1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Dimensione del testo
A A A
oil
Nota
introduttiva: non so quanti dei miei vecchi ed affezionati
lettori ritroverò, ma posso annunciare che ho deciso di
riprendere in mano le mie fanfiction in via definitiva. Il titolo di questa storia è preso da una frase di Sirius Black
pronunciata alla fine del terzo libro (“What was there to be gained by
fighting the most evil wizard who has ever existed? Only innocent
lives, Peter!”). Come già citato nell'introduzione, rappresenta per me un sequel di Between You And The Giant Squid, nel senso che terrò conto di quanto ho narrato in quella storia, ma non c'è nulla che impedisca di capirne il contenuto anche senza aver letto la fanfiction precedente, che sto attualmente ripubblicando in versione riveduta e corretta.
I personaggi principali di questa storia saranno James e Lily Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Peter Minus, Albus Silente, Severus Piton, Regulus Black e i membri dell'Ordine della Fenice (purtroppo il numero limitato di selezioni mi impediva di inserirli tutti).
Premetto subito che non sarà una storia "facile", si parlerà anche di guerra e di violenza e i personaggi si faranno del male l'un l'altro fino alla fine. Ci sarà anche una storia slash, ovvero Remus/Sirius. Se a qualcuno non piace la coppia, cerchi altrove. Io ormai non posso vederli se non insieme.
Ringrazio in anticipo chi si avventurerà nella lettura.
Prologo
Sì,
era per quello che piangevo; per la specie umana. Per il fatto che
l’uomo non è per niente buono. Poi capii che era
solo un bluff e che in realtà
piangevo per me stesso, per la mia solitudine, la mia delusione, la
presa di
coscienza della mia mortalità, la consapevolezza che
l’universo è un luogo buio,
vuoto, e la vita è soltanto un giro in giostra, e quando
squilla il campanello
e tu devi scendere dalla giostra, metti i piedi sul nulla. E a quel
punto, è
tutto finito, non c’è più niente. Carne
e anima potrebbero anche non essere mai
esistite.
(Joe R. Lansdale, La notte del drive-in)
25 Agosto 1993
Era seduto immobile sul bordo
del letto da ore, forse da quando si era svegliato quella mattina. Non
lo sapeva più nemmeno lui.
Stava ancora cercando di capire se fosse
stato solo un incubo.
Era l’ipotesi più
probabile, aveva tutte le caratteristiche per essere un incubo. Uno dei
peggiori, che aveva dato voce a tutte le sue paure più
terribili. Nel sogno, aveva perso tutto ciò che possedeva;
non beni materiali, di cui non gli era mai importato –
avrebbe preferito di gran lunga vedersi spezzare la bacchetta davanti
agli occhi, o guardare la sua casa prendere fuoco – ma le
persone, quelle persone che erano state tutto per lui, quelle che gli
avevano dato una ragione per vivere che non fosse semplicemente il
trascinarsi per inerzia giorno dopo giorno, senza una prospettiva o uno
scopo, soltanto perché la morte non sopraggiungeva.
Se quel sogno fosse stato vero, sarebbe
stato decisamente troppo.
James. I suoi occhiali. Erano rotti e
lui li aveva raccolti dal pavimento del salotto. Gli erano caduti,
probabilmente quando era stato colpito al petto dal raggio di luce
verde.
Lily. Un rivolo di sangue le si era
raggrumato lungo la tempia. Aveva colpito la libreria, scagliata
indietro dall’urto. La sua collana, l’unico
gioiello che le aveva mai visto indossare in tutti quegli anni, si era
rotta. Lui aveva preso una perla e se l’era messa in tasca.
Poi era entrato in un’altra
casa. L’aveva accolto una donna anziana, acciaccata, con
troppe lacrime da versare. Gli sembrava di essere stato trattenuto
lì un’eternità. Alla fine, aveva
accettato di portare via con sé quel diario di un giovane
Peter di appena undici anni, che scriveva entusiasta dei suoi nuovi
amici e di quanto si sentisse finalmente accettato.
