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Autore: Roxe    16/02/2011    12 recensioni
Mentre parla John lo afferra per le spalle e lo spinge con foga verso la porta, molleggiandosi energicamente sulle gambe per distrarre la vescica.
Holmes si lascia trascinare senza opporre particolare resistenza.
- E va bene. Del resto lo hai detto anche tu. La convivenza si basa esclusivamente sul compromesso. Quindi anche questa è una cosa a cui dovrai abituarti gradualmente.
Al suono di quelle parole Watson lo lascia andare di colpo, allontanandosi da lui e scuotendo la testa con indignazione.
- No! Ci sono delle cose che non possono essere condivise!
Sherlock ricambia il suo sguardo con aria contrariata.
- Andiamo John! Siamo coinquilini!
- Sì lo so. E vivo benissimo insieme a te… Però sono inglese! E in questo paese le persone non fanno pipì l’una di fronte all’altra!

[ Pairing: Sherlock/John ] [ Para-slash, Pseudo-demens ]
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me [bis]trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so e se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

NB: Il comico non è decisamente il mio (e quando leggerete le note capirete QUANTO non lo sia) però l’ho trovata così simpatica come cosa, che ci ho provato. Apprezzate lo sforzo vi prego… ><

 

 

 

No Tinkling Please, We’re British

 

 

Una serata tranquilla aveva detto.
Niente di troppo impegnativo.

Certo, come no.
Un ricevimento per pochi amici.

Del sindaco di Londra però…

Una ricca insalata di assessori, imprenditrici, commendatori, Lord, economisti, pari d’Inghilterra, ambasciatrici e direttori generosamente apparecchiata in un salone dalle dimensioni indecenti, con soffitti talmente alti da far invidia alla navata centrale di Nostra Signora di Parigi.
Le donne sfoggiano i loro più costosi gioielli, ancheggiando intubate negli abiti più stretti e griffati del momento, mentre gli uomini aggiustano sovente il polsino di candide ed impeccabili camicie, nel tentativo di mostrare distrattamente i più vistosi tra i loro gemelli, serpeggiando tra tavolini e poltrone di un’accozzaglia straordinariamente riuscita tra tutte le più costose forme d’arredamento della storia britannica, impastate in un perfetto amalgama d’inglesità che oscilla tra vari stili e molte epoche evitando astutamente qualsiasi tipo di forzatura.

Non è un caso che gli arredatori d’interni siano così dannatamente strapagati a Londra.
Sempre che uno possa permetterseli.

Ma chiunque abiti sulla King’s Road a Chelsea, occupando tutti i 270 mq del quinto piano di un palazzo di fine ‘800 situato a pochi metri dall’incrocio con Sloane Street, certo non ha di questi problemi.

Ogni conversazione affrontata questa sera riguarda rigorosamente politica, economia, o entrambe.
Se qualcuno avesse tenuto il conto delle volte in cui sono state pronunciate le parole ‘inflazione’ e ‘corruzione’ dall’inizio del ricevimento quel numero sarebbe già superiore alle cento unità.

In piedi vicino ad una parete, a due passi da un austero tavolino vittoriano sul quale trionfa una piramide di martini alta all’incirca due metri, Sherlock Holmes e John Watson osservano in disparte il divenire di quell’elite londinese diligentemente assorbita nel suo ruolo.

John ha rispolverato il suo smoking, che ormai gli sta un po’ largo in vita e gli cade sulle spalle, ma è l’unico vestito degno di questo nome in suo possesso al momento.
Pessima scelta.
Non può ovviamente sapere che lo smoking ed un invito serale senza la specifica dicitura ‘cravatta nera’ sono due entità che il bon-ton dell’abbigliamento non accosterebbe per nessuna ragione al mondo.
Ma del resto, la cosa non ha una grande rilevanza.
Con un bicchiere di martini in mano e quell’aria sperduta non avrebbe comunque nessuna chance di confondersi tra gli invitati.

Holmes è al suo fianco, con le mani dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate. Lo sguardo apparentemente distratto vaga tra le teste degli uomini e delle donne più influenti di Londra.
Il suo spezzato è talmente fuori da ogni regola da risultare per contrasto di una straordinaria eleganza, facendo spiccare sfacciatamente la sua figura in mezzo a quel mare di completi blu e grigio fumo.

