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Autore: Simphony    17/02/2011    7 recensioni
[Storia classificata V al contest "Psicolabili a Vita" indetto da DominoWhite sul forum di EFP] Merlin non avrebbe mai creduto di arrivare ad un tale senso di follia. Non avrebbe mai creduto che un giorno tutto il mondo si ribaltasse in quel modo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Autore: Simphony.

Titolo della storia: Follia.

Fandom: Merlin.

Genere: Drammatico, Angst.

Rating: Giallo.

Pairing: Arthur x Merlin.

Avvertimenti: One Shot, Slash.

Numero Scelto: 8 – Negozio di Bare.

Caratteristica scelta: Mitofobico.

Note dell’autore: /


*°*

Follia

*°*


Merlin non avrebbe mai creduto di arrivare ad un tale senso di follia. Non avrebbe mai creduto che un giorno tutto il mondo si ribaltasse in quel modo.

Sembravano in balia di una tempesta, ma la verità era che la tempesta altri non era che Uther stesso.

Un tirannico e dispotico sovrano che sembrava rovesciare il mondo come tutti lo conoscevano.


Tutti sapevano della fissazione di Uther e della sua avversione verso la magia. Quasi nessuno invece sapeva che tutto era iniziato con la nascita di Arthur, con il sacrificio della madre, con la maschile volontà di un erede che Ygraine non gli poteva dare.


Ma mai, mai Merlin aveva pensato di vedere la scena che gli si presentava davanti gli occhi.

Tutto causato dalla paura di Uther per coloro che erano diversi da lui.
Tutto causato dal terrore che il male si annidasse in quella che lui pensava fosse la ridente e felice città di Camelot.


La paura gli offuscava gli occhi. Gli aveva tolto il senno.

Perché solo un uomo che ha perso la ragione manderebbe il proprio figlio al rogo.


Arthur aveva passato due giorni in prigione. Avrebbe dovuto essere frustato per l'uso della magia, ma le guardie si erano rifiutate appena Uther aveva lasciato la cella.

Ma fino a che lui non lo aveva abbandonato, loro non avevano potuto fare altro.


Subito allora Merlin era stato chiamato e portato nella cella con dei medicinali.


Arthur non voleva farsi curare da nessun'altro, nemmeno da Gaius.


Mentre ritornava dal mercato della città bassa, incredibilmente silenziosa dopo che la notizia dell'imminente morte del Principe aveva fatto il giro di tutta Camelot e dintorni, Merlin si fermò, senza volerlo, davanti ad una bottega.


I brividi lo iniziarono a scuotere, mentre gli occhi diventavano lucidi.


Davanti a lui, una bara, di mogano nero.
Davanti a lui, il luogo dove il suo signore avrebbe passato il resto della sua esistenza, una volta morto.


Il venditore si affacciò, guardando chi era.

Tutti alla città bassa lo conoscevano. Era il servitore di Arthur, il futuro Re.


L'uomo fissò il mago.


« Mi dispiace per il Principe. » disse solo rientrando nel negozio senza guardarlo oltre.


Merlin chinò gli occhi, stringendo a sé la borsa con le erbe mediche. Poi riprese a camminare senza guardarsi intorno, rientrando al palazzo.


Scese fino alle prigioni, entrando nella cella dove Arthur giaceva, ferito e sanguinante.


Quante volte Merlin aveva visto la bianca e liscia schiena del suo Signore? Quante volte aveva potuto ammirare la sua perfezione?

Eppure ora strisce di sangue, che simboleggiavano la pazzia di un uomo nei confronti del proprio figlio, ombravano la perfezione a cui era abituato e si costrinse a non piangere.


Non voleva e non poteva.

Non voleva credere a quello che stava accadendo e non poteva permettere che tutto quello continuasse.


Non poteva crederci.

Arthur era davvero ansimante e sanguinante fra le sue braccia.

Davvero le sue lacrime gli stavano scivolando fra i capelli biondi.


Era assurdo.

