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Autore: Yuri_e_Momoka    27/02/2011    4 recensioni
VII. “Devi capire che era l’unica soluzione” insistette [...] “Sapevo che tu eri fuori dalla porta, ti sentivo bussare. Quando ha aperto l’armadio e mi ha visto gli ho tappato la bocca. Lo ammetto, non è stato facile, mi guardava supplice. Ma io l’ho spinto giù. Almeno non ha sofferto, non pensi? So che non vuoi sentirtelo dire, ma te lo ripeterò. Tutto questo l’ho fatto per te."
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Austria/Roderich Edelstein, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 1 - Impressione
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francis (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludvig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 2,614 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. La fiction è ambientata a Graz (Austria) e dintorni, alla fine del 1800.
2. Saranno presenti molte descrizioni apparentemente inutili e noiose, ma poiché ho cercato ad ispirarmi alla scrittura di Conan Doyle e alla sua accuratezza dei dettagli, vi prego di leggere tutto, poiché ogni descrizione ha uno scopo preciso.
3. Saranno spesso nominate delle opere d'arte non troppo conosciute. In fondo ad ogni capitolo metterò un link al/ai dipinto/i perchè ritengo importante ai fini della trama che abbiate presente come sia.




Ars Moriendi


I.  Impressione

Arthur non sapeva esattamente perché si trovasse lì, di fronte a quel quadro così strano di un autore che non aveva mai sentito nominare. Non si intendeva particolarmente di arte e ancor meno di quelle nuove tendenze che tra i francesi si stavano diffondendo in fretta, ma che non stavano riscuotendo particolare successo. Nonostante il suo parziale disinteresse per la pittura, si sorprese di fronte all’azzardo di presentare quel quadro così innovativo in una mostra che comprendeva dipinti di tutt’altro genere.
Lesse il cartellino posto sotto alla cornice che esponeva il titolo di quel paesaggio così astratto: La casa dell’impiccato. Indugiò nuovamente sulla tela, ma nonostante il suo impregno non riuscì a trovarvi nulla di interessante e di nuovo si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse lì.
Cercò la risposta nella sua tasca destra, toccando il biglietto stropicciato che lo invitava a recarsi a Graz per una mostra speciale che aveva come tema la morte. Quando aveva letto il nome degli organizzatori non si era stupito del fatto che fossero due russi. Era un tema troppo macabro per un atelier austriaco.
Si guardò intorno, gettando occhiate agli altri dipinti che aveva già visto e agli altri invitati speciali che si muovevano lentamente lungo le pareti dell’elegante salone. Erano in pochi, ma Arthur era sicuro che non fossero ancora tutti. Un tipo dal volto corrucciato osservava un dipinto con ancor meno interesse dell’inglese; alle sue spalle due uomini ascoltavano le spiegazioni di un ragazzo che era senza dubbio il più entusiasta nella sala. Il suo tedesco era fortemente corrotto da un accento particolare, e dalla sua carnagione più scura Arthur pensò che dovesse essere spagnolo o italiano.
Gli altri due che lo accompagnavano, quindi, erano tedeschi, ma il più interessante tra i due era sicuramente quello coi capelli chiari. Quando si accorse delle occhiate che Arthur gli stava lanciando, questi si voltò e gli rivolse un sorriso spavaldo. L’inglese, colto in flagrante, lo salutò con un lieve cenno del capo. L’uomo aveva gli occhi rossi: era un albino.