 

- Perché siamo qui, John?

 

Watson prende fiato prima di rispondere.

- TU sei qui perché il tuo fan numero uno -che sarebbe Lestrade- è riuscito a farsi invitare a questo ricevimento dal suo capo –che sarebbe il padrone di casa- solo a patto di portare con sé il famoso consulente che ha permesso la cattura del serial killer del taxi -che saresti tu-.
Immagino che l’ispettore stia tentando di lavorarsi una promozione o qualcosa di simile. Sei il suo passaporto per la ricchezza ed il successo.

Nel pronunciare l’ultima frase John solleva il suo martini verso l’alto, mimando un ipotetico brindisi allo sfavillante futuro di Lestrade.

- IO invece sono qui perché come al solito non mi do mai retta.

Poi porta il calice alla bocca e butta giù tutto d’un fiato l’intero contenuto del bicchiere.

- Ah.

La laconica risposta di Sherlock giunge con otto o nove secondi di ritardo.

- Almeno gli alcolici sono ottimi.

Seguono svariati minuti di silenzio, in cui i due continuano ad osservare ciò che di meglio ha da offrire la Londra del ventunesimo secolo.
Davanti a loro transita la dolce metà del caporedattore del Guardian, fasciata in un imbarazzante vestito rosa confetto che mal si abbina ai suoi 78 chili abbondanti, localizzati principalmente su cosce ed addome. La paffuta ed attempata signora si volta a guardarli elargendo un conturbante sorriso per poi allontanarsi in direzione del buffet.

 

- Quindi… Perché siamo qui, John?

 

Watson alza gli occhi al cielo, scrollando la testa in segno di resa. Poi posa il bicchiere sul tavolino e si stacca dal muro, dirigendosi verso il corridoio dall’altra parte della sala.

- Vado al bagno.

Holmes si muove subito dietro di lui, tallonandolo da vicino ed iniziando a parlare con voce tutt’altro che sommessa.

- Tra tutte le persone presenti ne ho contate almeno trentadue che fanno uso abituale di cocaina. La maggior parte la sniffa, com’è evidente dallo stato pietoso delle loro narici. Quarantasei alcolizzati, quasi tutti uomini. Ventinove donne si sono rifatte il seno, di una misura che oscilla tra la terza e la quinta.

John non si volta nemmeno a guardarlo, ascolta distrattamente la sua voce mentre percorre con una certa fretta il corridoio, focalizzandosi solo sul traguardo, reclamato ormai a gran voce dalla sua vescica.

- Nessuno di loro ha ucciso nelle ultime ventiquattr’ore. È tutto così angosciosamente, ottusamente, inesorabilmente, definitivamente noioso.

Scortato da quel familiare lamento Watson raggiunge infine la toilette e ruota con impazienza la maniglia, approdando in un lussuoso ed ampio bagno con tanto di lavandino in marmo di Carrara, rubinetti laccati oro ed un’ampia finestra che affaccia sulla via principale.

Senza esitare un solo istante Sherlock entra dietro di lui e si chiude la porta alle spalle, fermandosi davanti a John, che nel frattempo si è finalmente voltato a guardarlo.

- La prossima volta che Lestrade mi invita da qualsivoglia parte ed io per qualsivoglia ragione dovessi rispondergli di sì, per favore sparami in testa.

- Sì certo, lo farò. E ora esci.

Holmes si gira istintivamente verso la porta, tornando poi a guardare il dottore.

- Perché?

- Perché devo-…

Nel pronunciare la frase Watson indica in modo allusivo il gabinetto al suo fianco.

- Oh va bene ti aspetterò. Tanto volevo darmi una sciacquata alle mani.

Detto questo Holmes si dirige tranquillo verso il lavandino ed inizia ad insaponarsi le mani con comodo.

John rimane immobile tra lui e il gabinetto. A bocca aperta.

- Ah…

Il suo sguardo oscilla lentamente tra la tazza e la schiena di Sherlock.
Piuttosto confuso.
Poca saliva in bocca ed il respiro accelerato.
Lo stimolo che continua ad aumentare, e le ginocchia che iniziano a stringersi.