Era solo un incubo. Si sarebbe svegliato, in ritardo, sarebbe arrivato da Arthur con la colazione in ritardo e una coppa sarebbe invece puntualmente volata verso di lui, lanciata da un Principe furioso, già sveglio e pimpante.


Arthur gli prese il polso. Tossiva sangue.
Cosa altro gli aveva fatto il padre?


« Smetti di piangere. » gli ordinò « Femminuccia. » borbottò asciugandosi la bocca sanguinante con un lembo della camicia che indossava.


« Vedrete, vostro padre tornerà in sé. » sussurrò solo mentre passava delicatamente la pezza bagnata sulla schiena del padrone « Lui... non può davvero continuare con tutta questa follia. » mormorò inghiottendo un singhiozzo, rivolto più a sé stesso che al ragazzo che stava medicando.


« Fai piano. » lo rimproverò aspro Arthur senza guardarlo.


Arthur appoggiò la fronte contro i polsi, socchiudendo gli occhi. Non poteva vedere Merlin in quelle condizioni.

Non poteva continuare a vederlo piangere, per causa sua. Non era così che doveva andare.

Lui doveva essere felice. Con lui, se possibile.


Artigliò la paglia con tutta la forza che aveva, imponendosi di non gridare.


Non era mai stato frustato prima di quel giorno. Non era mai stato imprigionato prima di allora, non per una causa seria. Per quanto avesse cercato in tutti quegli anni di evitare ogni ingiustizia ai prigionieri, non si era mai trovato sulla riva opposta del fiume.


E sentire la mano, seppur leggera di Merlin con una pezza disinfettata sulle sue ferite vive, gli sembrava ogni secondo una sconfitta su tutta la linea.


Merlin continuava a trattenere i singhiozzi, anche se tutto quello sforzo continuava a non servire a nulla dato che Arthur poteva sentire ogni respiro del ragazzo come se fossero urla nelle sue orecchie.


« Puoi smettere di piangere per favore? » ringhiò cercando di guardarlo.


Il solo storcere leggermente il collo gli procurava dolore. Rinunciò quasi subito alla sua impresa. Anche perché non voleva continuare a vedere il volto rigato dalle lacrime di Merlin un secondo di più.


« Non avete paura? » sussurrò Merlin dopo quasi un'ora di silenzio.


Arthur osservò le mani bianche del ragazzo che strizzavano la pezza bagnata nella bacinella. Osservò l'acqua un tempo limpida, adesso rossa del suo stesso sangue.


« Solo i codardi hanno paura. Io sono il principe. Non sono un codardo. »


« Morirete. Avere paura della morte non vuol dire essere un codardo. » esclamò Merlin quasi con rabbia continuando a strizzare la pezza nella ciotola.


« Non dirmi come mi devo comportare. » replicò il principe « Finisci il tuo lavoro. E questa sera lascia Camelot. Vai lontano da qua. »


« Cosa? Arthur, siete impazzito? » sussultò « Io... cercherò di parlare con vostro padre e allora voi... »


« Se cerchi di parlare con mio padre. » lo interruppe il biondo seccato « Farà mettere al rogo anche te. Questa sera lascerai Camelot, per non farvi più ritorno. » ripeté voltandosi lentamente e dolorosamente verso il servitore.


« Principe, io... »


« Non voglio che tu veda. » urlò esasperato « Non voglio che tu veda mentre mi portano là sopra, non voglio che tu veda quando accenderanno il fuoco, non voglio che tu mi veda mentre brucio vivo. » continuò mentre gli occhi scuri, solitamente onesti e un po' ribelli, si riempivano velocemente di lacrime.


« Merlin, tu non devi trovarti a Camelot domani mattina. » ripeté quasi più dolcemente « Me lo devi promettere. »


Il giovane non rispose, ma si limitò a continuare il suo lavoro, cercando di muoversi il più lentamente possibile.


Merlin non voleva andarsene. Non voleva scappare da Camelot mentre il suo ragazzo, il suo Principe, l'uomo con il quale il suo destino era legato, moriva bruciato a causa della pazzia di un uomo.

