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Autore: ceciotta    21/02/2011    4 recensioni
In un futuro devastato dalla guerra, gli ideali e le conquiste sociali del passato non esistono più. Nuovi valori ne hanno preso il posto e i sopravvissuti sono costretti ad accoglierli, volenti o nolenti. Un breve sprazzo della vita di Sanna, giovane donna che ha perso la propria libertà per qualcosa che lei aborrisce.
Genere: Drammatico, Erotico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Donatrice

La stanza era luminosa, piena di mobili e suppellettili dall'aspetto costoso e inutile. Tutto era ordinato e pulito, dava una sensazione quasi... asettica.
Sanna si affacciò alla grande finestra ovale. La città si estendeva sotto di lei in un mare di luci colorate; oltre i suoi confini, il nulla inviolabile. Già dalla sua abitazione, poteva scorgere la cupola che circondava l'immenso centro urbano e i campi coltivabili: quella struttura trasparente era visibile solo di notte, perché solo con il buio completo le luci vi si riflettevano.
Non c'erano stelle o lune a violare quell'oscurità: l'eterna nube scura non lo permetteva. A dire il vero, anche il sole faticava a superare quella barriera, diffondendo sugli abitanti una luce grigiastra. Sanna non sapeva cosa ci fosse dietro, non era mai uscita dai confini della città: secondo i Generali, nulla era rimasto a ricordare la loro civiltà se non pochi centri abitati, perché tutto era stato spazzato via da quella guerra atomica che aveva decimato la popolazione mondiale...
Sanna abbassò gli occhi e vide la strada parecchi piani più sotto. Quante volte aveva desiderato aprire quella finestra e farla finita? Ma i Generali avevano pensato anche a quello, sigillando quel vetro antisfondamento; il ricambio d'aria era delegato a qualche bocchetta sparsa per la stanza, i cui filtri erano cambiati sin troppo spesso. Come venivano pedissequamente controllati il cibo, l'acqua... A lei non era concesso tenere nulla di tagliente, la carne era già sminuzzata in piccoli pezzi prima che arrivasse a lei.
“Per la vostra sicurezza!” sostenevano i Generali.
Per lei uscire da quella stanza da sola era impossibile; inconcepibile, poi, era che lei lasciasse il palazzo, sia anche accompagnata da un plotone. Da quando aveva quattordici anni, Sanna non conosceva altro che quelle quattro mura, e pochi locali che condivideva con altre sue pari.
“Per la vostra sicurezza!” ribadivano a gran voce i Generali.
Sanna si chiese quante donne fossero riuscite a lasciarsi morire prima che i Generali mettessero in atto questi provvedimenti. E se all'inizio Sanna le aveva odiate, perché le avevano tolto ogni minima libertà, ora non riusciva più a provare rancore. Dopo quindici anni, aveva capito ciò che le aveva spinte a farlo.
Sanna non mise di fissare la strada sottostante; il suo occhio fu attirato dal grande cartello luminoso posto a metà percorso tra lei e l'asfalto: Figlie di Demetra, urlavano quei caratteri cubitali.
Era così che la chiamavano: Figlia di Demetra, o Donatrice di Vita, o anche Madre. Mai nessuno la chiamava Sanna. A quattordici anni, oltre alla libertà erano riuscite a toglierle il suo nome.
Demetra... la dea greca della fertilità.
Dopo quella guerra atomica, poche donne erano rimaste fertili. Poche donne tra cui lei, Sanna. E quello era il premio per questa fortuna, la prigionia.

Qualcuno bussò.
“Avanti” rispose Sanna con voce sottile e guardò la porta aprirsi piano.
Una ragazza bionda entrò di un solo passo, con uno sguardo freddo che riservava solo a lei.
“Il tuo cliente è arrivato” annunciò. Avanzò nella stanza a passi affrettati e posò sul comodino un vassoio che conteneva un bicchiere d'acqua e una pillola.
Sanna osservò i due oggetti con repulsione; la pillola della vita, la chiamavano.
La ragazza bionda la guardò attentamente inghiottire la pastiglia, senza nascondere il rancore, e Sanna, come sempre, la ignorò.
“Grazie, Becky” mormorò poi, rimettendo al suo posto il bicchiere vuoto.
La servetta non parlò. Per quanto Sanna avesse cercato di essere gentile con lei, non era riuscita a smorzare l'odio che la ragazza le rivolgeva.
Sanna sapeva qual'era il motivo della sua invidia. Becky era figlia di un generale, aveva vissuto nel lusso fino all'età di quattordici anni quando il referto medico aveva svelato la cruda realtà: era sterile, non poteva avere bambini. Quella società non conosceva pietà per donne come Becky, e ora eccola lì, la principessina divenuta serva.
Serva, tra l'altro, di una Donatrice di vita, lo stato sociale più alto a cui una donna potesse aspirare.
Sanna avrebbe fatto volentieri a cambio con lei. Meglio sgobbare come un mulo dalla mattina alla sera piuttosto che la sua vita. Avrebbe voluto gridarglielo in faccia: se non altro Becky poteva uscire da lì, non quando voleva lei, certo, ma Sanna aveva sentito qualcuno spedirla a fare commissioni.
Avrebbe voluto dirle che almeno lei non viveva in una prigione dorata senza poterne mai uscire.
Ma sapeva che Becky non avrebbe mai capito.
“Fai accomodare il cliente” ordinò Sanna, più dura di quanto volesse. La serva le lanciò un'occhiata maligna, poi si voltò e si dileguò.