Non avvertendo alcun rumore alle sue spalle Holmes si gira verso di lui, senza allontanare le mani dal getto d’acqua, e lo trova immobile accanto al water, le gambe unite e le braccia lungo i fianchi, che si guarda intorno con aria disorientata.

- John, questo è un bagno classico. Basta alzare la tavoletta…

- Oh!

Annuendo energicamente Watson fissa il water con decisione e incrocia le braccia al petto nel goffo tentativo di sembrare disinvolto, mentre il sudore inizia ad imperlargli la fronte.

Sherlock scuote la testa rassegnato e si volta ancora verso il lavandino, continuando a strofinare le mani con energia, finché il persistente silenzio alle sue spalle torna ad incuriosirlo, e dopo appena una manciata di secondi ruota nuovamente il busto all’indietro, trovando John fermo nella stessa identica posizione.
Forse solo leggermente più basso sulle ginocchia.

- Ma che ti succede? Ti vergogni perché sono qui? Non ti guardo.

Il dottore si affretta a scuotere la testa deciso, agitando una mano davanti al viso in segno di diniego.

- Chi io? Vergognarmi?... Noooo! No!...

- Ah bene.

Considerata risolta la questione Holmes si volta definitivamente, tornando a dargli le spalle, ed inizia ad asciugarsi le mani sul panno di lino elegantemente ripiegato di fianco al lavabo. Con estrema lentezza.

- Lo sai? Credo di aver sentito pronunciare la parola ‘inflazione’ sessantasette volte da quando sono entrato in questa casa. Quattro di quelle volte ero ancora nell’ingresso. Cinquantaquattro volte ho sentito la parola ‘corruzione’. E temo di aver perso il conto di quante volte ho sentito pronunciare l’aggettivo ‘delizioso’… Dio, che parola terrificante. Non riesco a capacitarmi dei livelli di ripetitività cui può aspirare la gen-…

- VUOI ANDARTENE?!

L’urlo lo fa sobbalzare.
Sherlock lascia cadere l’asciugamano e si volta di scatto verso Watson, che lo sta fissando con uno sguardo stravolto, il viso pallido e sudato, le cosce serrate l’una contro l’altra e le ginocchia flesse nel disperato tentativo di trattenere l’intrattenibile.

- Non ci riesco! Capisci… io non ci riesco!
D’accordo lo ammetto! Mi vergogno! Ma ora ti prego! I martini che ho bevuto fremono per essere eliminati! Forzaaa!

Mentre parla John lo afferra per le spalle e lo spinge con foga verso la porta, molleggiandosi energicamente sulle gambe per distrarre la vescica.
Holmes si lascia trascinare senza opporre particolare resistenza.

- E va bene. Del resto lo hai detto anche tu. La convivenza si basa esclusivamente sul compromesso. Quindi anche questa è una cosa a cui dovrai abituarti gradualmente.

Al suono di quelle parole Watson lo lascia andare di colpo, allontanandosi da lui e scuotendo la testa con indignazione.

- No! Ci sono delle cose che non possono essere condivise!

Sherlock ricambia il suo sguardo con aria contrariata.

- Andiamo John! Siamo coinquilini!

- Sì lo so. E vivo benissimo insieme a te…  Però sono inglese! E in questo paese le persone non fanno pipì l’una di fronte all’altra!

Inarcando il sopracciglio destro ed inclinando leggermente la testa Holmes lo fissa con sarcasmo.

- Che cos’è… una specie di legge?

- Sì! In effetti perché credi che Enrico Ottavo abbia ucciso tante mogli? Continuavano a entrare in bagno!

Sopraffatto dall’urgenza fisiologica Watson riprende a spingerlo verso la porta, ma questa volta Sherlock oppone una strenua resistenza, costringendolo a fermarsi nuovamente ed a ricambiare il suo sguardo seccato.

- Senti. Non era mia intenzione invadere il tuo spazio, ero solo convinto che-…

- STO PER ESPLODERE!

John gli lancia un’occhiata stremata, la mascella contratta e la faccia irrigidita in una smorfia di dolore.

- Ooohh d’accordo! Per carità! Ti lascio tutta la tua privacy! Sto uscendo, ok?