Un uomo che per estirpare la magia dal proprio regno, non ci aveva pensato due volte e aveva condannato Arthur al rogo. Il proprio figlio.

Il proprio amato e sofferto figlio.


Non aveva perso solo la moglie a causa della propria ottusità.

Ma le sue stesse mani, per la seconda volta si macchiavano del proprio sangue, del sangue di chi amava e di chi aveva sempre sacrificato tutto quanto pur di compiacerlo.


Prima Ygraine, che con l'inganno ha partorito un figlio a cui non avrebbe potuto fare da madre.

Poi Arthur, il figlio tanto voluto, per la quale aveva sacrificato la donna che amava e che adesso attendeva con una regale rassegnazione la propria sorte.

Era riuscito ad alzarsi a sedere, nonostante le proteste del compagno e fissava con sguardo vuoto le grate della prigione, dalla quale poteva vedere le sue stesse guardie che portavano fasci e fasci di legna da bruciare.


Per lui.


Ogni tanto qualche popolano cercava di fermarle, ma invano. Chinando la testa, anche gli uomini che più amavano il principe dovevano eseguire gli ordini del Re.


« Principe, smettete di guardare. » mormorò piano Merlin, riprendendo a pulire e disinfettare le ferite, di nuovo aperte e sanguinanti.


« Non hai ancora promesso Merlin. Non lascerai questa cella senza avermelo promesso. » replicò altrettanto piano Arthur.


Il giovane mago accennò un sorriso, inghiottendo i singhiozzi. La sua mano tremava, il suo respiro era affannato. Ma il principe sembrò non farci particolarmente caso.


« Non vi abbandono principe. E lo sapete bene. Rimarrò al vostro fianco, fino alla fine. »


« Moriresti con me? » chiese Arthur voltandosi finalmente a guardarlo.


Scuro nell'azzurro.
Fermezza nella disperazione.

Amore nell'amore.


Gli occhi dei due ragazzi parlavano da soli. Ma Merlin sapeva che doveva dirlo a voce alta, che doveva dare prova al suo principe che non era da solo.


Abbozzò un sorriso, cercando di fermare le lacrime socchiudendo gli occhi.


« Se fosse necessario per salvare voi, morirei io. Se fosse necessario per starvi accanto, morirei al vostro fianco. »


Improvvisamente Arthur lo abbracciò, stringendolo a sé con una forza quasi disumana. Le unghie del condannato a morte si conficcarono dolorosamente nella schiena di Merlin, come a dargli un'ulteriore prova che quello non era un incubo, ma la realtà.

Merlin sentiva il fiato corto dell'amante sul proprio collo, mentre piccole, lente e leggere lacrime gli bagnavano la camicia.


Il mago cercò di abbracciarlo delicatamente, tentando di non sfiorare le ferite nude che avevano, nuovamente, ripreso a sanguinare sporcandogli le dita incredibilmente bianche.

Merlin si guardò le mani.

Il sangue del suo Principe. Il sangue che non poteva lavare e che sarebbe rimasto per sempre impresso a fuoco dentro di lui.

Il sangue di colui che amava e che non poteva salvare.


« Adesso mi devi promettere che tu andrai via da Camelot. Che la lascerai per sempre. Che non tornerai mai più qua e che ti dimenticherai di me. »


« Cosa... Voi... Principe, voi... non posso dimenticarvi, siete proprio uno stupido. » esclamò a voce troppo alta, con le mani che tremavano troppo, con il respiro troppo corto, con il cuore che batteva troppo veloce.


Arthur lo lasciò andare, appoggiandosi con fatica e dolore al muro gelido della prigione, uno degli ultimi luoghi che avrebbe visto prima che qualunque cosa fosse stata inghiottita dalle fiamme.
Avrebbe avuto comunque il tempo, la ragione e la lucidità per guardare suo padre, per guardarlo negli occhi, mentre il fuoco gli bruciava i lembi dei vestiti e la carne.


