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Autore: Trick    28/02/2011    7 recensioni
«Non ti piacciono le carole natalizie?» gli domandai tranquillamente.
«No» rispose al suo posto Gesù. «Le detesto».

Un racconto ironicamente filosofico su un Natale vissuto da personaggi così strani e improbabili che nemmeno l'autrice è capace di introdurre.
Prima classificata al contest "Christmas comes for everyone" indetto da CoS.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo della : Solo una volta, un giorno, un mondo
Personaggi: Voltaire, Maometto, Gesù e Sòl (l'antica divinità celtica del sole)
Generi: Introspettivo, un po' romantico e lievemente non-sense
Warnings: La fan fiction potrebbe trattare tematiche religiose che qualcuno di particolarmente sensibile potrebbe giudicare blasfeme. Non mi pare che lo siano, ma tant'è che la gente tende a diventare insofferente all'umorismo cinico quando si tratta di religione.
Note personali (l'autrice consiglia di leggerle dopo la lettura):
Non ho mai conosciuto nessuno dei quattro personaggi sopracitati, ma sono piuttosto sicura che il modo in cui io li ho descritti sia decisamente distante da qualunque visione... beh, tradizionalista, ecco. C'è un motivo, ovviamente, se i miei personaggi non rispecchiano in alcun modo la tradizione: siamo nel 2011, gente.
Nella mia storia, Maometto e Gesù si sono beccati due millenni, decennio più o decennio meno, di tracollo dell'umanità e di scannamenti fra cristiani e islamici. Rappresentano la perdita di valori e di umiltà del mondo.
Voltaire, invece, è l'obiettività. Storicamente parlando e sebbene sia noto come ateo, Voltaire non lo era affatto. Era deista, ma non volevo complicare oltre la trama – che potrebbe essere già di per sé problematica – quindi vogliate scusarmi qualche licenza poetica. Non tutte le sue citazioni sono trascritte alla lettera – eccezion fatta per quella di Marlowe ("La religione è un giocattolo per bambini") che è una cosa di più. La ragione è, ovviamente, che volevo inserirle direttamente in ciò che pensa, dice o fa. Non volendo appropriarmi delle citazione di Monsieur Voltaire – non sia mai! - riporto qui le citazioni originali.

"Dio è un commediante che recita per un pubblico troppo spaventato per ridere".
"Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri, come sono?".
"Una lunga disputa significa che entrambe le parti hanno torto".

Ci sarebbe anche una citazione di Gandhi, un po' trasformata da Maometto, ovvero "Mi piace il vostro Cristo, non mi piacciono i vostri cristiani. I vostri cristiani sono così diversi dal vostro Cristo".
Sòl, infine, è l'antica divinità celtica del sole. L'ho scelta per due motivi: primo, la festa del Natale è storicamente legata alla festa pagana del sole; secondo, essendo una dea del sole mi sembrava la più adatta a rappresentare, al contrario degli altri, la speranza e la felicità.
La canzone, alla fine, si chiama "Light the candles" e, con tutta sincerità, non so chi sia l'autore. E sì, ho barbaramente (ma letteralmente) tradotto il testo in italiano per motivi di scorrevolezza. Chiedo perdono, ma tant'è. Anche il titolo è una strofa della canzone, naturalmente.
Questo, ad ogni modo, è il link su YouTube → Clicca proprio qui


La storia si è classificata prima al contest Christmas comes for everyone indetto da Collection of Starlight, al cui staff vorrei dedicare questa storia.


*

Quando aprii la pesante porta del bar, il primo pensiero che mi attraversò la mente fu che quello non era certamente il più raffinato dei posti dove trascorrere la vigilia di Natale. Non che io sia una persona dalle richieste incontentabili, ma qualcosa di quell'angusto locale mi aveva infastidito immediatamente. Non avrei saputo dire se fosse a causa delle opache lampade a neon, dello scolorito velluto del vecchio biliardo o di quell'aria rancida per le migliaia di sigarette fumate nel corso dell'ultimo ventennio fra le mura ingiallite. Era una sensazione che traspirava da ogni cosa – come se il Natale non fosse mai arrivato a nascondere la sciatteria di tutto quel deprimente luridume.