Voltandosi finalmente verso l’uscita Holmes afferra con rabbia la maniglia, strattonandola con un gesto deciso.

CrAck

Troppo deciso.

L’unica cosa che riesce ad attirare a sé è il pomello d’ottone, scardinandolo completamente dall’anta.
Il contraccolpo lo fa barcollare all’indietro, allontanandolo di qualche metro dalla porta ormai bloccata, con quell’inutilizzabile pezzo di metallo ancora stretto nel pugno.

Lentamente abbassa gli occhi, rigirandosi la maniglia tra le dita e guardandola con espressione vuota.

 

- Ops.

 

Senza osare voltarsi avverte i passi incerti di Watson che si avvicinano, fermandosi di fianco a lui.

Entrambi fissano inebetiti quel pomello per un buon numero di secondi. Fino a che John non solleva uno sguardo annientato verso Holmes, che ricambia l’occhiata sfoggiando il suo sorriso più smagliante.

- Ehilà!

 

Dieci minuti ed innumerevoli tentativi d’evasione dopo sono ancora lì.
Irrimediabilmente chiusi dentro.
Ogni sforzo di reinserire il pomello come di aprire la porta è fallito miseramente, e l’inutile carcassa d’ottone è stata abbandonata sul bordo del lavandino.

Watson passeggia febbrilmente su e giù per la grande sala da bagno, scoprendo un nuovo limite di espansione della sua vescica ad ogni istante che passa.
Nel suo delirio d’incontinenza si vede già su un letto d’ospedale attaccato ad una macchina per la dialisi. Ma tutto sommato l’alternativa continua a sembrargli peggiore.
Le dita intrecciate si torturano e si stringono fino a consumarsi, mentre la testa dondola avanti e indietro accompagnando ogni passo con ritmica sincronia.

Holmes  si tiene ben lontano dalla sua traiettoria.
È in piedi di fronte ad un armadietto aperto, il braccio distrattamente appoggiato sullo sportello, al quale spetta l’ingrato ed inappropriato compito di sorreggere tutto il peso del suo corpo.
Con sguardo annoiato passa in rassegna il contenuto del mobile, analizzando ogni scaffale.

- Per conoscere davvero una persona è fondamentale guardare nel suo armadietto dei medicinali. Niente lacci emostatici, metadone, antidolorifici, benzodiazepine, cortisone, siringhe, Aspirina, saponette fregate negli alberghi delle vacanze.

Sherlock richiude l’armadietto con un colpo secco, scrollando le spalle.

- Lestrade non ha nessuna speranza.

In quel momento John rovescia la testa all’indietro ad occhi chiusi, e porta le mani giunte al viso, accelerando il passo.

- Ossignoresignoresignoresignore…

Il suo gemito ha un suono agghiacciante.
Holmes gli rivolge uno sguardo esasperato, sbottando al colmo della sopportazione.

- Oh insomma. Tutto questo è ridicolo.

Con passo deciso ed irritato si dirige verso l’impenetrabile barriera che li separa dalla libertà e assesta due sonori colpi sul legno massello, facendo vibrare violentemente l’intera struttura.

SBAM SBAM
           - APRITEEEEEE!

- SSSSSSHHH! Fai silenzio!

Portando di scatto il dito davanti alla bocca Watson interrompe la maratona e si precipita verso di lui, strattonandogli il braccio ed allontanandolo dalla porta.
Sherlock si volta a guardarlo con estrema lentezza. Gli occhi sgranati ed increduli, sconvolti dall’ira.
Riesce a controllare a stento il volume della voce.

- Ma bravo! Riprova a zittirmi!

John non si cura della sua rabbia. Gesticola convulsamente al suo fianco, ricambiando quello sguardo omicida con un’espressione seriamente preoccupata.

- Non voglio che qualcuno ci trovi qui dentro! Cosa crederanno che stiamo facendo?...

 

I due si scambiano una lunga occhiata silenziosa.
Perfettamente immobili.

L’ansia sul volto di Watson aumenta di secondo in secondo.
Holmes ricambia incredulo il suo sguardo, per poi alzare gli occhi al cielo, scrutando il soffitto con aria perplessa.

 

- Sgocciolando?...

 

John trattiene il fiato e lentamente spalanca la bocca, fissando come inebetito il muro di fronte a sé.

