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Autore: CowgirlSara    21/02/2011    8 recensioni
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 - Heart painting
Questa è la mia nuova ff. E’ un’idea che avevo in testa da un po’, ma solo il trasferimento dei gemelli nella città degli angeli (e dove altro potrebbero stare? *_*) mi ha ispirato la trama definitiva.
Non sarà lunghissima, ma era un po’ di tempo che non avevo la certezza di poter finire una storia, quindi ne sono fiera. Ma non chiedetemi tempi e numero di capitoli, perché è ancora in corso!
Per la prima volta posto in contemporanea su Efp e sul forum delle AdulTh, speriamo bene…

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono, così come gli altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.  

  
Vi lascio, che mi sono dilungata anche troppo ^_^
Aspetto i vostri commenti, buona lettura!
 
Sara
 
Across the Border
From Tokio to L.A.
 
1. Heart Painting
 
Pardon the way that I stare
There's nothing else to compare
The sight of you leaves me weak
There are no words left to speak
But if you feel like I feel
Please let me know that it's real
(Can't Take My Eyes Off Of You) *
 
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
Era completamente vestito di nero, escluso che per i riflessi violacei della giacca che portava col colletto rialzato. Doveva avere il collo lungo.
I capelli erano tagliati molto corti ai lati, più lunghi nel ciuffo corvino e pettinati ordinatamente col gel. Teneva elegantemente una flûte con una mano, mentre con l’altra si circondava il torace.
Reggendosi in un equilibrio che, allo stesso tempo, sembrava precario e perfetto per lui, sulle snelle e lunghe gambe da fenicottero, osservava con genuina curiosità il quadro. I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Sembrava veramente colpito da quello che vedeva, così come lo era lui. Voleva conoscerlo.
 
