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Autore: _hurricane    16/02/2011    5 recensioni
Mentre Kurt è alle prese con la sua cotta per Blaine, Finn deve affrontare l'ennesimo tradimento, quello di Rachel. Saranno proprio questi tormenti a far loro scoprire il vero significato di "fratello", e chissà... le cose si sistemeranno per entrambi?
[note in corso d'opera:
- la fic non tiene conto degli eventi successivi alla 2x09;
- lieve OOC di Finn (che preferisco definire un saggio cambiamento di rotta);
- Klaine centric, con possibili cambiamenti di rating]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Hot Milk

 

2:59

Kurt guardò i numeri della sveglia elettronica scattare a 3:00. L’unica luce visibile era proprio quella dei numeretti rossi, che sembravano pulsare nel buio della sua stanza grigio Dior. Rossi come la sciarpa di Blaine nel suo sogno, in cui finalmente non erano più soltanto due Usignoli della Dalton che si divertivano a prendere insieme il cappuccino da Starbucks. Eppure, Kurt era così contento… no, deliziato da quell’equilibrio che si era creato dal niente, da essere allo stesso tempo terrorizzato di mandarlo all’aria con una parola di troppo. La convinzione prevalente degli ultimi giorni era stata quella di aspettare, in modo che le cose potessero nascere da sole, o almeno in modo da poterlo sperare, e intanto passare ogni sabato mattina con Blaine. In fondo, non era detto che il semplice fatto che fosse gay implicasse un interesse nei suoi confronti; e sicuramente aveva avuto a che fare con molti più ragazzi di lui in precedenza, non essendo l’unico ad averlo dichiarato apertamente nella sua scuola. Sospirando, Kurt si alzò dal letto, accese la piccola lampada sul comodino color tortora e si diresse verso le scale, per andare in cucina. Il resto della casa era decisamente diverso dalla sua stanza: non avendo potuto trasmettere a suo padre il senso dello stile, aveva preferito lasciar perdere e pensare ad arredare la sua stanza come se fosse il suo piccolo loft. Sembrava di passare dal rifugio di un taglialegna all’atelier interrato di Dolce e Gabbana. Con i piedi nudi e infreddoliti, cercò di percorrere con cautela il pavimento del salotto, per non svegliare nessuno. Era una cosa che gli riusciva bene: camminare con passo leggiadro era fondamentale nelle sfilate di moda, e da bambino ne aveva fatte così tante nella sua cameretta, quando suo padre faceva il turno doppio in officina. Metteva le scarpe col tacco di sua madre, perfettamente allineate nell’armadio della camera da letto, come se lei potesse ancora indossarle; poi un foulard e magari una pelliccia, cercando di abbinarli il meglio possibile al colore del pigiama. Doveva mettere chili di cotone in ogni scarpa per farci entrare i piedi, e faceva male, ma non gli importava. Immaginava di essere a Parigi, Milano, New York, protagonista della settimana della moda. E poi l’odore di sua madre lo faceva sentire così al sicuro…