Tornò al suo dipinto: si stava annoiando. In realtà era annoiato da tre settimane, da quando non aveva più un lavoro, da quando le sue giornate erano ancora più vuote, da quando…
“Ricordavo che lord Kirkland fosse più anziano.” Arthur si voltò in direzione della voce. Al suo fianco c’era un uomo occhialuto e vestito di blu che attendeva una sua risposta con un sorriso che faceva pensare al servilismo, ma nei suoi occhi di ghiaccio vi era un’evidente spavalderia.
“Difatti, non sono lord Kirkland. Sono suo nipote. Mio zio mi ha mandato in sua vece poiché non era in condizioni di viaggiare, oppure perché aveva da fare o perché non nutre alcun interesse per l’arte. Scelga lei, non mi ha dato istruzioni al riguardo.”
L’uomo si abbandonò ad una breve risata di compiacimento. “Apprezzo ognuna di queste scuse e non mi sento in dovere di rimproverare suo zio, dato che mi ha mandato un giovane dall’umorismo così schietto. Proprio ciò che ci serve per la festa di questa sera.”
“Festa?” domandò Arthur per niente attratto dall’idea.
“Oh! Mi perdoni, ho scordato di presentarmi. Lord Kirkland mi conosce di vista, ma noi non ci siamo mai incontrati. Sono Roderich Edelstein, il promotore di questa mostra.”
Arthur strinse la mano tesa.
“Arthur Kirkland.”
“Suo zio non mi ha mai parlato di lei.”
“Non rientro tra i suoi ereditieri preferiti.”
“Buon per noi, sarà ben accolto qui a Graz.”
“Mi parli della festa.” Arthur era perfettamente abituato ai ricami dialettici che dilungavano ogni conversazione che si rispettasse, ma si trovava in un luogo che non conosceva, in mezzo a quadri che non gli dicevano alcunché, a parlare con uno sconosciuto che avrebbe potuto inginocchiarsi a leccargli i piedi o liquidarlo con un insulto travestito da complimento. In poche parole, tutta la sua scarsa socievolezza si era definitivamente tramutata in misantropia.
“Come ben sa, a quest’inaugurazione sono stati invitate solo alcune personalità che provengono da diversi paesi, pertanto questa sera terrò un ricevimento per voi alla mia tenuta privata e vi offrirò ospitalità per la notte, senza che vi scomodiate a cercare un altro alloggio. Tengo molto alla sua partecipazione, si tratterà di un incontro culturale grazie al quale potrà fare la conoscenza di coloro che hanno ideato questa mostra e discutere…”
Arthur sentiva di essere pericolosamente vicino all’emicrania. Non aveva alcuna intenzione di partecipare ad un mortifero incontro tra vecchi critici d’arte e si ritrovò a maledire suo zio per avergli offerto l’opportunità di vedere l’Austria, ma in quel momento il suo bisogno primario era fermare quell’ondata di parole che lo stava investendo.
“Sarò lieto di partecipare.”
“Fantastico” commentò il signor Edelstein sistemandosi gli occhiali. “E ora mi perdoni, ma devo andare ad accogliere gli altri ospiti. Tornerò da lei subito.”
Arthur sperò vivamente che se ne dimenticasse. Dopo che l’uomo si fu allontanato, afferrò al volo un bicchiere di champagne da un vassoio sorretto da un cameriere.
Si allontanò di qualche passo, la sua vista era stata urtata abbastanza dai colori dell’ultimo dipinto. Osservò pensieroso il liquido profumato nel calice. Non era più abituato a certe delizie, durante l’ultimo periodo aveva visto soltanto rhum scadente.
“Ben arrivato, Mr. Jones.” La voce di Edelstein risuonò distintamente attraverso la sala, ma fu una sola parola a far voltare Arthur all’improvviso.
“Grazie!”
“Sono felice che sia riuscito a giungere sin qui, dev’essere stato un lungo viaggio.”
“Altroché, ma ci sono abituato, in passato ho visitato molto l’Europa con mio padre.”
Doveva trattarsi di uno scherzo. Arthur estrasse con foga il biglietto stampato su carta gialla e lesse i nomi degli invitati. Eccolo lì, non c’era alcun dubbio: Mr. Alfred F. Jones.
Voleva sbattere la testa da qualche parte. Perché non aveva letto prima la lista? Per cosa era venuto fin lì? Per essere preso in giro di nuovo?
Guardò verso la porta, osservò Alfred che si dilungava in racconti sui suoi viaggi che non interessavano a nessuno. Non era cambiato, era il solito stupido infantile di un tempo. Ovviamente non c’era modo di passare inosservati in quel salone spoglio e bianco, infatti Alfred lo individuò subito. Arthur avrebbe voluto voltarsi e andarsene, ma pensò al suo orgoglio e si impose di sostenere il suo sguardo. Semplicemente strinse più forte il calice.
“Arthur? Ma… sei tu?” Alfred cercò di metterlo a fuoco, poi andò a leggere la lista degli invitati sistemandosi gli occhiali. Quando risollevò il viso sfoggiava uno dei suoi soliti sorrisi solari.
“Sei proprio tu! Non sapevo che fossi diventato lord!”
Ancora un po’ e il fragile cristallo del bicchiere si sarebbe frantumato. “Non lo sono.”
Che brutta situazione, che assurda casualità. Avrebbe dovuto prestare più attenzione, seguire il suo istinto e non partecipare a quella stupida mostra. Alfred venne verso di lui con ampie falcate e con quell’espressione sfacciata che ad Arthur fece ribollire il sangue.
“Non pensavo proprio di poterti incontrare qui. Sai, non mi sono preoccupato di sapere chi altri fosse presente, mi interessava solo divertirmi un po’ in Europa. Sai come sono fatto!”
Arthur strinse i denti. Gli avrebbe tirato lo champagne in faccia. Forse no… non andava bene sprecare l’alcool. Senza rispondere svuotò il bicchiere in un unico sorso, solo per frenare gli insulti che gli stavano pericolosamente risalendo dallo stomaco.