L’ultimo pezzo della
collezione era un mantello scuro, che era stato dimenticato a casa sua
molto tempo addietro. Odorava di foresta e di pelo di cane. Come se il
suo proprietario ci si fosse rotolato a lungo in mezzo
all’erba.
Non era stato
nell’appartamento di Sirius, prima di tutto perché
non sapeva dove si trovasse – a tal punto si era prodigato di
portare avanti la messinscena del sospetto nei suoi confronti
– e, in secondo luogo, perché non desiderava per
nulla al mondo metterci piede. Se l’avesse fatto,
probabilmente la rabbia l’avrebbe spinto a dare fuoco
immediatamente a tutto il suo contenuto.
Un momento. Stava ragionando come se il
sogno fosse vero. Doveva svegliarsi, non si poteva permettere di
perdere tempo con inutili angosce. Là fuori c’era
la guerra, una guerra che anche lui doveva combattere.
Continuava a pensare in maniera
frenetica, eppure non si era ancora mosso da quel letto. Fissava il
muro vuoto, il cielo a malapena visibile dall’unica finestra,
gli scaffali disordinati, l’appendiabiti. Eccolo
lì, il mantello scuro. Riusciva a distinguerlo nettamente,
anche dopo aver chiuso e riaperto gli occhi. E gli altri oggetti?
Si alzò e diresse la sua
attenzione verso una scatola intarsiata in legno che riposava sopra una
delle mensole, una delle poche cose che fosse mai riuscito a fabbricare
da solo senza usare la magia. Avrebbe dovuto essere il posto dove
riporre la sua bacchetta. La aprì. Eccoli, gli occhiali
rotti, le perle senza più filo e il diario. La copertina
era di un vecchio giallo sbiadito.
Non gli era mai importato nulla delle
cose materiali e ora erano tutto ciò che gli restava. Lily
e James e Peter e Sirius, invece, dov’erano finiti? Dove li
avevano portati? Era reale il biancore di quei cadaveri? E quel dito
reciso, custodito in un’urna cosparsa di lacrime, non poteva
essere solo un incanto? Chi gli stava giocando quel brutto scherzo?
Voldemort, era tutta colpa di Voldemort.
Se solo lui non fosse mai esistito, ora lui si sarebbe svegliato e
avrebbe scoperto di aver soltanto sognato. E poi avrebbe potuto
attendere la luna piena con serenità, consapevole del fatto
che di lì a breve i suoi amici lo avrebbero raggiunto…
Sul tavolo giaceva un giornale
sgualcito. Lo notò solo in quel momento, quando il suo lungo
risveglio dal torpore glielo permise. Vi si avvicinò
lentamente, anche se gli sembrava di sentire qualcosa, dentro di lui,
che gli gridava disperatamente di non farlo.
C’era una foto in prima
pagina, molti Dissennatori disposti in cerchio. Non ne aveva mai visti
così tanti – o forse sì, ma ora non
riusciva a ricordare. Al centro c’era l’arrestato,
a testa china, i capelli corvini che scendevano a coprirgli
il viso. Era ammanettato. Sembrava immobile, rassegnato, i titoli a
caratteri cubitali sovrastavano trionfanti la sua immagine, come se
gioissero essi stessi per la sua cattura.
All’improvviso
l’uomo alzò la testa ed emise un grido terribile,
lacerante, rabbioso, che gelò completamente il sangue nelle
vene di Remus. Quell’ultimo sguardo carico di odio e
disperazione, prima che i Dissennatori lo trascinassero via, sembrava
diretto esattamente verso di lui.
No,
pensò, non
è colpa di Voldemort. È soltanto colpa tua. Tu ci
hai condotti alla morte. E perché hai risparmiato me? Ero
così inutile ai tuoi occhi? Che cosa ti costava farmi fuori?
Afferrò il giornale e lo
strappò con violenza, lo distrusse senza pietà,
fino all’ultima pagina. Le unghie si affannavano a lacerare
la carta sempre più in fretta per evitare che arrivasse il
peggio. I frammenti delle pagine si sparsero per la stanza,
volteggiandogli
attorno, finché non gli restò in mano nulla. Non
aveva mai avuto un simile scatto di rabbia, o meglio, in quel momento
non riusciva a ricordare - di nuovo.