 
*****
 
 
Bill stava osservando il quadro. Era grande, tipo due metri per tre, ma questo non lo rendeva meno intenso. I colori, in contrasto tra caldi e freddi, sembravano lasciare la tela, per la loro forza; le pennellate potenti, i colpi di luce quasi improvvisi, le zone d’ombra, tutto sembrava parlare direttamente alla sensibilità artistica ed estetica del ragazzo. Diede un’occhiata panoramica agli altri dipinti nella sala, poi tornò a quello che stava guardando, dedicando una certa attenzione alla firma.
M. H. Heller…
Il cantante pensò che quel pittore incontrasse decisamente il suo gusto, nonostante le sue opere avessero delle notevoli dimensioni. Bevve un sorso dal bicchiere che aveva in mano, dicendosi che avrebbe dovuto complimentarsi con lui.
“Ti piace?” Gli domandò una voce alla sua sinistra; il ragazzo si voltò flessuoso.
Chi gli parlava era un giovane poco più basso di lui, la pelle appena dorata dal sole, i corti capelli castani tagliati in una zazzera disordinata. Lo fissava con un sorriso sincero ed un paio di curiosi occhi blu, circondati da lunghe ciglia scure.
Bill gli diede una veloce occhiata, valutando il suo abbigliamento fatto di jeans slavati e maglione dai colori neutri. Secondo lui voleva apparire trascurato, ma ad un occhio allenato come quello del cantante non poteva sfuggire la prestigiosa firma dietro a quel capo di maglieria portato con nonchalance. E poi aveva una faccia simpatica e aperta, quindi decise che poteva essere gentile.
“Molto.” Gli rispose con un piccolo sorriso, poi scrutò di nuovo il dipinto. “È molto grande, ma mi piacciono i colori, queste luci e… Insomma, mi trasmette emozione e io amo le cose che mi trasmettono emozione, anche se…” Continuava a parlare, movendo le mani e l’altro lo osservava divertito. “…non è il mio preferito, preferisco quello là in fondo, adoro l’arancione.”
L’altro ragazzo fece una risatina allegra. “Quindi compreresti uno di questi quadri?” Gli chiese poi.
“Oh, sì!” Rispose Bill sicuro. “Comprerei quello arancione.” Continuò indicando il dipinto sulla parete di fronte. “Hai idea di quanto possa costare?”
“Beh, direi circa trenta…”
“Trenta dollari?!” Esclamò stupito il cantante.
“Trentamila.”
“Oh! Capisco…” Annuì quindi. “Per spese superiori a diecimila devo consultare il mio commercialista, che sta in Europa.”
L’altro si concesse un’espressione compiaciuta. “Sei un compratore oculato.” Affermò quindi.
“Decisamente.” Replicò compito Bill, poi si scambiarono uno sguardo divertito e scoppiarono a ridere. “Bill, piacere.” Si presentò infine il cantante, porgendo la mano.
“Michael.” Rispose lui, stringendola.
Rimasero per qualche istante così: mano nella mano, fissandosi negli occhi.
Michael si disse che aveva fatto bene ad avvicinarsi e rivolgergli la parola: gli occhi e il sorriso di Bill erano abbaglianti, indimenticabili.
“Non sei di queste parti, eh?” Soggiunse Michael, una volta che si furono lasciati le mani.
“E cosa te lo fa pensare?” Ribatté Bill. “Credevo di avere un perfetto accento californiano!” Aggiunse scherzoso, cosa che intensificò la durezza della sua pronuncia.
L’altro sorrise dolcemente. “Sembra più una cosa… mitteleuropea…” Ipotizzò poi.
“Germania dell’Est.” Ammise il cantante tranquillo, quindi prese un sorso del suo champagne.
“Ecco.” Annuì divertito Michael; gli piaceva parlare con quel ragazzo all’apparenza tanto raffinato, ma così naturale e quasi buffo nella conversazione. “Frequenti spesso i vernissage?” Gli chiese, infatti, curioso.
“A dire il vero…” Esordì Bill, prima di finire la bevanda. “…non sapevo nemmeno cosa fosse un vernissage, prima di stasera. E dire che mia madre qualche mostra l’ha anche fatta…” Quindi, in un solo gesto, ruotò quasi danzando e posò il bicchiere sul vassoio di un cameriere di passaggio.
“Tua madre dipinge?” Domandò sorpreso Michael, dopo aver assimilato la grazia con cui si era mosso il suo interlocutore.
“Sì.” Annuì compito. “Niente di così grande e lirico, però… mi piacciono.” L’altro sorrise di nuovo.
“Ho l’impressione che anche tu sia un artista…” Disse Michael ispirato.
Bill abbassò un attimo gli occhi, con un sorriso quasi timido. “Beh, immagino che nel mio campo io… lo sia.” Affermò quindi, tornando a guardarlo in faccia.
“E in che campo…”
“Michael?” Lo chiamò una voce alle sue spalle, lui e Bill si voltarono.
Era un ragazzo pallido e biondo, con un completo blu, due sottili occhi azzurri e un’espressione a metà tra l’infastidito e l’altezzoso.
“Johnathan…” Mormorò vagamente imbarazzato Michael, poi guardò Bill e tornò subito al nuovo arrivato. “Lui è Bill.” Presentò quindi.
Il cantante fece per porgergli la mano, ma lui lo ignorò alzando il mento. Bill arricciò il naso con espressione disturbata.
“Michael.” Riprese Johnathan, ignorando il cantante. “Blackwood e quel tipo olandese ti stanno aspettando di là.”
Michael guardò Bill con espressione delusa, ma lui gli rispose con un sorriso comprensivo.
“A quanto pare la vecchia Europa stasera ti tormenta.” Gli disse anche, sempre sorridendo.
“Mi spiace, ma non posso rimandare oltre questo impegno.” Affermò rammaricato l’altro.
“Non preoccuparti.” Soggiunse Bill, stringendosi nelle spalle. “Anche io dovrei cercare l’amica con cui sono venuto…” Aggiunse guardandosi intorno.
“È stato un piacere, Bill.” Gli disse Michael con dolcezza, facendolo voltare verso di se. Si sorrisero.
“Anche per me.” Confessò sinceramente il cantante.
“Spero di rivederti.” Si augurò l’altro ragazzo.
“Sarebbe bello…”
Li interruppe un colpo di tosse di Johnathan, che infastidì Bill e richiamò al dovere Michael; si salutarono velocemente, ma, mentre i due andavano via, il cantante si ricordò che voleva chiedergli una cosa.
“Michael!” Lo richiamò e lui si girò subito.
“Sì?”
“Tu conosci l’artista che ha dipinto questi quadri?” Chiese Bill, indicando le opere che lo circondavano.
Michael sorrise sornione. “Certo.” Rispose annuendo. “Sono io.”
E l’espressione sorpresa che fece Bill gli assicurò che la decisione di volerlo conoscere era stata la più giusta dell’ultima settimana.
 