- Questo è peggio di quello che credevo avrebbero creduto…

Sherlock torna a guardare quel viso pallido e stravolto.
In qualche modo è ammirato da quell’incredibile resistenza, ma la sua già scarsa capacità di sopportazione ha ormai raggiunto il limite.
Inoltre, da qualche parte nel suo inconscio sta iniziando a sentirsi seriamente offeso.
Di colpo sbatte un piede sul pavimento e incrocia le braccia al petto, dando libero sfogo a tutta la sua insofferenza.

- Senti. O tu lasci che io gridi per chiedere aiuto oppure impari a fare pipì di fronte al tuo coinquilino. Non hai altra scelta.

Mentre parla accosta le labbra all’orecchio del dottore, ed alla fine della frase emette un basso sibilo tra i denti, producendo un’imitazione quasi perfetta del rumore di acqua che scorre.

- Ppppsssssshhhhhhhh

Quel suono sembra risvegliare Watson dall’apatia, sprofondandolo nuovamente nel pieno nel suo dramma fisiologico, attenuato per qualche breve istante dalle sue ansie da decoro sociale.
Preso dal panico e stremato della pressione ormai insostenibile nel suo basso ventre John afferra Sherlock per le spalle ed inizia a scuoterlo, fissandolo con occhi spiritati.

- Ooohh! Smettila di dire sciocchezze!

Holmes si divincola facilmente dalla presa, osservando con distacco ed insofferenza quel volto devastato.

- Ah io dico sciocchezze? Non vuoi che gridi alla porta e non sai andare in bagno davanti a me. Vedi altre soluzioni?

 

 

***

 

 

La sala da bagno è immersa in un silenzio perfetto.

Una luce soffusa riflette il suo tenue bagliore sulle pareti di purissima porcellana bianca, avvolgendo la stanza in una calda e quieta atmosfera.
L’asciugamano di lino è tornato al suo posto, accanto al lavello.
Fuori dalla grande finestra le luci di Londra accendono la notte, rischiarando con un delicato chiarore l’orizzonte.

Il pomello d’ottone è sempre lì, abbandonato sul marmo.
La porta ancora ermeticamente chiusa.

John Watson è in piedi di fronte al gabinetto, di schiena, con le gambe appena divaricate.

Completamente solo.

Un appagato sospiro di soddisfazione esce dalla sua gola mentre finisce di evacuare le ultime gocce di martini. Poi rovescia la testa all’indietro chiudendo gli occhi ed inspirando a pieni polmoni, con la stessa gioia di un condannato a morte che ha appena scoperto di aver ottenuto la grazia.

D’improvviso un’ombra scura attraversa velocemente lo specchio della finestra, percorrendo a grandi falcate il cornicione esterno, per poi sparire nuovamente dietro l’imposta.

- Hai ancora molto?

La voce di Holmes giunge ovattata attraverso i vetri, mentre passeggia avanti e indietro sospeso a circa venti metri dal suolo, lungo la stretta striscia di cemento situata al quinto piano dell’imponente facciata del palazzo.

John volge la testa verso l’apertura, mentre il resto del suo corpo finisce di espletare tutte le operazioni necessarie alla circostanza.

- Solo un secondo, Sherlock.

Il suono di passi torna ad avvicinarsi, fino a quando Holmes non spunta nuovamente alla finestra, appoggiando la fronte al vetro e buttando lo sguardo all’interno della sala da bagno, senza riuscire a vedere né Watson né il water, che restano fuori dal suo limitato campo visivo.

- Dovresti vedere la loro stanza, John. Hanno il letto che volevo, e quel commesso diceva che non esisteva a quattro piazze.

Watson tira su la zip dei pantaloni con particolare gusto, aggiustandosi il cavallo e tirando l’ennesimo sospiro di sollievo.

- E come conteresti d’infilarlo un letto a quattro piazze nella tua stanza?

Mentre parla si affaccia a sua volta alla finestra dall’interno, lanciando un’occhiata scettica al losco figuro appeso fuori dalla vetrata, che ricambia lo sguardo facendo spallucce.

- Ho forse detto che voglio metterlo nella mia stanza?