Cercò di reprimere il bisogno
di fare a pezzi qualche altra cosa, stringendo violentemente i pugni.
Era la bestia che faceva questo, non lui, non
l’essere umano. Non poteva ridursi al pari della bestia. Lui
era razionale, lui sapeva controllarsi.
Improvvisamente sentì bussare
alla porta.
Si ricordò che
c’erano degli incantesimi a proteggere la sua casa e che
erano in pochi a conoscere quell’indirizzo. Ma estrasse
comunque la bacchetta, per precauzione, e sollevò cautamente
la tenda della finestra per osservare il suo visitatore senza essere
visto.
In quel momento, ricordò.
“Apri questa porta, non ho
tutta la giornata per aspettare che tu ti decida”.
Remus fece scattare la serratura con un
colpo di bacchetta. L’uomo che si trovava di fronte a lui non
gli era mai sembrato giovane, neppure negli anni della scuola,
nonostante avessero la stessa età. Lo fissava con durezza,
quasi con disprezzo. Sapeva che c’era un motivo se lo
guardava così. E non era tanto per i brutti tiri nei suoi
confronti durante gli anni scolastici, né per il fatto che
lui era amico del marito della donna che amava… il motivo
per cui, probabilmente, Severus Piton lo detestava di più
era perché Remus l’aveva visto sciogliersi in
lacrime.
I dettagli riaffiorarono rapidamente.
Era successo al funerale, lui era tornato indietro di corsa
perché aveva scordato il mantello e se n’era reso
conto solamente dopo aver mosso diversi passi in totale smarrimento
nella foresta nebbiosa che circondava Godric’s Hollow, dopo
che
tutti se n’erano andati, dopo aver finto un contegno e una
forza d’animo che in realtà non aveva di fronte
alle persone che gli si erano parate dinnanzi per porgli le loro
condoglianze, anche se quella era una tragedia pubblica, che aveva
toccato tutto il mondo magico. Ma nessuno, in fondo, poteva rendersi
veramente conto di cosa significasse essere l’unico rimasto.
Aveva iniziato a sentire freddo e si era
accorto della dimenticanza. Poi, avendo realizzato di essere finalmente
solo, era tornato verso la tomba. All’inizio non si era
accorto della figura incappucciata, non l’aveva distinta
dall’ombra nera del cipresso che si innalzava lì
accanto. Soltanto dopo aver fatto diversi passi in quella direzione
aveva sentito i singhiozzi.
Senza dubbio, se l’avesse
riconosciuto subito sarebbe andato via. Ma era rimasto a sufficienza da
vederlo voltarsi, con il volto sfigurato dal pianto. Aveva visto
montare la collera dentro di lui in un lampo, lo aveva osservato alzare
la bacchetta senza riuscire a trovare la prontezza di reagire. Ma,
anziché colpirlo, l’uomo si era semplicemente
Smaterializzato.
Era pressoché certo che lo
odiasse di più per questo. Perché era stato
testimone della sua debolezza.
Alle spalle di Severus Piton riconobbe
Albus Silente. Anche lui pareva invecchiato di cent’anni. Da
quanto tempo non lo vedeva? Giorni, settimane, mesi? Non riusciva a
ricordare.
Si scostò per lasciarli
entrare. Non aveva idea di cosa volessero.
Entrambi lo fissavano come se non
sapessero bene che espressione assumere. Remus si guardò
intorno, vide i pezzi di giornale ancora a terra. Sentendo la vergogna
affluire tutta d’un colpo, cancellò quelle tracce
della sua disperazione con la bacchetta, anche se ormai avevano visto
tutto.
“Come ti senti oggi, Remus? La
memoria va meglio?”
“A dire il vero, sono un
po’ confuso”, rispose, cercando di ragionare. Non
capiva perché fossero venuti a trovarlo.