 
*****
 
 
Bill scese fluidamente le scale, seguito da Scotty, e si diresse in cucina insieme al cane. Si fermò vicino al grande tavolo di cristallo. La vetrata, che attraversava tutto quel lato della casa, dall’ingresso fino al soggiorno, illuminava di un sole dolce tutto l’ambiente. Era una delle cose che gli erano subito piaciute di quella casa: era piena di luce.
Guardò verso la cucina; oltre il bancone, vicino al lavabo, si muoveva Eve. I capelli appuntati sulla testa un po’ a caso e una maglietta slabbrata beige sopra i leggings neri, uno dei suoi classici abbigliamenti da casa.
Era strano come quella ragazza fosse diventata parte della loro vita così in fretta. Erano passati, infatti, solo pochi mesi da quando l’avevano assunta.
Quando si era presentata al colloquio con i jeans sdruciti, gli anfibi e i capelli arruffati, Tom le aveva subito segato le gambe: lui voleva una governante come si deve, una di quelle belle donnine paffute che si vedono nei telefilm, non una mezza squatter con lo smalto sbocconcellato! E quando Bill gli aveva ricordato che lui, con gli squatter, ci aveva perfino dormito, Tom gli aveva praticamente abbaiato contro. Almeno fino a quando Eve aveva fatto notare ad entrambi che non era educato parlare davanti ad una persona in una lingua a lei incomprensibile…
Bill, invece, aveva avvertito subito qualcosa in quella ragazza. Era diversa. Sì, i suoi abiti erano chiaramente cheap, i suoi capelli necessitavano di una visita urgente dal parrucchiere e aveva un modo di fare ruvido e scontroso, ma qualcosa gli diceva che era speciale. Così l’aveva voluta mettere alla prova. E lei gli aveva cucinato la migliore pasta al pomodoro che lui e Tom avessero mai mangiato.
I primi tempi erano stati un po’ difficili per tutti. Eve era brutalmente sincera, sarcastica e molto a modo suo; per esempio, non era possibile contestarle il menu, pena il doversi ordinare una pizza per non morire di fame, cosa che lui e Tom erano stati costretti a fare più di una volta… La ragazza, però, era anche efficiente, pignola, assolutamente non invadente e fissata con la pulizia, cosa che Tom apprezzava moltissimo ma che, ovviamente, non le diceva mai.
Bill, inoltre, aveva sviluppato con lei un rapporto di amicizia particolare, che tanti non riuscivano a capire; perché Eve gli diceva sempre in faccia cosa pensava e gli amici di Bill non comprendevano come mai lui non se la prendesse a morte per i suoi giudizi taglienti. Quello che le persone vicine al cantante non capivano era che Bill, crescendo, sentiva proprio la necessità di una persona che fosse sincera con lui, che gli parlasse come ad una persona con un cervello, facendogli anche male, ma mettendolo davanti ai fatti. Bill non voleva più essere protetto, voleva avere un rapporto alla pari, voleva qualcuno che gli volesse bene senza essere accondiscendente. E Eve era così.
Su una cosa, però, Bill non voleva entrare, anche se era curioso come un babbuino: i rapporti tra la ragazza e Tom. Quei due sembravano sempre camminare su un filo, come si studiassero da mesi. Si parlavano a monosillabi, oppure s’insultavano, o si divertivano per ore con i doppi sensi di cui erano entrambi maestri. Probabilmente erano troppo simili. La maggior parte del tempo, comunque, sembravano andare abbastanza d’accordo e finché c’era pace in casa a lui andava bene.
“Volevi dirmi qualcosa, Bill?” Domandò la ragazza senza voltarsi.
Il cantante sorrise e andò a sedersi sul bancone della cucina, mentre il cagnolino preferì tornare indietro e raggiungere il divano.
“Sai quella mostra dove sono andato venerdì con Nathalie?” Esordì Bill, dondolando i piedi. Il viso di Eve si contorse in una smorfia. “Perché quando ti parlo di Naty fai sempre una faccia come se ti fossero venute le mestruazioni all’improvviso?”
“Forse perché la sua sembra quella di una che ha perennemente le mestruazioni?” Rispose pronta la ragazza.
“Oh, lasciamo perdere!” Glissò Bill. “La mostra, dicevo.” Riprese con noncuranza. “Ho conosciuto una persona…” Confessò, facendosi appena più titubante.
Eve lasciò i piatti della colazione che stava lavando e si girò verso il ragazzo, incrociò le braccia e lo fissò concentrata.
“Hai conosciuto una persona…” Ripeté seria.
“Sì.” Annuì lui, continuando a dondolare i piedi contro il mobile della cucina.
“Era un po’ che non mi dicevi di aver conosciuto qualcuno.” Affermò Eve, appoggiata al pensile dietro di se.
“Già.” Ammise Bill vago. “Però di solito te lo dico dopo.” Sottolineò quindi.
“Quindi stiamo parlando di un prima?” L’interrogò lei.