Lì, fermo sulla soglia e infreddolito dal gelo pungente, avevo soltanto due certezze: la prima era che Sòl doveva aver pianificato qualcosa di molto bizzarro e la seconda era che Gesù se ne sarebbe lamentato fino all'anno nuovo.
Al pensiero delle lagne che il mio amico avrebbe fatto, non potei trattenere un sogghigno divertito. È un tale bambino, a volte! Gliel'abbiamo ripetuto in mille differenti modi, ma non c'è proprio speranza che il suo volubile carattere possa migliorare. Non che sia una cattiva persona, anzi: io e lui ci conosciamo da secoli, ormai, ma talvolta è davvero intrattabile e tende a diventare pedante e a lamentarsi come un ragazzino. Capita spesso di scherzare dei suoi capricci, alludendo al fatto che al poverino siano sempre mancate le attenzioni paterne. A quelle frecciatine, in genere, Gesù ci mostra il medio e tiene il broncio per i minuti successivi, prima di riacquistare il suo amabile carattere da intrattenitore. Nonostante le sue arie da prima donna, tuttavia, posso affermare con totale sicurezza che Gesù è indubbiamente uno dei migliori amici che io abbia mai avuto. Se me lo avessero detto quando ero in vita, sarei probabilmente raggelato. È incredibile come la morte possa mutare le opinioni della gente.
«Voltaire» proruppe la voce bassa e strascicata di Maometto alle mie spalle. «Che diavolo ci facciamo qui?».
«Hai una domanda di riserva, per caso?».
«Che diavolo ci faccio io, qui?».
Sorrisi sotto i baffi.
«Stavo cercando di immaginare la faccia che farà Gesù non appena vedrà questo posto».
«Dovresti vedere la mia, di faccia, allora» sbuffò indispettito Maometto. «Oh, va' al diavolo e scansati, Voltaire. Non ho intenzione di ghiacciare in questo posto dimenticato da ogni divinità conosciuta».
Mi scostai di lato e tenni aperta la porta per farlo entrare.
«Smettila di tirare in ballo diavoli e dei» lo ammonii con ironia. «Sai meglio di me quanto possono diventare insopportabili».
Le sottili labbra di Maometto si storsero in un ghigno sprezzante.
Alto e magro, Maometto è quel genere di uomo con cui la maggior parte della gente preferirebbe evitare di farsi vedere accompagnata. C'è una luce costantemente beffarda nei suoi occhi scuri e ha lo spiacevole vizio di lisciarsi in continuazione il sottile pizzetto nero. Lo fa in un modo così arrogante che desta l'irritazione di chiunque debba sopportarlo per più di un minuto. Quell'umorismo noir tutto suo, poi, non lo aiuta certo a mostrarsi nella luce migliore. Alle volte, i suoi modi di fare sembrano davvero malefici, ma sa essere un buon amico e un ottimo confidente. Non potrei mai rinunciare alla sua compagnia.
Lo seguii mentre si avvicinava al bancone e lo osservai scrutare con una smorfia disgustata la patina appiccicaticcia che lo ricopriva. Alzai gli occhi al cielo nel vederlo sfiorare con un lungo indice lo sgabello e fissarsi inorridito il polpastrello impolverato.
«Maometto, siediti».
«È il letamaio più lercio in cui sia mai stato – e vorrei sottolineare che ho visto Gerusalemme prima ancora che s'inventasse il calendario» disse, lisciandosi con cura il pizzetto.
Sollevai la mano per attirare l'attenzione del barista – un anziano con pochi capelli e dal volto scialbo – e ordinai due Beck's.
«Gerusalemme è una città deliziosa» commentai con semplicità. «Ed è considerata sacra da più di--».
«Sacra?» mi interruppe Maometto con un sibilo infastidito. «Sciocchezze. La Cupola della Roccia è completamente ricoperta d'oro».
«È tutto in tuo onore, amico mio. Ringrazia, saluta e rassegnati» scherzai con un sogghigno.
«È nel loro cuore che dovrebbero tenermi, Voltaire. Non sul loro tetto».
Annuii appena.
«Chi è che ti vuole agganciare al tetto?» proruppe una voce beffarda alle nostre spalle. «Devo assolutamente stringergli la mano prima dell'anno venturo».
