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Autore: Dark Sider    16/02/2011    4 recensioni
Sasuke è appena morto per un tumore ai polmoni.
Naruto, disperato, si rivolge ad un'indovina perché gli dia un oggetto che possa aiutarlo a riportare in vita il suo teme. A Naruto viene dato un ciondolo che esaudisce i desideri ma, a causa di un incidente, Naruto esprime il desiderio sbagliato e...
Fate attenzione ai desideri che esprimete.
[SasuNaru]
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2: IT WILL BE THE LAST TIME

 

 

 

 

 

Naruto era rimasto interdetto.

Prima la data che doveva essere già passata, poi le parole di Sasuke… Che il ciondolo avesse davvero funzionato?

Naruto sgranò gli occhi a quel pensiero: lui aveva detto “vorrei essere al posto di Sasuke” ma non era quello il desidero che avrebbe voluto esprimere. Lui avrebbe voluto chiedere di poter riportare in vita Sasuke sano e salvo, senza alcuna malattia.

Il corvino continuò a fissarlo, inarcando un sopracciglio, tentando di capire quale potesse essere il suo problema.

«Sei sicuro di stare bene, dobe?» domandò, con una preoccupazione che non gli era mai appartenuta.

Naruto continuava a guardarlo con gli occhi sbarrati e spaventati, senza vederlo davvero.

Vorrei essere al posto di Sasuke… Al posto di Sasuke… Al posto di Sasuke… Sei tu quello che ha il tumore… Sei tu… Sei tu…

L’orribile consapevolezza di quelle parole messe così minuziosamente in fila nella sua testa a creare una terribile logica, si fece spazio tra i suoi pensieri intricati.

Lentamente, come se volesse ritardare l’attimo della verità, Naruto si voltò a guardare di fronte a sé, nel grande specchio appeso alla parete.

Scorse un Sasuke preoccupato che ancora lo fissava e un ragazzo biondo che avrebbe dovuto essere lui.

Anzi, doveva essere lui per forza perché in quella stanza non c’era nessun altro oltre a loro due.

Eppure quel viso pallido e scavato dalla malattia, quegli occhi azzurri sempre più spenti e tristi non potevano davvero essere i suoi.

Un’ondata di paura lo travolse e il ragazzo si accorse che persino accelerare il respiro gli procurava dolore e fatica, come se non avesse quasi più aria o forza in corpo.

Naruto rimase immobile ancora per un po’, pensieroso, poi si riscosse e balzò giù dal letto. Ma le forze gli mancarono all’improvviso e ricadde sul materasso.

Si ricordò che a Sasuke succedeva spesso, nel suo ultimo periodo di vita.

«Dobe, stai attento» sbuffò l’Uchiha.

«Devo cercare il ciondolo…» borbottò Naruto, come se non l’avesse ascoltato affatto. Si alzò di nuovo, più lentamente, e si inginocchiò a terra cominciando a guardare dappertutto: il ciondolo non poteva essere lontano. Era da quelle parti; doveva essere da quelle parti…

«Naruto, posso sapere cosa cazzo stai facendo?» domandò Sasuke, fissandolo dal bordo del letto.

«Sto cercando il ciondolo. Quello con cui ho espresso il desiderio di…» il biondo si bloccò all’improvviso: se avesse finito la frase, Sasuke l’avrebbe preso per uno squilibrato mentale.

In effetti, l’Uchiha stava cominciando a pensare che il dobe non fosse nel pieno delle sue facoltà mentali: eppure il tumore doveva essere ai polmoni, non al cervello.

Il corvino si sporse dal bordo del letto, esasperato. «Dobe, vuoi illuminarmi riguardo le tue intenzioni, o hai intenzione di rimanertene tutta la vita lì per terra?»

Il biondo finse di non sentirlo. Dov’era finito quel maledettissimo ciondolo? Eppure lui, quando aveva espresso il suo desiderio, era in quella stessa stanza: perché non riusciva a trovarlo?

Una folgorazione improvvisa lo colpì come una secchiata di acqua gelata: la maga. Lei avrebbe saputo cosa fare, lei gli avrebbe rivenduto il ciondolo e Naruto, esprimendo un nuovo desiderio, avrebbe sistemato tutto.

Il ragazzo si tirò in piedi. Ogni minimo gesto gli risultava faticoso e doloroso, come se stesse scalando una montagna; quasi aveva il fiatone, quando si ritrovò in piedi di fronte al letto.

Sasuke Uchiha aveva seguito Naruto in ogni sua operazione, con sguardo attento e truce: sembrava essere necessario, per lui, controllare ogni singolo gesto del biondo, come se questo potesse, in qualche modo, farlo guarire o procurargli un qualche sollievo.