“Un molto prima, direi.” Rispose il ragazzo. “Abbiamo parlato solo per qualche minuto, in realtà, ma…” Parlava guardando verso l’alto, come concentrato a ricordare quei momenti. “Non saprei spiegare… Mi ha colpito, nonostante abbiamo parlato per poco. Era tanto che non mi succedeva.”
“Mi stai dicendo che non hai concluso?” Chiese sorpresa la ragazza.
“No!” Esclamò Bill quasi offeso. “Per chi mi hai preso?!”
“Oh, andiamo!” Sbottò Eve. “Non fare il santarellino con me! Certe storie me le hai raccontate tu, mica le ho lette sui tabloid!”
“Stronza…” Commentò lui con un mezzo sorrisino divertito. “Ok, devo ammettere che, se l’occasione lo permette, non disdegno del sano sesso fine a se stesso, ma non è questo il caso.” Confessò tranquillo.
Eve aggrottò le sopracciglia, studiando il suo interlocutore, poi si staccò dal mobile e lo raggiunse. Posò le mani ai lati del ragazzo e lo guardò negli occhi da vicino.
“Vai avanti.” Lo incitò.
“Beh…” Bill deviò lo sguardo e continuò a parlare. “Ti giuro che, mentre parlavamo, il sesso non mi è nemmeno passato per la testa. È stata una conversazione breve, però è come se fosse scattato qualcosa…” Sembrava un po’ imbarazzato ed emozionato e questo fece sorridere sinceramente Eve. “Credo di piacergli, ha detto che vuole rivedermi…”
“Chi non vorrebbe rivederti, Bill…” Commentò la ragazza.
“Smettila!” Esclamò lui ridendo e dandole una piccola spinta; anche lei rise.
Eve, quindi, si spostò da lui, tornando a lavare le tazze lasciate nel lavandino. Bill rimase seduto sul bancone, sapeva che la conversazione non era finita.
“Lui com’è?” Domandò infatti la ragazza, poco dopo.
“Cosa ti fa pensare che sia un lui?” Replicò compito il ragazzo.
“L’ultima ragazza con cui sei uscito sono io e non mi risulta che abbiamo fatto sesso.” Rispose Eve.
“Anche perché te lo ricorderesti.” Soggiunse lui con voce sensuale; si scambiarono un’occhiata divertita, prima di ridere ancora. “Ad ogni modo, sì, è un po’ che non frequento ragazze.”
“Bene, allora dimmi com’è.” Insisté lei.
“È alto più o meno come me, ha i capelli castani e gli occhi blu… Ma proprio blu, scuro, molto belli.” Descrisse assorto, con il suo solito modo di gesticolare. “Ma, soprattutto, è stato così piacevole conversare con lui, ho avuto la sensazione di poterci parlare per ore.”
“Non dubito che tu sia capace di parlare per ore senza stancarti.” Affermò sarcastica Eve.
“Oh, ti odio! La smetti di sfottere?!” Esclamò Bill fintamente offeso; in realtà reprimeva una risata. Lei, intanto, ridacchiava.
“È sexy? Affascinante?” S’informò quindi.
“Eccome se lo è! E poi è simpatico, ha gusto nel vestire, ed è un artista. Un pittore.” Spiegò il cantante.
“Un pittore…” Ripeté compiaciuta la ragazza.
“Sì, fa dei quadri bellissimi, vedessi, mi piacciono tanto!” Aggiunse entusiasta lui.
“Lo rivedrai?” Gli chiese Eve con un sorriso dolce.
“Ti ho detto: mi piacerebbe.” Rispose Bill. “Però non abbiamo nemmeno avuto il tempo di scambiarci i numeri di telefono, anche se…” Lei lo incitò con un gesto. “Ho preso qualche informazione su internet…”
“Bill!” Esclamò Eve, con giocoso rimprovero, lui rise furbo. “Dimmi.” Gli ordinò quindi.
“Allora… Ha ventisette anni, la sua prima mostra importante l’ha fatta tre anni fa, da allora è in continua crescita nelle quotazioni, insegna all’università – disegno dal vivo e prospettiva – e il suo più grande sogno, a quanto pare, sarebbe esporre un’opera al MoMa… Non so che sia questo MoMa, penso una roba da artisti…”
Il viso di Eve divenne tristemente neutro e, se fosse stata un cartone animato, le sarebbe comparso un enorme gocciolone sulla testa.
“Bill…” Mormorò atona, lui la guardò incuriosito. “Se l’ignoranza fosse musica, tu saresti un’orchestra sinfonica.” Sentenziò poi.
“Sei cattiva!” Protestò lui.
“Cazzo, ma sei una capra tibetana, che posso farci!” Ribatté lei. “Il MoMa è il più grande museo di arte moderna del mondo, a New York!”
“Senti, non sono mica il ministro dei beni culturali…” Biascicò debolmente il cantante, abbassando la testa mortificato.
Eve si pentì di essere stata brusca. Tornò da lui, si fermò fra le sue gambe e gli prese il viso tra le mani. Si guardarono negli occhi.
“Dai, scusami.” Gli disse con dolcezza. “Promettimi, però, che t’informerai meglio, prima di rivederlo.” Gli chiese.
“Devo rivederlo, Eve?” Le chiese lui, con una faccina tenera e incerta.
“Assolutamente sì!” Rispose sicura lei. “E adesso dammi un bacio.” Bill sorrise e la baciò a fior di labbra, poi si sorrisero, concludendo definitivamente la conversazione.
 