Maometto si voltò indietro con un ghigno fastidioso.
«Gesù! Che bella sorpresa!» esclamò con aria sarcastica. «Dove hai lasciato i tuoi bei cosini alati che scintillano? Papà non ti ha detto che non dovevi infilarli sull'alberello?».
«Va' all'inferno, Maometto» scandì con durezza Gesù.
Mi sfiorai distrattamente la tempia destra: sarebbe stata una lunga, lunghissima serata. Mi girai a mia volta e guardai stancamente il mio amico. Gesù è un uomo dotato di una bellezza aggraziata – quasi femminea. I lunghi capelli gli incorniciano con eleganza il volto chiaro, ricadendo in soffici ricci sulle spalle esili, e gli occhi sono talmente azzurri e luminosi da sembrare quasi irreali. La sua stessa gestualità e il suo portamento, poi, hanno qualcosa di dannatamente intrigante, ed è davvero difficile che passi inosservato fra la folla. Mi sono domandato spesso se sia proprio quello il suo vero aspetto, e mi sono risposto che, probabilmente, non lo è per niente. La vanità di Gesù è sempre stata proporzionata al suo potere; fortuna che il suo animo sia solitamente abbastanza buono da permettere di tralasciare quel suo inguaribile difetto.
Mentre ordinavo una terza birra, Gesù si sedette sullo sgabello alla mia destra. Sembrava irrequieto.
«Avanti» lo incitai con un sorriso gentile. «Di' qualunque cosa tu stia pensando di dire».
«Non ho intenzione di trascorre in questa bettola la vigilia di Natale» eruppe con enfasi, come se non avesse atteso altro. «Dai, seriamente. È il mio compleanno e questo posto fa schifo. E guarda che sono nato in una mangiatoia, io».
Scoppiai in una fragorosa risata nel vedere Maometto fare una smorfia nauseata, voltarci le spalle e alzare la testa verso il minuscolo televisore appeso all'altro capo del bancone.
«Che ho detto di divertente?» mi chiese Gesù con un broncio.
«Nulla. Ho solo avuto un déjà-vu».
A volte, lui e Maometto sono così simili. Non sono certo che se ne siano ancora accorti, ma condividono lo stesso disprezzo cocente per ciò che le loro rispettive religioni hanno fatto. Talvolta, la rabbia del fallimento si fa così intensa che sono costretto a interromperli prima che diventino troppo blasfemi – e a loro proprio non lo si può perdonare. Su di me, che sono un modesto letterato che ha deciso di voltare le spalle a Dio per amore della ragione e della conoscenza, si può chiudere un occhio, dopotutto.
Ricordo ancora quando affermai che Dio era soltanto un commediante dal pubblico troppo spaventato per ridere. Quando mi ritrovai davanti a lui – ed ero ancora combattuto fra il fastidio di essere morto e il fastidio che Dio esistesse realmente – fu lui a ridere della mia faccia. E io risi con lui, alla fine. Non è poi così male, se ci si prende il tempo di conoscerlo meglio e non lo si fa arrabbiare.
Mi accorsi improvvisamente delle note melodiche delle voci bianche che provenivano dal televisore e feci un sorriso sghembo. Il paradosso di dieci ragazzini che intonavano canti innocenti per un bambino che stava seduto al mio fianco e giocherellava con l'etichetta di una Beck's in un bar ammuffito. A giudicare dal disappunto dipinto sul volto scuro di Maometto, stavamo pensando tutti la stessa cosa.
«Non ti piacciono le carole natalizie?» gli domandai tranquillamente.
«No» rispose al suo posto Gesù. «Le detesto».
Repressi un altro sorriso.
«Le ho sempre detestate» continuò lui, scuotendo scocciato la testa. «Fosse per me, a Natale si canterebbero soltanto i Doors».
Maometto si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e ruotò la testa verso di lui.
«Idiota di un Messia» lo canzonò.
Gesù alzò le spalle e portò la bottiglia alle labbra.
«Beh, è vero. Non gliel'ho mica chiesto io di cantare e di nascondere la merda del mondo con le loro lucine».
«Sono in molti a trovare conforto in tutto questo, Gesù» mi intromisi pacatamente. «Non biasimare il loro tentativo di trovare un po' di pace».