Non ricevendo risposta, Alfred si preoccupò. “Beh… dimmi, anche tu stasera…”
“Mr. Jones! Sono così lieta di averla qui!” Si avvicinò una giovane donna in un elegante abito verde, i morbidi capelli castani raccolti sulla nuca. Alfred si riprese in fretta e le baciò la mano.
“Sono Elizabeta Edelstein e sarei molto felice di passeggiare con lei in questo salotto.”
“Il piacere è tutto mio, milady!”
Si allontanarono a braccetto e Arthur colse l’occasione per arraffare un altro calice di champagne e berlo tutto d’un fiato. A quel punto avrebbe dovuto fermarsi, sapeva fin troppo bene cosa succedeva dopo.
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge d’un luxe miraculeux.
Dalla sua sinistra provenne un leggero profumo di colonia, ma Arthur non aveva nessun desiderio di contatto con qualunque essere umano, figurarsi di uno che si introduceva in francese.
“Mio giovane amico, è questo dipinto che la turba?”
Arthur alzò lo sguardo inconsapevolmente: non sapeva nemmeno di trovarsi di fronte a un quadro. Raffigurava una donna seminuda accasciata su una sedia. Sembrava dormire, ma visto il tema di quella raccolta era indubbiamente morta.
“Non sono le cose impalpabili a turbarmi” rispose infine, rivolgendosi direttamente alla tela.
“Trova la morte impalpabile?”
“La rappresentazione di essa lo è.”
“La rappresentazione della morte è esattamente come la morte stessa! Un attimo fugace e perenne allo stesso tempo, che imprigiona la vita in un tempo eterno.”
Arthur volle scoprire chi si celava dietro quelle parole che ostentavano tanta sagacia. L’uomo accanto a lui osservava il dipinto come se si fosse perso al suo interno, con tanta ammirazione negli occhi blu. Non portava la giacca, se ne andava in giro in gilet e con i polsini della camicia sbottonati. Il nodo della cravatta attorno al colletto inamidato era disfatto.
“In ogni caso sono in parte d’accordo con lei” proseguì il francese biondo. “Questo quadro è incompleto, manca il punto di vista della protagonista. Cleopatra non poteva avere un’espressione così tranquilla nella morte. Il suo cuore doveva essere in preda allo struggimento dell’amore, del desiderio e della tristezza!”
Quanto fervore per un semplice quadro. Arthur sospirò e rivolse nuovamente la sua attenzione a Cleopatra, alla ricerca di ciò che il francese decantava, ma la sua poca erudizione artistica gli fece abbandonare subito l’impresa.
“L’espressione dei morti non ha nulla a che vedere con ciò che hanno trascorso in vita” disse Arthur.
“Ha visto molti morti?” domandò l’altro con sincero interesse, ma con una punta di commiserazione che infastidì molto l’inglese.
“È così” rispose, sostenendo caparbiamente il suo sguardo.
Il francese infilò una mano nel taschino del completo ed estrasse un fazzoletto bianco. Lo sbatté in aria un paio di volte e al suo posto apparve improvvisamente una rosa rossa.
Voilà. Quell’espressione afflitta non le si addice proprio. Prenda questa e si faccia un giretto tra i dipinti.” Gli mise in mano la rosa e gli assestò un lieve buffetto su una guancia. Arthur lo guardò sconvolto.
“Mi ha scambiato per un moccioso?!”
“Adulto, bambino, che differenza fa? Le cose belle rimangono belle.” Gli prese la rosa dalle mani e gliela appuntò sulla giacca.
“Anche la maleducazione rimane maleducazione.”
“Oh, ma quanto è formale! Faccio il mio mestiere, intrattenere la gente! E non faccia quell’espressione offesa, se non abbassa le sopracciglia si affaticherà.”
“Lei è uno zotico.”
“No, il mio nome è Francis.” L’altro ebbe la sfacciataggine di rispondergli così mentre faceva un galante inchino.
“Francis e basta?” chiese Arthur, sempre più infastidito dalla sua villania, ma se ne pentì. Perché glielo domandava? Non gli interessava minimamente conoscere quel personaggio.
“Un artista non necessita di altro. Sono conosciuto tra il pubblico semplicemente con questo nome. Lei invece…”
Arthur si strappò la rosa dal petto e la gettò a terra. “Visto che i giochetti infantili la divertono tanto, provi a indovinare.”
Francis cambiò espressione come un bambino al quale hanno guastato un interessantissimo svago. D’improvviso gli infilò la mano in tasca e, incurante delle lamentele di Arthur, estrasse l’invito sgualcito e lesse i nomi. Rise in modo fastidioso, come chi ha capito tutto. “Sicuramente lord Kirkland.”
Arthur rimase indubbiamente sorpreso dalla sua abilità – o fortuna – ma celò ogni reazione che potesse dare a Francis una qualunque soddisfazione. “Come può esserne così sicuro?”
“Riconosco un inglese anche tra una folla di scozzesi” rispose, infilandosi con noncuranza l’invito non suo nel taschino sul petto. “E comunque sono abbastanza sicuro di stare parlando inglese, in questo momento.”
“Potrei essere chiunque in grado di parlare un ottimo inglese.” Non voleva dargliela vinta.
“Ma solo un vero servitore della Corona risulterebbe così fiero di se stesso.”
Arthur si riprese l’invito senza complimenti. “Ebbene, si sbaglia. Non sono lord.”
“No di certo, altrimenti se ne sarebbe già vantato da un pezzo” sussurrò Francis tra i denti.
“Prego?!”
“Dicevo che la trovo assolutamente adorabile!” mentì spudoratamente. “Passeggerebbe con me?”
“Ovviamente no.”
“Perfetto. Ci vediamo stasera a cena.” Si congedò, lanciando dietro di sé una manciata di coriandoli comparsi da chissà dove.
Arthur si allontanò spazientito. Non aveva mai tollerato i prestigiatori.

