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Autore: Sophie Hatter    15/02/2011    5 recensioni
1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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Nota introduttiva: non so quanti dei miei vecchi ed affezionati lettori ritroverò, ma posso annunciare che ho deciso di riprendere in mano le mie fanfiction in via definitiva. Il titolo di questa storia è preso da una frase di Sirius Black pronunciata alla fine del terzo libro  (“What was there to be gained by fighting the most evil wizard who has ever existed? Only innocent lives, Peter!”). Come già citato nell'introduzione, rappresenta per me un sequel di Between You And The Giant Squid, nel senso che terrò conto di quanto ho narrato in quella storia, ma non c'è nulla che impedisca di capirne il contenuto anche senza aver letto la fanfiction precedente, che sto attualmente ripubblicando in versione riveduta e corretta.
I personaggi principali di questa storia saranno James e Lily Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Peter Minus, Albus Silente, Severus Piton, Regulus Black e i membri dell'Ordine della Fenice (purtroppo il numero limitato di selezioni mi impediva di inserirli tutti).
Premetto subito che non sarà una storia "facile", si parlerà anche di guerra e di violenza e i personaggi si faranno del male l'un l'altro fino alla fine. Ci sarà anche una storia slash, ovvero Remus/Sirius. Se a qualcuno non piace la coppia, cerchi altrove. Io ormai non posso vederli se non insieme.
Ringrazio in anticipo chi si avventurerà nella lettura.




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Prologo



Sì, era per quello che piangevo; per la specie umana. Per il fatto che l’uomo non è per niente buono. Poi capii che era solo un bluff e che in realtà piangevo per me stesso, per la mia solitudine, la mia delusione, la presa di coscienza della mia mortalità, la consapevolezza che l’universo è un luogo buio, vuoto, e la vita è soltanto un giro in giostra, e quando squilla il campanello e tu devi scendere dalla giostra, metti i piedi sul nulla. E a quel punto, è tutto finito, non c’è più niente. Carne e anima potrebbero anche non essere mai esistite.

(Joe R. Lansdale, La notte del drive-in)





25 Agosto 1993

Era  seduto immobile sul bordo del letto da ore, forse da quando si era svegliato quella mattina. Non lo sapeva più nemmeno lui.

Stava ancora cercando di capire se fosse stato solo un incubo.

Era l’ipotesi più probabile, aveva tutte le caratteristiche per essere un incubo. Uno dei peggiori, che aveva dato voce a tutte le sue paure più terribili. Nel sogno, aveva perso tutto ciò che possedeva; non beni materiali, di cui non gli era mai importato – avrebbe preferito di gran lunga vedersi spezzare la bacchetta davanti agli occhi, o guardare la sua casa prendere fuoco – ma le persone, quelle persone che erano state tutto per lui, quelle che gli avevano dato una ragione per vivere che non fosse semplicemente il trascinarsi per inerzia giorno dopo giorno, senza una prospettiva o uno scopo, soltanto perché la morte non sopraggiungeva.

Se quel sogno fosse stato vero, sarebbe stato decisamente troppo.

James. I suoi occhiali. Erano rotti e lui li aveva raccolti dal pavimento del salotto. Gli erano caduti, probabilmente quando era stato colpito al petto dal raggio di luce verde.

Lily. Un rivolo di sangue le si era raggrumato lungo la tempia. Aveva colpito la libreria, scagliata indietro dall’urto. La sua collana, l’unico gioiello che le aveva mai visto indossare in tutti quegli anni, si era rotta. Lui aveva preso una perla e se l’era messa in tasca.

Poi era entrato in un’altra casa. L’aveva accolto una donna anziana, acciaccata, con troppe lacrime da versare. Gli sembrava di essere stato trattenuto lì un’eternità. Alla fine, aveva accettato di portare via con sé quel diario di un giovane Peter di appena undici anni, che scriveva entusiasta dei suoi nuovi amici e di quanto si sentisse finalmente accettato.