«Oh, eccome se li biasimo!» replicò con veemenza. «Glieli avevo lasciati tutti, i presupposti per un po' di pace. E loro, che fanno? Si circondano di croci e cattedrali e fanno gli strozzini con il mio nome. Bel ringraziamento del cazzo».
Rimanemmo in silenzio solo un paio di secondi, fissando ognuno la bottiglia che stringevamo fra le mani.
«Lo avresti creduto possibile, Gesù?» chiese Maometto con voce incredibilmente seria. «Che avrebbero fatto tutto questo casino, voglio dire».
«Quel che è certo è che non avrei mai immaginato di ritrovare la mia faccia stampata su delle T-shirt» rispose. «So di essere incredibilmente attraente, ma questo è troppo».
«Secondo me, le cose sarebbero andate molto meglio se tu fossi stato ateo» ridacchiai.
«Come no» mi diede corda Maometto. «E chi glielo spiegava, poi, al papà?».
«Fottiti» mormorò Gesù fra i denti. «Tu e tutti quei dannati--».
«Basta così, grazie» li interruppi seccato. «Dovreste smetterla di litigare. Fate troppo cliché religioso, voi due».
«Io non ho niente contro di lui» puntualizzò pedantemente Maometto, sfiorandosi appena il pizzetto. «Sono i suoi cristiani che mi danno sui nervi».
«Chiudi la bocca e bada ai problemi della tua gente, tu» lo rimbeccò subito Gesù.
«I problemi della mia gente sono iniziati quando la tua gente ha iniziato a chiamarci infedeli».
«La mia gente? Quella non è la mia gente. La mia gente non scatena guerre di denaro».
«Disse il Cristo protettore delle più ricche banche del mondo».
«Amen, ma vogliamo parlare delle tue banche, Maometto? Perché non se ne parla mai, con te? E lascia che ti dica un'altra cosa...».
Smisi di ascoltarli e mi massaggiai stancamente le tempie. Ero stato un illuso a credere che sarebbero stati capaci di comportarsi come persone civili: erano seduti troppo vicini l'uno dall'altro. Pregai che Sòl arrivasse in fretta a salvare la mia proverbiale pazienza, poiché temevo che stesse già scoccando il suo ultimo minuto di eroica sopportazione.
Quando iniziano a scaricarsi reciprocamente le colpe del mondo intero, Maometto e Gesù diventano insopportabili e ingovernabili – una pessima combinazione, a mio parere. La questione più buffa di ogni loro discussione, oltretutto, è che tendono a farneticare cose a cui non credono assolutamente.
Mentre cercavo di allontanare da me i loro fastidiosi battibecchi, mi parve quasi di sentire la voce focosa di Marlowe ripetere nella mia testa: “La religione è un giocattolo per bambini, Voltaire”. La parola “giocattolo” continuò a rimbombarmi nelle orecchie per i minuti successivi. Un giocattolo, la definisce Marlowe, e nient'altro. È una sciocchezza, come una stupida litigata in uno squallido bar di periferia alla vigilia di Natale.
Non ci si ferma più nemmeno per Natale, ormai. Mi chiedo se ci sia ancora qualcuno che riesca a vedere il Natale per quello che dovrebbe semplicemente essere: un suggerimento.
A volte, credo che il Natale abbia qualcosa di vivo. Vecchio e rassegnato, sembra un fantoccio di lucine e festoni che grida al mondo che sta andando in contromano. Eppure, poveretti, gli uomini vanno sempre contromano; e dire che la più profonda essenza della felicità, quella per cui faticano tanto, è proprio lì, nascosta dai regali impacchettati.
È una sensazione di insostenibile calore che pervade il petto e infonde il desiderio che la vita – quella vita – possa durare per sempre. Si sente di amare tutti, incondizionatamente, perché la vita è bella in quanto tale e tanto dovrebbe bastare a chiunque. È questione di un battito di ciglia in cui si pensano un migliaio di sciocche idiozie felici tutte in una volta. Poi, c'è un respiro, una parola, ed ecco che ci si ricorda di appartenere ad un'umanità che si nutre di normalità e senso pratico. La folle luce da cui ci si sentiva completamente irrorati si dissolve lentamente e si torna a sorridere con moderata gaiezza – e quella traccia di morbosa devozione alla vita è già scomparsa.
