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Autore: _Anny_    22/02/2011    5 recensioni
Il titolo non c'entra nulla con la storia, è solo una metafora il cui significato verrà svelato alla fine della storia.
Si tratta di una breve one-shot che ho scritto da poco, il tema è la Prima Guerra Mondiale, precisamente la battaglia di Caporetto.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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il gioco degli scacchi

Il gioco degli scacchi …

 

È dura la vita del soldato di trincea.

Io, Alessandro Furiosi, lo so bene: sono qui da circa due anni, ovvero da quando l’Italia è entrata nella Grande Guerra.

 

Oggi è il mio compleanno e mi trovo qui, a Caporetto, a festeggiare i miei 20 anni nel modo più orribile che potessi aspettarmi: sappiamo che arriveranno gli eserciti tedeschi ed austriaci, quindi siamo qui, con le armi cariche, pronti all’arrivo (ritardato) dei nemici.

 

Qui tutti mi chiamano “Ale”, così come faceva mio fratello.

Quanto mi manca la mia famiglia, la mia casa, quanto vorrei un piatto di pasta al pomodoro e una fetta di crostata, un abbraccio da mia madre e una pacca sulla spalla da mio padre.

Ma ogni volta che mi fermo a pensarci, la realtà mi riporta bruscamente indietro: mio fratello è in marina, a migliaia di chilometri da me, mio padre è in fanteria sul fronte franco-tedesco,  mia madre è morta.

Mio fratello è nato un anno prima che la mamma se ne andasse, quindi solo io mi ricordo di lei, oltre a mio padre, un grande socialista, che mi ha influenzato con i suoi ideali di guerra contro i grandi imperi.

Lui dice ch i giovani, le nuove generazioni, non dovranno venire a sapere dei dolori della guerra, così come mio fratello non conosce quasi nulla di mia madre. Dice che è meglio così, loro non devono soffrire.

Io non sono d’accordo: chi non conosce, non teme. Chi non teme, non evita. Chi non evita, incontra.

Vogliamo incontrare la guerra ancora?

Vogliamo che questa non sia solo “La Guerra Mondiale”, ma “Una Guerra Mondiale”, una su tante??

Io no, anche mio fratello la pensa così.

Lui è un ragazzo sempre allegro, gioioso … non riesco proprio ad immaginarlo come un militare che si alza all’alba sapendo di dover metter fine a tante vite.

Ma dicono che la guerra cambia tutto: cambia gli stati, la politica, le città, gli stili di vita, le persone …

Forse è vero. Io, per esempio, prima non mi facevo così tanti problemi e domande, vivevo la vita così come lei voleva essere vissuta.

 

***

 

Arriva una chiamata. Marco, il mio vicino, risponde al telefono.

È un ragazzo di neanche diciassette anni, è nato in una cittadina vicino a Milano ed è, insieme a me, l’addetto alle comunicazioni.

È molto simpatico, adora cantare canzoni nel suo dialetto ed io spesso non capisco nulla, venendo da Bergamo, ed è anche parecchio alto, con i capelli biondo chiaro.

Ha la mania di sbuffare alla fine di ogni frase che dice, cosa che mi fa sempre ridere un po’.

 

Mentre parla al telefono, noto che deglutisce a fatica e la mano gli trema leggermente.

Quando si volta verso di me noto un lieve tremore nella sua voce quando dice

<< Arrivano. >>

Non ho tempo di pensare. Noi soldati non siamo portati a farlo spesso: eseguiamo ordini, altrimenti veniamo sgridati, incarcerati, fucilati. Dipende dalla gravità.

Mi alzo di scatto e inizio a correre per andare ad avvertire i nostri compagni dell’arrivo dei nemici.

Non mi fermo neanche a guardarli, riferisco il messaggio e corro via, verso altre persone da avvertire.

So già che alcuni, proprio come me, hanno paura.

Perché?

Perché siamo distrutti, la metà di noi sa già che perderemo prima che arrivi il nemico.

Semplicemente perché siamo mal organizzati, abbiamo 95.600 soldati, 1.150 cannoni e 26 bombarde in meno.

Torno indietro e carico la mia arma.

<< Siamo già morti. >> commenta Marco

<< Già. Hai scritto alla famiglia? >>

<< Sì. >>

<< Anch’io. >>

Intorno a noi c’è solo il silenzio. Sentiamo i rumori dei cannoni e dei soldati dall’altra parte che si preparano allo scontro.

<< Pronto ad uccidere qualche tedesco? >> chiedo, per alleggerire una tensione ormai palpabile nell’aria.

<< Sono nato pronto! >> ribatte Marco.

 

Un botto squarcia il silenzio.

Un razzo segnalatore squarcia il buio della notte e per un decimo di secondo sembra che tutto il mondo stia per festeggiare la fine della guerra.

Per un decimo di secondo immagino che la guerra finalmente non c’è più: tornerò a casa, rivedrò i miei parenti, i miei amici e la mia ragazza.

Poi un cannone spara, i fucili e le mitragliatrici iniziano a mietere le prime vittime.

Il mio sogno di pace svanisce e inizio a premere il grilletto.

Riesco a colpire dei nemici.

Cosa importa? Sono nemici. Ogni pallottola che va a segno è un nemico in meno.

Ogni pallottola che va a segno … è una vita in meno.

Il tempo passa. Il nostro esercito è stato decimato da delle bombe a gas che nessuno di noi aveva mai visto prima, dalle cannonate e dai proiettili.

Marco impreca, le linee telefoniche non erano interrate e sono in parte distrutte.

Siamo completamente isolati.

Soli qui a combattere contro un nemico troppo forte e troppo numeroso per noi.

 

Sono le otto circa quando alcune truppe tedesche escono dalla loro trincea e, proteggendosi con i corpi dei loro compagni, raggiungono le nostre linee.

Riesco ad abbatterne uno prima che sparisca dalla mia visuale, ma sono entrati già in trenta, se non di più.

Guardo Marco.

Capiamo che moriremo, qualsiasi cosa faremo.

Ma è meglio morire da eroi che da codardi.

Prendiamo le armi e le carichiamo al massimo.

Sentiamo già le urla dei nostri compagni colpiti dai nemici.

Corriamo verso i tedeschi, urlando e sparando a tutti coloro che tentano di ucciderci.

<< Per l’Italia, fratelli per sempre! >> è il nostro grido di battaglia.

Riesco a colpire dieci uomini, Marco ne uccide otto.

 

Uno sparo.

Una goccia di sangue mi corre sulla fronte, andando a finire sulla ciglia.

Cado.

La mia battaglia è finita, sono morto con una pallottola alla testa.

Nessuno si ricorderà di Alessandro, che si è buttato sul nemico invece di fuggire.

Nessuno si ricorderà di Marco, che ha ucciso un ufficiale tedesco.

 

È come giocare a scacchi.

Non importa quanti pedoni sacrificherai, l’importante è tenere in vita il re.

   
 
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