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Autore: semplicementeme     24/02/2011    3 recensioni
Non so il perché di questa storia. Effettivamente non ha una trama ben definita, è stato il bisogno di scrivere a spingermi ad immaginare il mio ritorno in vasca.
Sorridi, ci sei riuscita: si è innescato, il meccanismo magico.
Stai nuotando e, senza farci caso, hai iniziato a pensare a nulla di importante.
Stai nuotando e ti stai rilassando.
Stai nuotando e ti sembra di essere tornata viva.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritornare a nuotare

                       

Sei eccitata, tremendamente eccitata.

Sei nello spogliatoio, quasi non ci credi.

Lo senti di nuovo, l’odore del cloro.

Ti riempie le narici e non ti dispiace come un tempo.

Non sa più di candeggina.

Chiudi gli occhi e sorridi.

Sei sola nel camerino piccolo e stretto.

È cambiato molto in questi ultimi dieci anni.

Dieci anni.

Sono trascorsi dieci anni dall’ultima volta che hai messo piede qui dentro.

Ti sei guardata attorno ed hai visto tutto uguale, uguale eppure diverso.

Non te lo sai spiegare ma è così.

Niente è come prima, eppure tutto è immutato.

Metti il costume nuovo e ti accorgi che qualcosa è cambiato.

Il tuo seno è più grosso.

Sorridi perché, anche se è solo una seconda abbondante, non è piatto come dieci anni fa.

Oggi sorridi senza motivo.

Leghi i capelli in una specie di crocchia.

Ci ripensi, li sciogli.

Hai la pelle d’oca.

Non è lo sbalzo di temperatura.

È l’adrenalina.

Indossi l’accappatoio e poi via, con la cuffia stretta in mano.

Un respiro profondo prima di varcare la porta che ti separa dalla vasca.

Un respiro profondo prima di andare.

Entri e ti fermi.

Guardi l’acqua che riflette le luci dei fari.

Alzi gli occhi per vederli. Sono piazzati sul soffitto, ma non sono tutti accesi, dopotutto c’è la luce del sole proveniente dall’esterno.

L’odore del cloro, qui, è più intenso.

Lo respiri a pieni polmoni, ti è mancato.

Quello che ti colpisce maggiormente è la mancanza del cicaleccio che ti accompagnava da ragazzina.

C’è silenzio, tanto silenzio.

Gli unici suoni che arrivano al tuo orecchio sono quelli creati dalle mani, dalle braccia, dalle gambe che entrano in acqua.

È la musica del nuoto.

Ti riscuoti dal tuo sogno ad occhi aperti.

Avanzi incerta.

È il tuo mondo, ma non è più tale.

È strano perché fino a dieci anni prima ti muovevi con naturalezza… adesso ti senti un elefante dentro una cristalleria.

Muovi i primi passi, imbarazzata.

Non c’è molta gente eppure sembra che tutti ti stiano fissando.

Le tue solite fisime mentali.

Ti sfili l’accappatoio e lo lasci sul bordo di una panca.

Ti chiedi se porterà fastidio a qualcuno.

Stai per riprenderlo ma ci ripensi: l’accappatoio sta bene dove si trova.

Vai verso le docce.

Leghi i capelli in una crocchia improvvisata, con te non hai neanche un elastico.

Ti ricordi della cuffia lasciata sulla panca e torni indietro.

La prendi, e con un movimento unico l’allarghi per poi infilarci dentro la testa.

Un unico gesto, come facevi dieci anni.

Sorridi per questo semplice movimento.

Sorridi perché stai rientrando nei vecchi meccanismi.

Vai verso le docce ed apri il rubinetto.

Ti infili sotto e quasi urli.

Ecco, questo non è cambiato!

L’acqua è sempre ghiacciata.

Ti bagni rapidamente e poi scappi via.

Quasi scivoli per come sei corsa da sotto il getto di acqua fredda.

Adesso eccoti davanti al blocco numero due.

Hai sempre odiato il blocco numero uno.

È un odio sciocco il tuo, ma lo odi.

Ogni volta, al momento del tuffo, avevi paura di andare a sbattere contro il bordo-vasca, ecco perché lo evitavi.

Ti giri per vedere se qualcuno sta aspettando i tuoi comodi e, per la prima volta, ti accorgi di come la piscina sia quasi deserta.

È sabato, sono le nove di mattina.

Secondo te chi potrebbe essere così folle da andare a nuotare il sabato mattina?

Tu, naturalmente.

Ti complimenti con te stessa per aver scelto un giorno così poco frequentato.

Non ti piace nuotare quando c’è troppa gente.

Non puoi seguire il tuo ritmo.

Non puoi seguire il ritmo dei tuoi pensieri.

Sali sul blocco due.

Ti tremano le gambe.

Ecco, è il momento del tuffo.

Ti pieghi su te stessa.

Con i medi tocchi il bordo della piattaforma.

Stiri le gambe e le divarichi un po’, non troppo o il tuffo sarà sbilenco.

Porti il piede destro indietro.

Pieghi leggermente il ginocchio sinistro.

Cosa potrebbe mai accadere di tanto imbarazzante?

Un tuffo sbagliato.

Un tuffo che, nel gergo catanese, prende il nome di panzata

Coraggio.

Ci saranno sì e non dieci persone.

Dieci persone che non conosci.