È una vera sfortuna che nessuno di noi sia mai stato capace di aggrapparsi con foga a quell'istante di estasi. Avremmo potuto salvare il mondo. Ora, invece, siamo costretti ad aggrapparci a ciò che di esso è rimasto. L'unica cosa a cui posso pensare, dopotutto, è che se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri devono essere davvero una schifezza.
È proprio alla condanna del mondo a cui pensavo quando qualcuno mi picchiettò l'indice sulla spalla sinistra. Preso in contropiedi, sobbalzai sullo sgabello. Maometto e Gesù avevano smesso di recriminarsi a vicenda ed ora osservavano lo sconosciuto che stava cercando di attirare la mia attenzione – chissà da quanto, poi.
Era un uomo piuttosto alto, dal naso bitorzoluto, l'aspetto malconcio e l'alito fetido. I pochi capelli rossicci erano scompigliati attorno alle orecchie rosse ed il suo volto squadrato recava i segni di una rasatura fatta in fretta e con poca cura. Era il ritratto di uno che avrebbe potuto stendermi con un gancio destro, se solo mi fossi azzardato ad augurargli “buon Natale”.
«Hai bisogno?» gli chiesi con gentilezza, sebbene avessi inclinato il collo con espressione circospetta.
«Oi, amico, te lo dico» mi rispose con il pesantissimo accento del posto ed un fiato di birra ancora più pesante. «C'è una tizia, qua fuori, che vuole che ti stacchi e vai da lei».
«Una tizia?».
L'uomo emise un grugnito di approvazione.
«È 'na tizia un po' bassotta. Carina, però».
Sorrisi fra i baffi. Era probabilmente la più semplice descrizione di Sòl che avessi mai udito. A lei avrebbe fatto piacere.
Mi alzai dallo sgabello nello stesso istante in cui Gesù si rivolgeva allo sconosciuto.
«Ha chiesto anche di noi due?».
«Macché. Quella mi ha detto che voleva solo quello con il naso grande».
Sentii Maometto e Gesù ridacchiare all'indirizzo della mia schiena. Voltai appena la testa e rivolsi ad entrambi un'occhiata di sufficienza.
«Io e il mio naso grande andiamo fuori un attimo» gli dissi con una smorfia. «Ed entrambi saremmo lieti di sapere che vi siete affogati con la birra».
Mi stavo avviando verso l'uscita, quando la voce dell'uomo mi arrivò nuovamente alle orecchie.
«Ehi, amico! Di', te l'hanno mai detto che c'hai la faccia come quella del Cristo che sta là, appeso in chiesa?».
Scoppiai a ridere e mi affrettai ad uscire da quella stamberga prima che di essere colpito a tradimento dalla Beck's di Gesù. Mi richiusi la porta alle spalle e cercai Sòl con lo sguardo. La trovai immediatamente, appoggiata al muro di cemento a pochi metri da dove stavo iniziando a rabbrividire.
«Perché stai ridendo?».
«L'uomo che hai mandato a cercarmi ha appena fatto notare a Gesù che assomiglia – indovina un po' – a Gesù» risposi con divertita naturalezza. «E ha detto che sei carina. Bassotta, ma carina».
Il suo aspetto, in effetti, era indiscutibilmente carino. Indossava un adorabile berretto di lana beige che le nascondeva i corti riccioli biondi e una grossa sciarpa colorata attorcigliata fino al naso. A causa del freddo pungente, le guance rotonde e lentigginose erano arrossate e gli occhi turchesi brillavano per le lacrime. Nonostante calzasse un paio di stivaletti marroni con qualche centimetro di tacco, non raggiungeva il metro e cinquanta. Più che un'antica divinità del sole, sembrava un simpatico folletto dei boschi irlandesi.
«Si può sapere che ti è saltato in mente di portarci qui?» le domandai incuriosito. «Un altro minuto e quei due sarebbero partiti per le crociate».
«Davvero?» disse Sòl con voce incredibilmente lieta.
«Ti fa piacere?».
«Sì» rispose con estrema semplicità. «Volevo passare la vigilia di Natale con il mio filosofo senza fede preferito».
Inarcai pesantemente un sopracciglio.
«Non ti piace?» mi domandò.