L’ultimo pezzo della collezione era un mantello scuro, che era stato dimenticato a casa sua molto tempo addietro. Odorava di foresta e di pelo di cane. Come se il suo proprietario ci si fosse rotolato a lungo in mezzo all’erba.

Non era stato nell’appartamento di Sirius, prima di tutto perché non sapeva dove si trovasse – a tal punto si era prodigato di portare avanti la messinscena del sospetto nei suoi confronti – e, in secondo luogo, perché non desiderava per nulla al mondo metterci piede. Se l’avesse fatto, probabilmente la rabbia l’avrebbe spinto a dare fuoco immediatamente a tutto il suo contenuto.

Un momento. Stava ragionando come se il sogno fosse vero. Doveva svegliarsi, non si poteva permettere di perdere tempo con inutili angosce. Là fuori c’era la guerra, una guerra che anche lui doveva combattere.

Continuava a pensare in maniera frenetica, eppure non si era ancora mosso da quel letto. Fissava il muro vuoto, il cielo a malapena visibile dall’unica finestra, gli scaffali disordinati, l’appendiabiti. Eccolo lì, il mantello scuro. Riusciva a distinguerlo nettamente, anche dopo aver chiuso e riaperto gli occhi. E gli altri oggetti?

Si alzò e diresse la sua attenzione verso una scatola intarsiata in legno che riposava sopra una delle mensole, una delle poche cose che fosse mai riuscito a fabbricare da solo senza usare la magia. Avrebbe dovuto essere il posto dove riporre la sua bacchetta. La aprì. Eccoli, gli occhiali rotti, le perle senza più filo e il diario. La copertina era di un vecchio giallo sbiadito.

Quindi era tutto vero.

Non gli era mai importato nulla delle cose materiali e ora erano tutto ciò che gli restava. Lily e James e Peter e Sirius, invece, dov’erano finiti? Dove li avevano portati? Era reale il biancore di quei cadaveri? E quel dito reciso, custodito in un’urna cosparsa di lacrime, non poteva essere solo un incanto? Chi gli stava giocando quel brutto scherzo?

Voldemort, era tutta colpa di Voldemort. Se solo lui non fosse mai esistito, ora lui si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto di aver soltanto sognato. E poi avrebbe potuto attendere la luna piena con serenità, consapevole del fatto che di lì a breve i suoi amici lo avrebbero raggiunto…

Sul tavolo giaceva un giornale sgualcito. Lo notò solo in quel momento, quando il suo lungo risveglio dal torpore glielo permise. Vi si avvicinò lentamente, anche se gli sembrava di sentire qualcosa, dentro di lui, che gli gridava disperatamente di non farlo.  

C’era una foto in prima pagina, molti Dissennatori disposti in cerchio. Non ne aveva mai visti così tanti – o forse sì, ma ora non riusciva a ricordare. Al centro c’era l’arrestato, a testa china, i capelli corvini che scendevano  a coprirgli il viso. Era ammanettato. Sembrava immobile, rassegnato, i titoli a caratteri cubitali sovrastavano trionfanti la sua immagine, come se gioissero essi stessi per la sua cattura.

All’improvviso l’uomo alzò la testa ed emise un grido terribile, lacerante, rabbioso, che gelò completamente il sangue nelle vene di Remus. Quell’ultimo sguardo carico di odio e disperazione, prima che i Dissennatori lo trascinassero via, sembrava diretto esattamente verso di lui.

No, pensò, non è colpa di Voldemort. È soltanto colpa tua. Tu ci hai condotti alla morte. E perché hai risparmiato me? Ero così inutile ai tuoi occhi? Che cosa ti costava farmi fuori?

Afferrò il giornale e lo strappò con violenza, lo distrusse senza pietà, fino all’ultima pagina. Le unghie si affannavano a lacerare la carta sempre più in fretta per evitare che arrivasse il peggio. I frammenti delle pagine si sparsero per la stanza, volteggiandogli attorno, finché non gli restò in mano nulla. Non aveva mai avuto un simile scatto di rabbia, o meglio, in quel momento non riusciva a ricordare - di nuovo.