« Vattene per favore. Non ho le forze per dirtelo un'altra volta. »


Merlin lo guardò. Doveva fare qualcosa. Doveva, doveva, doveva fare qualcosa per salvarlo.

Ancora non capiva come Uther avesse solo potuto immaginare che Arthur praticasse la magia.


Probabilmente Morgana aveva lasciato quel libro di incantesimi in bella vista. E sempre la pupilla del re aveva usato la magia nella stanza, quando solo padre e figlio erano presenti.

E forse, in quel momento stava attendendo con ansia il momento del rogo bevendo un bicchiere di vino e si stava preparando a versare lacrime su lacrime per fingere che la morte di colui che era sempre stato suo fratello la stesse divorando dall'interno.


Il mago si avvicinò lentamente, gli passò una mano sulla spalla muscolosa e forte, fino a scendere per stringergli la mano nella propria, così incredibilmente piccola rispetto a quella del principe.


Poi lo baciò.


Forse per l'ultima volta. Forse fu proprio per quella consapevolezza che quel bacio aveva il sapore della disperazione, della rabbia. Aveva il salato sapore delle lacrime, il sapore della possessione mentre le mani di Arthur si stringevano sui suoi fianchi, stringendo fino a fargli male, fino a che le unghie non lo ferirono e fino a che non si ritrovò con la faccia al muro, mentre il Principe lo penetrava con una tale forza e una tale disperazione che il dolore per l'imminente perdita di Arthur faceva più male di ciò che il principe gli stava facendo.


Quando Merlin lasciò la cella dove Arthur avrebbe trascorso le ultime due ore della vita, in solitudine, sentiva come un macigno che gli pesava sul petto.

Arrivato a casa, aprì la porta e seduto su uno sgabello vide Gaius. Abbassò subito gli occhi, stringendo le mani a pugno, con rabbia.


Senza dire nulla si diresse nella sua stanza e prese il libro, iniziando a sfogliarlo senza vedere realmente ciò che c'era scritto.

Doveva trovare un modo per salvare Arthur. Doveva trovarlo.
Doveva riuscire a tirarlo giù dal rogo. Non poteva, non poteva lasciarlo morire senza fare nulla.


*°*


Quando si svegliò sentiva il rumoreggiare della gente. Non si ricordava quando i suoi occhi si erano chiusi contro la sua volontà, ma il danno ormai era fatto.

Si affidò al suo istinto.

Non gli importava cosa gli sarebbe accaduto.


Ma Arthur non poteva morire.


La gente si ammassava intorno al rogo. Due cavalieri stavano legando il principe con poca convinzione e ogni tanto loro stessi, il popolo, le guardie lanciavano occhiate ad un Uther severo, chiuso, che guardava con odio il figlio, mentre al suo fianco Morgana piangeva lacrime silenziose, lacrime di gioia, lacrime che l'intero popolo immaginava fossero di dolore.


Con Arthur fuori gioco, il trono sarebbe stato suo.


La rabbia iniziò a montare senza che riuscisse a tenerla sotto controllo. Vedere lei che gioiva della situazione, ricordarsi di come Arthur poche ore prima piangeva per la prima volta davanti a lui, lo rendeva cieco.


Si avvicinò spintonando la gente, non curandosi minimamente di quello che dicevano o facevano.


« Lasciate il Principe. » esclamò con tutta la rabbia che aveva in corpo.


Salì a fatica sul rogo, non sentendo le parole di Arthur, dei cavalieri, del Re stesso.

Non sentiva il rumoreggiare della gente, del popolo che lo guardava senza capire che cosa avesse nella testa.

Nessuno lo sapeva, che cosa gli passava esattamente per il cervello. Nemmeno Merlin lo sapeva.


La rabbia e la disperazione più cieca lo stavano trascinando in un vortice dal quale non poteva più uscire.


Arthur morto.


Impossibile anche solo da pronunciare.


I cavalieri lo stavano trascinando giù, Arthur urlava parole che non capiva, le guance del servitore rigati da fiumi di lacrime che solcavano il suo volto come un predatore affamato.