 
*****
 
 
Era una mattina tiepida e il sole illuminava senza invadenza tutta l’aula, bagnando i banchi di legno chiaro, l’enorme lavagna, la cattedra. I sedili degli studenti si disponevano come in un piccolo anfiteatro, permettendo a tutti una visuale perfetta dell’insegnante.
Bill si era scelto un posto laterale, in alto, lontano dalla massa principale degli allievi, che avevano scelto i posti centrali più in basso, vicino alla cattedra. In quel punto era tranquillo, nessuno sembrava far caso a lui, nonostante il cappello e gli occhiali da sole che non si era mai tolto.
Assistere alla lezione era stata un’esperienza affascinante. Quanto gli sarebbe piaciuto avere dei professori così! La scuola sarebbe stata tanto più interessante! Perché gli argomenti trattati gli erano piaciuti, lo avevano realmente intrigato, anche se non sapeva se fosse per la materia in se o per l’insegnante. Secondo la sua modesta opinione, infatti, Michael era un ottimo professore. La classe pendeva dalle sue labbra!
Beh, certo era molto sexy, con quella maglietta verde aderente e quei jeans assai sdruciti… Però aveva anche un’aria autorevole, spiegava con cura, precisione e semplicità. E aveva una voce bellissima! Cioè, insomma… Non dovrebbe essere dalla voce che si giudica un insegnante, però…
Quando la lezione terminò, Bill attese che gli allievi defluissero dall’aula; li guardò salutare Michael, alcuni lasciargli i loro lavori e allontanarsi uno dopo l’altro. Scese, infine, verso il centro della classe.
Davanti a Michael era rimasto solo un gruppo di tre ragazze; da dove si trovava, Bill non poteva capire cosa stavano dicendo, ma il loro atteggiamento gli ricordava quello delle proprie fans quando se lo trovavano davanti. Ad ogni modo, a Michael, non mancava niente per essere una rockstar.
Bill si avvicinò con un sorriso tranquillo, aggiustandosi in spalla la grande borsa, mentre le tre ragazze si allontanavano ridacchiando tra se e lanciando sguardi al giovane pittore; forse speravano di aver attirato l’attenzione dell’insegnante, erano effettivamente appariscenti.
Michael, poi, si era piegato sulla scrivania e sembrava cercare qualcosa, aveva la fronte aggrottata e una strana smorfia buffa. Bill sorrise fermandosi accanto alla cattedra.
“Dimmi.” L’incitò Michael senza guardarlo, forse pensando all’ennesimo allievo.
“È stata una bellissima lezione.” Affermò Bill, quindi vide la testa dell’altro ragazzo scattare stupita verso l’alto per guardarlo e poi aprirsi in un sorriso sorpreso.
“Bill!” Esclamò felice.
“Ciao.” Salutò l’altro.
Michael gli diede una veloce occhiata generale: era diverso dalla sera in cui lo aveva conosciuto. Era vestito in modo molto più semplice. Portava scarpe da ginnastica, jeans grigi aderenti, una maglietta più scura che gli andava un po’ larga, una specie di cappello floscio e grandi occhiali da sole fumé che gli coprivano metà faccia. Era bello come un angelo grunge.
“Che bella sorpresa.” Commentò infine. “Come mi hai trovato?”
“Mi sono informato…” Rispose vago Bill. “E devo dire che ne è valsa la pena, mi è piaciuto molto assistere.”
“Ne sono lieto.” Annuì Michael. “È bello rivederti.” Aggiunse dolcemente.
“Anche per me.” Replicò l’altro con un sorriso.
Seguì un momento di silenzio, in cui si guardarono; Michael cercava i begli occhi di Bill dietro le lenti, mentre lui si muoveva da un piede all’altro, tormentandoseli. Il cuore di entrambi batteva leggermente accelerato.
“Oggi hai un po’ di tempo?” Domandò quindi Bill. Dì di sì, dì di sì…
“Sei fortunato.” Rispose Michael, col suo bel sorriso aperto. “Prendiamo un caffè insieme?”
“Sì!” Accettò immediato il cantante. “Cioè… Ecco, se il bar non è troppo affollato…” Aggiunse con cautela.
L’altro ragazzo si chiese il perché di questo improvviso timore. Si era già fatto una certa convinzione, su Bill; certamente era un personaggio pubblico, ma gli sarebbe piaciuto saperne di più. Sembrava l’occasione giusta, almeno stavolta nessuno li avrebbe interrotti.
“Non preoccuparti, a quest’ora è piuttosto tranquillo.” Lo rassicurò quindi.
“Bene.” Annuì Bill. “Andiamo.”
 