«Teme, devi portarmi in un posto. Ora» esordì Naruto, con un improvviso tono serio che stupì l’altro.

«In un manicomio?» ipotizzò Sasuke, alzando gli occhi al cielo.

«No. Ascoltami, è importante: devi portarmi in un posto, ho combinato un casino e de-» le parole gli morirono in gola, stroncate da un’improvvisa quanto dolorosa fitta al torace; ci fu un attimo in cui Naruto fu sicuro che avrebbe riversato sul pavimento la propria cassa toracica con annesso tutto ciò che era in essa contenuto. Il biondo si portò una mano alla bocca, nel tentativo di trattenere l’impulso di tossire via i propri, vitali organi interni, ma non ci riuscì: un accesso di tosse gli risalì lungo la gola e proruppe violentemente dalla sua bocca.

Naruto tossiva, tossiva e tossiva ancora; in quell’istante, il suo pensiero mutò: appurato che la cassa toracica se ne era rimasta al suo posto, benché il dolore al petto non fosse minimamente diminuito, ora il biondo era sicuro che sarebbe morto soffocato: i colpi di tosse continuavano a susseguirsi senza sosta, impedendogli quasi di riprendere fiato, mentre la bocca gli si riempiva di un sapore ferruginoso che il ragazzo sapeva di conoscere bene ma che, in quel momento non riusciva ad identificare.

Con gli occhi stretti e traboccanti di lacrime per lo sforzo e per il dolore, Naruto avvertì una mano poggiarglisi sulla spalla: seppe che apparteneva a Sasuke e questo, in un certo qual modo, sembrò dargli la forza d’animo per non crollare. Il biondo conosceva fin troppo bene la situazione che stava vivendo: vi aveva visto Sasuke innumerevoli volte tanto che, con gli occhi serrati a fissare il buio, gli parve di rivedere l’Uchiha in quello stato e, per un attimo, si dimenticò che, invece, quello malato era lui.

A poco a poco, gli accessi di tosse diminuirono, fino a cessare del tutto. Naruto non si mosse, quasi avesse paura che, a farlo, la tosse sarebbe ricominciata: sentiva ancora la mano di Sasuke poggiata sulla sua spalla ed il dolore martellante al torace che non sembrava volerne sapere di estinguersi.

«Ti porto dove vuoi, basta che non ti agiti» sussurrò Sasuke, aumentando la presa sulla spalla del biondo.

Naruto si scostò la mano dalla bocca e, finalmente, riuscì a capire a cosa appartenesse quel sapore ferruginoso venutoglisi a creare in bocca mentre tossiva. Sangue: ne aveva la mano grondante, di quel liquido rossastro. Istintivamente, il biondo si voltò verso Sasuke e lo abbracciò con tutta la labile forza che gli riusciva di avere, in cerca di un sostegno, di un appiglio. L’Uchiha gli passò una mano tra i capelli, cercando di trattenere, nel nome della sua indifferenza e del suo orgoglio, il dolore che minacciava di traboccare da un momento all’altro.

«Dove ti devo portare?» chiese il corvino ad un Naruto tremante e spaventato, tentando, in quel modo, di distrarlo e farlo reagire. Sembrò che il ragazzo avesse pronunciato la frase giusta perché il dobe parve riscuotersi e, alzando la testa a fissare il suo ragazzo, sorrise leggermente, come rianimato da una nuova speranza.

 

 

 

Due ore dopo, Naruto, ripresosi e tornato allegro, era riuscito a trascinare Sasuke davanti al negozio della maga da cui il biondo aveva acquistato il ciondolo maledetto.

«Per quale ragione saresti voluto venire in un’erboristeria?» domandò Sasuke, freddo, fissando le vetrine piene di erbe e medicinali.

«Non preoccuparti, Sas’ke: ho tutto sotto controllo» assicurò Naruto, avviandosi verso l’entrata del negozio.

«Certamente, non ne dubito» sibilò l’Uchiha, sarcastico, seguendo il biondo all’interno del negozio.

L’aria del negozio era satura del profumo delle varie erbe e spezie che si mischiavano insieme nell’aria, creando un’unica, indistinta fragranza.

I due ragazzi continuarono a proseguire lungo il negozio, fino a giungere al bancone dietro al quale stava una donna, che Naruto riconobbe come quella che gli aveva venduto il ciondolo.

Appena vide il biondo, la donna sorrise: sembrava averlo riconosciuto anche se, a rigor di logica, il 10 Gennaio ancora non l’avrebbe dovuto conoscere.

«Salve» salutò la maga, sorridendo ancora più apertamente Naruto e lanciando un fugace sguardo compiaciuto verso Sasuke.

«Allora: soddisfatto?» chiese la donna a Naruto. Sasuke la fissò confusa: più passava il tempo, più capiva meno cose.