Rimasta sola, Sanna fece un respiro profondo e si passò le mani tra i lunghi capelli neri, chiudendo per un attimo gli occhi. Quando li riaprì, si diresse allo specchio vicino al letto, che le consentiva di vedere la sua sua intera figura: non era una bella donna, aveva i lineamenti troppo marcati, ma quel pomeriggio un equipe di estetisti aveva fatto in modo di renderla un minimo affascinante. Il risultato era apprezzabile, ma lei odiava quelle trasformazioni. Come odiava il leggero vestito lilla che indossava in quel momento.
Abbassando lo sguardo, raggiunse la porta laterale e la superò; si ritrovò in una stanza più ampia di quella in cui dormiva, che ospitava un grande letto a due piazze dalle coperte di un viola cupo, un tavolino di legno e un paravento in tinta con il copriletto, il tutto immerso in luci soffuse. Si avvicinò al letto vi si sedette sopra, con le gambe piegate di lato, in attesa, lo sguardo fisso alla porta che dava al corridoio.
Il cliente arrivò quasi subito: era un ometto sui trentacinque anni, basso e insignificante. Portava un mazzo di rose rosse, come omaggio alla Donatrice di Vita, e rimase sulla soglia, chiaramente imbarazzato.
“Entra” disse lei scocciata, rovinando un po' l'atmosfera.
Lui farfugliò qualche scusa e avanzò. “Ti ho portato queste, Figlia di Demetra” aggiunse, porgendole le rose.
Lei si alzò e le prese tra le mani, ringraziandolo; era stupita, in così tanti anni pochi uomini le avevano portato dei regali...
Le posò sul tavolino, se ne sarebbe occupata in un secondo momento. Notò che l'altro era molto nervoso.
“Siediti” disse allora, “Mettiti a tuo agio. Come ti chiami?”.
“James Tompson” Lui si sedette respirando a fondo. “Sai... non sono mai stato con altre donne a parte mia moglie” raccontò, agitato. “E lei non era molto d'accordo, all'inizio. Ma poi si è calmata e ha capito le mie ragioni”.
Sanna si accomodò accanto, quasi sconvolta: una donna libera, né serva né Donatrice di Vita... ne esistevano davvero poche, erano donne fertili ma non adatte, per costituzione o altri motivi, ad essere Madri per troppe volte. Potevano sperare di avere dei figli propri, certo, ma non molti.
“La lista d'attesa è molto lunga, eh?” chiacchierava intanto l'uomo, per combattere la tensione. “Temevo di non farcela. Certo, davanti a me c'erano persone ben più importanti!” si affrettò ad aggiungere, quasi temesse di aver detto qualcosa di compromettente. “Però, quando ormai avevamo perso le speranze, ecco che si  liberato un posto!”
“Quanto ti hanno dato?” chiese lei, all'improvviso.
L'uomo si incupì. “È questione di mesi, ormai...” spiegò, a voce bassa. “Le medicine mi aiutano a non sentire dolore, ma so che non manca molto”.
“Sei... sei stato fortunato” osservò allora Sanna.
“Già, ora ho te, Donatrice di Vita” si rallegrò lui.
“Mi chiamo Sanna” lo corresse lei. Ricevette un'occhiata stupita. Avvicinò il volto al suo e parlò a voce bassa, provocante. “Il mio nome è Sanna, non Donatrice di Vita, né Figlia di Demetra. Usa il mio nome e andremo d'accordo”.
Lui annuì, confuso, mentre le mani di lei gli sbottonavano la camicia. Sanna guidò i suoi gesti inesperti e in un attimo furono nudi. Per Sanna era un'esperienza provata troppe volte, ogni volta con persone diverse, sconosciuti disperati che chiedevano il suo aiuto.
Lei era la loro ultima spiaggia.
Le venne quasi da ridere: nella civiltà d'anteguerra l'avrebbero chiamata puttana, ora la chiamavano Donatrice di Vita.
Lo sentì gemere un nome femminile, probabilmente quello della moglie e provò una tristezza infinita: lui aveva qualcuno da amare, da amare davvero, mentre lei era sola al mondo, poco più che un oggetto. Qualche lacrima le bagnò il volto.
Finì fin troppo lentamente per lei. Quando si ritrasse, si asciugò di nascosto il viso e non guardò James.
“E adesso?” chiese l'uomo, incerto.
Lei si sedette. “E adesso aspettiamo” replicò.
“Grazie, Donatrice di Vita” disse James.
“Sanna” replicò seccamente. “Mi chiamo Sanna”.
“Le figlie di Demetra non hanno nomi, a quanto mi risulta” rispose l'uomo, sedendosi a sua volta.
Lei si voltò a fulminarlo. Ora che aveva ottenuto quello che voleva, James sembrava più sicuro e meno propenso a darle ragione.
“Esci di qui” ordinò Sanna.
“Ti sei offesa?” chiese, rivestendosi. Ora era davvero sfrontato.
“Io ce l'ho un nome, ed è Sanna. Ti conviene accettarlo se non vuoi che abortisca” replicò Sanna.
Lui sbiancò. “Tu... tu non puoi!” esclamò. “Verresti uccisa”.
Sanna sapeva che abortire era quasi impossibile: era troppo controllata e se solo ci avesse provato per lei sarebbe stata la fine. Ma, del resto, a lei non importava più.
“Potrei denunciarti anche solo per averlo detto...” la avvisò James.
“Non lo farai: se lo venissero a sapere mi ucciderebbero subito per tradimento, non aspetterebbero certo nove mesi. E io ti servo, o sbaglio?” disse Sanna, annoiata.
Lui la squadrò male.
“Esci” ordinò Sanna, camminando verso la sua camera.
Una volta sola, Sanna si sedette a terra e pianse tutte le sue lacrime.

