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Autore: Graine    17/02/2011    10 recensioni
Piccola song-fic sulle note della canzone "The Mummers' dance" di Loreena McKennitt - di cui ho messo il link youtube -, racconta il modo in cui il Piccolo Popolo e la sua Regina celebrano l'arrivo della primavera. Buona lettura! :)
Questa storia ha partecipato al contest "La notte degli Oscar" indetto su Writers Arena Rewind, aggiudicandosi l'Oscar per le migliori descrizioni.
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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http://www.youtube.com/watch?v=K7jcWYtAIb8&feature=fvst



The Fairy Queen
 

 

Una musica soave proveniva dal fitto del bosco.
Ipnotica e delicata, invitava a seguirla e a danzare allo stesso tempo. A correre fra gli alberi guardandosi intorno per trovarne la fonte, mentre il flauto si burlava del viaggiatore e l'arpa e il tamburo gli facevano compagnia.
Una melodia completata dal canto degli uccelli e da quello del vento che frusciava tra le fronde degli alberi, sussurrando piano i suoi segreti tra le foglie. I segreti della Primavera dell'anno.
E c'era anche una voce, che accompagnava la musica. Con suono limpido e carezzevole, levava il suo canto privo di parole conquistando, corrompendo ed estasiando l'udito di chi l'ascoltava.
Era una festa fatta di giochi, musica e danze, che celebrava lo sbocciare dei germogli e l'ismeraldirsi* delle foglie, il tepore del sole brillante e il belare degli agnelli.
E lei era lì, in piedi sulla roccia, e li dirigeva e li osservava ballare davanti e intorno a sé. Sorrideva e muoveva le mani, ballando anche lei e seducendoli col candore del suono della sua voce. Avvolta in quel vestito dello stesso brillante colore dell'erba, tenuto fermo in vita da una cintura di fiori.
E mentre intonava quella melodia, i suoi capelli erano smossi dalla brezza viva della primavera. E sparpagliandosi nell'aria, essi cambiavano colore: dall'oro al rosso, dal rosso al castano, dal castano al nero. E dal nero, di nuovo all'oro. Di continuo, all'infinito.
Una corona di rose, alloro e lavanda le cingeva il capo, innalzandola agli occhi di chi – sciocco e raro – non ne percepiva il potere.
E le genti, lì riunite, le ballavano intorno, ridendo e scherzando. Allietati dalla musica di cento pifferi e flauti di Pan, di cinquanta tamburi e di trenta di arpe e violini. Innalzavano le loro preghiere al cielo, celebrando la Primavera dell'anno, loro che erano il suo popolo: il popolo della Regina delle Fate.
E se ne stavano lì riuniti, in quella radura nel fitto del bosco. Dove le querce e le betulle, insieme ai frassini, ai tassi e agli olmi li circondavano benevoli, componendo un Cerchio Sacro dove solo la celebrazione della Festa era ammessa. E gli alberi erano decorati con nastri di tanti colori, proprio come il popolo raccolto in festa e i capelli della loro Signora. Ognuno aveva, al collo o in vita o ai polsi, ghirlande di fiori vivi e sgargianti, capaci di sbocciare anche se recisi dal suolo. Perché l'energia che li univa era una sola e pulsante e danzava insieme al ritmo dei cuori lì radunati, che battevano imitando la stessa cadenza delle melodie giocose dei tamburi.
Per tre giorni e tre notti, la festa li vedeva impegnati a danzare; battevano le mani e saltavano, incuranti – o forse no – del calare del sole e del sorgere della luna, dell'alternarsi del giorno e della notte.
E la Regina li allietava con la sua voce per tutto quel tempo, mai stanca e sempre gioiosa, perché il suo popolo avvertisse con lei la magia della Primavera dell'anno e ne accogliesse e innalzasse il Potere.
E la mattina del primo giorno, quando il sole era al centro del cielo e le ombre degli alberi erano lunghe sul suolo, la melodia priva di parole che ella intonava mutava, trasformandosi nella canzone della festa.
La musica cessava ad un cenno della sua mano, per poi riprendere diffondendo le Note Sacre che ella aveva tacitamente richiesto, e dopo poco la Signora parlava intonando col canto quelle Parole di Potere.
 
«When in the springtime of the year,
when the trees are crowned with leaves...
When the ash and oak, and the birch and yew
are dressed in ribbons fair...».
 
Diceva la Regina, la Somma Signora che li amava tutti e che loro tutti amavano, e comandata dalle sue parole la danza mutava anch'essa.
La naturale spontaneità che le era propria lasciava il posto a passi misurati e cadenzati da eterna ritualità.
Passi e gesti scolpiti nella memoria del suo piccolo popolo da sempre e per sempre.
Indicava gli alberi intorno, mentre li elencava, ricordando che erano l’oggetto della loro celebrazione. Ricordando che era la stabilità e la fecondità della terra, ciò per cui erano lì riuniti a pregare e danzare.
 