Il ragazzo dai paradisiaci occhi azzurri, fissò intensamente e stancamente la maga. «Sì… Cioè, non proprio: mi serve di nuovo quel ciondolo».

«Naruto…» provò ad intervenire Sasuke, stanco di essere l’unico a non capire nulla di quello che stava accadendo. Tuttavia, la donna lo interruppe alzando una mano, intimandogli il silenzio. Il corvino s’accigliò: chi era quella sconosciuta per permettersi di zittire un Uchiha?

«Sono spiacente, tesoro, ma credo proprio che ci sia un increscioso problema: non posso ridarti il ciondolo».

Naruto si sentì svuotare completamente: l’unica sensazione che rimase fu soltanto il dolore perpetuo al petto, che non l’aveva mai abbandonato; tutto il resto era un nulla denso e sordo.

«C-come?»

«Non posso rivenderti il ciondolo, ragazzo: puoi esprimere uno ed un solo desiderio; il ciondolo non funzionerebbe una seconda volta».

«Allora lo venda a Sasuke!» urlò il biondo, indicando l’Uchiha, mentre la disperazione lo catturava tra le sue spire, superando persino il dolore fisico.

Il sorriso che la maga aveva mantenuto inalterato fino a quel momento si spense d’improvviso; la donna osservò, per un istante, il corvino poi scosse la testa.

«Mi pare di capire che questo ragazzo non sappia niente» sospirò l’indovina. «Se non sa niente, significa che gli devi spiegare cosa è successo e chiedergli di formulare il nuovo desiderio al tuo posto; in questo modo, è come se fossi tu ad esprimere il desiderio: quindi, il ciondolo non funzionerebbe comunque».

Naruto socchiuse la bocca, shockato; artigliò il bordo del bancone di legno con le mani tremanti e chinò la testa. «No» esalò, come se, ormai, non avesse più forza nemmeno per parlare.

«Ma si può sapere cosa diavolo sta succedendo?!» abbaiò Sasuke, facendo un passo in avanti, verso il bancone: piccato, era deciso a sapere che cosa gli stesse nascondendo il dobe e, soprattutto, per quale motivo. Di solito, Naruto gli diceva sempre tutto, ogni cosa: non era da lui nascondergli un problema o una preoccupazione.

«Succede che non posso aiutarvi in alcun modo, sono spiacente» rispose la maga, con una sorta di rassegnata indifferenza. Poi, si rivolse a Naruto, come se quello che stava per dire potesse smorzarle il dispiacere. «Te l’avevo detto di fare attenzione a ciò che desideravi. Spero comunque che non sia successo niente di grave».

Naruto scosse debolmente la testa. «No» ripeté, con voce incolore: sembrava aver perso la capacità di pronunciare qualunque parola non fosse quel monosillabo. Il ragazzo raccolse le forze necessarie che gli servivano per staccarsi dalla superficie lignea sulla quale si era appoggiato e staccò le mani dal bancone.

«Adesso possiamo anche andare, teme» mormorò, trascinandosi stancamente verso l’uscita.

Sasuke lanciò un’occhiata bieca alla donna che, dietro al bancone, assisteva alla scena come se non ne facesse parte. L’Uchiha serrò la mascella: sembrava proprio ritenere responsabile quella donna del dolore di Naruto, qualunque ne fosse la causa e qualsiasi fosse la situazione.

Sentendo la porta del negozio richiudersi, il corvino realizzò che Naruto era già uscito; si affretto a raggiungerlo in strada, senza premurarsi nemmeno di salutare.

«Buona giornata. Spero di rivederti presto nel mio negozio» gli urlò dietro l’indovina; Sasuke la maledisse a denti stretti.

Uscito dal negozio, trovò Naruto appoggiato al muro del negozio, più pallido di quando non fosse già abitualmente a causa della malattia. Gli occhi cerulei erano spenti e puntati a terra, a fissare il vuoto.

«Dobe…» Sasuke si avvicinò al biondo lentamente. «Mi vuoi dire che cosa sta succedendo? È da questa mattina, quando ti sei svegliato, che sei così strano ed esagitato: cosa mi nascondi?»

Naruto scosse la testa e, staccandosi dal muro, si avvicinò all’Uchiha, abbracciandolo. «Non importa, teme: tu sei qui con me, adesso. Mi importa solo di questo».

Dopo i giorni di dolore assoluto che aveva passato, Naruto non poteva chiedere di meglio che essere lì, con Sasuke, come aveva sperato dal giorno della sua morte. Quel momento l’aveva  desiderato ardentemente, bramato con tutte le sue forze ed, ora, era stato esaudito: era nel suo piccolo angolo di paradiso al centro esatto dell’inferno.