 John sorride divertito mentre gli fa segno di staccarsi dal vetro per poterlo aprire.

Holmes si tira indietro mentre la finestra si apre davanti a lui.
È già pronto a saltare dentro quando un intenso fascio di luce bianca lo investe dal basso, accecandolo per qualche istante.

- Guardate! È lassù!

Una miscela confusa di grida provenienti dal marciapiede raggiunge le sue orecchie.

        - Fermatelo!
                   - Mio dio!

                                     - Ora si butta!

Mettendo un braccio davanti agli occhi per ripararli dal potente raggio luminoso Holmes si sporge verso la strada, affacciandosi sull’insolito e vivace spettacolo che si sta svolgendo venti metri sotto di lui.

L’intera King’s Road è invasa da uno scomposto assembramento di passanti, curiosi, poliziotti e pompieri che corrono su e giù tra un marciapiede e l’altro, gesticolando e strillando sguaiatamente, nel fermo proposito di creare scompiglio gli uni e nel faticoso quanto inutile tentativo di mantenere la situazione sotto controllo gli altri.

Ciascuno di loro si agita con sentimento.
Qualcuno si copre gli occhi con le mani, abbassando la testa, qualcun altro si guarda intorno alla ricerca di una telecamera, ma la maggior parte dei presenti punta decisa lo sguardo ed il dito indice verso l’alto, fissando quella figura sospesa nel vuoto che da svariati minuti cammina in bilico su un cornicione al quinto piano del palazzo.

 

- Vuole suicidarsi!

 

La folla palpita. Schiamazza. Cresce.
I poliziotti tentano inutilmente di disperdere i curiosi, con l’unico risultato di fornire sempre nuova linfa all’agitazione generale.

D’un tratto la voce stentorea e metallica di un altoparlante si leva nell’aria, sovrastando tutte le altre.

- Signore. Non faccia sciocchezze. Qualsiasi sia il suo problema ci sono altre soluzioni.

Dall’alto dei suoi venti metri d’altezza Sherlock osserva tutto quel caos con aria divertita, come un bambino che contempla con interesse un gruppo di minuscole formiche laboriose che si affannano attorno ad una mollichina di pane.
Infilando le mani in tasca fa un passo deciso in avanti ed inizia a dondolarsi lentamente sul bordo del cornicione, solo per gustare con compiacimento le urla e i gridolini provenienti dalla folla sottostante.

Watson si è sporto dalla finestra al suo fianco, lanciando un’occhiata un po’ meno divertita a quel macello.
Molto meno divertita.

- Oh santo cielo…

D’un tratto Holmes s’inclina col busto in avanti, portando le mani alla bocca ed urlando con tutto il fiato che ha in corpo.

- IL MIO PROBLEMA È CHE VIVO ASSIEME A UN PERFETTO IDIOTA.

Nonostante l’impegno di Sherlock nessuno riesce a sentire la sua voce in mezzo a quel bordello giù da basso, così l’unico ad udire anche troppo chiaramente il suo urlo è il perfetto idiota medesimo, il quale ha già iniziato a sbracciarsi nel disperato tentativo di attirare l’attenzione su di sé per poter spiegare la situazione.
Ok, magari spiegarla non è esattamente il caso…
Diciamo trovare una buona scusa.

- C’È UN MALINTESO! È SOLO COLPA MIA! MI DISPIACE IO-…

John dà sfoggio di un’invidiabile potenza vocale, costringendo Holmes a voltare la testa di lato tappandosi le orecchie per preservare l’integrità dei suoi timpani.
Dal punto in cui si trova, col faro puntato negli occhi e il parapetto a coprirgli la visuale, Watson non riesce a cogliere gli eventuali effetti positivi delle sue parole. Così, senza riflettere a sufficienza sulle conseguenze della sua azione, scavalca con un salto la finestra e approda anche lui sul cornicione, alzandosi in piedi accanto a Sherlock senza smettere di agitare le braccia in modo scomposto.

La folla capisce al volo le sue intenzioni.

           - Sono due! Guardate!
   - Aaaahhhh!

- È terribile!
                               - Ce n’è un altro!
                                             - Vogliono ammazzarsi insieme!
                                           

- N-no! NO! NON AVETE CAPITO NIENTE! NESSUNO QUI VUOLE SUICIDARSI! Oh dio…

Dalla strada giungono solo urla di terrore e raccapriccio.