Cercò di reprimere il bisogno di fare a pezzi qualche altra cosa, stringendo violentemente i pugni. Era  la bestia che faceva questo, non lui, non l’essere umano. Non poteva ridursi al pari della bestia. Lui era razionale, lui sapeva controllarsi.

Improvvisamente sentì bussare alla porta.

Si ricordò che c’erano degli incantesimi a proteggere la sua casa e che erano in pochi a conoscere quell’indirizzo. Ma estrasse comunque la bacchetta, per precauzione, e sollevò cautamente la tenda della finestra per osservare il suo visitatore senza essere visto.

In quel momento, ricordò.

“Apri questa porta, non ho tutta la giornata per aspettare che tu ti decida”.

Remus fece scattare la serratura con un colpo di bacchetta. L’uomo che si trovava di fronte a lui non gli era mai sembrato giovane, neppure negli anni della scuola, nonostante avessero la stessa età. Lo fissava con durezza, quasi con disprezzo. Sapeva che c’era un motivo se lo guardava così. E non era tanto per i brutti tiri nei suoi confronti durante gli anni scolastici, né per il fatto che lui era amico del marito della donna che amava… il motivo per cui, probabilmente, Severus Piton lo detestava di più era perché Remus l’aveva visto sciogliersi in lacrime.

I dettagli riaffiorarono rapidamente. Era successo al funerale, lui era tornato indietro di corsa perché aveva scordato il mantello e se n’era reso conto solamente dopo aver mosso diversi passi in totale smarrimento nella foresta nebbiosa che circondava Godric’s Hollow, dopo che tutti se n’erano andati, dopo aver finto un contegno e una forza d’animo che in realtà non aveva di fronte alle persone che gli si erano parate dinnanzi per porgli le loro condoglianze, anche se quella era una tragedia pubblica, che aveva toccato tutto il mondo magico. Ma nessuno, in fondo, poteva rendersi veramente conto di cosa significasse essere l’unico rimasto.

Aveva iniziato a sentire freddo e si era accorto della dimenticanza. Poi, avendo realizzato di essere finalmente solo, era tornato verso la tomba. All’inizio non si era accorto della figura incappucciata, non l’aveva distinta dall’ombra nera del cipresso che si innalzava lì accanto. Soltanto dopo aver fatto diversi passi in quella direzione aveva sentito i singhiozzi.

Senza dubbio, se l’avesse riconosciuto subito sarebbe andato via. Ma era rimasto a sufficienza da vederlo voltarsi, con il volto sfigurato dal pianto. Aveva visto montare la collera dentro di lui in un lampo, lo aveva osservato alzare la bacchetta senza riuscire a trovare la prontezza di reagire. Ma, anziché colpirlo, l’uomo si era semplicemente Smaterializzato.

Era pressoché certo che lo odiasse di più per questo. Perché era stato testimone della sua debolezza.

Alle spalle di Severus Piton riconobbe Albus Silente. Anche lui pareva invecchiato di cent’anni. Da quanto tempo non lo vedeva? Giorni, settimane, mesi? Non riusciva a ricordare.

“Buongiorno, Remus”.

Si scostò per lasciarli entrare. Non aveva idea di cosa volessero.

“Che cosa succede?”

Entrambi lo fissavano come se non sapessero bene che espressione assumere. Remus si guardò intorno, vide i pezzi di giornale ancora a terra. Sentendo la vergogna affluire tutta d’un colpo, cancellò quelle tracce della sua disperazione con la bacchetta, anche se ormai avevano visto tutto.

“Come ti senti oggi, Remus? La memoria va meglio?”

La memoria?

“A dire il vero, sono un po’ confuso”, rispose, cercando di ragionare. Non capiva perché fossero venuti a trovarlo.