Sorrise, mentre Sasuke ricambiava il suo abbraccio, senza più parlare: un piccolo gesto che l’Uchiha gli concesse, che concedeva solo a lui. Perché lui era Naruto Uzumaki, il dobe esuberante che la morte gli stava strappando via giorno dopo giorno.

C’è un cinismo sottile nella morte: tende sempre a colpire all’improvviso, quando nessuno l’attende, quando ha dato una proroga che non rispetterà.

E quel cinismo crudele decise di colpire Naruto proprio in quel momento: Sasuke sentì l’abbraccio del biondo sciogliersi ed il corpo dell’altro farsi così pesante che, all’improvviso, entrambi caddero a terra.

Naruto era ad un tè con la morte.

 

 

 

30 Gennaio, h 22.00

 

Naruto era lungo su un letto d’ospedale, con la testa abbandonata su di un cuscino immacolato. Sasuke era accanto a lui; il corvino non aveva mai lasciato il biondo dal giorno in cui, fuori dal negozio del’indovina, questo era svenuto ed era stato ricoverato d’urgenza in ospedale.

L’Uzumaki sapeva esattamente che la sua ora stava per scadere: si rimproverava per essere stato così sciocco da non aver creduto ai poteri del ciondolo e di doverne, ora, pagare le conseguenze; tuttavia, era felice di aver potuto riavere con sé il suo teme, anche solo se per poco tempo; era felice di averci potuto passare dei momento, anche se piccoli e stupidi; era profondamente grato di averlo potuto abbracciare ancora, di poter risentire il suo profumo, la sua voce. Di poterlo riavere lì, lì. Suo.

Il biondo portò lo sguardo ad incrociare il viso stanco e rassegnato di Sasuke; lo voleva guardare ancora, per l’ultima volta; voleva stamparsi quegli occhi in testa, marchiarli a fuoco perché non si potessero cancellare mai più, per nessuna ragione.

Lo voleva guardare perché quella sarebbe stata l’ultima volta. Gli sorrise perché, poi, non avrebbe potuto farlo più. Gli strinse debolmente una mano nella sua perché non gli sarebbero state concesse altre occasioni. Lo tirò verso di sé e lo baciò, si inebriò del sapore di quelle labbra, tentò di farle sue il più possibile, per trascinarne il vivido ricordo via con sé.

Quella era l’ultima volta. L’ultima volta.

Naruto sapeva che Sasuke non doveva essere lì quando lui si sarebbe spento, eppure esitava così tanto a mandarlo via: gli sarebbe mancato. Già gli mancava.

«Vai Sasuke. Vai a casa» gli costò così tanto pronunciare quelle parole; gli fece più male della malattia che lo stava consumando.

«No, resto qui, tranquillo».

Che tetro deja-vou della morte di Sasuke si stava ripresentando in quella stanza!

«Non preoccuparti, Sasuke, io sto bene. Vai a casa e dormi che ne hai bisogno. Ci vediamo domani. Ti amo».

L’Uchiha fissò il biondo biecamente, poco convinto da quelle labili parole. Tuttavia, decidendo che, alla fine, lasciare un po’ solo Naruto forse l’avrebbe fatto tranquillizzare e riposare meglio, si alzò dalla sedia.

«D’accordo, dobe. Ciao».

Addio, teme”.

«Cerca di dormire e di riposarti».

Non stare troppo male per me, Sasuke, quando sarò morto”.

«A domani».

Questa sarà l’ultima volta”.

La porta della stanza si chiuse e Naruto rimase solo. Solo al suo appuntamento con la morte.

Il biondo chiuse gli occhi, il profumo di Sasuke ancora addosso. Sorrise.

Avrebbe voluto passare la sua vita accanto all’Uchiha, avrebbe voluto invecchiare al suo fianco. Non gli era stato concesso.

Ma era riuscito a riportarlo in vita. Sì, moriva col sorriso sulle labbra perché il suo sacrificio aveva permesso di riportare in vita Sasuke.

Ti amo, teme”.

La morte dovrebbe avere pietà dei giusti, dell’amore.

Non ne ebbe.

 

 

 

 

 

***

Questo capitolo giaceva incompleto nel mio pc da secoli. Ora, mi sono decisa a finire questa ff, perché mi dispiaceva lasciarla incompleta. È che scrivere questo capitolo è stata una vera e propria odissea, allora come adesso, ma l’ho finito. Sono abbastanza soddisfatta, anche se non del tutto.
Un giorno riuscirò a scrivere una SasuNaru che finisca bene. Fino ad allora, vi dovete sorbire questa depressione xD
Grazie a chi ha commentato il precedente capitolo e ha chi ha messo tra le seguite, le preferite e le ricordate.

 

 

Konbanwa :)

 



  
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