Si ritrovarono a camminare insieme, lungo i viali alberati del campus, nelle pozze di luce e ombra create dalle foglie.
Michael osservava Bill al suo fianco, la sua andatura sicura, la testa alta, le labbra perfette, il collo affusolato. La maglietta gli era scivolata di lato, mostrando una invitante spalla candida; la sua pelle chiara doveva essere morbida ed elastica in quel punto… Meglio pensare ad altro.
“Così, hai preso informazioni su di me.” Affermò il pittore, quindi attese la reazione di Bill.
Lui si girò e sorrise radioso. “Detto in questo modo, sembra una roba da spie!” Commentò allegro. “In realtà ho solo dato un’occhiata al tuo sito.” Aggiunse poi, sempre sorridendo.
“Che ne pensi?” Gli chiese allora Michael.
“È molto bello.” Rispose Bill. “I tuoi quadri mi piacciono davvero tanto. Ho visto che fai anche dipinti di persone, a volte…”
“Il figurativo mi piace, ogni tanto ho ancora voglia di farlo.” Spiegò tranquillo l’artista. Si sorrisero.
“Io, qualche volta, disegno figurini, sai, per la linea di abbigliamento… insomma, per i gadget del gruppo…” Raccontò Bill con innocenza.
“Quindi lavori con un gruppo…” Soggiunse incuriosito Michael, lui annuì. “Sei un musicista.” Realizzò, Bill confermò.
“In realtà, io non suono, sono un cantante.” Precisò poi.
“L’avevo sospettato.” Replicò l’interlocutore. “Se fossi stato un attore, ti avrei conosciuto prima, visto l’ambiente che frequento.”
“Non nego che mi piacerebbe recitare ed ho anche ricevuto delle proposte, ma nessuna mi ha convinto del tutto, aspetto quella giusta.” Dichiarò Bill, gesticolando in quel suo modo particolare. “Cantare, però, mi piace ancora tantissimo, esibirmi, stare sul palco, sentire gli applausi e l’entusiasmo, l’amore del pubblico.”
“Ho la sensazione che il tuo pubblico ti ami davvero tanto, Bill.” Commentò Michael sorridendo.
“Sì. E io adoro le fans.” Confermò lui, ma poi si fece più serio. “Non è sempre facile, però, veicolare tutti questi sentimenti, è purtroppo molto semplice che l’entusiasmo dei fans diventi qualcosa di negativo e pericoloso. Mi è successo, non sono belle situazioni…”
Michael lo guardò: aveva abbassato il viso e la sua espressione si era fatta pensierosa. Era sorpreso, perché non l’avrebbe fatto una persona da riflessioni del genere, soprattutto fatte così seriamente. Ma, del resto, lo conosceva appena.
“Sai se è vietato fumare, qui?” La voce di Bill lo riscosse dai propri pensieri.
Michael si guardò intorno; erano arrivati alla caffetteria, non c’era molta gente, ma almeno un paio di gruppetti avevano all’interno dei fumatori.
“Penso proprio di no.” Rispose quindi.
“Meno male!” Esclamò il cantante sollevato, mentre estraeva dalla borsa il pacchetto di sigarette e l’accendino. “Qui in America siete molto severi ed io dovrei smettere, ma proprio non ci riesco!”
Michael avrebbe voluto commentare con una battuta simpatica, ma vedere Bill accendersi una sigaretta fu un’esperienza che lo lasciò senza parole.
Seguì ipnotizzato la lunga mano elegante portare la sigaretta alle labbra, che si schiusero delicatamente per accoglierla, con un movimento preciso della mandibola più perfetta che avesse mai visto; il tutto contornato da un profilo esatto come quello di una pittura egizia.
“Bill.”
“Hm?”
“Hai mai pensato di fare un calco delle tue mani?” Domandò Michael al cantante, mentre si sedevano ad un tavolino tranquillo, tra sole e ombra.
“Un calco delle mie mani?” Ripeté stupito il cantante, alzando un sopracciglio.
“Sono stupende, mi piacerebbe farci una scultura.” Spiegò l’altro, continuando a fissare quelle dita affusolate stringere il mozzicone.
L’espressione di Bill si aprì in un sorriso incredulo e divertito. “È il complimento più bizzarro che mi abbiamo mai fatto e, credimi, ne ho sentite di tutti i colori!” Commentò quindi. 
“Ma io dico sul serio.” Replicò tranquillo il pittore.