« Merlin, sparisci. » tuonò Arthur.


Solo allora lo sentì. Solo allora lo vide.

Lo vide veramente.


Il suo adorato Principe legato come un ladro al palo del rogo. Leggermente piegato sulle ginocchia, il volto deformato dal dolore delle frustate della sera precedente, gli occhi lucidi e così disperati.

Le braccia muscolose tese nello sforzo di tenersi eretto, di farsi ascoltare dal servitore.

I capelli biondi sporchi dalla terra e dalla paglia della prigione, l'unico ultimo giaciglio per un prigioniero arrivato alla fine dei suoi giorni.

Le labbra spaccate a causa dei continui e violenti morsi. Quelle labbra che tanto amava e che tanto avrebbe voluto continuare a baciare.


Si fermò, improvvisamente senza forze.

Si accasciò fra le braccia di Sir Leon e di qualche altro cavaliere a lui sconosciuto. Cadde sulle ginocchia, mentre le lacrime non si fermavano.


« Merlin, sparisci. » ripeté il Principe, con una autorità tale che un condannato a morte non dovrebbe più possedere.


« Principe... Principe... » sussurrava lo stregone.


Poi socchiuse gli occhi. E si voltò verso Uther, gli occhi pieni di rabbia, di odio, di disprezzo per un uomo che ormai aveva perso la ragione.

La sua paura della magia, delle vecchie leggende, dell'Antica Religione, di tutti i miti ad essa connessa stavano rovesciando e spezzando il naturale legame fra padre e figlio.


« Voi siete un uomo ottuso, privo di ragione. Voi, proprio voi che avete ucciso prima vostra moglie, ora non esitate a mettere al rogo il vostro unico figlio. Siete una vergogna per tutto il popolo di Camelot. » urlò con tutto il fiato che possedeva, con tutta la rabbia che permeava il suo corpo, con tutta la disperazione di chi sta perdendo il proprio padrone e il proprio amante.


Non udì le parole di Uther. Non udì le parole in sua difesa di Sir Leon. Non udì le parole di Arthur.


Vide solo un cavaliere che accendeva il rogo. Vide il volto deformato del suo principe fra le fiamme. Vide tutto ciò per il quale aveva combattuto negli ultimi anni scomparire dalla sua vista, oscurata dalle lacrime, dal fumo, dal fuoco.


Piangeva Merlin. Senza sosta.

Urlava Merlin. Il nome del suo amato Principe, costretto ad una morte troppo violenta e troppo ingiusta.

Si dibatteva, senza riuscire a liberarsi, con il corpo e la mente svuotate da ogni nozione magica.


Lo vide invece accasciarsi al suolo, dopo minuti interminabili di follia, fra la cenere del legno e del suo stesso corpo.


Urlò. Urlò tutto il suo dolore.
Aveva perso anche lui la ragione. L'aveva completamente perduta.


Afferrò una spada. Una caso. Non sapeva di chi era.

Cercò di lanciarla verso Uther, ma le frecce delle balestre lo raggiunsero ancor prima che il suo corpo formulasse il proprio pensiero.


Cadde a terra, con un solo tonfo sordo. La spada scivolò via dalla mano, rintoccando il metallo freddo sulla pietra per qualche secondo.


Il cielo quel giorno era sgombero da nuvole. Un cielo azzurro, limpido.

In una giornata del genere Arthur amava andare a caccia se non era impegnato in qualche lavoro diplomatico con il padre o con gli allenamenti dei cavalieri.


Non ci sarebbe andato mai più.

Così come Merlin non lo avrebbe più accompagnato.


Socchiuse gli occhi, lentamente.

Ripensò intensamente al volto di Arthur. Se doveva morire, voleva farlo pensando a lui.


Il suo sorriso si impresse indelebilmente nella sua memoria.


Forse fu per quello che quando Sir Leon si accovacciò accanto a lui e non poté fare altro che constatarne la morte, lo vide sorridere.


Fine

   
 
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