Arrivato in cucina, Kurt rimase sorpreso nel trovare la luce accesa. Raramente suo padre andava in giro per casa la notte; ma in effetti, pensò un secondo dopo, anche lui lo faceva raramente, quindi non ne poteva essere tanto sicuro. Poi gli venne in mente che ormai in quella casa non erano più soltanto in due. Infatti, varcata la porta di legno della cucina in stile rustico, si trovò davanti Finn. Le sue spalle sembravano ancora più larghe davanti ad un angolo cottura così piccolo, e il fatto che fosse seduto al tavolo al centro della stanza, rannicchiato su una tazza vuota, lo faceva sembrare una specie di enorme orso, raggomitolato su sé stesso per leccarsi le ferite. Per Kurt lo era stato una volta: un cucciolo ferito che avrebbe tanto voluto accudire… ma adesso gli sembrava fosse passata una vita. “Ciao Finn” esordì con voce annoiata, consapevole del fatto che come al solito il suo neo-fratellastro non lo avrebbe messo al corrente delle sue preoccupazioni, e che d’altro canto non si sarebbe interessato delle sue. E infatti l’unica risposta che ottenne fu un “Ciao Kurt”, senza nemmeno un’alzata di sguardo. Non potè fare a meno di notare che accanto alla tazza, sul cui bordo Finn continuava a disegnare cerchi immaginari con l’indice, c’era il suo cellulare. Cercando di sbirciare qualche frase dal messaggio che intravedeva sullo schermo, si avvicinò al tavolo, e con nonchalance passò alle spalle di Finn per dirigersi al frigorifero. L’unica parola che riuscì a leggere fu il mittente, “Rachel”, e tanto bastava per capire. Rachel gli aveva accennato che tra lei e Finn c’erano dei problemi. Una volta aperto il frigo, rintracciò un cartone di latte tra i toast avanzati avvolti nel chellofan e le bibite gassate, per versarlo in un pentolino e berlo caldo insieme ad un po’ di miele. “Vuoi del latte caldo?” chiese a Finn per cortesia, dandogli le spalle. Solitamente quella frase ne precedeva un’altra, del tipo “Cos’hai Finn? Parliamo un po’!”, ma quella notte era davvero solo per cortesia. Era andato in cucina per sedersi e rimuginare su come comportarsi con Blaine, non per sentire di nuovo parlare di Miss Rachel Berry e delle sue manie di protagonismo. Perché molto probabilmente la questione aveva a che fare con qualche suo colpo di testa… Eppure, sapere di essersi perso chissà quanti acuti di Mercedes, litigate tra Finn e Puck, addirittura granite in faccia e nuovi modi inventati da Rachel per essere al centro dell’attenzione, lo facevano sentire un alieno in divisa rossa e blu. Si consolava pensando che almeno, rinunciando a tutte quelle cose, aveva ottenuto la tranquillità e la sicurezza che soltanto Blaine poteva dargli. “No, grazie” rispose Finn, continuando a girare l’indice sul bordo della tazza in maniera quasi ipnotica. Sicuramente era stato tratto in inganno dalla domanda, e per evitare di autorizzare involontariamente Kurt ad una lunga “chiacchierata cuore a cuore” aveva risposto di no. Kurt lo intuì subito: “No, dico sul serio, non è per parlare” aggiunse, voltandosi verso di lui con il pentolino in mano. “Allora ok” rispose Finn, alzando lo sguardo e spingendo la tazza verso Kurt. Dieci minuti dopo entrambi avevano finito di bere, e non c’era più una scusa plausibile per non parlare. Ma Kurt era deciso a farsi gli affari suoi questa volta, così prese le tazze (impedendo a Finn di fare altri cerchi concentrici immaginari sulla sua) e le ripose nel lavandino. Senza dire una parola si diresse verso la porta, deciso a riflettere nella sua stanza, dove sicuramente non avrebbe incontrato nessuno visto che Finn preferiva dormire sul divano-letto del salotto, in attesa di una casa più grande. Non aveva più varcato quella soglia da quando aveva detto quella parola. La parola che in casa sua non doveva assolutamente essere pronunciata; “forse sarebbe meglio mettere un cartello all’entrata” aveva detto Kurt a suo padre, per sminuire l’accaduto. “Aspetta”. Kurt si fermò sulla porta. “Mi dispiace, Kurt. Di essere così… scontroso.” “Non fa niente Finn, lo capisco. Si vede che c’è qualcosa che ti preoccupa… non ne devi parlare per forza.” Kurt si girò di nuovo verso l’interno della cucina, appoggiandosi con un gomito allo stipite della porta, una gamba incrociata sull’altra, in attesa del classico sfogo liberatorio etero che inizia con “Le donne!” o qualcosa di simile. Nel periodo in cui Finn era l’obiettivo di un grande piano che consisteva in breve nello screditare il sesso femminile, aveva notato quanto una donna potesse essere problematica… è vero, Quinn era in preda agli sconvolgimenti ormonali, ma era certo che Rachel riuscisse ad essere difficile da sopportare tanto quanto un’adolescente incinta, cacciata di casa e arrabbiata con il resto del genere umano. Il sorrisino saccente testimoniava la sua soddisfazione nel sapere di essere così bravo a predire i pensieri degli etero, e di Finn, ma scomparve quando invece si sentì dire: “E tu? Perché ti sei alzato?” “I-io…” esitò, abbassando lo sguardo sulle sue unghie dei piedi, “…si è fatto tardi, torno a dormire.” Girò i tacchi, e stavolta si diresse verso il suo loft senza preoccuparsi del rumore dei piedi. Raccontare a Finn dei suoi dubbi non avrebbe fatto altro che accreditare la sua opinione, secondo la quale lui era una specie di stalker di bei ragazzi che non sapeva distinguere l’amicizia dall’infatuazione. E poi, perché doveva essere lui ad aprirsi per primo? Lasciandosi sprofondare nel materasso, giunse all’amara conclusione che forse nessuno avrebbe potuto capirlo. Nemmeno Mercedes, che aveva subito una specie di overdose da discorsi omosessuali al Bel Grissino un po’ di tempo prima. “Lascia le cose come stanno” continuava a ripetersi tra sé e sé, prima guardando il soffitto e poi anche ad occhi chiusi, dopo aver spento la lampada sul comodino. Molto presto, il suo pensiero si spostò egoisticamente alle borse sotto gli occhi che di certo avrebbe avuto la mattina dopo. Alla fine riuscì a prendere sonno, con la mente dispersa tra creme da notte e copri occhiaie.

 

   
 
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