Versailles no Bara, Oscar, André e tutti i
personaggi legati alla serie TV e al manga sono copyright © di Riyoko Ikeda,
Chuokoron – Shinsha Inc. e Tohan Corporation.
Questa fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di
farlo e per quanti vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene,
pertanto, intesa….
Anima di cristallo
By Aresian
Premessa:
Questa fanfictios trae spunto da alcuni momenti dell’Anime, le cui citazioni esplicite troverete indicate in corsivo. Il resto è la mia personale interpretazione dei sentimenti e dell’animo di Oscar.
L’ennesimo lampo a squarciare il cielo, mentre il fragore del tuono faceva tremare le vetrate del palazzo. Rivoli di acqua piovana a scorrere, quasi rabbiosi, sul gelido vetro innanzi al suo sguardo. Gli occhi azzurri incupiti, come il cielo in tempesta che rivestiva di un fragoroso ed imperioso richiamo l’etere. La tazza di cioccolata calda ancora stretta tra le mani bendate e ilmentre la mente ritornava a quelle ore, qui momenti, terribili appena trascorsi…
… La folla urlante, inferocita, che si scagliava contro la loro carrozza. Il
dolore violento al capo, quando mani ostili l’avevano afferrata rudemente per i
capelli trascinandola fuori dal fatuo guscio protettivo di quell’aristocratico
mezzo di trasporto. Attimi di follia, consumati in una secondaria strada di
Parigi, mentre il ruggito dell’animo oppresso dei francesi si ripercuoteva
violento lungo le pareti, sotto i pugni e i calci a lei destinati. Pur se
spiazzata, disorientata per quell’assalto improvviso, aveva tentato
disperatamente di non cedere al terrore che, sovrano, aveva prvato ad invadere
il suo animo. Era un soldato, non una debole ed innetta frequentatrice dei
salotti mondani. Doveva trovare il modo per uscire da quella pericolosa
situazione, ignorare il dolore inflitto al suo corpo non già forgiato per la
battaglia, che tuttavia lei si era ostinata, per tutta una vita, a nascondere
dietro una formale uniforme. Poi lo aveva visto, il labbro ferito e l’occhio
sano sbarrato non dal terrore, bensì dallo sgomento.
“Oscar!!!”
lo aveva sentito urlare, sino a sovrastare il fragore della folla in tumulto.
Non un grido di aiuto, quanto il disperato richiamo di un uomo che vede la sua
donna cadere sotto i colpi di un avversario troppo potente, anche per quella
fiera amazzone. Vide il calcio di un moschetto calare pesantemente sulla
schiena d’André, con la stessa violenza di una mannaia.
“NO!!!”
quel grido disperato a lacerare l’aria. Non André, lui non era un nobile. Lui
era del popolo, come loro. Avvertì quel tonfo sordo come una fitta lacerante
nell’anima. Era colpa sua, tutta colpa sua e della sua maledetta presunzione.
L’avevano avvertita che sarebbe stato rischioso attraversare il centro di
Parigi, con una carrozza, priva di scorta ma lei non aveva voluto dar retta a
quegli avvertimenti che considerava eccessiva prudenza. Se solo avesse prestato
loro debita attenzione, ora André non sarebbe stato in pericolo. Con una
spallata tentò di liberarsi, doveva salvarlo, ad ogni costo ma ogni suo sforzo
pareva inutile. La sua forza fisica era così esigua rispetto a quella dei
rivoltosi. Senza neanche rendersene conto si ritrovò distesa al suolo,
calpestata da decine di piedi, mentre acclamando, al colmo dell’esaltazione, i
parigini invocavano la forca per i vili soldati traditori. Un attimo, il tempo
di vedere André trascinato via dalla folla, poi il nulla…
Con un gesto stanco si portò la mano alla fronte, ad accarezzare la candida benda che cingeva i suoi capelli color del grano. Un altro lampo a squarciare il buio tormentato della notte in tempesta, così come i ricordi squarciavano la nebbia della sua memoria e laceravano la sua anima…
…“Per l’amor del cielo, rispondetemi Oscar…!!!”.
Quel
tono di voce, lo riconosceva l’aveva già udito da qualche parte ma non
rimembrava dove.