Poiché la località in cui si stavano dirigendo si trovava in montagna – come quasi tutto il territorio dell’Impero, d’altronde – lungo i sentieri tortuosi si era formata una fila di cinque carrozze che trasportavano tutti gli ospiti al castello di Herberstein, il luogo di villeggiatura di herr Edelstein. Mentre procedevano, lenti e sballottati, Roderich gli parlò della storia del castello – senza che nessuno glielo avesse chiesto. Arthur guardava per lo più il sole tramontare dietro le cime aguzze, cercando di non incontrare lo sguardo di Alfred. Sapeva che lo stava fissando e sapeva anche che lo stava facendo con un’espressione preoccupata e interrogativa. Che stupido. L’inglese non poté fare a meno di domandarsi per che cosa avesse sofferto per un anno intero. Per le occhiate ingenue e stupite di un marmocchio viziato? Per le chiacchiere interminabili e senza senso di un esibizionista? Per la spavalderia e la semplicità di un americano esaltato?
Appoggiato alla propria mano continuava a guardare fuori dal finestrino, oltre le tende. Pensò che, all’inizio, erano state proprio quelle peculiarità ad attrarlo.
Il castello era una costruzione  risalente al Medioevo, infatti possedeva quel fascino fiabesco che tutti si aspettavano di ritrovare nelle foreste del nord Europa. Ad Arthur non dispiaceva affatto quell’architettura regale, ma nulla poteva competere con il suo patriottico e nobile neogotico.
Il candido edificio sembrava arrampicarsi sulle colline, non era del tutto visibile a causa degli alberi che lo circondavano e alle sue spalle le montagne parevano delle quinte teatrali, ma una sottile torre svettava al centro della copertura scura.
Quando le carrozze si furono fermate di fronte all’entrata, Arthur notò che poco più in là la terra sembrava sparire: a lato del castello si apriva un precipizio e un fiume scrosciava rumoroso tra le sue pendici.
Arthur si ripromise di trattare un po’ meglio herr Edelstein. Se quello era il suo luogo di villeggiatura allora le sue tasche dovevano straripare di banconote.
Entrando, l’inglese notò che non erano presenti servitori ed espose la sua curiosità al proprietario. “La servitù lavora in questo castello solo qualche mese all’anno” spiegò Roderich. “Hanno approntato tutto il necessario per voi ospiti e si sono ritirati. Non mi piace vederli a non far niente.” Improvvisamente Arthur capì come quell’uomo potesse permettersi tali sontuosità. Avrebbe dovuto imparare un po’ di taccagneria da quell’austriaco.
Nonostante l’inaspettata accoglienza dell’esterno, i padroni non avevano resistito al fascino del barocco e avevano fatto decorare gli interni con le tappezzerie dorate e le porcellane candide tipiche di quel gusto pomposo. Arthur si perse subito in mezzo a quella vastità: nemmeno l’imponente castello di suo zio poteva competere con quel lusso.
Vennero invitati a prendere posto nelle camere già assegnate alla fine delle scale che portavano al piano superiore. Una stanza a testa, per fortuna. Per un attimo Arthur aveva temuto di doverla condividere con Alfred o con il francese…
Bon soir!
Arthur rabbrividì constatando che Francis stava uscendo proprio dalla camera di fianco alla sua.
“Cosa fa qui?” Domanda assolutamente retorica.
“Dormo proprio di fianco a lei. Chissà cosa sarà mai saltato in testa ai padroni per mettere un inglese e un francese così vicini. Probabilmente hanno passioni gladiatorie.”
Arthur trovava particolarmente irritante il modo in cui quell’uomo scherzava su tutto.
All’improvviso dal corridoio comparve anche Alfred, che lo salutò come se non lo vedesse da dieci anni.