La medicina e la scienza avevano fatto progressi enormi, nel dopoguerra. Quella pillola che Sanna aveva ingoiato non era solo per stimolare la sua fertilità. Consentiva di attuare quella che per lei era un abominio.
Consentiva la clonazione.
La clonazione di un intero essere umano era stata scoperta da molto: dopo vari esperimenti, alcuni scienziati avevano scoperto che con qualche semplice iniezione si poteva trasformare la donna in una specie di incubatrice in grado di riprodurre il Dna umano della persona con cui aveva concepito il feto. Non veniva replicato solo il corpo, ma i cloni tendevano a presentare comportamenti, e talvolta sprazzi di ricordi, della vita originale.
Dopo la guerra, questa scoperta prima disprezzata era stata legalizzata. Ora, in un mondo distrutto, il ventre di una donna non veniva più visto come una prospettiva per il futuro, ma come conservazione del presente.
E allora era nata quella ricca prigione dove rinchiudere le femmine più adatte a questo ruolo, mentre le altre venivano disprezzate e considerate inutili, ridotte alla schiavitù: come Becky.
Sin dai quattordici anni, le Figlie di Demetra diventavano madri almeno una volta all'anno, poi il ritmo aumentava. A tre mesi dal concepimento, il feto veniva estratto e portato in laboratorio, dove la sua crescita continuava in un ambiente adatto, fino alla fine della normale gestazione.
Chiunque poteva farne richiesta, ma la lista d'attesa, come l'aveva chiamata James, era enorme e di certo persone considerate più importanti avevano la precedenza. I ricordi dei nuovi nati erano immessi in dischetti che avrebbero consentito la continuità tra le due esistenze.

Sanna si accarezzò la pancia: anche se non poteva ancora sentirla, una nuova vita stava già formandosi. Di lì a nove mesi, un nuovo James Tompson avrebbe visto la luce.




Angolo di Ceciotta.
Avevo questo raccontino salvato sul mio computer da mesi, ma non mi decidevo a renderlo pubblico. Finalmente ho deciso che era giunto il momento.
 
Ci tengo a precisare che, quando ho finito di scriverla, mi sono resa conto che questa storia mi è stata in parte (soprattutto per la loro suddivisione delle donne in fertili e non) ispirata da Il racconto dell'ancella, romanzo che tra l'altro vi consiglio. Gran parte però è farina del mio sacco, o almeno spero.
Mi raccomando, recensite!
   
 
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