«È un posto sporco, sciatto e deprimente».
«Beh, lo è anche il mondo, ma ci dobbiamo stare lo stesso».
Finsi di sospirare rassegnato e la guardai di traverso. Attraverso il piccolo spiraglio fra il cappuccio e la sciarpa, i suoi meravigliosi occhi mi scrutavano divertiti.
«Cosa stai tramando, Sòl?».
«Perché devi sempre credere che io trami qualcosa?».
Le rivolsi un'occhiata eloquente.
«Oh, d'accordo!» esclamò lei con voce capricciosa e incrociando le braccia al petto. «Volevo che Maometto e Gesù litigassero prima che iniziassero i festeggiamenti. L'ultima volta sono riusciti ad innervosire perfino Buddha. Voglio dire... è Buddha, porca vacca».
«Una lunga disputa significa che entrambe le parti hanno torto» recitai con un sorriso sghembo.
«Perché devi sempre filosofeggiare?».
«Perché io sono, in effetti, un filosofo».
Per un attimo mi parve offesa, ma poi scosse il capo con indifferenza. La vidi infilare una mano inguantata nella tasca destra del cappotto ed estrarre un pacchetto stropicciato di Winston rosse. Sfilò una sigaretta e mi porse il pacchetto. Non sono un fumatore, eppure avvertii l'improvviso bisogno di condividere con lei quel momento di strana apatia. Ne presi una e la portai alla labbra. Sòl si guardò circospetta attorno. Certa di essere completamente inosservata, si tolse un guanto e me la accese con un tocco di polpastrello. Aspirai la prima boccata e la rimproverai con lo sguardo.
«Non guardarmi così» mi disse.
«Qualcuno avrebbe potuto vederti».
«È Natale, François. Rilassati».
Sbuffai rassegnato ed appoggiai il capo alla parete del bar. Alzai gli occhi verso il cielo, alla distratta ricerca di una stella. Era troppo nuvoloso e pensai che quella notte, probabilmente, avrebbe nevicato.
«Sì» affermò improvvisamente Sòl. «Fra poco nevicherà».
Feci un verso di disappunto.
«Odio quando mi leggi nella mente».
«Non si dicono bugie agli dei, François».
Scossi la testa e tornai a scrutare l'oscurità del cielo attraverso il fumo delle nostre sigarette. Mi sentivo strano, come se non fossi nel posto in cui avrei dovuto essere. Eppure, ero certo che era proprio lì che volevo essere, accanto a lei e ai suoi modi da ragazzina maliziosa. È assurdo che dopo aver girato il mondo moderno per quasi un secolo, abbia dovuto aspettare di morire prima di innamorarmi di una donna – una dea dimenticata dagli uomini, oltretutto, proprio io che avevo così stoicamente rinnegato la religione.
Mentre le stavo accanto e pensavo a cosa c'era di sbagliato in quella vigilia di Natale, mi accorsi che aveva realmente iniziato a nevicare. I fiocchi candidi danzavano nelle tenebre con delicatezza, attorcigliandosi l'uno con l'altro e depositandosi con impalpabile leggerezza sulla strada, sui gradini, sui grigi edifici cupi, sulle nostre spalle e sulle nostre teste.
Sòl gettò a terra la sigaretta prima di terminarla e mi afferrò con forza un polso. La guardai con espressione interrogativa e lei mi rispose con un sogghigno divertito.
«Vieni con me».
Non mi concesse nemmeno il tempo di protestare. Iniziò a correre lungo lo sconnesso vialetto di cemento e poi giù, fino alla strada, trascinandomi con sé. La neve che mi colpiva il volto era fastidiosa e fui costretto a sollevare la mano libera per ripararmi. Sòl non sembrava intenzionata né a fermarsi né a rallentare.
«Sòl!» la chiamai. «Dove mi stai portando?».
«Nel niente, François!» mi rispose ridendo, saltando con grazia il gradino di un marciapiede. «E pure nel tutto, se ti va!».
«Cosa stai---? Sòl, per l'amor del cielo, non--».
«Abbi fede, filosofo blasfemo!».