“Suppongo sia normale. Sei
ancora convinto di voler recuperare quei ricordi? Non devi farlo per
nessuno, se non per te stesso”.
Remus si rese conto di non comprendere
affatto ciò di cui Silente stava parlando.
“A quanto pare la precedente
pozione non ha sortito un grande effetto”, disse Piton, con
un filo di voce sottilmente maligno. Remus lo fissò
guardingo, gli sovvenne che non si fidava di Piton. Ma
l’aveva visto piangere davanti alla tomba, l’aveva
visto disperato per la morte di Lily. Se davvero i sospetti nei suoi
confronti erano fondati, non poteva che essersi pentito amaramente
della sua condotta.
“Faremo un nuovo tentativo.
Sempre se lo desideri ancora”.
Remus si sentiva in
difficoltà, ma si rese conto di avere qualcosa che non
andava. Quella confusione, quei vuoti, quel riportare improvvisamente
alla mente cose che il momento prima erano seppellite
nell’oblio più totale. Doveva essergli successo
qualcosa e Silente voleva aiutarlo. Si fidava di Silente,
perciò gli avrebbe dato ascolto.
“Sì, lo desidero
ancora”.
Piton appoggiò sul tavolo due
fiale estratte da una tasca interna del mantello. Una aveva al suo
interno un liquido verdastro. Di colpo, ne ricordò il
sapore. Non era rivoltante, a differenza della maggior parte delle
altre pozioni che aveva assaggiato in vita sua. Al contrario, gli era
rimasto impresso quel gusto piacevole, quasi dolce.
L’altra ampolla, invece,
conteneva un liquido tendente al giallastro, con grumi scuri che vi
galleggiavano dentro. Non voleva assolutamente sapere se fossero
semplici foglie o zampe di animale. Aveva sempre detestato preparare
pozioni.
“E la seconda?”
chiese, constatando che non riusciva a ricordare di averla mai vista o
assaggiata.
“La seconda è per
la prossima luna piena”, disse Silente. “È un
preparato recentissimo, totalmente innovativo. Se la assumerai a partire da settimana prima ti permetterà una trasformazione serena, tanto che
ti accorgerai a malapena di essere un lupo”.
“Oh. Magnifico”,
commentò, anche se parzialmente incredulo. Le sue
trasformazioni erano sempre state dolorose e fonte di tormento per lui,
fatta eccezione per quelle volte in cui i suoi amici gli avevano fatto
compagnia. Dicevano che era diventato docile, quasi un agnellino,
quando trascorreva le notti insieme a loro sotto forma animale.
“Detto fra le righe, Lupin,
sei costretto ad assumerla”, disse Piton, scoccandogli
un’occhiata penetrante, come se volesse inchiodarlo sul
posto. Remus scrollò le spalle.
“Certo, Severus, non lascerei
mai che qualcosa in cui hai investito il tuo talento vada
sprecata”, replicò, mentre gli tornava in mente
James che lo rimproverava sempre perché si comportava in
modo troppo gentile con Mocciosus. In effetti, al suo posto, il suo
amico avrebbe ribattuto in toni molto più accesi.
“Per quanto tu abbia
ragione, non è tanto per questo motivo che ti è
caldamente raccomandato di bere quella pozione prima di trasformarti in… beh, noi tutti sappiamo bene cosa. Te lo consiglio
maggiormente perché, a quanto pare, l’ultima volta
ti sei lasciato prendere un po’ troppo la mano”.
“Severus, basta
così”, intervenne Silente. Remus ebbe un altro
flash. Rivide il suo corpo riflesso nello specchio dopo
l’ultima notte di luna piena, le zone dove spiccavano
spaventosi segni di morsi raggrumati di sangue, di lividi, di graffi
profondi almeno un paio di centimetri che gli deturpavano il petto.
