatto non può non essere ripagato" -Le disse guardandole le lacrime.
"Federica, sono ancora io ad essere in debito"

*

Tornò in classe con le occhiaie del pianto e gli occhi arrossati. Rivide quella finestra.
Questa volta, salì sul davanzale. Pensò che non poteva davvero tornare a casa con  un altro 4, né senza un conforto. Non poteva tornare da sua madre, l'avrebbe uccisa lei prima della finestra. Con una sbarra di ferro. Con una borsa. Con la scopa. Con il tubo dell'aspirapolvere.
L'avrebbe inseguita. L'avrebbe presa. Si guardò i lividi. Pensò al sangue rappreso. Pensò a Matteo, poi li coprì con le maniche del maglione. Si mise in piedi sul davanzale, guardando la classe. Una lacrima silenziosa le solcò il viso. La ingoiò, era salata. Si era sempre convinta che le lacrime nascessero dolci, e diventassero salate solo sul viso.
"Basta..." -disse, e sospirò.
"Ale, no!"
"Non fare idiozie"
"Noi ti vogliamo bene" -Lei sorrise un pochino.
"Non basta più".
E in quel preciso istante, Matteo aprì la porta, con i suoi bellissimi occhi cerulei e l'aria un po' strafottente che tutti avevano sempre ammirato. Con una mano in tasca, usò l'altra per sistemarsi i capelli.
"Ti butti?" -Chiese con naturalezza.
"Sì" -Disse lei, risluta e calma. Fredda.
"Oh. Bene. Un buon peso in meno al mondo"
Lei si lasciò andare all'indietro, e volò dalla finestra del quinto piano della scuola con le braccia aperte.
"No, dai, non dicevo sul se-" Matteo allungò una mano per prenderla, e la sentì scivolare. La sentì andare via da lui, che non aveva avuto mai il coraggio di accettare di amarla, se non per un attimo breve in un sms. Nel volo lei sorrideva e teneva gli occhi chiusi. Sillabava con le labbra. Qualcosa che lui non capì, ma doveva suonare come "Ti perdono". Matteo chiuse gli occhi, pensò un secondo a lei. Ai lividi, alle assenze. A come zoppicava. A come gridava di amarlo. Come lo scriveva. Come lo indossava quando si vestiva. Come si metteva una ciocca dietro l'orecchio se era pensierosa, e mangiava le unghie senza ritegno. Pensò a Loro, e a come l'avevano costretto a rinunciarle. Ebbe un conato di vomito, si girò verso l'interno della classe, sbarrò gli occhi, strinse le palpebre, contrasse i pugni, si poggiò ad un banco, respirò tre volte profondamente, si alzò, si risedette, si rialzò. Si affacciò.
Nello schianto, le braccia si erano chiuse sul cuore.

   
 
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