Mani gentili a sorreggerla, con delicatezza la
sostenevano contro una parete, mentre il richiamo di quella voce preoccupata
perforava il vuoto dell’incoscienza riportandola, alfine, in sé.
Gli
occhi azzurri, intimiditi e vulnerabili, si aprirono lentamente prima di
rischiararsi all’istante, rendendola totalmente cosciente.
“Fersen?!”<
Una domanda, una constatazione. Non sapeva nemmeno lei
cosa provava nel suo animo a sentire il forte braccio dell’uomo sorreggerla,
gli occhi azzurri del colonnello svedese, che aveva creduto di amare, la
osservavano in viso preoccupati e vigili. C’era un’infinita gentilezza in
quelle iridi, quasi la stessa gentilezza che scorgeva nelle verdi profondità
dello sguardo di André.
Subitaneo
e fulmineo il ricordo. Dov’era André? Perchè
non era accanto a lei ?
“André.
Devo salvarlo”
Nessun altra cosa aveva importanza per lei. Il dolore era scomparso al solo pensiero
di averlo perso. No, non avrebbe potuto accettarlo. Non avrebbe mai potuto
convivere con il rimpianto e con il dolore per quella perdita.
Fersen
aveva mostrato una palese indecisione, innanzi a quella domanda. Evidentemente
quando l’aveva tratta in salvo, André non era nella zona. Che cosa gli avevano
fatto?
“Calmatevi, Oscar. Siete in salvo adesso”
lo sentì ribadire in tono accorato. Con tutta probabilità era convinto che lei
fosse ancora in stato confusionale. No, non era così. Maledizione, doveva
salvare André. Fece per respingere le braccia del colonnello svedese, ma le
forze le venirono meno. Il suo corpo la stava vigliaccamente tradendo, proprio
adesso che avrebbe dovuto invece sostenerla per consentirle di salvare ciò che
di più caro aveva al mondo…
“Lasciatemi
andare, Fersen. Devo salvare André”
un grido disperato, fuoriuscito dalle sua labbra con la stessa impetuosità di
un fiume in piena, travolgendo le ultime barriere di una cieca ottusità che per
anni l’aveva resa schiava della menzogna di se stessa e dei propri, più intimi,
sentimenti.
“Oscar, ve ne prego”.
“Il mio André è in pericolo… Devo salvarlo”.
Non fosse stato per l’espressione attonita apparsa sul volto di Fersen, con tutta
probabilità non si sarebbe mai resa conto delle parole che aveva pronunciato,
della loro implicita implicazione.
“Il vostro André?” lo
aveva sentito chiedere confuso. A quel punto aveva compreso, mentre le esigue
forze che le erano rimaste l’abbandonavano, facendola scivolare lentamente al
suolo come un sacco vuoto. Non era stato necessario, tuttavia rispondere.
Fersen era troppo intelligente per non comprendere. Troppo intelligente e leale
per permetterle di rischiare oltre la propria incolumità, così lo aveva visto
sparire oltre il vicolo, con quel suo sorriso un po’ malinconico, mentre si
rifiondava nella mischia, mettendo a repentaglio la propria stessa vita, per
salvare quella di un amico. Alla fine tutto era andato per il meglio. Fersen
era riuscito a fuorviare l’attenzione dei rivoltosi che, pur di poter appendere
alla forca l’amante della Regina Maria Antonietta, avevano lasciato in pace
André. In qualche maniera erano riusciti, seppur doloranti, ad approdare alla
caserma del Reggimento dei Soldati della Guardia ove si erano procurati di
farli scortare immediatamente a Villa Jarjayes…
“Oscar?!”.
Un lieve sussulto, che fece oscillare il liquido nella tazza, nell’udire quella
voce. Un profondo sospiro, prima di voltarsi ad affrontare l’uomo, celando per
l’ennesima volta i propri sentimenti.
“Sì, André?”.
Il
tono cordiale e un po’ distaccato, di sempre.
“Va
tutto bene?” lo sentì chiedere mentre l’occhio sano scivolava dolcemente sulla
sua figura, come ad accertarsi dell’entità delle ferite che la donna aveva
riportato. Uno sguardo che le scaldò l’anima.
“Sì,
è tutto a posto. Tu come ti senti, piuttosto?” le riuscì di chiedere, dopo
un’interminabile minuto.