Dieci persone che rideranno di te se dovessi sbagliare.

Ce la puoi fare.

Basta con la paura.

Inspiri, incassi la testa tra le spalle.

Stai attenta che il mento aderisca bene allo sterno.

Chiudi gli occhi e ti dai la spinta.

Sei sospesa nel vuoto.

È quell’attimo in cui ti sembra di volare.

È quell’attimo in cui tendi il tuo corpo.

Le braccia si avvicinano rapide alle orecchie.

Le mani, quasi, si sovrappongono.

Le gambe si distendono.

E tu entri in acqua.

Non brucia nessuna parte del corpo.

Non hai fatto figuracce.

Non hai fatto panzate.

Inizi a muovere le gambe.

Non le sbatti, no.

Le muovi in sincrono.

Come se fossero la coda di un pesce, o di una sirena.

Quando avevi dieci anni ti piaceva immaginarti una sirena, una piccola Ariel.

Adesso non hai più dieci anni.

Ne hai quasi trenta ed è da dieci anni che non nuoti in una piscina.

Non sai se ne sei ancora capace.

Pian piano risali.

Ecco, adesso la tua schiena non è più immersa, il tuo viso però è in acqua e con gli occhi segui la T che delimita il percorso della corsia.

È arrivato il momento di muovere le braccia.

Hai deciso di respirare ogni due bracciate.

Hai deciso di respirare a destra. Sempre e solo a destra.

Così, attraverso la grande vetrata, hai modo di vedere l’Etna ed i suoi fianchi coperti di neve.

Muovi le gambe.

Muovi le braccia.

Un movimento fluido.

La prima bracciata.

Scende il braccio, va giù, si allontana dal tuo corpo per poi riemergere velocemente.

Esce dall’acqua, risale, tocca il punto più in alto e traccia una nuova parabola discendente per tornare verso la superficie dell’acqua.

Ritorna a toccare il tuo orecchio e quindi si ferma.

L’altro braccio esegue il medesimo movimento.

Allora è vero: nuotare è come andare in bicicletta, non si dimentica mai.

Terza bracciata è il momento di prendere aria.

Giri il viso e lo vedi.

Grande, maestoso. Il tuo vulcano.

L’Etna, ed il suo manto bianco.

Per i Catanesi l’Etna è la montagna. Per tutti gli altri è il vulcano.

Per i Catanesi l’Etna è una bella donna. Per tutti gli altri è un semplice vulcano.

Per te l’Etna è… un conforto.

Stupidamente, cerchi il suo profilo anche quando sei lontana da Catania.

E ti manca non vederla svettare sulla città come a proteggerla o pronta ad incenerirla, a seconda dei momenti.

Sorridi, ci sei riuscita: si è innescato, il meccanismo magico.

Stai nuotando e, senza farci caso, hai iniziato a pensare a nulla di importante.

Stai nuotando e ti stai rilassando.

Stai nuotando e ti sembra di essere tornata viva.

Adesso però basta pensare.

Sei in vasca per allontanarti dalla tua vita e dai suoi piccoli e grandi problemi.

Lascia che i tuoi pensieri fluiscano via dalla tua mente come se fossero gocce di acqua che scivolano via dal tuo corpo.

Sono le dieci ed un quarto.

È da un’ora che sei in vasca.

Ti fermi.

Hai il fiato corto.

Ti senti sudata ma sai che non è così.

È impossibile sudare mentre si è in acqua.

Ma è la sensazione che hai sempre avuto quando si tratta del nuoto.

Le guance le senti caldissime.

Ti bruciano.

Respiri in modo irregolare.

Hai nuotato per un’ora intera.

Bugiarda, hai nuotato per poco meno di mezz’ora, ogni due vasche ti fermavi per riposarti.

Però è normale.

È da dieci anni che non entravi in vasca.

Guardi se la corsia uno è occupata, quando sei sicura di avere libero accesso, passi sotto le boe che delimitano i due spazi.

Esci le braccia dall’acqua e le abbandoni, stremata, sulla superficie piastrellata.

Poggi la testa sul giaciglio formato e respiri.

Avresti bisogno di riprendere fiato e ti viene in mente l’esercizio che Lucio ti aveva insegnato.

Ti vergogni però.

All’epoca avevi solo otto anni.

Adesso ne hai molti di più, per questo decidi di non eseguirlo.

Ti avvicini alla scaletta.

Per uscire, non hai neanche la forza per issarti sulle braccia.

Sali quei pochi scalini di acciaio con difficoltà.

Quando sei fuori, cammini lentamente.

La testa ti gira un po’.

Le gambe le senti pulsare.

Che sia in arrivo un crampo?

Speri di no, adesso vuoi solo sederti e riposare, non ce la faresti a stirarti la gamba da sola e non vuoi chiedere aiuto ad un estraneo.

Togli la cuffia e la prima cosa che fai è andare a sciogliere quella specie di crocchia che hai fatto prima.

I capelli sono umidi.

Maledette cuffie, mai che reggano!

Ti infili le ciabatte.

Odi camminare scalza in piscina, non sai mai cosa puoi beccarti.

Metti l’accappatoio prima che di buscarti una polmonite. Per così poco poi!

Te lo stringi in vita.

Ti giri a guardare la vasca davanti a te.

- Ci vediamo martedì.

Poi te ne vai.

 

 

   
 
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