«When owls call the breathless moon
in the blue veil of the night,
the shadows of the trees appear
amidst the lantern light...».
 
Era un canto melodico che trascinava la moltitudine, la comandava, invitandola a riunirsi sempre più vicino a lei e poi a disperdersi tra gli alberi del bosco, saltando e danzando intorno ad essi, benedicendoli e ringraziandoli, prima di tornare nella radura. Ancora e ancora.
E la Regina cantava, mentre la luce del sole veniva a poco a poco sostituita dai raggi argentei della pallida luna e le ombre si allungavano tanto fin quasi a scomparire nell'oscurità della notte, prima che i falò venissero accesi facendo vibrare il mondo sotto quel manto di oscurità. E le civette e i gufi si alzavano in volo, richiamati dalla loro Signora, per volare liberi in quelle notti di festa. Animando l'aria anche del loro canto, mentre il popolo eccitato si aggirava danzando per il bosco, agitando le torce che avevano acceso col fuoco dei Sacri Falò.
 
«We've been rambling all the night
and some time of this day,
now returning back again,
we bring a garland gay...».
 
Danzavano ridendo e seguendo senza difficoltà i passi spediti e gioiosi della cerimonia, per tre giorni e tre notti, senza mai fermarsi, senza mai essere stanchi, andando sempre avanti.
Accogliendo il viaggiatore stanco e assonnato che si perdeva nel sentiero e vagava tra gli alberi. Lo accoglievano e lo portavano a danzare con loro, facendogli dimenticare ogni torpore.
E il sole sorgeva al ritmo di quel loro ballo, mentre il popolo festeggiava portando orgoglioso le sue ghirlande di fiori vivi e pulsanti.
 
«Who will go down to those shady groves
and summon the shadows there
and tie a ribbon on those sheltering arms
in the springtime of the year...».
 
E a quei quesiti, il popolo rispondeva volteggiando in cerchio, intorno ai tronchi degli alberi. Mentre i flauti levavano alti i loro canti e le arpe li accompagnavano con elegante armonia.
 
«The songs of birds seem to fill the wood,
that when the fiddler plays
all their voices can be heard
long past their woodland days...».
 
E danzavano ancora al sorgere del sole, quando gli uccelli del bosco prendevano il posto delle civette e dei gufi nel cielo, salutando col loro vivo e melodico cinguettio il sole.
E il popolo ballava e per un momento anch'esso cantava, mentre gli esuberanti violini si facevano avanti per il loro assolo sfrenato.
Ballava e ora taceva di nuovo, ridendo e saltando, mentre la voce cristallina della sua Signora si levava di nuovo alta, accompagnata dalla musica che echeggiava per il bosco.
 
«And so they linked their hands and danced
round in circles and in rows,
and so the journey of the night descends
when all the shades are gone!».
 
E la Regina danzava sulla pietra, muovendo sinuosa le braccia e le mani, e guardando il suo popolo che ora si prendeva per mano riunendosi in cinque cerchi danzanti intorno a lei. Dal più grosso tra gli alberi, fino al più piccolo che avvolgeva la roccia sopra cui ella stava.
E tutti insieme continuavano ancora e ancora, per un altro tramonto e per un'altra alba ancora. Mentre le ombre si destavano, si allungavano per poi sparire, dissipandosi nella magica inconsistenza della notte.
Danzavano e saltavano, volteggiavano e ridevano, mentre il resto del mondo oltre il bosco riposava nella tacita oscurità.
 
«A garland gay we bring you here
and at your door we stand!
It is a sprout well budded out
the work of Our *Lady's hand!».
 
E il coro del popolo si levava di nuovo, sostituendo la voce della loro Signora, mentre lei sorrideva a tutta la radura e a quei cerchi che le si muovevano intorno come fanno i cerchi creati da una pietra che rimbalza sul pelo dell'acqua. Li osservava e amava e benediceva ogni volto, donando loro tutta se stessa in quella festa di vita pulsante e di armonia scatenata.
E quando poi il viaggiatore, stanco ma felice se ne andava, benedetto dal bacio della Somma Signora, ella cantava di nuovo ed essi danzavano ancora. 

 
 
 
 

FINE 
 




    

Angolo autrica:
    *"ismeraldirsi" è un termine che non esiste! Ho creato un piccolo neologismo, spero vogliate passarmelo! xD
*Nella canzone, in realtà, il verso dice "The work of Our Lord hand" ma dato che qui si parla della Natura - al femminile - e della Regina delle fate, della Somma Signora, mi sono concessa questa piccola modifica! :D
Detto ciò, questo racconto reca in sé un pezzo del mio cuore - ma come sono sdolcinata! Frutto di un'ispirazione fulminante, come gli ictus, non sarebbe stata scritto senza le meravigliose note della canzone che l'ha ispirata e della sublime voce di Loreena. Infine, questo racconto ha partecipato al contest "La notte degli Oscar" indetto su Writers Arena Rewind (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10523365 ).
 

Graine
 

 

   
 
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