“Sono di fianco a te, Arthur!”
Non c’era niente per cui essere felici.



Continua




Eccoci qui con una nuova storia! Non mi ero mai cimentata in un giallo, prima d'ora, ma adoro Sherlock Holmes e Agatha Christie (e anche Kuroshitsuji, se qualcuno coglie il riferimento XD) Questa fic sarà proprio un miscuglio tra questi tre capolavori, noterete sicuramente molte somiglianze ma spero non le considererte scopiazzature: ho cercato solo di prendere ispirazione per creare una trama tutta mia.
In questo capitolo non vi posterò i link ai dipinti poiché entrambi ricompariranno nei prossimi capitoli con maggiore importanza. Ovviamente se volete andare a cercaveli fate pure!
Vi annuncio che ci saranno poi numerosi pairing, alcuni molto evidenti, altri sottintesi, altri un po' ambigui... diciamo che i pairing prevalenti (o meglio, i più evidenti) saranno GerIta e FrUk, ma troverete anche UsUk, PrUngary, AusHun, BelaRus (sì, avete capito bene... viene prima Bela u.u), PruBela (non so come si chiami questa coppia) e poi boh, se vorrete vedercelo, anche un accenno di Germancest... dipende molto da come gradite di più vedere questi pairing. In ogni caso sono molti, i personaggi interagiscono tra loro, per questo all'inizio non ho dato alcun avvertimento sui pairing... perchè c'è un po' di tutto.
Come sempre ringrazio Momoka per il fedele betaggio e i consigli preziosi e vi aspetto al prossimo capitolo!!
   
 
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