“Oh, beh, in questo caso…” Mormorò Bill, poi gli rivolse uno sguardo espressivo e luminoso. “Credo che potrebbe piacermi… se lo facessi tu.” Sottolineò.
Il cantante era consapevole dell’effetto che poteva fare un suo sguardo del genere. Fissava quasi compiaciuto il turbamento negli occhi di Michael. Gli piacevano i suoi occhi, quell’intenso blu scuro, metallico, vivo come uno specchio d’acqua.
Il ragazzo, infine, gli sorrise, sporgendosi un po’ verso di lui. Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza uno dall’altro.
“Sei una persona affascinante.” Mormorò Michael. Bill rispose al sorriso, accondiscendente. “Come si chiama il tuo gruppo?” Gli chiese poi, cambiando argomento. Lo vide esitante per un attimo.
“Tokio Hotel.” Rispose quindi, leggermente rigido.
“Hm, credo di avervi sentito nominare…” Commentò pensieroso Michael. “Mi piace, è curioso, moderno, divertente.” Come finì la frase, però, si accorse dell’espressione di Bill. “Sembri sorpreso…”
Lui si riscosse. “No, è che…” Esordì poi. “Quando parliamo del nome del gruppo, la domanda che ci fanno sempre è: perché Tokio, perché Hotel… Onestamente, mi sono stancato di rispondere, ormai lo sanno anche i sassi, non interessa più a nessuno. Tu, invece, hai detto solo che lo trovi divertente… Sei il primo.” Spiegò quindi.
“Capisco.” Commentò serio il pittore.
“Non fraintendere!” Esclamò animato Bill. “Sono colpito favorevolmente!”
“Bene.” Annuì Michael. “Pensavo di aver detto qualcosa di offensivo!”
“No, no!” Negò subito l’altro, accompagnando le parole con i gesti delle mani.
Una giovane cameriera coi capelli rossi e le lentiggini venne a prendere le ordinazioni, interrompendo i loro discorsi. Li osservò incuriosita, facendo immediatamente irrigidire Bill, ma sembrò non riconoscere nessuno dei due; forse era solo colpita dal fatto che fossero due gran bei ragazzi.
Quando se ne andò, il cantante tornò a guardare il suo interlocutore, girandosi un po’ meccanicamente. Lo trovò a fissarlo con un sorriso tranquillo.
“Credo che tu possa anche toglierti gli occhiali.” Gli disse.
“Io, veramente…” Tentò Bill.
“È tranquillo.” Riprese Michael. “E se la cameriera fosse una tua fan, penso che starebbe urlando e piangendo in mezzo al locale.” Aggiunse ridendo.
“Non è per quello.” Mormorò lui, abbassando il capo. “È che… non mi sono truccato, stamattina.”
Michael spalancò gli occhi stupito, poi fu travolto da un’ondata di tenerezza e gli sorrise.
“Per me non affatto un problema, Bill.” Dichiarò poi, con delicatezza.
“Lo è per me.” Replicò il cantante.
Il pittore, in realtà, moriva dalla voglia di rivedere gli occhi di Bill, ma decise rapidamente di assecondare il suo disagio e non spronarlo a scoprirsi.
“Come vuoi, allora.” Soggiunse quindi. Bill gli sorrise grato.
“Dimmi un po’…” Riprese poco dopo l’artista, quando la cameriera gli ebbe portato le ordinazioni. “Come mai un tedesco decide di trasferirsi nella città degli angeli?” Gli chiese.
“Beh, prima di tutto, non è una cosa definitiva.” Ci tenne a precisare. “E, ad ogni modo, facendo musica è quasi normale, qui ci sono i migliori professionisti, gli studi più attrezzati, le tecnologie più avanzate e noi tedeschi siamo molto pignoli, vogliamo il meglio!” Rispose Bill. “E poi… Avevamo bisogno di cambiare aria, l’ultimo periodo non è stato facile, abbiamo avuto dei problemi abbastanza seri con alcune brutte persone…” Parlava serio, girando lentamente col cucchiaio il suo cappuccino. “Eravamo stressati, stanchi e credo avessimo bisogno entrambi di una crescita personale… Oltretutto la musica rock è nata qui, quindi penso sia il posto migliore! Ci piace molto Los Angeles, ci sentiamo più liberi.”
Michael non aveva ascoltato molto dopo la parola entrambi. Quindi, quando Bill parlava al plurale non intendeva la band, come lui aveva pensato all’inizio, ma se stesso e un’altra persona