John si mette le mani nei capelli, definitivamente disperato, mentre un piccolo, timido pensiero va al povero ispettore Lestrade, che invitandoli quella sera pensava –uomo temerario- di promuovere la sua carriera…
Preso dal più totale sconforto Watson, inizia a guardarsi intorno con aria assente, fino a quando non si scontra con gli occhi chiari, distesi e rilassati di Holmes.
Durante tutta la sua splendida performance da aspirante suicida non si è mosso di un millimetro, restando immobile con le mani in tasca a guardarlo mentre peggiorava la situazione in modo determinante. E adesso lo osserva con quel suo sorrisetto divertito sulle labbra, senza tradire la benché minima preoccupazione.

 

- Ci buttiamo?

 

Watson abbassa lentamente le mani mentre i suoi occhi si spalancano, colmi della più pura e terrorizzata incredulità.
Scruta quel volto tranquillo alla ricerca di un senso, un motivo, una spiegazione per ciò che ha appena sentito.
Certo. Certissimo di aver capito male.
Forse…

- C-come?...

Sherlock continua a fissarlo con espressione distesa, quasi rilassata, se non fosse per quel bagliore inquietante sul fondo dell’iride che gli accende lo sguardo di una luce sinistra.

- Dai. Hanno gonfiato il supersacco.

Faticando a staccare lo sguardo dal suo John lo dirige lentamente verso il basso, incontrando l’ingombrante sagoma di un gigantesco materasso bianco, di forma quadrata, largo circa quattro metri per quattro, e alto forse altrettanto, che s’innalza sul marciapiede sottostante, attorniato da una folla di curiosi, passanti, poliziotti e pompieri neanche fosse il ring della finale del campionato mondiale categoria pesi massimi. Al centro del supersacco c’è un grande cerchio rosso con una bella X nel mezzo. La città di Londra ha speso i suoi bei quattrini per equipaggiare le forze dell’ordine di questi innovativi materassi antisuicidio che si gonfiano in un solo istante, ideati all’unico scopo  d’impedire che il cervello e le interiora di ogni aspirante cadavere d’Inghilterra imbrattino il reale suolo britannico.
Un atterraggio morbido.

Sempre che uno riesca a centrare la X, ovviamente.

- È l’unico modo per uscire. La porta del bagno è sempre bloccata, ricordi? Dai.

Watson torna a guardare Holmes. Sbigottito.
Osserva a bocca aperta quel viso dall’espressione distesa, vagamente divertita, che trattiene tra le labbra un fremito d’entusiasmo e d’eccitazione, molleggiandosi sulle ginocchia come pronto a spiccare il salto da un secondo all'altro, fissandolo dritto negli occhi.

Sta dicendo sul serio.

- Tu sei completamente pazzo…

- Dai.

Sherlock gli tende la mano con un sorriso, reclinando il capo da un lato senza smettere di guardarlo.

John fissa per qualche istante la mano tesa verso la sua.
Sospeso a venti metri dal suolo, in bilico su una striscia di cemento larga non più di quaranta centimetri, osserva quel palmo chiaro e fermo rivolto verso di lui, privo del più piccolo tremore.

Poi alza di nuovo lo sguardo, fissando Holmes dritto negli occhi.
Fa un respiro profondo.
E afferra quella mano con decisione, stringendola con forza nella sua.

Un sorriso complice e risoluto affiora sulle sue labbra, libero da ogni incertezza.

- Tre…

Holmes sorride a sua volta, mentre uno scintillio di compiacimento ed eccitazione gli attraversa lo sguardo, fisso in quello di Watson, e le dita si stringono saldamente attorno a quella mano imprigionata nella sua.

- Due.

          - Uno!

 

Mai guardare giù prima di saltare.

 

- waaaaaaAAAAAAAAAAAHHHHHHH!