“Sono
stato meglio, ma non preoccuparti. Dammi una settimana e sarò di nuovo in grado
di montare la guardia. In fondo sono un discreto soldato, no?”.
C’era
divertita ironia nelle sue parole. Una stretta al cuore, a tradimento, la colse
al pensiero di come quella sera avesse rischiato di perderlo.
“Sei
un ottimo soldato, André” il tono convinto e pacato.
Vide un lampo di sorpresa in quell’unica iride di giada,
l’altro occhio spento ormai per sempre. Anche quello era stato capace di
donarle, nel suo infinito amore.
“Ti ringrazio. Beh, io vado a riposarmi, sono un po’ stanco”.
Un
lieve cenno della mano e poi lo aveva visto avviarsi verso la propria stanza,
nell’ala della servitù.
Dopo una lieve esitazione, poggiò la tazzina, ancora piena, sul tavolo. Era stanca,
forse era meglio se andava a riposarsi anche lei. Salì le scale con passo
stanco e pesante, sino a raggiungere la propria stanza.
Con
un leggero scatto la serratura cedette alla pressione delle sua mano, mentre la
porta si chiudeva alle sue spalle. Accanto al letto, disposta ordinatamente,
sulla poltrona la sua uniforme militare. La Tata si era data un gran da fare e
ripristinare quella di riserva, a quanto pareva. Quel pensiero le strappò un
lieve sorriso. Rimembrava ancora lo sguardo stravolto quando li aveva visti
arrivare, con i vestiti strappati e macchiati di sangue. C’era mancato poco
perché crollasse esanime al suolo. Con un gesto distratto fece scorrere le
lunghe ed affusolate dita sullo spetto tessuto di lana pregiata. Proprio in una
notte burrascosa come quella, di tanti anni prima, lei avea deciso di essere un
soldato. Rammentava ancora quando, dal cornicione del palazzo, con i vestiti
fradici e il rimbombo dei tuoni nelle orecchie, aveva udito André opporsi
all’ordine di suo padre.
“Non costringerò mai Oscar ad essere ciò che non vuole. Se deciderà di indossare
quell’uniforme sarà una scelta sua e di nessun altro”.
Quanta
fermezza in quelle parole, e quanta determinazione ad opporsi al volere del Generale,
di cui in fondo era solo un umile servo. Eppure avevano solo quattordici anni,
ma André aveva le idee chiare. Fin da allora era stato indefessamente dalla sua
parte, dalla parte della donna, allora ancor fanciulla, che amava. Come aveva
potuto essere così cieca? Lei, che per anni aveva trincerato il suo cuore
dietro l’indefessa e rigorosa disciplina militare, non avea fatto altro che
mentire a se stessa. Quella sera aveva avuto la dimostrazione che quello che
André le aveva gridato contro quella notte, ferito nell’orgoglio e nell’anima
dal suo rifiuto, dal suo incapponirsi ad avere un uomo che apparteneva già ad
un’altra donna, era la verità. Una rosa resterà sempre una rosa, non potrà
mai essere un lillà. Aveva impiegato più di trent’anni a capirlo, una vita
intera sprecata a nascondersi dall’unica realtà del suo cuore. Amava André ma
vigliaccamente aveva avuto paura di ammetterlo persino con se stessa. Non era
per fuggire da Fersen che aveva abbandonato la Guardia Reale, no, era per
fuggire da André, da quel suo amore totale ed incondizionato che la spaventava
più di un duello all’arma bianca. Lei, che si era creduta forte, inflessibile,
un soldato integerrimo dall’animo corazzato contro tutto e tutti si era resa,
ad un tratto consapevole di avere un’anima così vulnerabile, così
maledettamente femminile, un’anima fragile come il cristallo che aveva creduto
infranta dal rifiuto di Fersen. Stolta, questo era stata. Adesso comprendeva,
adesso capiva cosa significasse davvero amare. Adesso che forse era troppo
tardi. L’indomani avrebbe indossato ancora quell’uniforme, non più tuttavia per
celare il suo essere donna, ma solo ed esclusivamente perché in essa avrebbe
trovato, ormai, il solo modo per restare accanto all’uomo che amava e che, per
un’assurda cecità, aveva probabilmente perso.
- FINE -