“Allora… non ti sei trasferito da solo…” Intervenne infatti.
“Oh, no!” Esclamò Bill allegro. “Non potrei mai pensare di vivere da qualche parte senza Tom!”
Ecco, c’è un Tom… Esalò delusa la voce interiore di Michael.
“State insieme da tanto?” Gli domandò pacato, contenendo in un tono neutro lo strano dolore che provava. Bill gli dedicò un sorriso furbo, aveva capito che lui aveva frainteso.
“Tutta la vita, anzi, da prima di nascere, direi.” Rispose infine; Michael aggrottò la fronte. “Tom è il mio gemello, siamo molto uniti.” Spiegò quindi, allegro. “È anche il chitarrista della band.”
“Ah…” Soffiò Michael, poi si aggiustò sulla sedia, apparentemente a disagio. “Scusa, avevo pensato che…”
“Fa niente.” Replicò Bill stringendosi nelle spalle. “A volte do alcune cose per scontate, tutti sanno di mio fratello, non ho pensato che non ci conosci.” Aggiunse, posando una mano sulla sua con intento rassicurante.
Michael guardò quelle lunghe dita bianche, le unghie smaltate di grigio. La mano di Bill era morbida, tiepida, il contatto piacevolissimo.
“Perdonami lo stesso.” Affermò Michael, prima che l’altro interrompesse il tocco, con suo grande dispiacere.
Bill si strinse ancora nelle spalle. “Se dovessi offendermi di quello che pensano di me e Tom, spenderei il tempo a fare querele.” Dichiarò noncurante. “Anzi, ti dirò, spesso mi piace provocare queste persone…” Specificò poi, con un’espressione pestifera.
“Immagino!” Rise Michael.
Non era difficile, per lui, pensare a Bill che provocava qualcuno, il suo stesso modo di porsi era una provocazione. Michael si trovò a riflettere su quanto potesse essere interessante, in determinate circostanze, farsi provocare da lui.
Nessuno dei due, comunque, poteva immaginare quanto fosse forte la curiosità reciproca. Avrebbero entrambi voluto parlare per ore, raccontarsi tutto quello che valeva la pena sapere, superare lo scoglio della conoscenza per arrivare in fretta ad altro.
E parlarono. Di musica, di arte, di viaggi, di gusti personali, senza stancarsi a vicenda, sorridendosi senza sforzo e ascoltandosi uno con l’altro.
La conversazione ebbe termine quando squillò il cellulare di Bill. Gli era arrivato un messaggio.
Scheisse!” Esclamò il cantante sbirciando il display. “Scusa, Michael, ma… mi ero dimenticato di avere un appuntamento con mio fratello!” Disse al pittore.
“Spero che questo sia da attribuire alla mia brillante conversazione.” Commentò splendente lui.
“Assolutamente sì!” Ribatté immediato Bill con un sorriso abbagliante. “È stato piacevolissimo, parlare con te.” Aggiunse poi, dolcemente.
“Sensazione oltremodo reciproca.” Replicò Michael con uno sguardo tenero.
“Dobbiamo rivederci al più presto.” Soggiunse il cantante, con tono deciso, seduto eretto sulla sedia.
Michael sorrise. “Mi piacerebbe che tu venissi a vedere il mio studio.”
“Davvero?!” Fece Bill sorpreso. L’altro annuì.
“Chiamami, ci mettiamo d’accordo.” Affermò, porgendogli un biglietto da visita; lui lo prese e l’osservò incerto, poi alzò gli occhi sul pittore.
“Posso chiamarti?” Domandò, quasi con ingenuità.
“Devi.” Gli ordinò Michael con un sorriso incoraggiante. Non vedeva l’ora di mostrargli il suo mondo, di vedere la sua bellezza in mezzo alla propria arte.
 
CONTINUA
 
 NOTE:
* Traduzione dei versi della canzone in introduzione (per chi ha qualche difficoltà con l'inglese, non diamo niente per scontato ^_-):
    Perdona il modo in cui ti sto fissando
    Non c'è niente che regga il confronto
    Vederti mi lascia senza forze
    Non sono rimaste parole da dire
    Ma se provi quello che provo io
    Ti prego fammi sapere che è vero
    (perdonate le imprecisioni ^_^)


Ah, ringrazio il team di Efp per aver inserito la possibilità di rispondere alle recensioni! Mi avete levato un peso e ora sono libera di rispondere a tutti con calma!

 
 
   
 
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