 

 

 

                                                        POF

 

 

 

 

Note:
1. Il titolo di questa ‘cosa’ è ovviamente la parodia della celebre commedia inglese intitolata No Sex Please, We’re British, laddove il verbo tinkle significa tecnicamente ‘tintinnare’, ma viene usato anche per indicare genericamente l’atto maschile di urinare, e più specificamente la mossa che gli ometti fanno quando vogliono liberare l’Amico Fritz dagli ultimi residui di liquido prima di reinserirlo all’interno della mutanda.
Insomma, detto all’italiana… quando gli danno una bella sgrullata! **
O lo fanno sgocciolare, che dir si voglia.

2. Coloro tra voi che non hanno colto il plagio e pensano che qui sia tutta farina del mio sacco resteranno delusi…  Del resto ve lo avevo detto che il comico non è il mio… **
In realtà tutta la parte della fic che si svolge all’interno del bagno -e cioè l’unica veramente divertente- non è altro che la trasposizione pressoché letterale (ovviamente adattata al contesto) di una puntata della sit-com americana La Tata! XD
In sostanza non ho fatto altro che trascrivere le battute, modificarle quel minimo indispensabile (davvero poco, ve lo assicuro), e descrivere le azioni/espressioni.
Nella scena originale la parte di Watson è del serio e pudico Maxwell Sheffield, mentre Holmes è niente popò di meno che… Francesca Cacace! XD Non penso che esista un accostamento più bislacco di questo sulla carta, però devo dire che quanto a massa di capelli i due si assomigliano discretamente. **
Incipit ed ending sono invece made in Roxe.
Se siete curiosi di vedere l’originale potete gustarvelo qui:
httpDUEPUNTI//wwwPUNTOmegavideoPUNTOcom/?v=AZB3077F (non so se si possano inserire link diretti quindi l’ho ‘criptato’).
Per evitare di sorbirvi la puntata per intero basta che portiate avanti al minuto 16:00, in cui inizia la scena in questione.
Sono stata in dubbio fino all’ultimo se inserire un disclaimers all’inizio anche per questo, ma poi ho pensato che era meglio gustarsi la lettura prima di sapere che è una specie di patchwork. XD
In ogni caso specifico che tutte le battute della scena nel bagno sono di proprietà dei simpatici sceneggiatori della Tata! E anzi li ringrazio per avermi ispirato questa cretinata, scusandomi per averli scippati.

3. Per chi non lo sapesse… lo spezzato è un tipo d’abbigliamento maschile che accosta una giacca ad un pantalone di un colore diverso. Non è in nessun caso un abbigliamento da sera, anche se il tight -uno degli abiti maschili in assoluto più eleganti, che si usa solo nelle cerimonie nuziali o in eventi importanti, purché si svolgano prima delle 18- è di fatto uno spezzato.

4. Ma quanto ca**o è difficile per me scrivere usando il tempo presente?
Da oggi stimerò un po’ di più Moccia e il suo Tre metri sopra il cielo. Perdonatemi [e segnalatemi] ogni svarione verbale, perché ho davvero molto seriamente alquanto faticato ad usare ‘sto presente.

5. King’s Road e Sloane Street sono in assoluto le vie più care e chic di Londra, ci hanno abitato e ci abitano da decenni tutte le personalità più famose e ricche della capitale.

6. Enrico VIII (re d’Inghilterra dal 1509 al 1547) uccise davvero un bel po’ di mogli, trovando varie scuse più o meno plausibili. Tutto questo ricambio gli fu necessario perché nessuna regina si decideva a sfornargli l’erede maschio che desiderava per evitare la successione femminile (maschilista!). Ma probabilmente il problema doveva essere lui, perché l’unico maschietto che uscì dopo 6 mogli era pure malaticcio, e gli morì a soli sedici anni, lasciando il trono d’Inghilterra proprio ad una donna (fatica sprecata Enrico, mi dispiace…) E non ad una donna qualunque… bensì a colei che passò alla storia col simpatico soprannome di Bloody Mary… ** (cos’è.. pensavate davvero che fosse solo il nome di un cocktail?... XD)

P.S. Nel finale c'è una citazione di Doyle abbastanza nascosta, ma che alle amanti dello slash sherlockiano non dovrebbe sfuggire... ** Chi la azzecca vince una bambolina!

P. P.S. And the doll goes to... Madame Butterfly! Complimenti per la memoria e l'acume. Era davvero difficile visto che praticamente il collegamento esisteva solo nel mio cervello...

  
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