“Suppongo sia normale. Sei ancora convinto di voler recuperare quei ricordi? Non devi farlo per nessuno, se non per te stesso”.

Remus si rese conto di non comprendere affatto ciò di cui Silente stava parlando.

“A quanto pare la precedente pozione non ha sortito un grande effetto”, disse Piton, con un filo di voce sottilmente maligno. Remus lo fissò guardingo, gli sovvenne che non si fidava di Piton. Ma l’aveva visto piangere davanti alla tomba, l’aveva visto disperato per la morte di Lily. Se davvero i sospetti nei suoi confronti erano fondati, non poteva che essersi pentito amaramente della sua condotta.

“Faremo un nuovo tentativo. Sempre se lo desideri ancora”.

Remus si sentiva in difficoltà, ma si rese conto di avere qualcosa che non andava. Quella confusione, quei vuoti, quel riportare improvvisamente alla mente cose che il momento prima erano seppellite nell’oblio più totale. Doveva essergli successo qualcosa e Silente voleva aiutarlo. Si fidava di Silente, perciò gli avrebbe dato ascolto.

“Sì, lo desidero ancora”.

“Bene”.

Piton appoggiò sul tavolo due fiale estratte da una tasca interna del mantello. Una aveva al suo interno un liquido verdastro. Di colpo, ne ricordò il sapore. Non era rivoltante, a differenza della maggior parte delle altre pozioni che aveva assaggiato in vita sua. Al contrario, gli era rimasto impresso quel gusto piacevole, quasi dolce.

L’altra ampolla, invece, conteneva un liquido tendente al giallastro, con grumi scuri che vi galleggiavano dentro. Non voleva assolutamente sapere se fossero semplici foglie o zampe di animale. Aveva sempre detestato preparare pozioni.

“E la seconda?” chiese, constatando che non riusciva a ricordare di averla mai vista o assaggiata.

“La seconda è per la prossima luna piena”, disse Silente. “È un preparato recentissimo, totalmente innovativo. Se la assumerai a partire da settimana prima ti permetterà una trasformazione serena, tanto che ti accorgerai a malapena di essere un lupo”.

“Oh. Magnifico”, commentò, anche se parzialmente incredulo. Le sue trasformazioni erano sempre state dolorose e fonte di tormento per lui, fatta eccezione per quelle volte in cui i suoi amici gli avevano fatto compagnia. Dicevano che era diventato docile, quasi un agnellino, quando trascorreva le notti insieme a loro sotto forma animale.

“Detto fra le righe, Lupin, sei costretto ad assumerla”, disse Piton, scoccandogli un’occhiata penetrante, come se volesse inchiodarlo sul posto. Remus scrollò le spalle.

“Certo, Severus, non lascerei mai che qualcosa in cui hai investito il tuo talento vada sprecata”, replicò, mentre gli tornava in mente James che lo rimproverava sempre perché si comportava in modo troppo gentile con Mocciosus. In effetti, al suo posto, il suo amico avrebbe ribattuto in toni molto più accesi.

 “Per quanto tu abbia ragione, non è tanto per questo motivo che ti è caldamente raccomandato di bere quella pozione prima di trasformarti in… beh, noi tutti sappiamo bene cosa. Te lo consiglio maggiormente perché, a quanto pare, l’ultima volta ti sei lasciato prendere un po’ troppo la mano”.

“Severus, basta così”, intervenne Silente. Remus ebbe un altro flash. Rivide il suo corpo riflesso nello specchio dopo l’ultima notte di luna piena, le zone dove spiccavano spaventosi segni di morsi raggrumati di sangue, di lividi, di graffi profondi almeno un paio di centimetri che gli deturpavano il petto. Ricordò i cadaveri di animali sbranati che aveva lasciato a marcire nel bosco. Ricordò che la gente nei dintorni aveva iniziato ad ipotizzare la presenza di una bestia feroce nei paraggi, pronta ad attaccare i villaggi e a massacrarne gli abitanti. Non voleva arrivare a quel punto, ad ogni costo. Già una volta aveva rischiato di recidere una vita umana, e la vergogna e il rimorso che avevano accompagnato quell’episodio non l’avevano lasciato in pace per anni. Ma era solo perché i suoi amici non erano più con lui che aveva ripreso ad avere quella ferocia quando assumeva le sembianze di un lupo. Era solo colpa di Voldemort. Colpa di Sirius. Come era possibile, come poteva essere stato proprio lui?