Iniziavo a non avere più fiato e sperai con tutto il mio cuore che quella corsa irragionevole e sfiancante finisse in fretta. Attraversammo velocemente un modesto quartiere fatto di case basse e squadrate. Mentre sfrecciavo sul marciapiede, riuscivo a cogliere con la coda dell'occhio gli infissi delle porte luccicanti e qualche pupazzo di Babbo Natale appeso ai balconi e ai comignoli – nulla più di qualche macchia rossa. Fu una fortuna che fossi così concentrato nel tentativo di non inciampare sull'asfalto: se mi avessi fissato troppo tutte quelle colorate lingue luminose, mi sarebbe probabilmente venuta la nausea.
Quando Sòl si fermò di colpo, rischiai di caderle addosso. Feci un paio di respiri profondi e fissai le nuvolette di vapore uscire dalla mia bocca. Quella corsa disperata nel ghiaccio mi aveva distrutto.
«Là, François».
Sollevai il capo e guardai verso il punto indicato dal suo dito.
Al di là di una stretta piazzetta rotonda, fra le case illuminate, si ergeva una modesta e timida chiesetta. Non fosse stato per il piccolo campanile a punta che spuntava dal tetto, non avrebbe nemmeno avuto l'aspetto della ricca casa di Dio. Non c'era alcun sagrato, nessuna gigantesca vetrata e nessun portone dorato: era solo un edificio come tanti, lì attorno. Mentre socchiudevo le palpebre per scrutarla meglio attraverso la neve sempre più fitta, mi domandai ancora per quale motivo Sòl mi avesse trascinato in quel posto.
«Ascolta» mi disse.
Affilai l'udito verso la profondità di quella notte e riuscii a cogliere le leggere note di una allegra canzone librarsi oltre le sottili parete della chiesa. Leggera e innocente, la melodia sembrava troppo debole per resistere all'incessante rumore dell'inverno. Eppure, qualcosa di quella semplicità mi fece sorridere.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto».
«Non so se mi piace» la corressi rapidamente, infilando le mani screpolate nelle tasche e nascondendo il volto nel bavero del cappotto. «Non so nemmeno se ci sia qualcosa, in tutto questo, che mi sia mai piaciuto».
Si avvicinò a me e si strinse al mio braccio, appoggiando il capo alla mie spalle.
«Questa è la risposta. Non è meravigliosa?».
Cercai di coglierne le parole, ma il vento soffiava troppo forte e noi eravamo troppo distanti.
«“Tutti quanti nel mondo hanno i loro riti, le loro feste e questo è giusto, è giusto”» mi canticchiò in un orecchio Sòl, sorridendo beata. «“Ecco come dovrebbe essere, tutti quanti, in tutti i modi, in tutti i paesi”».
Ridacchiai fra i denti, scuotendo appena il capo.
«“Non sarebbe bello se potessimo avere una sola festa? Tutti quanti insieme”».
«Sòl» la chiamai con dolcezza. «Cosa stai cercando di dirmi, esattamente?».
«Possiamo accendere le candele» continuò lei, come se non mi avesse nemmeno sentito. Si posizionò di fronte a me e mi strattonò dai gomiti fin quando non ebbi estratto le mani dalle tasche. Intrecciò le sue dita inguantate con le mie e iniziò a volteggiarmi attorno. «Per una volta, spegni il cervello e balla con me».
«Sta nevicando, Sòl».
«Voglio ballare, François. Voglio ballare perché la neve è bella, perché è Natale e perché sento che stasera qualcuno, da qualche parte, penserà la stessa cosa. Penserà che la vita è bella e ballerà sotto la neve, come noi. È Natale un po' per tutti, dopotutto».
Un'indescrivibile sensazione di calore mi infiammò improvvisamente l'animo. Fissando il suo volto arrossato e i suoi occhi brillanti, ricordai ancora una volta il motivo per il quale mi ero innamorato di lei. Avvertii il bisogno impellente di stringerla fra le braccia e lei, intuendo – o leggendo, piuttosto – i miei pensieri, sprofondò nel mio cappotto.
«Riesci a sentire il morso della felicità?» mi sussurrò.
Le baciai la fronte.
«Sì».
«“Tutti quanti insieme. Solo una volta. Un giorno. Un mondo”» riprese a cantare. «Lascia che la felicità ti divori, François».
Finché dura, lascia che sia ancora Natale.
   
 
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