Ricordò i cadaveri di animali sbranati che aveva lasciato a
marcire nel bosco. Ricordò che la gente nei dintorni aveva
iniziato ad ipotizzare la presenza di una bestia feroce nei paraggi,
pronta ad attaccare i villaggi e a massacrarne gli abitanti. Non voleva
arrivare a quel punto, ad ogni costo. Già una volta aveva
rischiato di recidere una vita umana, e la vergogna e il rimorso che
avevano accompagnato quell’episodio non l’avevano
lasciato in pace per anni. Ma era solo perché i suoi amici
non erano più con lui che aveva ripreso ad avere quella
ferocia quando assumeva le sembianze di un lupo. Era solo colpa di
Voldemort. Colpa di Sirius. Come era possibile, come poteva essere
stato proprio lui?
“È difficile andare
avanti, per tutti noi”, disse Silente. “Con questa
spero che tu possa avere un po’ di sollievo”,
concluse, indicando l’ampolla.
Remus la fissò a lungo, poi
annuì.
“Informami se noti qualche
miglioramento nella memoria, così potremo ridurre
gradualmente la dose dell’altra pozione. Purtroppo ad alte
dosi ha qualche effetto collaterale e se fosse possibile vorrei
evitare di vederti più deperito”.
Remus sorrise a Silente, sforzandosi di
mostrarsi riconoscente per qualcosa che ancora gli sfuggiva. Era
terribilmente frustrante. Non era sufficiente che i suoi amici fossero
morti?
Si congedò dai suoi due
ospiti in breve tempo, poi si sedette al tavolo, prese fra le mani la
fiala contenente la pozione verdastra e la rimirò a lungo,
rigirandosela fra le mani. Cominciava a farsi strada un’idea,
dentro di lui. E se invece di cercare di ricordare si fosse fatto
cancellare completamente la memoria di quegli eventi? Non sarebbe stato
forse un sollievo di gran lunga maggiore? Perché aveva
chiesto a Silente di aiutarlo a recuperare quel suo bagaglio di
reminiscenze? Dimenticandosi di aver avuto degli amici, di aver visto i
loro cadaveri e di sapere che uno di loro li aveva traditi non avrebbe
più sofferto. Avrebbe ricominciato a vivere come prima di
approdare a Hogwarts: in solitudine, ignaro del fatto che potesse
esserci qualcuno là fuori capace di renderlo felice.
Eppure, sapeva già che non
avrebbe seguito l’impeccabilità di quel
ragionamento.
Doveva capire. Doveva cercare di
comprendere cosa fosse successo e perché. Doveva sapere
come fosse stato possibile che Sirius li avesse ingannati tutti, per
così tanto tempo. Perché proprio lui, che amava
James come un fratello. E che con lui era stato sempre così… ambiguo. Un perenne battibecco durante gli anni di scuola,
si punzecchiavano con qualsiasi pretesto perché erano
così diversi l’uno dall’altro. Eppure,
Sirius era quello che più di tutti l’aveva difeso,
quello che scatenava tutta la sua violenza contro i Serpeverde che
osavano prendersi gioco di lui, quello che aveva avuto l’idea
di diventare un Animagus insieme a Peter e James per non lasciarlo
solo, quello che lo spronava ogni volta che lui si mostrava titubante.
Era impossibile spiegare il riconoscimento e l’affetto
viscerale che Remus aveva imparato a nutrire per lui, nonostante i suoi
modi bruschi e il suo carattere infantile, spesso intrattabile.
Escludeva a priori che potesse essere stata l’influenza
negativa della sua famiglia a trascinarlo verso Voldemort; Sirius li
disprezzava tutti, dal primo all’ultimo, non avrebbe mai dato
loro un briciolo di credito. Ma allora cosa? Cosa l’aveva
spinto a tal punto?
Si
accorse di avere un violento mal di
testa che gli trafiggeva le tempie. Non avrebbe cavato più
nulla da quei ragionamenti inconcludenti. Guardò fuori dalla
finestra e, mentre una lacrima silenziosa gli scivolava lungo la
guancia, stappò la boccetta e trangugiò di colpo
il liquido verde dal sapore dolce.
What
was once so real, now doesn't even exist.
And
now the memories are going, so just the feelings persist.
And what thoughts come back I
sometimes try to resist.
(Bedhead, Powder)