“È difficile andare avanti, per tutti noi”, disse Silente. “Con questa spero che tu possa avere un po’ di sollievo”, concluse, indicando l’ampolla.

Remus la fissò a lungo, poi annuì.

“Grazie”.

“Informami se noti qualche miglioramento nella memoria, così potremo ridurre gradualmente la dose dell’altra pozione. Purtroppo ad alte dosi ha qualche effetto collaterale e se fosse possibile vorrei evitare di vederti più deperito”.

Remus sorrise a Silente, sforzandosi di mostrarsi riconoscente per qualcosa che ancora gli sfuggiva. Era terribilmente frustrante. Non era sufficiente che i suoi amici fossero morti?

Si congedò dai suoi due ospiti in breve tempo, poi si sedette al tavolo, prese fra le mani la fiala contenente la pozione verdastra e la rimirò a lungo, rigirandosela fra le mani. Cominciava a farsi strada un’idea, dentro di lui. E se invece di cercare di ricordare si fosse fatto cancellare completamente la memoria di quegli eventi? Non sarebbe stato forse un sollievo di gran lunga maggiore? Perché aveva chiesto a Silente di aiutarlo a recuperare quel suo bagaglio di reminiscenze? Dimenticandosi di aver avuto degli amici, di aver visto i loro cadaveri e di sapere che uno di loro li aveva traditi non avrebbe più sofferto. Avrebbe ricominciato a vivere come prima di approdare a Hogwarts: in solitudine, ignaro del fatto che potesse esserci qualcuno là fuori capace di renderlo felice.

Eppure, sapeva già che non avrebbe seguito l’impeccabilità di quel ragionamento.

Doveva capire. Doveva cercare di comprendere cosa fosse successo e perché. Doveva sapere come fosse stato possibile che Sirius li avesse ingannati tutti, per così tanto tempo. Perché proprio lui, che amava James come un fratello. E che con lui era stato sempre così… ambiguo. Un perenne battibecco durante gli anni di scuola, si punzecchiavano con qualsiasi pretesto perché erano così diversi l’uno dall’altro. Eppure, Sirius era quello che più di tutti l’aveva difeso, quello che scatenava tutta la sua violenza contro i Serpeverde che osavano prendersi gioco di lui, quello che aveva avuto l’idea di diventare un Animagus insieme a Peter e James per non lasciarlo solo, quello che lo spronava ogni volta che lui si mostrava titubante. Era impossibile spiegare il riconoscimento e l’affetto viscerale che Remus aveva imparato a nutrire per lui, nonostante i suoi modi bruschi e il suo carattere infantile, spesso intrattabile. Escludeva a priori che potesse essere stata l’influenza negativa della sua famiglia a trascinarlo verso Voldemort; Sirius li disprezzava tutti, dal primo all’ultimo, non avrebbe mai dato loro un briciolo di credito. Ma allora cosa? Cosa l’aveva spinto a tal punto?

Si accorse di avere un violento mal di testa che gli trafiggeva le tempie. Non avrebbe cavato più nulla da quei ragionamenti inconcludenti. Guardò fuori dalla finestra e, mentre una lacrima silenziosa gli scivolava lungo la guancia, stappò la boccetta e trangugiò di colpo il liquido verde dal sapore dolce.



What was once so real, now doesn't even exist. 

And now the memories are going, so just the feelings persist. 

And what thoughts come back I sometimes try to resist.

(Bedhead, Powder)

   
 
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